Al di là del mare
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Info su questo ebook
Paola Ruzzini nasce a Sassari il 23 ottobre del 1986. Ispirata dai luoghi, dalla natura selvaggia, dalle coste che mutano scompigliate dal vento e dalle onde, incantata dai pescatori e pastori che ancora vagano per l'isola, trova nella sua terra ispirazione per scrivere, colorando i suoi libri di intenso blu e di personaggi d'altri tempi. E se la natura fa da scenografia alla narrativa, sicuramente gli studi classici ne influenzano la poetica in particolare dei primi anni. Inizia a scrivere sin da piccola poesie e racconti. In un’altra isola, Malta, avviene il suo risveglio letterario col racconto “Profumo”. Nel 2015 l'incontro con la regista esordiente Beatriz Moya segnerà un’ulteriore svolta. La collaborazione con l'artista madrilena spinge l'autrice ad affrontare la scrittura in maniera più seria. Collabora alla creazione di alcuni cortometraggi. Nel 2017 nasce la collaborazione al cortometraggio ispirato dalle storie reali delle due autrici, "Al di là del Mare" a oggi unica pubblicazione editoriale dell'autrice.
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Anteprima del libro
Al di là del mare - Paola Ruzzini
Paola Ruzzini
Al di là del mare
AmicoLibro
Paola Ruzzini
Al di là del mare
Proprietà letteraria riservata
l’opera è frutto dell’ingegno dell’autore
© 2020 AmicoLibro
Vico II S. Barbara, 4
09012 Capoterra (CA)
www.amicolibro.eu
info@amicolibro.eu
Prima Edizione
ottobre 2020
Introduzione
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Introduzione
"
Al di là del mare" è una storia completamente al femminile: vissuta, pensata e scritta da donne per donne e consigliata agli uomini. È la storia di una ragazza come tante altre la cui vita ha messo inaspettati e altissimi ostacoli da superare ma un’energia, una forza nascosta a cui aggrapparsi è già nell’aria.
Sofia è una ragazza vicino ai trent’anni che tenta di risollevarsi da anni duri ma, proprio quando tutto sembra cominciare ad andare per il verso giusto, ecco l’incubo più temuto dall’essere umano presentare il suo volto: le viene diagnosticato un nodulo al seno, che per fortuna operato in tempo non avrebbe creato grossi problemi se non un affiorare di dubbi, vecchi dolori, insicurezze.
La notizia, quel grande spavento, quel rivivere situazioni, spazi e tempi già vissuti con la madre, battuta dalla malattia dopo dieci lunghi anni, tutto questo cambia il mondo di Sofìa che ad un tratto si sente nulla di fronte al destino e in balìa dell’universo, che sembra correre veloce e che pare proprio intenzionato a non aspettarla più. Tutto si mischia per la nostra protagonista: obiettivi, progetti, senso della vita in un vortice di emozioni difficili da catalizzare.
Non è però una storia di malattia, di disperazione, bensì di rinascita, un racconto che esplode d’energia quella stessa che, per quanto si nasconda, fa parte di ogni donna.
Sarà l’incontro inaspettato con una vecchia conoscenza a infondere nuova energia alla nostra protagonista: all’improvviso Bea, una vecchia fiamma rispunta dal passato. La ragazza spagnola si svelerà pura forza risvegliando in Sofìa antichi ricordi, sensazioni, passioni, sogni e si aprirà per lei una nuova vita.
Con uno stile attento al particolare e ritmato da sensualità, intrigo, amore e poesia si acclama la forza intrinseca e infinita del genere femminile che unendosi si rivela ancora una volta capace di sorpassare qualsiasi ostacolo, di vincere la malattia e tutta l’agitazione interiore che ne provoca.
Tratto da una storia vera e in collaborazione al cortometraggio dell’esordiente regista Beatriz Moya Todos Somos Eternos
nasce dalla vita e dalle esperienze dirette delle due autrici Al di Là del Mare
.
Paola Ruzzini
Dedicato a mia madre: nobil amazzone
dal riso come arma.
Il malefico sospetto
S’annida in te ma
Trova approdo in una
Lacrima che morente
Su un sorriso rinasce vita.
L’infrenata frenesia d’essere
È felicità che sfuma
Il marchingegno del dolore
E alimenta la speranza che
Tragedia è favola.
Capitolo I
E
ppure quella domenica mattina sembrava un giorno come tanti altri.
Camminavo per il porto, aspettando i compagni per l’ultima lezione di barca a vela, gironzolavo di fronte al nostro molo, ciondolando similmente alle imbarcazioni ancorate, non troppo strette.
Dopo poco ero in mezzo al blu.
Correvamo sulle onde, con il vento in faccia e l’infinito davanti, un po’ aggrappandoci alle cime della barca e tirandole con forza, un po’ lasciandole libere al ritmo del vento.
Le onde sbattevano sulla navicella che s’inchinava, lasciandosi trasportare dal volere del mare che, nobile, la conduceva in una dolce appassionante danza: il vento in faccia sapeva di libertà.
L’aria entrava sin dentro le narici e pareva ripulire corpo e anima da qualche giorno sporche di un male, del Male più temuto dall’essere umano: la malattia.
