Eccezionale Normalità
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Anteprima del libro
Eccezionale Normalità - Valeria Pelagatta
Shakespeare)
I
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Lo sapevo. Ecco l’odioso e spocchioso del mio capo con quel suo sigaro puzzolente tra le dita. Chi fuma più il sigaro oggi? Lui! Il ritratto del vecchio capo, del boss malavitoso a cui tutti portano rispetto. Se lo salutassi con un: Baciamo le mani
al posto di Buongiorno
non farei la vita che faccio, starei anch’io in ufficio e non sugli autobus. Ma nessuno gli dice niente? Chi è il responsabile della sicurezza? E’ vietato fumare in ufficio: la multa va dai 27 ai 270 euro. Ma tanto chi ha il coraggio di farglielo notare.
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Già, la denuncia… Io non so cosa mi stia succedendo.
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Questa la relazione sterile dei fatti. Ma quanta rabbia avevo io?
Io! Io! Io che ho salvato la vita a un bambino! Sono riuscito a frenare in tempo. Sono stato in grado di non centrarlo con una prontezza di riflessi che non è da tutti.
Io avrei voluto un cenno di riconoscenza dalla madre che invece ha preso il figlio in braccio e se l’è portato via senza neanche volgere lo sguardo.
Io credevo di ricevere un applauso da chi era sull’autobus. Io ho salvato la vita di un bambino! Io aspettavo quell’applauso, io volevo quell’applauso, io pretendevo quell’applauso e invece insulti, insulti, insulti. Sempre e solo insulti a noi autisti. Sempre e solo bastonate e fallimenti per me.
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Quel ragazzo: che coglione! Ha passato tutto il tempo a fare il gradasso e a importunare una ragazza, che neanche lo guardava in faccia, con uscite sgradevoli e battute sconce. Sono stato contento quando Giuseppe è salito sull’autobus per il controllo. Ci avrei scommesso le palle che non aveva il biglietto. Quanto ho goduto quando è dovuto scendere! La ragazza importunata ha tirato un sospiro di sollievo e si è fatta una bella risata quando il coglione è caduto con la faccia sul marciapiede.
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Abbozzo un sorriso, provando uno schifo profondo. Pure puttaniere!
II
Torno a casa.
Sono a casa.
Mi dico: Bene Cesare: la situazione è assurda ma vedi il lato positivo. Sei a casa! E’ vacanza! E vacanza per te vuol dire riposo.
Ho intenzione di dormire, il più possibile. Divano, accoglimi tra i tuoi grandi cuscini e abbracciami forte. Coperta, scaldami come nessuna donna ha mai saputo fare.
Mi distendo, chiudo gli occhi. Faccio fatica a prendere sonno perché la mente, nonostante il mio sforzo, non è serena, è inquieta ripensa alla situazione. Dopo un po’ di tempo però entro in quell’attimo meraviglioso in cui non sai se sei ancora sveglio e fantastichi o se già stai sognando, quell’istante in cui sei consapevole di essere un uomo che sogna. Proprio in quel momento, in cui con soddisfazione mi dico: Sì, ce l’ho fatta…
, suona l’odiosa suoneria del Samsung che dovrò decidere di cambiare prima poi.
Che nervoso! Rispondo.
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Disappunto, contrarietà.
I miei piani di riposo assoluto sono durati circa cinque minuti. Riuscirò mai a decidere io della mia vita?
Rabbia.
Poi però penso allo zio Alfredo e mi assale una profonda tenerezza per quell’essere pieno di vita che è e dico che andrò.
Ringraziamenti da mamma a non finire, commenti sul fatto che sono un bravo ragazzo e che la vita è stata ingiusta con me, cattiverie sulla mia ex moglie che non ha saputo comprendere la fortuna che aveva, leggera accusa sulle scelte sbagliate del passato riguardo le donne con cui non ho voluto iniziare una relazione, insomma…uno sproloquio che mi ha fatto venire il dubbio che il mal di testa in realtà non ci fosse e la certezza che lei sia stata la prima donna della mia vita che è riuscita a farmi fare ciò che ha voluto, sempre: non se la prendesse troppo con le altre!
Saluto, mi risiedo comodo sul divano, respiro, respiro profondamente. Andrò dallo zio ma adesso dedico qualche minuto a me e penso. Penso agli ultimi anni della mia vita, a come sia andato tutto a rotoli e, quando mi assale quel senso di infelicità che ultimamente mi fa visita troppo spesso, mi alzo per mandarlo via e vado in bagno a prepararmi.
Sono al pronto soccorso.
Vado all’accettazione.
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Volevo dire all’ipocrita impiegata che l’avevo saputo solo da una mezz’oretta e che ho cercato di fare il prima possibile ma avrei desiderato anche mandarla a quel paese perché tu che ne sai chi sono io e qual è la mia vita ma poi, guardandola negli occhi, ho capito che non me ne facevo niente della sua comprensione e allora me ne sono stato zitto.
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Informazione ricevuta, vado al reparto.
Medicina generale è un reparto triste: c’è un po’ di tutto, soprattutto anziani, tendenzialmente ci mettono quelli che non sanno bene cos’hanno o che non hanno problemi troppo gravi o che sono così gravi che non c’è più nulla da fare. Chissà perché han messo qua lo zio...
