Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La Chiesa latino-americana e Oscar A. Romero
La Chiesa latino-americana e Oscar A. Romero
La Chiesa latino-americana e Oscar A. Romero
E-book540 pagine8 ore

La Chiesa latino-americana e Oscar A. Romero

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il lavoro del professor Scaglioso non può essere considerato solo una nuova biografia di Romero: si presenta anzitutto come una panoramica sulla situazione dell’America Latina nel secolo scorso, panoramica da cui parte per inquadrare il contesto in cui si innesterà il ruolo e si ergerà la voce di Mons. Romero. L’analisi della teologia della Liberazione, il ricordo della formazione delle comunità di base come punto di partenza per una nuova coscienza di popolo, la presentazione di parecchi testi di Romero e il ricordo delle registrazioni che riportano la viva voce del vescovo martire: questi ed altri documenti ci fanno attraversare e rivivere un tempo e un uomo che ha veramente dato la vita per il Vangelo.
LinguaItaliano
Data di uscita1 dic 2020
ISBN9788865127308
La Chiesa latino-americana e Oscar A. Romero

Correlato a La Chiesa latino-americana e Oscar A. Romero

Ebook correlati

Articoli correlati

Recensioni su La Chiesa latino-americana e Oscar A. Romero

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La Chiesa latino-americana e Oscar A. Romero - Cosimo Scaglioso

    Cosimo Scaglioso

    La chiesa latino-americana e Oscar A. Romero

    Questo libro è stato realizzato col contributo di:

    © 2020, Marcianum Press, Venezia

    Marcianum Press

    Edizioni Studium S.r.l.

    Dorsoduro, 1 - 30123 Venezia

    Tel. 041 27.43.914 - Fax 041 27.43.971

    marcianumpress@edizionistudium.it

    www.marcianumpress.it

    Per i testi in Appendice:

    Liberazione personale, comunitaria, trascendente © 2014 EDB, Bologna

    Il sangue per la nostra salvezza © 2014 EDB, Bologna

    La dimensione politica della fede in base all’opzione per i poveri. Un’esperienza ecclesiale nel Salvador © 2007 Borla, Roma

    Per i testi citati, Marcianum Press è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire, nonché per omissioni e/o errori riscontrabili nei riferimenti.

    Impaginazione e grafica:

    Massimiliano Vio

    ISBN 978-88-6512-730-8

    ISBN: 9788865127308

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prefazione

    Introduzione

    Parte I La Chiesa latino-americana. Nascita dell’America latina

    1. America Latina, terra di contrasti

    2. La Chiesa latino-americana nella prima e nella seconda metà del XX secolo: la nascita dell’America latina

    3. La comunità ecclesiale di base, punto di riferimento per la catechesi, l’impegno sociale, un modo nuovo di essere Chiesa

    4. La Chiesa latino-americana per la costruzione nell’America latina di una nuova società

    Parte II La Chiesa latino-americana prima di Romero I. Seconda Conferenza episcopale dell’America latina e dei Caraibi (Medellin, Colombia, 1968)

    1. Verso Medellin, 1. La Chiesa e la questione sociale

    2. Verso Medellin, 2. Per un equilibrio tra Nord e Sud del mondo

    3. Verso Medellin, 3. Concilio Vaticano II, l’affaccio all’America latina

    4. Verso Medellin, 4. Paolo VI, il Papa dell’America latina tra attese, speranze e interventi di moderazione

    5. Medellin 1968. La II Conferenza episcopale

    6. Il dopo Medellin di Paolo VI

    Parte III La Chiesa latino-americana prima di Romero II. La teologia della liberazione

    1. Una riflessione a partire dall’esperienza

    2. Rottura tra popolo e potere, processo di liberazione in tre livelli

    3. Presa di coscienza della realtà latino-americana e uomini nuovi

    4. Salvezza dell’uomo e processo di liberazione

    5. Dalla nulla salus extra Ecclesiam alla Chiesa sacramento visibile

    6. Fraternità e ricerca della giustizia oltre la lotta di classe

    7. La teologia della liberazione tra provocazioni e compiti attuali

    Parte IV La Chiesa latino americana. O. A. Romero: la mediazione come destino e il martirio come testimonianza

    1. Il parroco (1944-1967) San Miguel; (1967-1970), San Salvador, Segretario CEDES: vasto impegno pastorale e di servizio

    2. Il vescovo (1970-1974), ausiliario del vescovo; San Salvador (1974-1977), vescovo di Santiago De Maria: due tempi, sempre fedele alla chiesa apostolica romana

    3. L’arcivescovo (1977-1980). Tra difesa dei diritti umani, dimensione sacerdotale, approccio pedagogico

    4. Il tempo di Puebla

    Parte V La Chiesa dell’America latina dopo Romero I tra criminalità (con morti, violenza e repressioni) e il magistero romano ostile alla teologia della liberazione

    Premessa

    1. Gli anni che seguirono in El Salvador, e non solo

    2. Il processo di canonizzazione di Romero e il magistero romano ostile alla teologia della liberazione

    Parte VI La Chiesa latino americana dopo Romero II. Nuova evangelizzazione

    1. America latina, un continente sempre in fibrillazione

    2. La IV Conferenza episcopale dell’America latina

    3. La V Conferenza dell’episcopato latino americano. Aparecida: discepoli e missionari di Gesù Cristo affinché in lui abbiamo vita

    Appendice Romero, la voce di chi non ha voce messa a tacere nel sangue

    1. Liberazione personale, comunitaria, trascendente. Omelia 23.3.1980

    2. Il sangue per la nostra salvezza. Omelia 24.3.1980

    3. La dimensione politica della fede in base all’opzione per i poveri. Un’esperienza ecclesiale nel Salvador, Lectio Magistralis, Università di Lovanio

    Bibliografia

    Indice dei nomi

    Collana il Calamo - La Storia

    Al buon samaritano

    di ieri

    di oggi

    di domani

    «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese:

    «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide, e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui ». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso».

