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L'Erede
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E-book502 pagine7 ore

L'Erede

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Info su questo ebook

1364
In una Francia immaginaria, dopo aver ucciso  il fratello - vero erede al trono - e sterminato la sua famiglia, la perfida "Regina Nera" – Thea -  siede sul trono e governa la nazione.
Sfugge alla strage il nipote Adrien, ancora bambino. Lei farà di tutto per cercarlo, inutilmente, finchè il destino non lo ricondurrà nella sua vita. Usurpatore ed erede diventeranno amici, inconsapevolmente. 
Il fato mischia le carte e arriverà il giorno in cui l'uno capirà chi è l'altro e in quel momento le cose prenderanno una piega diversa.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita7 dic 2020
ISBN9788833667379
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    Anteprima del libro

    L'Erede - Giada Bonasia

    (Biante)

    Prologo

    Il silenzio regna nelle dorate foglie autunnali degli alberi che sorgono su tutto il feudo Dupuarò. Tutto tace, persino gli animali e tutta quanta la natura.

    Sono passati vent'anni da quando l'uomo che mi ha cresciuta ha visto salire su quella carrozza diretta in l'Inghilterra sua figlia, Celine. Se ne era andata senza voltarsi e Loran non aveva fatto un passo verso lei. Era rimasto lì, in piedi, in silenzio, con il solo vento ad accarezzargli il viso, era rimasto lì con metà del suo cuore morto per sempre.

    Gli anni trascorsero serenamente, in pace e in armonia. Sorridevo nel vedere il mio buon papà felice con Odette.

    Già, papà...

    Sempre tale l'ho considerato e lui mi ha amato come una figlia, mi ha amato quanto il figlio maschio avuto da Odette. Nessuna preferenza tra me e lui, nessuna particolarità. Alla sua morte ha diviso i suoi averi tra me e mio fratello che porta il suo stesso nome.

    Ricordo ancora quando respiravo a fondo, inalando l'odore del caldo vapore del tè che la mia dolce, cara e amata Odette faceva preparare per tutti, quando ci riunivamo davanti al camino, quando mi toccavano l'enorme pancia cercando d'intuire se il mio primogenito sarebbe stato un maschio o una femmina, mentre Armand giocava allegramente con il mio piccolo fratellino.

    Ricordo i miei amori, i miei affetti più cari uniti e felici.

    Molte volte il principe, nonché mio fratello maggiore Pierre, bussava alla nostra porta per un consiglio o semplicemente per una parola di conforto. Ammirava Loran e nel suo cuore desiderava divenire un giorno giusto come lui e saggio come Sigismond, il nostro benvoluto re, colui che ho sempre amato come padre in silenzio, per non fargli torto mai a Loran.

    Purtroppo tutto finisce e il tempo - si sa - è il peggior nemico dell'uomo.

    Sigismond morì dopo dieci anni dal suo rientro in patria, aveva già un'età avanzata e la regina, mia madre, colei con la quale passavo intere mattinate a chiacchierare, morì dopo lui. Anche se faceva di tutto per mostrarsi forte, io so che la sua vita andò scemando dopo la morte del marito, gli occhi malinconici non erano facili da nascondere alla gente, finché una notte di luna piena non vidi quei meravigliosi occhi castano dorati chiudersi per sempre.

    Una cosa colpì la mia attenzione il giorno che seppellimmo la nostra amata regina: Celine era tornata dopo diversi anni per il funerale di colei che la crebbe come figlia, quella fu l'ultima occasione in cui Loran e lei si videro. I loro occhi erano freddi come il ghiaccio, non traspariva nessuna emozione. Celine teneva stretto per mano il più piccolo dei suoi figli, lo aveva chiamato Neal, stava piangendo, doveva avere non più di tre anni, gli altri tre assistevano in rigoroso silenzio al funerale. Quattro bellissimi fanciulli, tutti biondi con grandi e languidi occhi azzurri come il mare; il più grande, Kendal, aveva otto anni, stava composto ed aveva lo sguardo già di un ragazzo più adulto. Non so spiegarmi il perché, proprio lui catturò maggiormente la mia attenzione, o forse lo so benissimo...

    Non appena si voltò verso me, soffermandosi ad osservarmi per qualche istante, ebbi come una strana sensazione di tornare indietro nel tempo. I suoi occhi erano blu come il cielo, proprio come quelli di suo padre. Occhi blu penetranti e in un attimo lo rividi, sì... per un attimo rividi il mio caro amico Stephan e il mio cuore sembrò fermarsi. Sorrisi al bambino, ma non era molto socievole, abbassò lo sguardo e dopo essersi voltato di spalle la balia accompagnò lui e i suoi fratelli via da quel luogo. Le due femminucce erano le mezzane: una di sei e l'altra di cinque anni, di nome Delicia e Janelle, bellissime entrambe come la madre ed entrambe bionde. La più piccola aveva i capelli leggermente più scuri, sembravano quasi castani quando non erano esposti al sole e gli occhi celesti come quelli di Celine, mentre l'altra, di poco più alta, aveva i capelli biondi quasi color dei raggi solari, una bambina dallo sguardo dolce e dai modi affabili.

