L’altra Metà
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Con questo pensiero inizia il romanzo d’esordio di Roberto Falavigna: è la frase che il suo protagonista, Lorenzo, si ripete ossessivamente alla ricerca di un senso per la sua vita andata in frantumi improvvisamente, come se nulla fosse. Lorenzo non ha perso tutto, in realtà, ha perso il tutto, l’unico senso autentico della sua vita, da cui dipendeva tutto il resto: Gabi. Estirpata, è il caso di dirlo, dall’oggi al domani dalla sua vita, ha lasciato una voragine oscura che sembra risucchiare lui e tutto ciò che gli è intorno, finché... E qui lasciamo al lettore scoprire come, con pagine autentiche, incalzanti ma riflessive, Lorenzo decida di perdere se stesso per ritrovarsi... e forse ritrovare anche Gabi.
Roberto Falavigna è nato a Mantova l’8 settembre 1976 e vive a Quistello, un paese in provincia di Mantova. Si è diplomato in Ragioneria all’Istituto tecnico-commerciale di Suzzara (Mn). Ha iniziato ad appassionarsi alla lettura dopo aver completato gli studi, ed è stato merito di sua madre, da sempre lettrice appassionata, che è riuscita a trasmettergli questa passione; questo romanzo – pur tuttavia – è il suo esordio nel mondo della scrittura.
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Anteprima del libro
L’altra Metà - Roberto Falavigna
Roberto Falavigna
L’altra Metà
Albatros
Nuove Voci
Ebook
© 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma
www.gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-2750-5
I edizione elettronica settembre 2020
Dedicato ai miei genitori
Lara e Giuseppe
A chi cerca qualcosa
Introduzione
di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile:
«Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere.
Sarò tutti i personaggi che vorrò essere».
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi:
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi, ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei Santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i quattro volumi di Guerra e pace, e mi disse: «Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov».
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre, è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi, potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
Capitolo I
Ogni cosa ha un inizio e una fine... Non gli veniva in mente niente di meglio: erano queste le uniche parole con cui Lorenzo cercava di razionalizzare ciò che gli era accaduto, il più banale dei concetti a cui inutilmente cercava di aggrapparsi per non precipitare, per non essere trascinato nell’oblio, che da laggiù col suo ghigno beffardo sembrava invitarlo a buttarsi, ad abbandonare ogni tipo di riluttanza e lasciarsi sprofondare così, senza alcuna resistenza, nel tormento senza fine.
Da quante ore era lì, prima sdraiato sul letto a fissare il soffitto, poi sulla sedia colma di vestiti con la testa tra le mani e lo sguardo immoto sullo stipite della porta, poi di nuovo sul letto come ipnotizzato dai due sottili fasci di luce che filtravano dalle tapparelle chiuse e tagliavano le tenebre della sua stanza?
Quella stanza che un tempo era stata il tempio di gioie, di entusiasmati progetti di vita insieme a lei, di amore, adesso era diventata una specie di prigione, una prigione maledetta, dalla quale infatti non si vuole fuggire, ma che anzi è l’unico posto al mondo dove si vuole rimanere. Una specie di tormentoso rifugio ovattato, un nido sicuro e funesto, dove poter soffrire in santa pace senza dover più rivedere il mondo, la gente, nessuno, niente di niente. Una donna, tutto questo per una donna; lei che un tempo l’aveva preso per mano e condotto nella beatitudine, che gli aveva fatto scoprire l’estasi del cielo del paradiso, ora l’aveva scaraventato negli inferi.
Perché? Questa era la domanda che continuava a farsi, la parola che lo tormentava, che gli si era conficcata nel cervello e sembrava sarebbe rimasta lì per sempre: perché?
"Ogni cosa ha un inizio e una fine un corno! – egli pensava – Non tutti i rapporti finiscono, ci sono storie d’amore che durano per sempre, dal furore giovanile fino al sopore degli ultimi istanti senza mai affievolirsi, accompagnando due persone nel cammino di una intera vita».
Ma lui no, il destino aveva deciso che lui non avrebbe mai più potuto scoprire ciò che quello voleva dire, assaporare le dolci sensazioni, i momenti magnifici, anche quelli più difficili ma altrettanto belli delle difficoltà da superare insieme, gli sguardi negli istanti d’amore, di complicità, che giorno dopo giorno, anno dopo anno, avrebbero scandito il trascorrere della sua vita assieme a Gabi. Lei l’aveva lasciato, o meglio, l’aveva abbandonato: erano ormai cinque giorni che non si faceva viva, non una telefonata, non un messaggio. Non era da lei, non era mai successo prima: nei due anni in cui erano stati insieme, si erano visti ogni giorno. Adesso invece si era avverato l’incubo peggiore di Lorenzo: sparita, svanita nel nulla, non l’avrebbe rivista mai più. Lui che fino alla soglia dei quarant’anni era stato un gaudente, spensierato, un donnaiolo, lui che non si era mai innamorato in vita sua, che non era mai stato in grado nemmeno lontanamente di concepire cosa potesse voler dire stare male per una donna, adesso era lì a soffrire, nell’affanno, nell’ansia, nella disperazione. A chiunque due anni prima glielo avesse predetto, lui sicuramente con sprezzante baldanza avrebbe riso in faccia; e invece adesso era lì, nell’oscurità della sua camera, distrutto, a pregare che tutto quello fosse un incubo, uno scherzo, a sperare disperatamente che da un momento all’altro lei telefonasse o addirittura entrasse dalla porta con stampato sul volto il suo solito sorriso. Cosa avrebbe dato per rivedere in quell’istante il suo sorriso... Probabilmente tutto. Sicuramente, tutto.
Cercava disperatamente di aggrapparsi con la memoria al suo passato, a quando ancora non l’aveva conosciuta, di ricordarsi di tutte le donne che aveva avuto, delle esperienze che aveva fatto, di tornare a come era prima di lei, ma non c’era niente da fare, era