Dall’arrivo di quell’ospite indesiderato qualcosa era cambiato in me, qualcosa stava mutando nel mondo. Tutto a un tratto sembrava correre veloce senza aspettarmi, e io da tempo mi sentivo troppo debole, troppo lenta per i minuti, le ore, il tempo stesso che all’improvviso fuggiva impolverando i miei giorni.
Ma ora, sopra quella barca dispersa nel mare, mi sentivo viva, mi sentivo veloce.
Così, aggrappata alle cime per la paura di cadere, mi sembrava di tenere stretta la vita che ora barcollava, che mi voleva abbandonare, e inattesi pensieri nascevano dentro di me.
Quella barca, quel mare, mi stavano cambiando un’altra volta.
A un tratto mi resi conto che la mia schiena era di nuovo dritta, ma che i miei occhi, la mia anima, guardavano ancora lontano, cercavano ancora qualcosa.
Mi ritrovai così!
Così ritrovai me stessa, ore e ore a osservare il mare, seduta su un piccolo scoglio al lato delle ultime barche del porto, quelle più povere, quelle più vecchie, quelle più belle, quelle come me, con pochi mezzi per camminare ma con molta voglia di correre.
Osservavo quei piccoli uomini di colore piegarsi dalle barche verso l’acqua e sollevare reti pesantissime che parevano molto più forti di loro, eppure ce la facevano. Tiravano su metri e metri di cime umidicce, spesso solo sporche e senza frutto, ciò nonostante là, in fondo al mare, continuavano il loro duro lavoro per una misera sopravvivenza e lo facevano con professionalità chirurgica. Alcuni cominciavano a rientrare lasciandomi in compagnia dell’orizzonte e sola con me stessa. Un leggero vento mi rinfrescava il viso e asciugava occhi commossi dell’ignoto in me radicato. Di tanto in tanto, più o meno in lontananza e alle mie spalle, passi non troppo rumorosi mi ricordavano che non ero l’ultimo essere umano sulla terra.
Il cielo muoveva veloci le sue nuvole bianche, cambiandosi nelle vesti e nell’aspetto, il mare infinito a me dinanzi, imbianchito di rara spuma, mutava in uno specchio vuoto spaventosamente pronto a divenire qualcuno.
Proprio in quel momento, mentre assaporavo ancora un po’ d’aria in faccia e cercavo la forza di tornare a casa e di affrontare ancora la vita, lo fissai. Ebbi il coraggio di guardare il mare, senza timore, dritto nel profondo come a cercarne l’origine, attenta a percepire il battito vitale dell’abisso più infinito. E d’improvviso mi presentò il suo volto. Direttamente dal ventre della terra apparve un viso man mano più chiaro che, delineandosi sempre più reale e concreto, risaliva i metri d’acqua avvicinandosi a me, sino a galleggiarmi sereno davanti.
Erano due occhi grandissimi, scuri e profondi a me non sconosciuti, accompagnati da un sorriso oceanico e un viso di tanto in tanto nascosto da lunghi capelli castani e ribelli al vento.
Con mio grande stupore era Bea!
Bea era una ragazza spagnola che avevo conosciuto qualche anno prima nella mia città. Vi si era trasferita per motivi di studio per circa nove mesi. Quell’inverno, reduce anche io da un anno di studi in Spagna e forse segretamente nostalgica della mia seconda terra, allargai il solito giro di amicizie ai molti spagnoli in Italia e tra i tanti, all’improvviso e quasi all’ultimo, la conobbi.
In realtà era sempre stata lì in giro per la mia città nelle vie, nei pub, nei supermercati, nei miei spazi con moltissimi altri personaggi con cui anche io, in tempi e luoghi differenti, amavo passare delle belle giornate. Finché un giorno, vicinissimo alla sua partenza, Jeray entrò in casa e, scusandosi per l’intrusione, mi presentò Bea che sbucò da dietro le sue spalle con un gran sorriso, una bellezza devastante e un portamento semplicissimo intralciato dalle buste piene di birra e patatine, rette con palese fatica.
Un saluto veloce, accelerato dall’impossibilità di stringersi le mani occupate, e ingenuamente chiusi la porta alle nostre spalle: senza minimamente intuire che di quel sorriso non mi sarei mai più liberata.
Si gettarono in casa, felici di aver trovato aperto, e io li seguivo un passo dietro.
Erano i primi di una manciata di amici che stavano per invadere casa.
Non avevamo organizzato niente di maestoso, semplicemente al ritmo dell’improvvisazione avevamo deciso di riunirci per la sera proprio perché quel simpatico gruppo di spagnoli, con cui spesso mi ero intrattenuta nei mesi passati, aveva le ore contate e stava per lasciare l’isola per sempre. Ognuno avrebbe individuato l’orario più consono per raggiungerci accompagnato da qualche bevanda prettamente etilica o, se analcolica, utile per scemarne altre esageratamente graduate.
In poco tempo il circolo privato italo - spagnolo avrebbe potuto offrire nell’ordine d’arrivo: birra, vino rosso, rum, mirto, vino bianco, campari, mojito, gin tonic e cuba libre. Di supporto alle bevande, per rallegrare i palati e consolare il brontolio degli stomaci, la tavola era imbandita di: tortillas di patate, papas arugadas, salsiccia, formaggi, patatine in busta e tartine varie. Le mie preferite, quelle al salmone.
In questo modo salutavamo i nostri amici dalla s
sibilata e dalla lingua in mezzo ai denti, a suon di cibo