    Mi accorsi che Celine soffermò il suo sguardo al fanciullo accanto a me, sono sicura che capì perfettamente che era suo fratello Loran, era identico al padre anche nella postura. Dieci anni solo e già le fanciulle del feudo gli lanciavano sguardi languidi nella speranza di essere notate da lui.

    Sulla tomba di Coleen era piegato mio fratello Pierre, accarezzava il duro legname che conteneva il corpo di mia madre, rassegnato. Alizée gli poggiò una mano sulla spalla e lui voltando il viso verso lei, appoggiò le sue labbra in quella mano. Si erano sposati nove anni prima e avevano un bambino di nome Adrien, il mio adorabile nipote di otto anni che spesso scorrazzava nel feudo insieme a Loran brandendo bastoni e spade di legno.

    Loran si avvicinò a Pierre, Alizée e ad Adrien e gli porse le condoglianze sinceramente dispiaciuto.

    Ah, se solo avesse saputo che quelle condoglianze dovevano essere rivolte a me... E invece nessuno, neanche uno si era preoccupato di venire a chiedere a me come mi sentissi. Già, nessuno. Perché io ero una Dupuarò, di conseguenza ogni legame di sangue con i Deprovuà non esisteva. Il mio dolore non esisteva, per gli altri... Sì per gli altri, perché dentro, il mio cuore, urlava forte.

    Vidi Delicia scappare dalla sorveglianza della balia per pochi attimi e avvicinarsi ad Adrien per porgergli un braccialetto molto fino in cuoio con tre perle bianche al centro trattenute da due punti all'estremità di esse in acciaio. Lo accarezzò per qualche istante, poi la ringraziò con lo sguardo.

     «Mi dispiace per nostra nonna, anche se non l'ho mai conosciuta» gli aveva detto la bimba, sinceramente dispiaciuta.

    «Lo so» le aveva risposto timidamente Adrien, guardandola con gli occhi arrossati dal pianto.

    Quando il funerale terminò, ci allontanammo tutti.

    Appena mi accorsi che mio padre non era con noi, tornai indietro a cercarlo e lì scoprii una cosa che non avevo mai neppure immaginato. Era in ginocchio sulla tomba di mia madre e lo ascoltai dire queste parole: «Chissà se c'è una vita oltre a questa... Chissà se sarò libero di amarti come non ho mai potuto fare qui, mia regina... Mio angelo.»

    Rimasi sconvolta da quelle parole, me ne andai in silenzio e mi portai quel segreto dentro, per sempre.

    Da quel giorno sono passati altri dieci anni e molte, moltissime cose sono mutate. I fanciulli sono diventati uomini, le ragazze donne e noi abbiamo passato i quarant'anni, ne ho quarantadue per l'esattezza e il mio spirito battagliero l'ho imprigionato dentro me, come anche ha fatto Armand, per amore di ciò che è nostro, per amore di Aurélien e Irmine, i nostri due figli, per amore delle nostre terre.

    Pierre è caduto in battaglia due anni dopo la morte della regina Coleen, mentre combatteva per avere il posto che gli spettava. Io e Armand eravamo lì con lui e lo vedemmo. Thea comandava i suoi generali dall'alto del suo trono dorato, lei l'usurpatrice, con Louis alla sua destra, anche Cyril aveva lasciato questo mondo mentre combatteva, era caduto sotto la spada di uno degli uomini di Pierre e questo Thea e Louis non glielo avevano mai perdonato al mio povero fratello.

    Pierre era circondato dagli uomini della regina, quelli che in realtà dovevano essere i suoi soldati, tentai di andare in suo aiuto, Armand fece lo stesso, ma non ci riuscimmo. La spada di uno dei soldati lo trapassò dalla schiena fino ad uscirgli nell'addome, la lama del soldato di fronte, invece, lo trapassò dal cuore alla spalla. Pierre cadde in ginocchio, il volto era ricoperto di sangue, ricordo che gridai mentre le lacrime mi cadevano dagli occhi, mentre Armand mi impediva di farmi ammazzare correndo da lui. Ricordo che lo vidi alzare il viso verso l'alto e regalare al cielo il suo ultimo dolce sorriso.

    Da quel giorno, ancora, non ho visto un attimo di pace. La guerra interna sta divorando lentamente la Francia, i soldati di Thea, più di una volta, sono venuti nelle terre dei Dupuarò a lanciare avvertimenti sull'essere fedeli alla regina e noi abbiamo dovuto giurare fedeltà a lei per non essere trucidati. L'abbiamo fatto contro la nostra volontà, per amore dei nostri figli.

    Adrien è scappato, nessuno riesce a rintracciarlo e gli uomini devoti a suo padre sono stati barbaramente uccisi tutti per ordine di Thea. Il vigliacco lo epitetano, ma molti credono invece sia morto. Non so cosa ne sia di lui, ma Thea ha mandato i suoi cani a caccia, i suoi fedeli soldati stanno cercando mio nipote ovunque per giustiziarlo, ma non posso lasciargli fare questo. Io non posso lasciare Adrien al suo destino. Lui è il legittimo erede al trono e deve prendersi il posto che gli spetta.