    (Luca, 10, 29-37)

    Il prossimo mezzo dimostrativo di tutte le virtù

    «Tieni a mente che tutte le creature dotate di ragione hanno una vigna propria la quale però è unita immediatamente a quella del prossimo, sicché una vigna comunica con l’altra. Sono tanto unite queste due vigne che nessuno può fare bene a se stesso che non lo faccia anche al suo prossimo.

    Lavorando la propria vigna gli uomini lavorano anche quella del prossimo, perché non possono lavorare l’una senza lavorare anche l’altra. Già ti ho detto infatti che ogni male come ogni bene si fa passando attraverso il mezzo del prossimo – D 24.

    La dolce Verità eterna ci ha posto dunque accanto una vigna, cioè il nostro prossimo: questa vigna è talmente unita alla nostra che non possiamo essere utili a noi senza che lo siamo anche a lui. Anzi Dio ci ha ordinato di aver cura e di governare la vigna del nostro prossimo come la nostra, dicendoci: «Ama Dio sopra tutte le cose e il prossimo come te medesimo» – L 133.

    (…)

    I molteplici doni e grazie di virtù e di altre capacità spirituali e materiali, li ho distribuiti in tale diversità che nessuno le possiede tutte; ciò perché abbiate per forza motivo d’usare la carità l’uno con l’altro

    (…) – D 47

    Il prossimo è veramente il mezzo col quale proviamo e acquistiamo la virtù. Nella carità di Dio concepiamo le virtù, e nella carità del prossimo le partoriamo ».

    D 50

    ( Il messaggio di Santa Caterina da Siena, dottore della Chiesa, a cura di P. Carlo Ricciardi C.M., ed. Cantagalli, Siena 1996, pagg. 267-270, passim. – D= libro della Divina Provvidenza/ libro della Divina Dottrina; L= Lettere)

    Prefazione

    In nome di Dio vi prego, vi scongiuro, / vi ordino: non uccidete! / Soldati, gettate le armi... / Chi ti ricorda ancora, / fratello Romero?

    Ucciso infinite volte / dal loro piombo e dal nostro silenzio. /

    Ucciso per tutti gli uccisi; / neppure uomo /

    sacerdozio che tutte le vittime / riassumi e consacri.

    Ucciso perché fatto popolo: / ucciso perché facevi / cascare le braccia /

    ai poveri armati, / più poveri degli stessi uccisi:

    / per questo ancora e sempre ucciso.

    Romero, tu sarai sempre ucciso, / e mai ci sarà un Etiope /

    che supplichi qualcuno / ad avere pietà. / Non ci sarà un potente, mai, /

    che abbia pietà / di queste turbe, Signore? /

    nessuno che non venga ucciso? / Sarà sempre così, Signore?

    (David Maria Turoldo)

    È uno dei testi più conosciuti tra quelli scritti su Mons.Romero, da un poeta, un uomo di Dio che ha condiviso pensieri, opere, fede con il martire di SS.Salvatore.

    Quando il professor Scaglioso mi ha chiesto di scrivere una prefazione al suo poderoso libro su Romero ho ripensato ai miei contatti con questo grande uomo, vescovo, ormai santo, che, alla sequela di Cristo, ha dato la vita per il vangelo.

    Sono tante le biografie scritte su Romero. Ne ho avute due tra le mani, che mi hanno appassionato, che mi hanno acceso tante luci e hanno evidenziato quell’attenzione e quella condivisione con i più poveri, i più fragili, che tanta parte avevano nella mia vita ministeriale. La prima, quella di Morozzo Della Rocca, me la regalarono nel 2005 gli amici della comunità di S.Egidio quando conclusi l’esperienza di parroco a Roma, a Tor Bella Monaca, per andare al Pontificio Seminario Romano a seguire i seminaristi nel cammino di discernimento per la vocazione al sacerdozio. Ovviamente conoscevo Romero ma leggere una biografia è entrare più direttamente in un mondo lontano, culturalmente diverso, dove vivere il Vangelo non è la stessa cosa che nel nostro mondo occidentale.

