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Ti aspetterò a Makari
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E-book167 pagine2 ore

Ti aspetterò a Makari

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Info su questo ebook

«Ci si innamora così, nel silenzio di un momento, intenti a sentire un rumore o un odore già sentiti prima, memorie che liberano la nostra vera essenza e la affrancano dal logoramento del tempo».

La passione tra Margherita e Lucio nasce a Makari, tra i profumi speziati e i colori accesi della Sicilia. Insieme intraprenderanno un viaggio tra i ricordi dell'adolescenza, per riscoprirsi ancora innamorati al di là del tempo e delle distanze che li separano.

Questa storia racconta anche l'amore per la terra natìa, a cui Margherita sente di appartenere visceralmente, insieme al profondo sentimento per un uomo, quello che tutti rincorriamo e non sempre riusciamo a vivere.

Margherita descrive la Sicilia di fine anni '80 colorando i suoi ricordi con le tinte della natura, l'odore del gelsomino, il profumo del pane appena sfornato. I piccoli gesti della quotidianità di un paese regalano tanta storia rendendo ricco il vissuto della gente che lo abita: i giochi di strada, i lenti ballati nelle feste di paese, sono perle di memoria che non spariranno più, gelosamente custodite dai protagonisti di questa coinvolgente storia d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita14 apr 2021
ISBN9791220331821
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    Anteprima del libro

    Ti aspetterò a Makari - Alessandra Ruggirello

    Rug­gi­rel­lo

    Ma­ca­ri, 2 mag­gio 2018 - ♪ Blu Moon (Da­mian Sy­slo)

    Caro Lu,

    è dav­ve­ro stra­no per me ri­tro­var­mi a scri­ver­ti. De­si­de­ra­vo far­lo da tem­po, ma ogni mio ten­ta­ti­vo è sem­pre fal­li­to mi­se­ra­men­te; fin­ché og­gi, pas­san­do di fron­te a una car­to­le­ria, l'ho vi­sto: era lì, co­sì ano­ni­mo, in­ca­stra­to tra gli scaf­fa­li va­rio­pin­ti, di un bian­co can­di­do qua­si in­quie­tan­te, del tut­to fuo­ri po­sto ri­spet­to al con­te­sto. Ep­pu­re, in quel mon­do di co­lo­ri, la sua to­ta­le so­brie­tà ha at­ti­ra­to la mia at­ten­zio­ne. Non ho re­si­sti­to e al­la fi­ne l'ho ac­qui­sta­to. Do­vre­sti or­mai sa­pe­re che non so­no av­vez­za a re­si­ste­re al­le ten­ta­zio­ni. Ce­de­re è ciò che mi ec­ci­ta di più, che più mi fa sen­ti­re uma­na, li­be­ra, vi­va.

    E co­sì, fi­nal­men­te, ho ini­zia­to a scri­ver­ti. La co­per­ti­na di que­sto dia­rio è spo­glia, to­tal­men­te, sen­za fron­zo­li che pos­sa­no di­sto­glie­re lo sguar­do. Se ne sa­rò ca­pa­ce, tin­ge­rò que­ste pa­gi­ne con tut­ti i co­lo­ri che ho den­tro, la­scian­do che la co­per­ti­na re­sti in bian­co, esat­ta­men­te co­me ades­so. In que­sta fa­se del­la mia vi­ta, in cui non so an­co­ra chi sa­rò tra qual­che tem­po, se ci sa­rò tra po­chi an­ni, o me­si, sen­to for­te il bi­so­gno di fis­sa­re le mie emo­zio­ni per ren­der­le eter­ne, men­tre in ap­pa­ren­za le re­pri­mo e mi con­cen­tro su me stes­sa, sul­la mia fa­mi­glia, sul­la vi­ta di sem­pre.