    1.L'usurpatrice

    Correva l'anno del Signore 1364, la Francia non conosceva pace da almeno dieci anni. Fratello contro fratello, padre contro figlio; chi appoggiava il legittimo erede al trono, chi la "Regina Nera". Così ormai si faceva chiamare Thea da sei anni, da quando era in lutto per il suo amato marito, ma essa era davvero la Regina Nera, perché nera l'anima aveva e nero il freddo cuore. Nessuno sfuggiva alla sua mano vendicativa, a meno che non la si implorasse in ginocchio, allora forse, se a lei conveniva, concedeva il suo perdono.

    Il suo esercito era guidato dall'abile mano di Louis, amico fidato del defunto marito e adesso suo fedele servitore. Nessuno li poteva contrastare, nessuno ci riusciva, avevano acquistato un grande potere stringendo alleanze con i feudatari e nobili più influenti. Thea era scaltra e Louis forte, insieme formavano una coppia invincibile e adesso, per le strade, nessuno osava pronunciare il nome di Adrien, nessuno osava ricordare Pierre, nessuno...

    Neanche coloro che avevano combattuto proprio per quest'ultimo.

    Alizée fu giustiziata alla gogna e da quel giorno nessuno aveva più visto Adrien, questo mandò Thea su tutte le furie e ordinò ai suoi uomini di circospezionare ogni singolo angolo della Francia, di tanto in tanto si recava al feudo Dupuarò con i suoi soldati, fingendo di esser lì per salutare Marichelle, ovviamente con palese prepotenza e arroganza. Non perdeva occasione per ricordarle di essere stata caritatevole con lei e la sua famiglia decidendo di graziarla nonostante il tradimento di codesta.

    *

    Marichelle camminava inquieta per il gran corridoio angusto del castello Dupuarò, sentiva il cuore soffocare dalla preoccupazione e per un istante si sentì mancare.

    Una calda e familiare mano le si poggiò sulla spalla destra, facendola voltare lentamente con un sorriso che le si allargò sulle labbra. «Amore mio» disse la donna, iniziando a strofinare il viso su quella mano dalla quale traspariva forza e lealtà.  Era un po' ruvida per via dei calli, ma Marichelle amava il tocco di quest'ultima.

    «Stai ancora pensando ad Adrien, moglie mia?» chiese Armand con espressione dispiaciuta e nel contempo stanca.

    «So che mio nipote è vivo! Lo sento... Credimi Armand» ribatté Marichelle con occhi lucidi e la speranza in volto.

    Lui le accarezzò il viso per poi soffermarsi sulle candide e rosee labbra, le sfiorò con l'indice e le sussurrò dolcemente: «Ti credo, amata mia.»

    «Dobbiamo trovarlo!» incalzò lei, stringendo i pugni.

    Lo sguardo di Armand si fermò sulle labbra della moglie, adorava ascoltare il suono della sua voce, soprattutto quando, piena di speranza, prendeva decisioni. Le sorrise appena e Marichelle, scostandosi per non far accorgere al marito che stava arrossendo, disse: «Perché mi guardi così?»

    «Dopo tutti questi anni arrossisci ancora quando ti guardo?» domandò Armand sorridendo, la sua voce era calda e sensuale e Marichelle sentì il suo corpo vibrare e il calore avvolgerle il cuore e il basso ventre.

    «Sì, sono un po' sciocca, no?» rispose, mantenendo lo sguardo basso.

    Armand appoggiò le mani alla parete dietro di lei, di conseguenza la donna si ritrovò con la schiena al muro, e la mente affollata dal forte desiderio che provava.

    «Non sei sciocca, non lo sei affatto. Sei la donna che continua a rendermi pazzo di desiderio giorno dopo giorno.» Armand terminò la frase avvicinandosi sempre di più alle sue labbra, fino ad avvolgerla in un caldo bacio.

    Marichelle sentì il corpo abbandonarsi nelle braccia del marito, ogni senso inebriarsi e ogni fibra del suo corpo anelarlo. Lui appoggiò con prepotenza la mano nel corpetto della moglie, abbassandoglielo con forza fino a strapparglielo, lei si accorse di avere il seno scoperto e immediatamente si mise le mani davanti per coprirsi guardando agitata il corridoio nel quale si trovavano. Gli scostò la mano con forza. «No Armand, potrebbe vederci qualcuno...» lo supplicò con fare ammiccante lei, respirando affannata.

    L’uomo le sorrise mordendosi il labbro inferiore per il desiderio, dopodiché si abbassò accogliendo in bocca un seno, mentre con il dito toccava il capezzolo dell'altro giocherellandoci e facendolo inturgidire. Marichelle inarcò la schiena e colma di desiderio si lasciò scappare un gridolino.

    «Shh, vuoi farlo sapere a tutto il feudo?» l'ammonì ridendo Armand.

    «Sei ancora a quel punto? Oh, si vede che non hai più vent'anni!» lo canzonò ironica Marichelle, inarcando un sopracciglio.

    Lui scoppiò a ridere e l'attirò a sé stringendola. «Ti amo» le sussurrò prima di prenderla in braccio e portarla nella stanza.