    L’altro testo, Romero, Martire di Cristo e degli oppressi, di Jon Sobrino, mi fu regalato all’ordinazione episcopale. Anche questa lettura è stata molto coinvolgente, scritta da chi aveva condiviso intenzioni, visione della vita, battaglie concrete con il vescovo martire. Sobrino si chiede chi era il beato Óscar Arnulfo Romero, perché la sua vita e la sua opera sono ancora fonte d’ispirazione e impegno per tanti? Grazie alla conoscenza personale che egli ebbe del vescovo assassinato, attraverso lo studio dei suoi scritti e la cronaca dei tre anni (1977-1980) in cui Romero fu pastore di San Salvador, l’autore riesce a delineare un ritratto vivo di Mons. Romero. Per Sobrino ci sono delle caratteristiche che rendono veramente unico e originale il vescovo martire: una granitica fede in Dio, la convinzione della centralità dei poveri, l’accettazione del martirio come conseguenza della difesa degli emarginati, la profezia della verità. " Romero è stato un profeta ineguagliabile, in lui la parola di Dio fluiva come acqua trasparente e smascherava i cuori come spada affilata, denunciava con rigore gli oppressori e difendeva teneramente gli oppressi". Una chiesa in mezzo alla gente, per la gente, per il popolo di Dio: così l’avevo sempre pensata e così la desideravo. Mons. Romero, se pur in un contesto e in un tempo diverso da quello che stavo vivendo e che avrei vissuto io, me la rappresentava in maniera molto chiara ed evidente. La Chiesa solo nel 1997 farà partire la causa della beatificazione di Mons. Romero. Resterà sospesa fino a quando l’elezione di Jorge Mario Bergoglio, nel 2013, il papa che viene dalla fine del mondo, produrrà un’accelerazione decisiva. Proprio Papa Francesco, con decreto del 3 febbraio 2015, riconosce il martirio in odium fidei di monsignor Romero, che viene proclamato beato in San Salvador, il 23 maggio 2015. La sua festa è stata fissata al 24 marzo, giorno della sua uccisione: la stessa giornata è stata proclamata dalle Nazioni Unite giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime.

    Ed ecco che Romero lascia nella mia vita un altro segno molto profondo: la sua beatificazione, avvenuta come dicevo il 23 maggio 2015, ha coinciso con il giorno della mia ordinazione episcopale, a Roma, nella basilica di san Giovanni in Laterano. Nei ringraziamenti alla fine della celebrazione non ho potuto non ricordare questa coincidenza. Ho percepito un segno, particolare, come di quelli che legano e intrecciano storie lontanissime tra loro ma unite da una attenzione evangelica, da un desiderio di radicalità, da una spinta ad osare tanto. Nessun paragone o riferimento diretto ma una percezione: la mia vita poteva e doveva essere una vita totalmente spesa a servizio del Vangelo. Non era una novità, perché dal giorno della mia ordinazione sacerdotale e fin da prima nutrivo questo desiderio: sentivo solo, da quel momento, di avere un santo in più che proteggeva e incoraggiava il mio sacerdozio.

    Essendo stato assassinato durante la Messa, sull’altare, e in odio alla sua difesa dei poveri nel nome di Gesù Cristo, per la proclamazione della sua santità non ci sarà bisogno di riconoscergli un miracolo avvenuto per sua intercessione. La Congregazione per la dottrina della Fede si pronunciò sul martirio di monsignor Romero con lo stesso criterio con cui è stato beatificato un altro grande martire, assassinato per la sua opera di educazione tra i giovani per contrastare la mafia e per le sue pubbliche denunce contro il crimine organizzato, don Pino Puglisi. (Anche una sua biografia, di Francesco Deliziosi, uno dei suoi ragazzi di Brancaccio, ha sostenuto tanto il mio sacerdozio e il mio ministero.

    Sono veramente tante le analogie, i punti di contatto, le idee che legano Mons. Romero a papa Francesco. Se la missione fondamentale dei pontefici è quella di guidarci sul retto cammino della fede, evidentemente non possiamo dirci cristiani se non conosciamo e non seguiamo il cammino aderente alla verità del vangelo. Una delle caratteristiche essenziali della dottrina di papa Francesco è quella di riconoscere che non si può pretendere che tutti i popoli di tutti i continenti esprimano la fede cristiana secondo le modalità adottate dai popoli europei in un determinato momento della storia, perché la fede non può chiudersi dentro i confini della comprensione e dell’espressione di una cultura particolare. È indiscutibile che una sola cultura non esaurisca il mistero della redenzione di Cristo (Evangelii Gaudium 118). Questa espressione può dare origine a polemiche e a dubbi. La scelta di papa Francesco è appoggiata su Cristo che ama l’uomo peccatore e vuole persuaderlo che per la sua pace deve seguire l’amore per tutti i fratelli, specialmente i più poveri, i più sofferenti e i più trascurati nella società.

    La sua verità si difende in un altro articolo della Evangelii Gaudium. La citazione di Francesco di Assisi e della beata Teresa di Calcutta ci spiega che papa Francesco vuole fondare la sua missione soprattutto sull’amore: " Chi oserebbe rinchiudere in un tempio e far tacere il messaggio di san Francesco d’Assisi e della beala Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo. Una fede autentica che non è mai comoda né individualista implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra" (183).

    La sua scelta preferenziale è quella dei più abbandonati della terra. La sua finalità è di seguire questo cammino luminoso di vita e sapienza. Evidentemente questo cambio di orientamento avviene nell’epoca in cui il calo improvviso e prepotente dei seguaci di una pratica cattolica non potrà essere recuperato con il richiamo a una fedeltà alla dottrina della fede con argomenti razionalistici, ma solo scoprendo realmente che la relazione fra ricchi e poveri accresce il suo divario in maniera preoccupante. Gesù ci ha indicato questo cammino di servizio umile e generoso alla giustizia, alla misericordia verso il povero. Gesù ci ha indicato questo cammino di riconoscimento dell’altro con le sue parole e i suoi gesti. Perché oscurare ciò che è così chiaro? (194). Due grandi questioni mi sembrano fondamentali in questo momento della storia. Le svilupperò con una certa ampiezza perché considero che determineranno il futuro dell’umanità. Si tratta in primo luogo della inclusione sociale dei poveri e inoltre della pace del dialogo sociale (186). Questo pontefice scrive, parla, agisce sulla base di una esperienza vissuta con gli occhi aperti e una sensibilità scoperta in mezzo alle popolazioni senza terra, senza tetto, senza pane, senza salute, violate dei loro diritti. Vedendo le loro miserie, ascoltando le loro grida e conoscendo la loro sofferenza, ci scandalizza il fatto di sapere che esiste cibo sufficiente per tutti e che la fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e dei redditi. Il problema si aggrava con la pratica generalizzata dello spreco (158).