    Ma tu ci sei. Ci sei sem­pre sta­to e, an­che ades­so che non mi sei più vi­ci­no, ti sen­to ac­ca­rez­zar­mi co­me ven­to tra le fo­glie au­tun­na­li, pron­ta ad ab­ban­do­nar­mi an­co­ra una vol­ta al tuo toc­co. A quel ven­to di pas­sio­ne la­sce­rò le mie pa­ro­le, spe­ran­do che giun­ga­no a te in mo­di che nean­ch'io co­no­sco. Le cu­sto­di­rò in que­sto dia­rio spo­glio, co­sì ras­si­cu­ran­te e som­mes­so, af­fin­ché non va­da­no per­du­te per sem­pre. Non vo­glio che tut­to que­sto fi­ni­sca con me. Sen­to muo­ver­si nel cuo­re sen­ti­men­ti trop­po di­rom­pen­ti per ri­ma­ne­re in­trap­po­la­ti in uno spa­zio co­sì an­gu­sto. De­vo la­sciar­li viag­gia­re sul­le on­de dei ma­ri, vo­la­re nei cie­li in­cre­spa­ti, in­fran­ge­re le bar­rie­re del tem­po e muo­ver­si li­be­ri tra le ani­me di tut­ti i po­po­li del­la ter­ra.

    È co­sì che pen­so all'amo­re. Ci so­no tan­ti mo­di di ama­re, ognu­no per ogni sin­go­lo es­se­re uma­no. Poe­ti e ar­ti­sti han­no cer­ca­to di trac­cia­re i con­tor­ni dell'amo­re in ogni epo­ca sto­ri­ca, tut­ta­via le sue for­me in­de­fi­ni­te sfug­go­no al­la com­pren­sio­ne uma­na, e più ci nu­tria­mo di es­so più tut­to di­ven­ta in­sie­me chia­ro e ine­spli­ca­bi­le. L'amo­re, co­me l'ac­qua, dis­se­ta e ri­schia­ra, e sfug­ge tra le di­ta ogni vol­ta che si cer­ca di trat­te­ner­lo. Ep­pu­re so­no con­vin­ta che tu ed io sia­mo riu­sci­ti a vi­ve­re uno di quei sen­ti­men­ti che mol­te per­so­ne in­se­guo­no eter­na­men­te e i più for­tu­na­ti rie­sco­no a pro­va­re sol­tan­to una vol­ta nel­la vi­ta. Si può ama­re, ama­re an­co­ra e poi an­co­ra, in mil­le mo­di di­ver­si. Ama­re per­so­ne, luo­ghi ed espe­rien­ze dis­si­mi­li. Ma quel tra­spor­to to­ta­le e in­go­ver­na­bi­le, quel sen­so di smar­ri­men­to, di in­fi­ni­tà e di ter­ro­re, di pu­ra pas­sio­ne e non­cu­ran­za... tut­to que­sto non può che es­se­re pro­va­to una so­la vol­ta nel­la vi­ta, an­che quan­do le cir­co­stan­ze non lo per­met­te­reb­be­ro. In fon­do cre­do che un amo­re sag­gio e rea­le non po­treb­be mai nu­trir­si di ta­le di­rom­pen­za. Quel ge­ne­re d'amo­re di cui par­lo vi­ve in un luo­go che non è di que­sto mon­do, in un tem­po sen­za tem­po; es­so si muo­ve in uno spa­zio so­spe­so tra cie­lo e ter­ra, fat­to di mi­cro at­ti­mi d'in­fi­ni­to, di so­spi­ri di vi­ta spez­za­ti. È un'en­ti­tà au­to­no­ma che si li­bra nel co­smo, che ci pas­sa at­tra­ver­so e al cui do­mi­nio non è pos­si­bi­le sfug­gi­re. È lei che ci sce­glie, ci pos­sie­de, per poi ab­ban­do­nar­ci stre­ma­ti sul ci­glio del­la vi­ta, igna­ri di co­me ci ab­bia at­tra­ver­sa­ti per cam­biar­ci del tut­to e per sem­pre.