    Marichelle si sdraiò supina mentre si deliziava nel vedere il marito spogliarsi, a quarantasei anni aveva ancora un fisico prestante, gli anni non lo avevano appesantito per nulla, non aveva più i capelli scuri, ma brizzolati che gli ricadevano sulle spalle, quest'ultime erano ampie e la vita era stretta, bello come quando ne aveva venti o forse, adesso, con la maturità ancor di più. Armand le si avvicinò completamente nudo, lei ebbe un piccolo sussulto quando le passò le dita nel suo centro, i due si sorrisero teneramente, un attimo dopo la mise a carponi. Marichelle tentò una protesta, ma l'uomo l'afferrò per i capelli e la obbligò a tener bassa la testa, mentre con la mano libera le strinse un fianco e si apprestava a entrare in lei. Marichelle sentì il membro duro farsi spazio dentro il suo corpo, non poteva muoversi per sistemarsi e la cosa la eccitava mentre lui iniziava a muoversi sempre più rapido assecondando le voglie della moglie. La donna si morse un labbro assaporando quel momento e l'impeto del marito, il quale la stava possedendo con ardore e dolcezza, le era sopra e si muoveva spasmodicamente mentre le accarezzava i capelli e il collo, poi le pigiava delicatamente la testa per avere le sue natiche sempre più esposte a lui. Marichelle sentì il fiato mancarle, Armand la divorava famelicamente finché lo sentì uscire da lei per poi introdursi pian piano nell'ano. La donna strinse i denti per il dolore e le lacrime uscirono dai suoi occhi, lui iniziò a muoversi facendo sbattere le natiche rotonde e sode della moglie contro i suoi genitali. Infine sentì il suo seme liberarsi da lui per riempire l'interno dell'ano della moglie, le si accasciò sopra e quest'ultima sentì il cuore batterle talmente forte da sembrare che volesse uscire dal petto, mentre il fiatone non riusciva a diminuire.

    Armand le accarezzò la schiena, poi le lasciò teneri baci lungo di essa. «Sei la mia vita» le disse con estrema dolcezza.

    Marichelle si voltò verso lui e lo accolse tra le sue braccia. «Adoro essere tua in questo modo.»

    «Perdonami se sono stato troppo...»

    Lei lo interruppe posandogli un dito sulle labbra e gli rispose: «Adoro la tua foga, il tuo modo di fare l'amore, mi fa sentire totalmente tua.»

    Armand le baciò la fronte e le sussurrò all'orecchio: «Io sono totalmente tuo, chiedi qualsiasi cosa e io la farò amata mia... Come sempre.»

    Marichelle gli cinse la testa con le mani e lo costrinse a guardarlo negli occhi. «Dobbiamo trovare mio nipote» disse, divenendo seria.

    «Lo troveremo» rispose Armand.

    Castello Deprovuà

    «Henriette, a cosa stai pensando?» chiese Lucien, andandole incontro correndo.

    «Ehi piano, piano!» gridò lei, spostandosi immediatamente dal pozzo di pietra sul quale era seduta, guardando preoccupata il fratello che per poco non cadeva all'interno di esso. «Ma cosa combini?» lo canzonò aspramente la sorella.

    Lucien scrollò le spalle e, appoggiando un piede sul bordo del pozzo, rispose sospirando: «Ero in giro con Louis, siamo andati a cercare il nostro... amato cugino.»

    «E non lo avete trovato, scommetto» scattò ironica la fanciulla.

    «Sì, scherza... Se quello torna con un esercito potrai dire addio alla tua bella vita dorata, sorella» disse in tono amaro lui.

    Henriette si mise eretta per fronteggiarlo e il fratello sostenne il suo sguardo, la sovrastava di almeno quindici centimetri, ma la fanciulla non si faceva intimorire da nulla, figuriamoci dall'altezza del fratello; aveva lunghi capelli castani e ricci che le arrivavano sino al fondo schiena, gli occhi colore nocciola che esprimevano dolcezza, ma al contempo forza. Lei aveva già superato l'età opportuna per andare in moglie a qualcuno, diciott'anni erano già abbastanza, sapeva che non poteva permettersi ancora a lungo il lusso di essere nubile e che sua madre Thea stava già cercando il più appropriato dei nobili per darglielo in sposo. «Temo di più il mio imminente matrimonio con qualcuno che non conosco, piuttosto che il ritorno di questo cugino che ci odia» ammise avvilita.

    Il ragazzo trattenne a stento un risolino e, avvicinandosi al viso della sorella, disse a voce bassa e con un tono sarcastico: «Eppure fino a qualche tempo fa non stavi nella pelle per trovare un buon partito, chissà perché è da quel fatidico... incontro che sembri stralunata.»

    Henriette si fece seria in volto, un'espressione di sgomento le velò il viso. «Cosa stai insinuando, stupido?» lo apostrofò aspra.

    «Il giovane feudatario è affascinante... Tanto da farti sospirare ogni notte sorella» terminò ridendo, poi sgranò gli occhi quando si accorse che la fanciulla si era piegata a raccogliere delle pietre.

    «Ehi, cosa vuoi fare?» disse ironicamente, ma un po' preoccupato.

    Lei iniziò a scagliargli piccole pietruzze addosso e gli si rivolse arrabbiata: «Vai via... Non ti permettere più di parlare a tua sorella maggiore in questo modo!»

    Lucien si affrettò ad allontanarsi ridacchiando, attraversò il giardino d'inverno fino a ritrovarsi nel corridoio adornato da finestre aperte, si fermò vicino ad una di esse, poggiò i gomiti sul cornicione e si deliziò guardando quel favoloso giardino, posto all'interno del palazzo reale. Levò la testa in alto e assaporò l'aria fresca con un piccolo sorriso sulle labbra.