    Credo che uno dei primi effetti da parte di papa Francesco dell’avere dato la preferenza ai poveri ed essere riuscito a esprimere in molti modi la sua preferenza per gli ultimi, sia quello di avere messo la Chiesa su questa preferenza in maniera tale da non poter più tornare indietro. Il padre veramente padre non trascura certamente la verità ma provoca in tutti i modi la sua scelta preferenziale per i suoi figli vittime di ingiustizie palesi. La risposta pronta e visibile che ha dato la gioventù brasiliana alla visita del pontefice mi ha commosso profondamente. Se tutti i vescovi mettessero la Chiesa sulla preferenza dei poveri e degli esclusi, questo cambierebbe radicalmente la faccia della terra… (A. Paoli).

    Dalla lettura della Evangelii Gaudium, tra i tanti spunti e sollecitazioni, emerge l’importante concetto di pace sociale, che il Papa approfondisce, sempre all’interno del capitolo IV. C’è la pace diplomatica tra le nazioni, c’è la pace politica tra i partiti, ma c’è anche la pace sociale tra i ceti e tra i cittadini. Su questa si riflette poco, eppure è oggi quella più dirompente perché le disuguaglianze e la precarietà del lavoro finiscono per mettere i cittadini e i gruppi sociali gli uni contro gli altri. Il testo dell’Esortazione, a questo proposito, contiene delle salutari provocazioni indirizzate all’economia e alla politica affinché rimettano al centro di se stesse la persona umana e un autentico bene comune. La Evangelii Gaudium ha un aspetto fortemente missionario, conseguente alla impostazione cristocentrica di cui si parlava all’inizio. Tutta la Chiesa è invitata da papa Francesco ad avere il coraggio della missione, superando inerzie ed eccessivi scrupoli che paralizzano.

    Questo è vero anche per la Dottrina sociale della Chiesa. Giovanni Paolo II aveva scritto nella Centesimus annus che essa ha un aspetto concreto e sperimentale e invitava tutti i credenti a mettersi in gioco con coraggio, inserendosi nel grande fiume di quanti da sempre nella Chiesa hanno dato il loro impegno per il bene comune dei fratelli. Che la Chiesa esca da se stessa per la missione non vuol dire né che bisogna uscire dalle chiese né che si debba abbandonare la dottrina e la vita sacramentale. Vuol dire, secondo papa Francesco, farsi guidare sempre dall’essenziale, e l’essenziale, nella vita del cristiano, va donato a tutti.

    "… Lo scopo del farsi povero di Gesù non è la povertà in se stessa, ma – dice san Paolo – «...perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». Non si tratta di un gioco di parole, di un’espressione ad effetto! è invece una sintesi della logica di Dio, la logica dell’amore, la logica dell’Incarnazione e della Croce. Dio non ha fatto cadere su di noi la salvezza dall’alto, come l’elemosina di chi dà parte del proprio superfluo con pietismo filantropico. Non è questo l’amore di Cristo! Quando Gesù scende nelle acque del Giordano e si fa battezzare da Giovanni il Battista, non lo fa perché ha bisogno di penitenza, di conversione; lo fa per mettersi in mezzo alla gente, bisognosa di perdono, in mezzo a noi peccatori, e caricarsi del peso dei nostri peccati. È questa la via che ha scelto per consolarci, salvarci, liberarci dalla nostra miseria. Ci colpisce che l’Apostolo dica che siamo stati liberati non per mezzo della ricchezza di Cristo, ma per mezzo della sua povertà. Eppure san Paolo conosce bene le «impenetrabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8), «erede di tutte le cose» (Eb 1,2).

    Che cos’è allora questa povertà con cui Gesù ci libera e ci rende ricchi? È proprio il suo modo di amarci, il suo farsi prossimo a noi come il Buon Samaritano che si avvicina a quell’uomo lasciato mezzo morto sul ciglio della strada (cfr Lc 10,25ss). Ciò che ci dà vera libertà, vera salvezza e vera felicità è il suo amore di compassione, di tenerezza e di condivisione. La povertà di Cristo che ci arricchisce è il suo farsi carne, il suo prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, comunicandoci la misericordia infinita di Dio…" (dal mess. per la quaresima 2014)

    Il lavoro del professor Scaglioso, come dicevo, non può essere considerato solo una nuova biografia di Romero: si presenta anzitutto come una panoramica sulla situazione dell’America Latina nel secolo scorso, panoramica da cui parte per inquadrare il contesto in cui si innesterà il ruolo e si ergerà la voce di Mons. Romero. L’analisi della teologia della Liberazione, il ricordo della formazione delle comunità di base come punto di partenza per una nuova coscienza di popolo, la presentazione di parecchi testi di Romero e il ricordo delle registrazioni che riportano la viva voce del vescovo martire: questi ed altri documenti ci fanno attraversare e rivivere un tempo e un uomo che ha veramente dato la vita per il Vangelo.