    È co­sì che mi sen­to ades­so, e ho la cer­tez­za che an­che tu stia pro­van­do le mie stes­se emo­zio­ni. Per­si­no ora, men­tre da­van­ti al­lo spec­chio sa­rai in­ten­to a si­ste­ma­re i tuoi lun­ghi ca­pel­li cor­vi­ni pri­ma di an­da­re al la­vo­ro, men­tre guar­de­rai la tua im­ma­gi­ne con gli oc­chi stan­chi per la not­te in­son­ne ap­pe­na tra­scor­sa, e ti chie­de­rai co­sa mi sia ca­pi­ta­to, do­ve io sia, e per­ché non mi tro­vi lì con te.

    Io ci so­no Lu, so­no sem­pre sta­ta lì, nell'an­go­lo del tuo cuo­re in cui hai co­strui­to un ri­fu­gio per me. Non me ne so­no mai an­da­ta. Ma, se per ca­so in fu­tu­ro non riu­scis­si a tro­var­mi, sap­pi che sa­rà lì che vi­vrò an­co­ra, in quel luo­go in cui ho af­fon­da­to le mie ra­di­ci e in cui po­trò ger­mo­glia­re fin­ché tu sa­rai vi­vo.

    4 mag­gio 2018 - ♪ ls As (Gold­mund)

    Una brez­za leg­ge­ra, fre­sca e pun­gen­te, sol­le­ti­ca i miei pie­di già dal­le pri­me ore del mat­ti­no. En­tra con dol­cez­za, si in­si­nua tra le pie­ghe del­le len­zuo­la e mi sus­sur­ra che è giun­to il mo­men­to di sve­gliar­si. An­co­ra fra­stor­na­ta mi met­to se­du­ta ai bor­di del let­to, fac­cio un bel re­spi­ro e av­ver­to l'in­ten­so pro­fu­mo dei gel­so­mi­ni che cre­sco­no sot­to ca­sa, lun­go la via prin­ci­pa­le del­la no­stra lu­mi­no­sa bor­ga­ta. Non ho an­co­ra aper­to del tut­to le an­te del­la fi­ne­stra, ma una tie­pi­da lu­ce già l'at­tra­ver­sa e il­lu­mi­na l'in­te­ra stan­za: è un nuo­vo gior­no.

    Chis­sà di che umo­re sa­rà Lui que­st'og­gi: una do­man­da es­sen­zia­le a cui sen­to il bi­so­gno di tro­va­re ri­spo­sta ogni mat­ti­no, pri­ma che tut­to ab­bia ini­zio. Spa­lan­co fi­nal­men­te le an­te del­la por­ta­fi­ne­stra, fa­cen­do­mi lar­go tra le am­pie ten­de mos­se da un leg­ge­ro sof­fio di ven­to, ed esco sul pic­co­lo bal­co­ne che si af­fac­cia su Via Tim­po­ne¹. Sen­to il pa­vi­men­to fred­do sot­to i pie­di nu­di, cer­co di sti­rac­chia­re le gam­be an­co­ra in­tor­pi­di­te e mi giun­ge un ine­brian­te odo­re di sal­se­di­ne tra­spor­ta­to dal­la brez­za mat­tu­ti­na. E Lui si apre di fron­te ai miei oc­chi, con la sua me­ra­vi­glio­sa bel­lez­za. Il ma­re cri­stal­li­no, dal­le mil­le sfu­ma­tu­re di az­zur­ro ru­ba­te al cie­lo in­fi­ni­to, og­gi mi­ti­ga ogni mio mo­to in­te­rio­re con la sua pa­ca­tez­za. Nes­su­na in­cre­spa­tu­ra sul­la su­per­fi­cie, nes­sun ru­mo­re di on­de in­fran­te sul­le fa­le­sie di Ca­la Grot­ti­cel­le². Il si­len­zio è in­ter­rot­to sol­tan­to dal can­to de­gli uc­cel­li, men­tre i miei oc­chi scru­ta­no al­tro­ve, lun­go le mor­bi­de li­nee di Mon­te Co­fa­no³ che ri­flet­te le du­ne an­co­ra ver­di sul­le ac­que tra­spa­ren­ti del Gol­fo di Ma­ca­ri⁴.

