Fuerte Apache
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Thriller - racconto lungo (39 pagine) - Dalla periferia degradata e violenta di Buenos Aires alla Pampa sterminata, in fuga per salvare la pelle. Racconto vincitore del Delos Passport Contest 2020.
Fuerte Apache, villa miseria di Buenos Aires. Quartiere povero, degradato e pericoloso, dove respirano assassini, fannulloni da sussidio o spacciatori di droga. Ma anche tutte le altre anime che affollano i blocchi di cemento scadente, e che si alzano la mattina all’alba per poi lavorare nei cantieri, nei campi, nei magazzini. Ovunque, per qualche peso e un piatto di riso ai figli.
Il quindicenne Tullio Molina spera di scappare dal barrio grazie al calcio, come prima di lui ha fatto il suo idolo, Carlos Tévez, l’Apache. Di cambiare vita, di lasciare quella fogna senza speranza. Si ritrova invece costretto a una vera fuga quando l’amico Ramon lo coinvolge, suo malgrado, in un furto alla persona decisamente sbagliata: Tati, uno degli spacciatori più violenti e bastardi del Fuerte. Uno che non perdona, che ammazza Ramon e che è pronto a fargli la pelle per avere indietro i soldi.
Tullio trova rifugio fuori città, nella piccola fattoria dello zio Alfredo. Ma anche la Pampa purtroppo riserverà dolorose sorprese, che risveglieranno un cuore apache.
Jacopo Montrasi comincia a scrivere nel 2016, partecipando a un Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa breve, ottenendo il podio. In seguito, conquista diversi riconoscimenti tra cui la Menzione d’Onore Premio Internazionale Thesaurus Albarella, la Menzione di Pregio Concorso Nazionale Città di Cologna Spiaggia, il terzo posto alla 45ª edizione del Premio Writers Magazine. Altri racconti vengono pubblicati in raccolte, antologie e sulla prestigiosa rivista Writers Magazine. Nel 2020 si aggiudica il premio Delos Passport con il racconto Fuerte Apache ed ex aequo la prima edizione dell’ambito Termini Book Festival con il racconto Hot for You, pubblicato nello speciale n. 57 della Writers Magazine Italia. Il suo romanzo d’esordio è Le memorie dell’ombra (Bertoni Editore, 2018).
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Anteprima del libro
Fuerte Apache - Jacopo Montrasi
2018).
1
Fuerte Apache
(Ejército de los Andes)
16 maggio – ore 11:21
Tullio Molina non abbassava mai gli occhi per primo. Era una questione di rispetto. E tra i vicoli il rispetto non era parola vuota ma valore solido, concreto come le pistole infilate nelle cintole, reale come una coltellata nel fegato. Al Fuerte, il rispetto veniva prima di tutto: era la moneta sonante con la quale si pagava la tranquillità di poter camminare per strada senza essere importunato, o sorridere a una ragazza senza essere pestato. Era selezione naturale, come quando andavi a fare i provini per le squadre di calcio e solo i più forti passavano il turno. Gli altri tornavano a casa, la testa infilata nella disperazione, lo stomaco a pulsare di fame tra le baracche e i palazzoni fatiscenti della periferia male di Buenos Aires.
Fuerte Apache, una delle tante villas miserias di Baires, i quartieri poveri non menzionati nelle guide turistiche e sconsigliati dalla Gendarmeria. Ma i villeros, gli abitanti, sapevano che in quel posto dimenticato da Dio non respiravano solo assassini, fannulloni da sussidio o spacciatori di droga. La maggior parte delle anime che affollavano i blocchi di cemento scadente si alzava la mattina all’alba per andare a lavorare nei cantieri, nei campi, nei magazzini. Ovunque ci fosse possibilità. Ovunque si potesse guadagnare qualche pesos e piazzare un piatto di riso davanti alla faccia dei figli. Quegli uomini lo sapevano che era meglio guadagnarsi il pane di giorno, alla luce del sole. Perché la notte era pericolosa al barrio, tra le ombre della strada. E Tullio, quelle ombre, le conosceva per nome.
Seduto, le spalle appoggiate al muro, fissava il grande murales. Aveva la netta impressione che il dipinto ricambiasse il suo sguardo. Come se, per un solo attimo, la vernice potesse prendersi in prestito l’anima della persona ritratta.
Una pioggerella appiccicosa aveva riempito le buche dell’asfalto, rendendo le strade un pantano. Alzò la testa verso l’unico ritaglio di cielo che filtrava dai tetti dei palazzi. Con gli occhi socchiusi, osservò i piccoli aghi d’acqua comparire tra il grigio lucido delle nubi e schiantarsi sul suo viso come disciplinati kamikaze.
Sin da bambino, il rumore della pioggia lo rilassava. Come se, con il suo scrosciare leggero, fosse in grado di addormentare i problemi.
– Hola, Tullio.
Maledizione.
Ramon.
Avrebbe voluto rimanere solo, se non altro per qualche ora.
– Com’è andata ieri? – chiese l’amico, sedendosi al suo fianco.
– Male. Non mi hanno preso.
Il ragazzo si strinse nelle spalle, incurante. – C’era il rinfresco, almeno?
– Solo due patatine del cazzo.
– Bastardi.
Tullio sorrise, amaro. – Sì, bastardi.
Il calcio. Un sogno, l’unica via di fuga dalle fogne di Fuerte Apache. Farsi notare dai club importanti era la chiave per aprire le porte arrugginite della Villa, e magari lasciarsi indietro fame e miseria. Era difficile, certo. Ma non impossibile.
Spostò gli occhi verso il murales.
Lui ci era riuscito. E non li aveva dimenticati. Per questo era un eroe: perché aveva conquistato il mondo a forza di calci dati a un pallone, e non si era mai vergognato delle sue origini. Carlos Tévez, l’Apache, doveva il suo soprannome al luogo in cui era cresciuto, e dal quale era uscito come un vincitore, portandosi dietro le sue cicatrici. Il Fuerte compariva sulla sua maglietta ogni volta che segnava un gol, e la Villa, inorgoglita, lo aveva ringraziato tributandogli un gigantesco affresco, vicino a dove el jugador del pueblo aveva vissuto da ragazzino.
– La vuoi smettere di fissare quel disegno? Mi sembri scemo. Piuttosto leviamoci da qui, che piove.
Raggiunsero il palazzone più vicino, uno dei blocchi malfamati, e si rifugiarono sotto il portico scrostato.
– Hanno sparato a Cuchillo, hai saputo? – esordì Ramon, sputando un grumo di catarro verso un cane randagio.
– Cazzo dici? Davvero?
– Cos’è, ti sembro uno che dice cazzate?
Tullio glissò. – Ma dai. Chi è stato? Tati?
– Nessuno ha visto niente. Ma tutti sanno che è stato un uomo di Tati.
– Guillermo.
– Per