    Un testo in particolare, riportato dal professor Scaglioso, è l’omelia domenicale del 23 Marzo 1980, pronunciata in cattedrale. Presenta una scansione comune ad altre omelie, frutto di studio e di accurata preparazione, con lo sguardo ai tragici fatti accaduti durante la settimana attraversati dalla sofferenza e dal dolore del Popolo, dei contadini, dei catechisti, dei sacerdoti e che rendevano esplicitamente il quadro dei tempi difficili e pieni di violenza nei quali si viveva. A partire dai testi della liturgia domenicale, Monsignor Romeo metteva insieme parole di conforto ma anche di denuncia verso comportamenti lontani dal Vangelo, non mancando mai di richiamare al pentimento, al perdono nel segno della misericordia, nella speranza di tempi e persone migliori. Era questo il suo modo di evangelizzare, dando anche corpo visibile alla missione della chiesa. La lettura di questa omelia, non solo perché l’ultima, ma soprattutto per la tematica che affronta, è molto importante.

    Bisognerebbe tornare alla fine degli anni settanta e ai primi anni ottanta in America Centrale, per capire cosa significa oggi la canonizzazione di Óscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso il 24 marzo 1980 dagli squadroni della morte di una delle più efferate e sanguinarie dittature di estrema destra che abbia attraversato la regione.

    "Monsignor Romero è un difensore dei diritti umani, per questo la sua figura va oltre le frontiere della chiesa cattolica. Romero evoca valori universali come la giustizia, è un modello di santità alla ricerca di un mondo più equo. Era un uomo innamorato di Dio, ma capì che non si poteva amarlo senza fare i conti con la povertà e le iniquità del mondo, tanta gente che si affida a lui vede in Romero un modello di uomo da seguire". (Gregorio Rosa Chávez, cardinale, vescovo ausiliare di San Salvador, un tempo stretto collaboratore dell’arcivescovo ucciso, in una recente intervista).

    Scaglioso cerca di farci comprendere il percorso di Romero a partire da alcuni dati essenziali: ritrovatosi al centro di un conflitto civile violentissimo, l’arcivescovo di San Salvador divenne la voce pubblica, istituzionale, autorevole, che denunciava l’orrore. L’orrore delle torture, degli omicidi, delle detenzioni illegali, dei massacri nei villaggi che precedettero la sua morte e proseguirono a lungo anche dopo. Come nel caso dell’episodio terribile avvenuto nel villaggio di El Mozote e in altri villaggi circostanti nel dicembre del 1981, in cui morirono centinaia di campesinos, donne e bambini, trucidati, fatti a pezzi, bruciati dal famigerato battaglione Atlacatl addestrato dalla Cia per combattere la guerriglia del Fronte Farabundo Martì per la liberazione nazionale (Fmln). Lo stesso corpo speciale fu responsabile della strage dei sei gesuiti, oltre a una cuoca e alla figlia sedicenne, nell’università Centroamericana nel novembre del 1989. El Mozote è una sorta di My Lay (Vietnam, 1968) o di Srebrenica (Bosnia, 1995) del Salvador, il terrore puro contro i civili inermi, il potere che divora un popolo.

    Romero, dunque, incontrò nel suo breve cammino – fu arcivescovo di San Salvador dal 1977 al 1980, nominato da Paolo VI – l’oppressione e la rivoluzione, cercò di fermare la violenza senza fine che percorreva il paese, rifiutò di trasformare la chiesa in un partito o tanto meno in un’organizzazione insurrezionale e tuttavia si schierò fino in fondo dalla parte del popolo, dialogò con le organizzazioni sindacali o di ispirazioni marxista. Con la guerriglia, pur non condividendone l’ideologia, ma comprendendo le ragioni di quella lotta, cercò di mediare, denunciò i crimini di cui si macchiavano i militari, spinse i laici cristiani all’impegno politico in nome della giustizia e del Vangelo. (È chiaro che coloro che calpestano questo popolo debbano stare in contesa con questa chiesa, affermò in un’intervista del maggio 1979). Se insomma è dovuto arrivare papa Francesco perché la canonizzazione di Romero chiesta a gran voce dai popoli dell’America Latina (per i quali in fondo è già santo da tempo) andasse in porto, è perché la radicalità evangelica dell’arcivescovo di San Salvador, come è stato detto, metteva in discussione l’idea di una chiesa legata comunque alle classi dominanti, concetto che a quelle latitudini aveva connotati sociali e di classe ben precisi.