    Aveva da poco compiuto diciassette anni, era alto, qualità che aveva ereditato da sua padre Cyril, come lui possedeva un'indole allegra. Il vento gli spingeva i capelli biondo miele davanti gli occhi e con la mano se li spostò spazientito. Ma perché ci perseguiti, cugino! pensò preoccupato tra sé.

    Adrien lo preoccupava non poco, tutte le battaglie e il paese in malora erano opera sua, opera del fatto che non si rassegnasse che la regina fosse Thea.

    Sbuffò inquieto quando una risatina lo fece voltare.

    «Cosa fa il mio adorato fratellone tutto solo?» irruppe Josiane, la sorella minore di appena quattordici anni.

    «Vieni qui, birbantella» le disse allungando una mano, che la fanciulla strinse per poi abbracciare il fratello.

    «Ero andato da Henriette, non le si può proprio parlare per adesso» esordì Lucien alzando gli occhi al soffitto.

    «È preoccupata per il matrimonio, la dobbiamo comprendere» affermò saggiamente la piccola.

    Il ragazzo sorrise restando piacevolmente sorpreso nel constatare che la sorella minore fosse molto più matura di lui ed Henriette messi assieme.

    «Credo che la prima a trovare marito sarai proprio tu. Del resto con l'intelligenza e la maturità che ti ritrovi...» asserì Lucien con una scrollata di spalle.

    Josiane spalancò i suoi bellissimi occhi castano chiaro e con il petto gonfio rispose: «Oh, io sogno un matrimonio come quello di mamma e papà... Erano tanto innamorati, ti ricordi?»

    Il ragazzo sorrise accarezzando i capelli della sorella che, esposti alla luce dei raggi solari, sembravano essere del colore delle spighe di grano, ondulati e folti, meravigliosi proprio come lei. «Penso che mamma farà la scelta giusta per ognuno di noi, sorella» disse.

    «Ne sono certa» rispose lei.

    Dei passi attirarono la loro attenzione, i due fratelli si voltarono e videro Loran nero in volto che calcava il suolo con cipiglio contrariato.

    «Monsieur, di nuovo qui?» esordì Lucien titubante.

    L’altro si fermò davanti i due principi e facendo un inchino con il capo rispose: «Sono stato convocato da vostra madre... Di nuovo!»

    Il tono di Loran trapelava fastidio e irritazione e Lucien scattò sulla difensiva. «Dalla regina! Siete stato convocato dalla regina... Forse se la vostra famiglia non avesse appoggiato quel traditore di Pierre, vi sareste risparmiato tutte queste seccature e il sospetto per qualsiasi cosa da parte di mia madre.»

    Loran si rimproverò per aver fatto trapelare più di quanto doveva, fece un nuovo inchino per congedarsi e disse solamente: «Avete ragione principe, perdonatemi.»

    Lucien e Josiane si spostarono per farlo passare mentre si lanciavano un'occhiata.

    ***

    Maledetti usurpatori, non sarete mai i veri regnanti. Inutile che vi date tante arie, gridò la mente di Loran. Mentre era assorto tra i suoi pensieri una botta all'addome lo fece barcollare facendolo tornare alla realtà, vide Henriette a terra che si toccava la testa dolorante.

    «Perdonatemi principessa, io-io, non... Be’» balbettò, precipitandosi ad aiutarla.

    «Non vi preoccupate, sono io che devo imparare ad essere meno imbranata» ammise con vergogna la fanciulla, senza osare alzare gli occhi verso lui.

    Loran la prese per mano e Henriette si accorse che il cuore le batteva ad un ritmo accelerato, tanto da preoccuparsi se l'altro riuscisse a sentirlo.

    «State bene?» domandò con premura.

    Henriette tentò di sistemarsi in tutta fretta e un po' impacciata rispose: «Sì benissimo ades-ehm volevo dire sì... Ecco, sì.»

    Loran la osservò in viso per vedere se si fosse fatta male e lei, accorgendosi di ciò, sentì un forte calore, rendendosi conto di essere divenuta rossa come un pomodoro.

    «Siete rossa in viso, forse avete sbattuto...» disse preoccupato Loran, ma Henriette lo interruppe: «Sto benissimo, credetemi» gli rispose prima di scappare via e ripararsi dietro le mura di un pilastro.

    Il ragazzo l'osservò allontanarsi, era la seconda volta che la incontrava, qualcosa dentro lui giungeva alla sua anima alla vista di quella dolce e bella figura, non sapeva spiegarsi il perché non riusciva più a chiudere occhio dopo aver incrociato per la prima volta quei bellissimi e dolcissimi occhi color nocciola.

    Scrollò il capo e proseguì verso la stanza delle udienze, nella quale lo attendeva Thea. Henriette sbirciò la figura di Loran allontanarsi, affacciando la testa dal pilastro e sospirò chiudendo gli occhi, mentre si sedeva a terra con il viso rivolto verso il cielo sopra il giardino d'inverno.