    È pri­ma­ve­ra. Chiu­do gli oc­chi per as­sor­bi­re quell'im­ma­gi­ne di quie­te e bel­lez­za, co­sì che pos­sa ri­cor­rer­vi ogni vol­ta che ne sen­ti­rò il bi­so­gno, ogni vol­ta che do­vrò af­fron­ta­re i mo­ti in­co­stan­ti del tem­po.

    Ma­ca­ri dor­me an­co­ra. Re­spi­ro a pie­ni pol­mo­ni l'aria sal­ma­stra che mi av­vol­ge e ascol­to i suo­ni del­la na­tu­ra che rom­po­no il si­len­zio ovat­ta­to dell'al­ba. Il cin­guet­tio de­gli uc­cel­li tra le chio­me de­gli al­be­ri, il can­to del gal­lo pro­ve­nien­te dal giar­di­no dei vi­ci­ni, in lon­ta­nan­za i cam­pa­nac­ci del­le pe­co­re ac­com­pa­gna­te dal­le vo­ci del pa­sto­re che le con­du­ce tra i pra­ti. A smor­za­re i suo­ni dell'al­ba c'è u scru­sciu d''u ma­ri che og­gi, co­si cal­mo e piat­to, bi­sbi­glia dol­ci pa­ro­le d'amo­re al­la ter­ra, ba­cian­do­ne con dol­cez­za le co­ste. Ria­pro fi­nal­men­te gli oc­chi e, co­me se fos­se la pri­ma vol­ta, sus­sul­to di fron­te al­lo spet­ta­co­lo del­la na­tu­ra. L'oriz­zon­te si sta­glia tra le lu­cen­ti sfu­ma­tu­re d'oro e d'az­zur­ro dell'al­ba; tap­pe­ti d'er­ba ver­de si sten­do­no sul­le ter­re sel­vag­ge che con­du­co­no al ma­re, in­ter­rot­ti sol­tan­to da pen­nel­la­te di ros­so e gial­lo di ace­to­sel­le e pa­pa­ve­ri ap­pe­na sboc­cia­ti. Qui vi­ci­no svet­ta­no se­co­la­ri al­be­ri d'uli­vo che, con i lo­ro fu­sti no­do­si, rac­con­ta­no sto­rie di tem­pi lon­ta­ni, di con­ta­di­ni im­pe­gna­ti a la­vo­ra­re nei cam­pi e bam­bi­ni che si rin­cor­ro­no li­be­ri tra fi­li d'er­ba ba­gna­ti di ru­gia­da. Lo sguar­do si per­de nell'in­fi­ni­to. Nel cie­lo tur­che­se si muo­vo­no ap­pe­na sof­fi­ci nu­vo­le pet­ti­na­te da for­ti cor­ren­ti di sci­roc­co, che a Ma­ca­ri gio­ca­no sem­pre a rin­cor­rer­si tra le mon­ta­gne re­tro­stan­ti. Le pa­re­ti dei mon­ti sem­bra­no le­vi­ga­te dal ven­to, ognu­na con una sua iden­ti­tà e una sua sto­ria. Le ci­me al mat­ti­no tra­boc­ca­no di so­le, la ve­ge­ta­zio­ne in­co­stan­te le tin­ge di chiaz­ze ver­di che qua­si scom­pa­io­no di­nan­zi al­la du­rez­za del­la roc­cia. Ogni mon­te ha il suo no­me e una sua ani­ma, ma ab­brac­cia­ti in­sie­me si er­go­no mae­sto­si pro­teg­gen­do­ci dal re­sto del mon­do. E il lo­ro ab­brac­cio di­ven­ta cal­do e si­cu­ro co­me quel­lo di una

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