    La sua canonizzazione in piazza San Pietro il 14 ottobre rappresenta, in tal senso, un punto d’arrivo, il cerchio che si chiude, la piena riabilitazione di quella chiesa che scelse di stare dalla parte dei poveri, in primo luogo nel continente latinoamericano; non a caso Romero diventa santo insieme a Paolo VI, il papa che portò a compimento il concilio Vaticano II e che pure lo chiamò a guidare la diocesi di San Salvador, modello di riferimento per Bergoglio che nella sua elaborazione di un fitto magistero sociale così attento ai temi globali della finanza, della povertà, della giustizia, trae origine da un’enciclica come la Populorum progressio del 1967, nella quale, per esempio, a proposito della tentazione della violenza si affermava: Si danno certo delle situazioni la cui ingiustizia grida verso il cielo. Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana. Una strada che certo l’enciclica respingeva poi senza indugio, ma di cui si comprendevano le cause. Altri tempi. Eppure quella lezione sulla redistribuzione dei beni della terra torna d’attualità oggi in modo impressionante. Si tratta di un nucleo di problemi che continua a creare divisioni anche dentro la chiesa: l’adesione al modello capitalistico ultraliberista temperato dalla carità e dalla religiosità personale e la visione – alternativa – di un altro ordine mondiale, di un modello di sviluppo più giusto ispirato ai princìpi cristiani, entrano in rotta di collisione sempre più di frequente, e anzi è proprio a partire da questo nodo irrisolto che nascono molte delle contestazioni più forti interne al mondo ecclesiale nei confronti di Francesco. D’altro canto l’opposizione mossa contro la teologia della liberazione dal Vaticano nel corso degli anni ottanta, ha certo normalizzato la Chiesa dell’America Latina rendendola più docile in molti casi, ma anche più opaca, più ininfluente, più silenziosa. Per questo Romero, oggi, rappresenta anche un sussulto cattolico voluto per arginare lo straordinario consenso di cui godono le chiese e le sette evangeliche che dilagano nelle Americhe, un tempo pensate e finanziate dagli Stati Uniti come strumento per arginare il cattolicesimo sociale più impegnato, ma oggi fenomeno in parte autoctono capace di occuparsi anche dei poveri, degli emarginati.

    Resta da dire che la violenza e i problemi sociali in Salvador come in gran parte dell’America Centrale, non sono certo finiti. Secondo il cardinale Rosa Chávez, di fronte al dramma delle migrazioni e della povertà del suo paese, oggi Romero direbbe ai salvadoregni "che tutti hanno il diritto di crescere i loro figli in modo dignitoso. Questo principio vale ieri come oggi. Oggi, l’emigrazione è un problema centrale. È un fenomeno che nasce dal desiderio di una vita migliore, ma lasciare il proprio paese e i propri cari porta con sé sacrificio e sofferenza. La povertà e la violenza spingono i salvadoregni a emigrare. Si emigra per dare da mangiare ai propri figli, perché non si ha più una casa, portata via dalle bande criminali, o per sottrarre i propri figli alle maras (bande criminali), che reclutano i ragazzi promettendo loro soldi facili in cambio della vita".

    In un contesto storico mutato profondamente, Romero resta figura di riferimento del cattolicesimo contemporaneo, personaggio che riapre contraddizioni irrisolte, capace di inquietare le coscienze. Per questo la canonizzazione non corrisponde a una normalizzazione della sua testimonianza, ma anzi diventa riferimento problematico, chiamata a misurarsi, senza timori e fino in fondo, con la condizione umana contemporanea.

    Ho trovato utile e interessante una recente intervista di un amico giornalista, Luca Attanasio, che incontrando il fratello di Mons. Romero, Gaspar, ne trae degli interessanti spunti:

    "Signor Gaspar, finalmente suo fratello è stato proclamato santo. Che significato ha questo evento per il suo Paese, per la Chiesa universale e per il mondo?

    «Oscar Romero è il salvadoregno più conosciuto al mondo, l’unico che ha statue e immagini al di fuori del Paese. Per la mia famiglia è un grande onore, per El Salvador un orgoglio. La sua tomba è costantemente meta di pellegrinaggio, sono venuti a visitarla vari presidenti, tra cui anche Barack Obama. Ma al di là della fama, credo sia molto importante che le parole, la semplice voce, la vita che ha condotto e infine la morte drammatica di mio fratello abbiano risvegliato molte coscienze nella nostra nazione e nel mondo. In ogni caso, Oscar era un uomo sempre sincero, un uomo di Chiesa e c’è così tanto di lui che ancora non è conosciuto. Spero che da ora in poi si possa comprenderlo nel profondo».

    Lei, oltre che fratello, era amico, confidente, anche autista di Monseñor. Insomma, aveva un rapporto molto stretto e intenso con lui...

    «Sì, infatti ho ancora vivo il dolore per la morte di un fratello, un dolore per la sua morte crudele. Come salvadoregno, poi, rimpiango la perdita di un grande uomo. Ricordo che l’ultima volta che lo vidi, il 21 marzo, tre giorni prima che venisse ucciso, fu perché gli era arrivata l’ennesima lettera di minacce: il tono di questa, però, era molto grave. Andai da lui sconvolto. Lui però mi rasserenò e mi disse di andare a casa, che mi avrebbe telefonato se avesse avuto bisogno di qualcosa. Purtroppo, quella chiamata non mi arrivò mai. Furono le suore dell’Hospitalito della Divina Provvidenza, dove l’arcivescovo stava celebrando la Messa delle 18, a telefonarmi per dirmi che Monseñor era stato assassinato».

    Papa Francesco, il grande motore della causa di santificazione, ha dichiarato in effetti che «il martirio di monsignor Romero non avvenne solo al momento della sua morte, fu un martirio-testimonianza anteriore e posteriore al suo omicidio perché è stato diffamato, calunniato, infangato prima e dopo». La santità mette fine a una grande sofferenza?

    «La sua figura ricalca quella di Gesù, che è stato insultato, preso a schiaffi, picchiato e infine ucciso. Negli ultimi anni, prima della morte, riceveva spesso messaggi anonimi e minacce di morte. Si figuri che alcuni mezzi di informazione architettarono campagne denigratorie in cui sostenevano che scrivesse le sue prediche sotto l’effetto dell’alcool o che fosse pazzo. Purtroppo, le diffamazioni sono continuate anche dopo la morte».

    Il Papa ha deciso di proclamare santo monsignor Romero assieme a Paolo VI. Come considera questa scelta?