    2. Timori e incomprensioni

    Thea sedeva sul rosso trono posto sopra la gradinata, i suoi capelli erano raccolti in un'acconciatura che le ricadeva appena sotto il collo, le mani impugnavano con forza i bordi del trono, l'espressione indurita dal risentimento e gli occhi sprezzanti di odio non lasciavano trasparire la minima umanità, i suoi occhi fissavano Loran ad ogni suo passo, mentre si avvicinava. Louis stava in piedi alla sua destra, i capelli e la barba incolta gli appesantivano il viso tanto da fargli dimostrare più degli anni che avesse.

    Il ragazzo arrivò a pochi passi dal trono e si chinò sopra un ginocchio a capo basso, Thea gli fece cenno di alzarsi con la mano.

    «Siete uguale a vostro padre, sapete?» disse la regina rompendo il silenzio.

    «Questo è quello che mi dicono, vostra altezza» rispose il ragazzo.

    Thea si scambiò un'occhiata complice con Louis e quest'ultimo prese parola: «Abbiamo saputo che Adrien, il traditore, ha qualcuno che lo tiene nascosto.»

    «Vi giuro, mio signore, che io e la mia famiglia...» cercò di parlare Loran, ma fu interrotto bruscamente da Thea che alzò la voce: «Non sto accusando la vostra famiglia, so che vostra sorella Marichelle non è tanto sciocca da sfidare la mia ira! Ma il popolo l'ama, la plebe si fida di voi Dupuarò... Dunque, dovete fare una cosa per la vostra regina. È il minimo dopo avervi concesso il mio condono per il vostro tradimento.»

    «Ancora? Fino a quando pretenderete di vederci umiliare per compiacervi?» scattò in preda all'ira Loran.

    Louis sguainò la spada, puntando la lama al collo del ragazzo. «Non osare mai più rivolgerti alla regina in questo modo.»

    Loran deglutì nervosamente, ogni fibra del suo corpo desiderava ribellarsi, impugnare la sua spada e scagliarla contro il tirapiedi e la sua padrona. Sentiva il sangue ribollirgli nelle vene e il fardello di tacere per salvare dal cappio la sua famiglia, gravargli sopra la testa.

    Sospirò sconfitto e rispose a denti stretti: «Cosa volete che facciamo?»

    Thea lo guardò con calma snervante, dopo qualche attimo un sottile sorriso compiaciuto le si formò sulle labbra e rispose: «Fingete di appoggiare nuovamente la causa di Adrien, chiedete in giro, guadagnatevi la fiducia della plebe come avete sempre fatto, poi quando sarà il momento loro stessi vi condurranno da lui e lì, voi, mi riferirete dove si trova e chi l'ha protetto!»

    Loran restò immobile, il suo volto divenne di pietra, nessuna reazione davanti la Regina Nera, solamente tanta impotenza.

    ***

    «Hai visto chi è venuto?» disse ridendo Lucien ad Henriette.

    «Oh fratello, ti prego, non prenderti gioco dei miei sentimenti» rispose la ragazza, portandosi le mani in viso per coprirselo.

    «Non lo farei mai, sorella cara» asserì il ragazzo, divenendo serio.

    Loran passò davanti i due principi senza degnarli di uno sguardo, il primo fece l'occhiolino alla sorella con un sorrisetto malizioso, mentre ad Henriette la preoccupazione per ciò che stesse per compiere il fratello le ricoprì il volto.

    «No, no, no… Lucien!» tentò di dire al fratello sottovoce.

    «Monsieur Loran!» gridò il principe.

    Questi si fermò, chiamando a raccolta tutta la sua pazienza, mentre alzava gli occhi al cielo in un'espressione avvilita di noia mortale. «Sì, principe?» rispose a denti stretti e con uno tono notevolmente scortese.

    «Domani sera verrà dato un ballo qui al castello, tutti i nobili vi partecipano. Sapete, mia madre sta cercando un marito ad Henriette, per l'occasione verranno indetti dei giochi e noi ci chiedevamo se volevate far parte degli ospiti» concluse con un gran sorriso.

    Loran osservò i due fratelli, Henriette era più rossa in volto di come l'aveva lasciata poco prima di essere ricevuto dalla regina, Lucien aveva l'aria di chi stava per autocompiacersi di una propria buona azione.

    «Ehm... congratulazioni allora principessa, per il futuro matrimonio» disse, facendo un sorriso di cortesia ad Henriette, poi voltandosi verso l’altro concluse: «Sono spiacente principe, affari che mi sono sopraggiunti proprio un attimo fa, mi terranno impegnato e non avrò tempo di partecipare a qualsivoglia festa.»

    I due principi l'osservarono allontanarsi a gran passi.

    Henriette si appoggiò la schiena al pilastro con talmente tanta foga da farsi male, alzò gli occhi al soffitto e si coprì il viso con le mani sentendosi in estremo imbarazzo. «Lucien cos'hai fatto?» piagnucolò.

    «Ti sto aiutando, sorella» disse con una scrollata di spalle.

    «No, non prova alcun interesse per me, non hai visto?» rispose la fanciulla sorridendo dolcemente al fratello «però ti ringrazio per aver tentato» continuò stringendogli una mano.

    Lucien l'attirò a sé e l'abbracciò con tenerezza. «Ho in mente qualcosa... Lo farò venire alla festa, puoi starne certa!» asserì con convinzione.

    «No, no. Non fare nulla!» gridò, mentre lo vide allontanarsi saltellando allegramente e ammiccarle con l'occhio, mentre gli bofonchiava parole incomprensibili tra le risatine.