Giro l’angolo e un infermiere nerboruto mi fa presente, con una classe che corrisponde perfettamente al fisico che si ritrova, che me ne devo andare perché non è orario di visite. Spiego la situazione e, con un atto di magnanimità di cui probabilmente dovrò esserne riconoscente per tutta la vita, mi fa passare e mi spiega dove posso trovare il signor Beretta.
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Sorride.
Adoro mio zio e invidio il suo modo di affrontare la vita. Riesce a far sembrare tutto particolarmente leggero.
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Beccato come un bambino che ha appeno rubato le caramelle dall’alzata della zia!
Con un po’ di imbarazzo cerco di dare una spiegazione.
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Gli racconto tutto, del ragazzo catapultato fuori dall’autobus, della vecchietta caduta e mentre spiego, i suoi occhi si sgranano, diventano enormi, sembrano luccicare e sono fissi nei miei.
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Sento un brivido dietro la schiena. Cos’ho?!?! Mi manca il fiato per dire qualsiasi cosa. Ma è impazzito?!?!
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Sto per balbettare una richiesta di spiegazione ma ecco che arriva il dottore.
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Fuori dall’ospedale mi rendo conto che nella mia testa risuona ostinatamente il motivo I’ve got the power
e mi dico: Devi bere qualcosa, ma di forte.
III
Entro nel locale.
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Grande Luciano! Tu sì che mi conosci! Mi hai visto crescere. E’ per questo motivo che vengo da te non appena mi è possibile.
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Apre la bottiglia e magicamente parte una ballata folk con cornamuse che mi spaventa. Luciano ride.
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Sorrido. <
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Mi versa quest’oro liquido nel bicchiere, ovviamente non un bicchiere qualsiasi, ma uno che sembra essere stato fatto apposta per accoglierlo.
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<<…e olive.>>
<<…e che ne dici di un po’ di salmone, giusto per entrare bene nell’ambiente scottish.>>
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Porto il bicchiere al naso, inspiro: un intenso profumo dolciastro con un pizzico di fumo finale mi pervade. La musica suona dolce. Lo porto alle labbra: il sapore è pulito, con note di malto e torba, percepisco anche un leggero sentore di agrumi. E sto già meglio. La musica continua e io mi perdo tra le note. Un tremito mi pervade. Sarà la brezza delle Highland?
Mi abbandono alla mia immaginazione ispirata dalla ballata. Sono lì. Tutto è verde. Respiro, mi rilasso.
Dopo un tempo per me interminabile, torna Luciano con un vassoio: una ciotolina di patatine, una di olive nere e un piattino con tartine dall’aspetto accattivante. Ne prendo una. Deliziosa!
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Il vecchio zio, grande seduttore!
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Quando rialzo il viso, dopo aver parlato come al solito gesticolando, vedo Luciano con la bocca spalancata che mi guarda. Prende la bottiglia di whisky, lo versa nel primo bicchiere che gli capita sottomano e lo ingurgita.
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Caspita! Il tono usato mi dà un po’ fastidio ma, dallo sguardo che ha, non accetterebbe mai che gli dicessi un’altra volta. E mi rimetto di malavoglia a riferire quanto è accaduto.
Alla fine dei miei racconti, beve un altro bicchiere di whisky e mi chiede: <
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Un altro cliente ha bisogno di lui. Se ne va.
Tutti strambi oggi? Ma che succede? Mi sento un tantino disorientato e preso in giro, come quando da bambino i tuoi compagni fanno un gioco che tu non riesci a capire. Ho come la sensazione che tutti siano a conoscenza di qualcosa e io no! Che fastidio!!! Cerco di ritrovare quella serenità percepita prima per pochi secondi concentrandomi sulla musica, sul whisky, sul cibo. Faccio finta di riuscirci. Luciano non torna. Dopo aver finito tutto, chiedo il conto ma oggi ha deciso di offrire lui. Saluto ed esco dal locale.
IV
Mi siedo sul divano di casa e quasi mi viene voglia di piangere. Troppe tensioni. Tutti mi sembrano strani: ma l’unico normale rimasto sul pianeta Terra sono io? Il che è tutto dire ovviamente. Ho bisogno di calmarmi, sono inquieto. Ho bisogno di tornare in contatto con il reale, ho bisogno di una persona che mi faccia capire che va tutto bene: ho bisogno di mio figlio.
Chiamo la mia ex.
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Ci riesce sempre! E’ veramente talentuosa: riesce costantemente a farmi sentire in colpa, anche per una telefonata, per non aver messo lei al primo posto, per non averla adulata prima di chiedere del bambino. Certo che anch’io…insomma in tutti questi anni non ho proprio imparato niente? Perché non riesco a mettere in pratica un po’ di tecnica quando serve? Oramai conosco Beatrice molto bene, so cosa vuole, so come deve essere presa, potrei essere più accondiscendente!
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Ti voglio bene, Pietro.
Nella mia vita costellata di errori, tu sei stata la mia scelta migliore. Amavo tua mamma, adoravo tua mamma, era l’unica donna della mia vita. La mia vita era la sua, con lei ero veramente un unico essere. Ricordo ancora quando le ho