    «È un grandissimo onore, non solo perché mio fratello viene accostato a una figura importantissima per la storia della Chiesa, ma anche perché i due erano stati amici in vita e Paolo VI ha sempre molto incoraggiato Oscar, specie nei momenti più duri».

    Il suo Paese, sebbene sia finita la guerra civile, continua a essere caratterizzato dalla violenza. Da anni la brutalità delle gang criminali ha reso il Salvador il Paese del mondo con il più alto tasso di omicidi. Crede che la proclamazione del primo santo salvadoregno possa compiere il miracolo della pacificazione?

    «La situazione è davvero molto triste. Tutti speriamo che la pace, una volta per tutte, giunga come una benedizione su questo povero Paese. La Chiesa dice che le generazioni attuali devono fare di tutto per trasmettere il messaggio alle nuove e allora sono felice che mio fratello venga santificato nel corso del Sinodo dei vescovi sui giovani, perché spero che i tanti ragazzi del mio Paese raccolgano il suo messaggio e così abbandonino la violenza»".

    Romero è un sacerdote martire sull’altare. È da qui che bisogna cominciare a guardare la sua vita. Romero non si sentiva un eroe. Aveva paura di morire. Disse il cardinale Moreira Neves che, il 31 gennaio 1980, nel suo ultimo passaggio a Roma, Romero gli confidò che pensava che sarebbe stato ucciso presto, anche se non sapeva se dalla destra o dalla sinistra. Tuttavia non chiese un posto a Roma, ma tornò nella sua diocesi. (A. Riccardi).

    Un mese prima di morire scriveva: «Ho paura per la violenza verso la mia persona. Sono stato avvertito di serie minacce proprio per questa settimana. Temo per la debolezza della carne ma chiedo al Signore che mi dia serenità e perseveranza… Gesù Cristo assistette i martiri e, se necessario, lo sentirò più vicino nell’affidargli il mio ultimo respiro. Ma più prezioso che il momento di morire è affidargli tutta la vita, vivere per lui».

    Una prefazione non dovrebbe avere una conclusione: ma un altro testo mi sembra utile per concludere: don Tonino Bello, altro profeta del nostro tempo, che in una omelia sintetizzava così la figura del vescovo martire.

    Carissimi fratelli e sorelle,

    ci siamo riuniti in questa stupenda basilica dei Dodici Apostoli in Roma per celebrare non l’exploit degli uomini, ma l’exploit di Dio.

    Ricordare un martire, infatti, significa individuare il punto in cui la Parola si gonfia così tanto, che la sua piena rompe gli argini e straripa in colate di sangue. Che è sempre il sangue di Cristo: quello del martire ne è come il sacramento.

    Oscar Romero, perciò, è solo lo squarcio della diga. Gli innumerevoli testimoni che hanno dato la vita per Cristo, e che stasera ricordiamo in questa liturgia pasquale, sono solo il varco da cui il Dio dell’alleanza fa sgorgare sulla terra, in cento rigagnoli, i fiotti della sua fedeltà.

    Al Dio dei martiri, quindi, più che ai martiri di Dio, gloria, onore e benedizione (...)

    Ecco allora il tema generatore della nostra riflessione: il martirio di Romero come frutto della Parola. Scomporremo questo tema in tre momenti, sottolineando come la Parola di Dio ha costruito nel santo vescovo salvadoregno la spiritualità dell’esodo, la spiritualità del dito puntato, la spiritualità del servo sofferente.

    Esodo da dove? Dal nascondiglio di una fede rassicurante, intimistica, senza sussulti.

    Quando ho letto che la conversione spirituale di Romero è avvenuta esattamente dieci anni fa, allorché nel marzo 1977 venne ammazzato, con altri due compagni di fede, padre Rutilio Grande (un prete che aveva scelto di operare per la redenzione di un mondo gravato dalla miseria e dalla sofferenza), mi è venuto subito in mente un libro di von Balthasar: Cordula, ovverosia il caso serio. Cordula era una giovinetta di cui si parla nella leggenda delle undicimila vergini. Sfuggita alla morte, come vide che le sue compagne erano state tutte uccise per la causa di Cristo, uscì dal nascondiglio in cui si era rintanata per paura, e sì offrì volontariamente alla spada del carnefice. Ebbene, Cordula (autentica o leggendaria la sua figura, non importa) mi sembra l’archetipo di Romero. Il quale, intendiamoci bene, non è che fosse pavido, ma certo era prudente. Era un professore della fede, non un confessore. Era uno di quelli che scorgevano nei documenti di Medellin e di Puebla un attentato all’ortodossia del Vaticano Il. Non simpatizzava certo per la teologia della liberazione. Era così sospettoso nei confronti di quei preti che si facevano carico dei problemi d’ingiustizia e di oppressione vissuti dal popolo, che la sua nomina ad arcivescovo di San Salvador nel febbraio 1977 venne salutata con entusiasmo da tutti i quadri del potere costituito. Un mese dopo, la via di Damasco. Quando, sotto le raffiche delle armi cadde padre Rutilio, in ultima analisi fu lui a cadere sotto l’urto della Parola di Dio e, come per Paolo, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo".

    Forse, a determinare il suo passaggio deciso dalla solidarietà col potere all’intransigente opposizione fu proprio la telefonata del presidente Molina che, ritenendo di fargli cosa gradita, gli annunziò per primo l’avvenuta esecuzione di padre Rutilio. Gli si aprirono allora gli occhi e le orecchie, e intuì tutta la portata delle parole dell’Esodo: Ho Osservato la miseria del mio popolo... ho udito il suo grido... e sono sceso per liberarlo.