    ***

    «Thea, devi stare attenta con loro» affermò convinto Louis, mentre versava del vino in due coppe.

    «Non temo i Dupuarò» rispose con estrema calma la donna.

    «Dovresti» asserì lui, voltandosi a guardarla negli occhi e allungando la mano con la coppa per porgergliela.

    Thea la prese e se la portò alle labbra assaporando il gusto delizioso di quel vino, alzò leggermente gli occhi per osservare Louis e gli regalò un sorriso sincero. «Sei un grande amico Louis. Grazie per i tuoi consigli.»

    L'uomo levò la propria coppa verso Thea e ricambiò il sorriso. «È diverso tempo che non mi delizi con un bel sorriso. Sono sicuro che il mio caro amico Cyril, dal cielo, sarebbe più contento se ti vedesse farlo più spesso.»

    «Il mio amato sposo» sospirò malinconica «già sei anni senza lui. Non riesco ancora a rassegnarmi alla sua assenza» concluse perdendosi tra i suoi pensieri.

    «Non rattristarti, Cyril ha lasciato me a occuparsi di te e mi ha dato un gran bel da fare» disse Louis facendosi scappare una risata.

    «Ah, così sarei un fardello?» scherzò Thea ridacchiando.

    «Ehm... diciamo che non sei una donna da gestire facilmente» continuò stuzzicandola.

    Lei divenne nuovamente seria e guardando la porta del salone sospirò. «Ti ringrazio Louis, spesso sai farmi passare il malumore.»

    «E poi improvvisamente il buio riannebbia la tua mente» affermò serio.

    Thea poggiò la coppa e abbassando lo sguardo esclamò: «È già ora di cena, fa chiamare i ragazzi Louis.»

    ***

    «Cosa voleva quella maledetta?» disse astioso Aurélien.

    «Non parlare in questo modo, figlio» lo rimproverò Marichelle.

    «Ah... cosa vuoi che mi importa di usare un linguaggio moderato con quella serpe. Ci sta con il fiato sul collo come i cani da caccia ai conigli. Quanto desidero che...» il giovane si zittì nel constatare i suoi genitori contrariati a quel discorso.

    «Ci ha chiesto di fingere lealtà alla plebe, in questo modo ci condurranno da Adrien e a quel punto glielo consegneremo» rispose Loran amareggiato.

    «Sarò morta prima di vederlo consegnato nelle mani di questa...» Marichelle si zittì quando vide l'espressione di Aurélien compiaciuta nel farle notare che anche lei stava utilizzando termini poco consoni per esprimersi sulla regina.

    «Bene! Fingiamo di accontentarla, così riusciremo davvero a trovare Adrien» proferì Armand.

    «E una volta trovato, cosa facciamo?» domandò Loran esasperato.

    «Lo rimettiamo sul trono» disse cupa in volto Marichelle.

    Il nitrire e il rumore degli zoccoli sempre più vicini, attirarono l'attenzione di tutta la famiglia, una serva irruppe nella sala dove erano radunati e annunciò: «Il principe Lucien vuol vedere Loran.»

    Quest'ultimo scattò all'impiedi preoccupato e, poggiando nervosamente le mani sopra i fianchi, esclamò: «Cosa diamine vorranno ancora da me?»

    Marichelle prese il pugnale da sotto la sua veste e lo tenne ben saldo dietro la schiena, Armand si avvicinò alla sua spada, scambiandosi delle occhiate preoccupate con tutti i presenti.

    «Va fratello, questa volta non li seguirai a palazzo» affermò lei.

    Loran acconsentì facendo un cenno con il capo, si sistemò i calzari e l'abbondante camicia sgualcita e uscì fuori a passo deciso. La mente non riusciva a stare in silenzio, la preoccupazione gli faceva possedere una percezione più acuta. Si meravigliò di riuscire a sentire persino il rumore delle foglie d'autunno che abbandonavano gli alberi sempre più spogli, ad ogni passo lo stridere del legno sotto i suoi calzari. Decise di fermarsi per prendere un gran respiro e obbligare il suo corpo a tranquillizzarsi, ci riuscì in parte e quando fu pronto uscì fuori la sua abitazione.

    Lucien scese da cavallo sorridente, Loran notò la scorta dietro di esso e con preoccupazione lanciò una furtiva occhiata verso la vetrata nella quale era appoggiata Marichelle all'interno.

    «Perdonate il mio irrompere nelle vostre terre monsieur, ma non conoscendo molti coetanei ho deciso di venire a disturbare voi» disse cordialmente il principe.

    Loran sollevò un sopracciglio, era visibilmente irritato adesso e rispose cercando di trattenere il suo mal umore: «Dunque, in cosa posso esservi utile, principe?»

    Lucien guardò un po' stupito dietro Loran, si accorse del ragazzo che stava avanzando verso loro. «È vostro parente?» domandò con un sorriso.

    Loran si voltò e sospirando rispose: «È mio nipote. Si chiama Aurélien.»

    «Perfetto, più siamo, più ci divertiamo. Domani verrete entrambi alla festa di palazzo» parlò compiaciuto.

    Loran sgranò gli occhi, incapace di capire se quel ragazzo non intendesse il suo verbo oppure avesse qualche secondo fine legato alla madre.