    I tre anni di lotta che seguirono, fino alla sua morte, sono legati a queste risonanze bibliche. Basta leggere le sue omelie per rendersi conto come, alla radice del suo cambiamento, ci sia solo la Parola di Dio e non la smania di chi si serve degli oppressi per emergere e trovare consensi. Da quell’istante egli cominciò a vivere non pericolosamente, al punto che la morte se la sarebbe cercata con la sua caparbietà sia pure carica di tensioni morali. Ma fedelmente, scandendo cioè le sue scelte sugli stessi ritmi di Dio, fedele all’alleanza, che ha compassione dei suoi poveri. (...)

    Ma la Parola di Dio, oltre la spiritualità dell’esodo, ha costruito nel santo vescovo salvadoregno la spiritualità che, raccogliendo lo spunto da un apologo, potremmo chiamare del dito puntato. Fu lo stesso Romero a raccontarlo, nell’omelia del funerale di padre Navarro, un altro prete ucciso nel maggio del 1977: Si narra che una carovana, guidata da un beduino del deserto, era disperata per la sete e andava cercando acqua nei miraggi del deserto. E la guida diceva loro: Non di là, di qua. E così varie volte, finché uno della Carovana, innervositosi, tirò fuori la pistola e sparò alla guida che, ormai agonizzante, tendeva ancora la mano per dire: non di là, ma di qua. E così morì, indicando la strada.

    C’è in questo apologo il riverbero di una coscienza profetica che in Romero ha ormai preso corpo e che, di giorno in giorno, diventa sempre più chiara. Così dice il Signore: grida a squarciagola, non avere riguardo. Come una tromba, alza la voce. Dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati (...)

    Il parlare con coraggio e a viso aperto rivela, alle sue spalle, il più grande io a cui si è ormai abbandonato, anche se non mancano i fremiti della paura. è normale che ci tremino le ginocchia - diceva spesso - ma almeno che ci tremino nel posto in cui dobbiamo essere.

    (...) Un mese prima della sua morte, sul quaderno degli esercizi spirituali, annotò: Il nunzio di Costa Rica mi ha messo in guardia da un pericolo imminente proprio in questa settimana... Le circostanze impreviste si affronteranno con la grazia di Dio. Gesù Cristo aiutò i martiri e, se ce ne sarà bisogno, lo sentirò molto vicino quando gli affiderò il mio ultimo respiro. Ma, più dell’ultimo istante di vita, conta dargli tutta la vita e vivere per lui... Accetto con fede la mia morte per quanto difficile essa sia. Né voglio darle un’intenzione, come vorrei, per la pace del mio paese e per la crescita della nostra chiesa... Perché il cuore di Cristo saprà darle il destino che vuole. Mi basta, per essere felice e fiducioso, sapere con certezza che in lui è la mia vita e la mia morte; che, nonostante i miei peccati, in lui ho riposto la mia fiducia, e non resterò confuso, e altri proseguiranno con più saggezza e santità il lavoro per la chiesa e per la patria.

    (...) Forse non c’è nessuna parola così frequente del vocabolario: di Romero come la parola speranza. Anzi, lo sapete, fu l’ultima parola da lui pronunciata quella domenica del 24 marzo 1980 alle ore 18,25, nella chiesa dell’ospedale della Divina Provvidenza mentre celebrava l’offertorio: In questo calice il vino diventa sangue che è stato il prezzo della salvezza. Possa questo sacrificio darci il coraggio di offrire il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo. Questo momento di preghiera ci trovi saldamente uniti nella fede e nella speranza. Un colpo di fucile lo introdusse nella cena del Signore. A ispirare le scelte di Romero non furono certo la lettura dei testi marxiani e neppure le trascrizioni in chiave ideologica di qualche esponente deteriore della teologia della liberazione, e neppure l’ambigua suggestione di riconquistare nuovi spazi sociali da parte della chiesa, riscoprendo i bisogni dei poveri e utilizzando a scopo strumentale le sofferenze degli oppressi. Furono invece le assidue meditazioni sui carmi del servo sofferente di Jahweh.

    Quanto dolore e quanta tenerezza, quanta passione e quanto coraggio, quanta rabbia e quanta preghiera, quanta denuncia e quanta pazienza vibrano nelle parole di questo vescovo fatto popolo!

    Abbiamo incontrato i contadini senza terra e senza lavoro stabile, senz’acqua, senza luce e senza scuole. Abbiamo incontrato gli operai privi di diritti sindacali, licenziati dalle fabbriche quando reclamano e completamente alla mercé dei freddi calcoli dell’economia. Abbiamo trovato gli abitanti dei tuguri, la cui miseria supera ogni immaginazione, con l’insulto permanente dei palazzi vicini. In questo mondo disumano, la chiesa della mia arcidiocesi, sacramento attuale del servo sofferente di Jahweh, ha cercato di incarnarsi

    (Omelia pronunciata da don Tonino Bello nella Basilica dei Santi Apostoli in Roma, il 23 marzo 1987, nel settimo anniversario del martirio di Oscar Romero).

    Augusto Paolo Lojudice

    Arcivescovo metropolita

    di Siena-Colle di Val d’Elsa Montalcino

    Introduzione

    Il discorso narrativo del volume

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1