    «Principe, mi sembra che stamane sia stato chiaro del motivo per cui ho declinato...» tentò di ribattere Loran.

    «No, non è consentito nessun rifiuto. Dovrete venire, sennò manderò le mie guardie a prelevarvi. Non costringetemi a usare tali mezzi monsieur» affermò Lucien, dopodiché si congedò con un cenno del capo e voltandosi montò nel suo cavallo per far ritorno al palazzo.

    «Che diamine vuole quest'altro da me?» gridò in preda alla rabbia Loran.

    «Non preoccuparti zio, verrò con te a palazzo.»

    Marichelle e Armand si precipitarono fuori di tutta fretta e la prima domandò allarmata: «Dunque, cosa è venuto a dirti il figlio di Thea?»

    Armand le poggiò le mani sulle spalle e le sussurrò: «Sta calma, non metterti in allarme prima di sapere le cose.»

    Lei rispose sì senza convinzione con un cenno del capo.

    Loran incrociò le braccia, poi guardò negli occhi sia la sorella che il cognato e rispose con espressione confusa: «Da stamane mi invita a corte per il giorno di domani, poiché si terrà un banchetto in onore della sorella alla quale stan cercando marito.»

    «Ti vorranno come possibile candidato a pretendente, zio?» domandò Aurélien, scoppiando in una risata beffarda.

    «Non dirlo neanche per scherzo!» ammonì Armand suo figlio.

    Marichelle abbracciò il fratello e disse sospirando: «Temo il peggio. Non mi piace che ti invitino al castello con tale frequenza, c'è sicuramente dell'altro.»

    «È possibile, cosa pensi di fare al riguardo, moglie mia?» chiese Armand.

    La donna pensò per qualche istante, poi con fare disinvolto e, alzando un sopracciglio in un'espressione furbetta, ribatté: «Noi accompagneremo Loran e Aurélien.»

    «Devo affilare la lama della spada?» domandò sorridendo compiaciuto Armand.

    «Probabile» rispose la moglie.

    ***

    Il cielo si era oscurato e poche stelle brillavano su di esso, Irmine osservava le costellazioni quasi rapita in un'aria d'incanto. La fanciulla aveva da poco compiuto sedici anni ed era nel pieno della sua bellezza fisica, possedeva un corpo sinuoso e i lunghi capelli castani le ricadevano lungo la schiena, lisci come uno spago; i lineamenti delicati del viso e la labbra carnose come quelle del padre, la rendevano irresistibile agli occhi di ogni uomo che aveva posato il proprio sguardo su di essa. Non era ancora conscia dei pensieri libidinosi che scaturiva negli uomini, la sua vita era tranquilla, circondata dall'affetto di suo fratello Aurélien, dello zio Loran e dall'amore di mamma e papà.

    «Amore mio, cosa fai fuori con questo freddo?» irruppe Armand nella quiete del silenzio.

    La fanciulla si alzò dal prato sul quale era distesa ad osservare le stelle e corse verso il padre abbracciandolo con calore.

    «Vagavo un po' con la mente, padre» rispose la fanciulla con un sorriso.

    «E cosa pensavi? Se... se mi è concesso saperlo» scherzò l'uomo.

    La ragazza prese un respiro e con aria sognante rispose: «Pensavo se anch'io un giorno avrò la fortuna di sposarmi con un uomo buono come te, papà.»

    Armand la strinse al petto e sorridendo le rispose: «Certo che sarà così. Altrimenti lo sai che il tuo papà andrà a rompere la faccia di chiunque sia.»

    I due scoppiarono in una risata, poi Armand facendo una smorfia con il viso continuò: «Credo proprio che ti allieterò con una notizia.»

    La fanciulla divenne seria e scuotendo la camicia del padre lo affrettò: «Oh papà dai, non tenermi sulle spine!»

    «E va bene... Domani andremo al banchetto di palazzo» esordì con un sorriso.

    La fanciulla fece un salto dalla gioia e non contenendo il tono di voce disse: «Non posso crederci, non andiamo mai a palazzo... Come mai? Cos-? Oh, non mi importa! Wow finalmente a corte!»

    Armand rise di gusto e prendendole il viso tra le sue dita la costrinse ad osservarlo negli occhi. «Bada bene figlia mia di star molto attenta a non avvicinarti troppo alla regina, né a qualcuno dei suoi figli.»

    Irmine acconsentì con il capo e rispose seria in volto: «Non preoccuparti padre, so bene che degli usurpatori non possiamo fidarci, qualsiasi cosa amichevole nei nostri confronti è dovuta a un loro scopo. Non sono stolta e anch'io, come il resto della famiglia, ho giurato fedeltà all'unico legittimo erede al trono.»

    Armand si compiacque nell'udire parole sagge e piene di convinzione da parte di sua figlia. Nonostante la giovane età mostrava intelletto e una spiccata forza nell'appoggiare la giustizia.

    «Dai entriamo a cenare» disse infine Armand con un sorriso.

    «Sì, mi borbotta lo stomaco» concluse Irmine sorridendo.

    3. A Corte

    Marichelle sentì il rumore della maniglia alla sua sinistra che si apriva, la carrozza si era arrestata da qualche minuto e il cuore aveva preso a pulsarle più forte. Erano anni che non metteva piede a corte, non desiderava avere

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