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Polittico del cinghiale mistico: Libro 2-Le metamorfosi. Libro 3-Picnic con Kalì. Libro 4-Atomizzando
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E-book396 pagine5 ore

Polittico del cinghiale mistico: Libro 2-Le metamorfosi. Libro 3-Picnic con Kalì. Libro 4-Atomizzando

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Info su questo ebook

Un polittico labirintico da cui si esce nuovi come da un percorso iniziatico, soltanto seguendo il cinghiale mistico.
LinguaItaliano
Data di uscita5 gen 2021
ISBN9791220313766
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    Anteprima del libro

    Polittico del cinghiale mistico - Scano Augusto

    info@youcanprint.it

    Polittico del cinghiale mistico

    Libro 2-Le metamorfosi

    Le metamorfosi

    Prota

    I

    Gli uomini intelligenti dovrebbero concedersi il lusso della stupidità, per sentirsi felici, ogni tanto. Eccone un altro. Un altro di quei messaggi del cazzo che gli mandava Camillo. Camillo Bottoni. Diciassette anni. Disturbato mentalmente. Molto disturbato. Lascia stare le categorie del DSM, per esteso: Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, la bibbia degli psichiatri, come recita il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, in acronimo: CCDU. Testo sacro comunque e sempre, pure per quegli psichiatri che si dichiarano atei. Tu, però, lascia stare, ti dico. Lascia stare le categorie. Strappale via da te. Insieme alla vanità (e a quanto ti dà scandalo).

    Come diceva Pasolini, leggendo Pound a Pound. Pound che faceva il verso ai vangeli. E di pazzia quei tre (Pasolini, Pound ed il Gesù dei vangeli) anche se in modi diversissimi, se ne intendevano davvero.

    -Chi è?

    Gli domandò Ramona. Senza muoversi. Restava sotto le coperte. Immobile e nella medesima posizione in cui aveva presumibilmente dormito, fino allo scampanellio elettronico che aveva segnalato l'arrivo del messaggio sul telefono di Giano.

    -Indovina?

    -Lui?

    -Sì.

    -Ma che vuole ancora? Il tuo corso di scrittura è finito da mesi. E, se dio vuole, non ne farai altri, almeno non per guadagnare la miseria che ci hai sempre guadagnato.

    -E' proprio questo il problema di Camillo. Non accetta che il corso non ci sia più. Quel ragazzo è eccezionale. Ma è delicatissimo, un cristallo.

    -Non sei il suo psichiatra, non sei suo padre, e adesso non sei nemmeno più il suo insegnante di scrittura. Ammesso che una cosa del genere si possa insegnare.

    -Infatti era un corso di espressione attraverso la scrittura. In altri tempi l'avrebbero detta arte terapia.

    - …tutte quelle balle sulla fantasia…

    Ramona canticchiò Sergio Caputo. Si sollevò sul gomito destro. Continuava a voltare la schiena a Giano che volle ribattere:

    -E poi psichiatra lo sono stato…

    -Sei anche stato radiato dall'albo.

    -Padre lo sono ancora.

    -Non vedi i tuoi figli da anni perché sono loro a non volerti vedere.

    -Grazie.

    -Prego. Devi smetterla di farti carico dei problemi degli altri. Ne hai già abbastanza di tuoi. Ed io ne ho tanti per colpa tua. Ti accuserei di avermi rovinato la vita. Ma sono troppo onesta per non sapere che la cogliona sono stata io a lasciartelo fare.

    -Verissimo.

    Giano posò l'i-phone sul comodino. Un altro giorno era iniziato. Certo che era ancora notte, ma lui s'era svegliato e, quindi, notte o giorno che fosse, la giostra della giornata era partita, nessuno avrebbe potuto fermarla, l ultimo giorno prima della scadenza. Né proroghe, né remissione dei debiti, forse dei peccati, ma quelli non erano mai stati una preoccupazione per Giano. Giano Bonafede. Detto da tutti, da quasi tutti, il Prota. Da dove gli venisse questo soprannome, per quale ragione o per quale follia se lo fosse meritato, o per quale gioco senza movente glielo avessero affbbiato, forse te lo dirò più avanti. Tu ricordatene e, se ne hai voglia, ricordami di spiegartelo. Un altro breve trillo notificò che Camillo aveva messaggiato ancora. Ramona scansò le coperte. Si sollevò e si girò seduta sul lato del letto. Mise i piedi dentro le ciabatte.

    -Entro la mezzanotte di oggi devi restituire il milione di euro. Quella è gente cattiva, Giano.

    -Una che chiamano il Cigno non può essere cattiva. Non del tutto. La immagino più come una etoile. Cajkovskij. Il lago…

    -Quanto hai messo insieme?

    Giano rimase zitto. Al buio ci si sta bene zitti. Si può credere di essere diventati invisibili. E lui aveva una voglia matta di poter diventare invisibile. Certo che sarebbe stato meglio riuscire a sparire, ma anche diventare invisibile sarebbe già stato qualcosa. Ramona insistette.

    -Quanto?

    -Tremila.

    Ramona, Ramona Dari si alzò e si mise una coperta sulle spalle.

    -Dove vai, Rabota? E' buio.

    -Vado a pisciare. In bagno accenderò addirittura la luce. Contento? E smettila di chiamarmi così. Lo sai che non lo sopporto.

    Giano o il Prota, se preferisci, prese il telefono e lesse quanto gli aveva scritto Camillo.

    II

    Il Prota o Giano o… fai tu, guardò fuori. Pioveva.

    -Il vetro vecchio della finestra era screziato per le gocce di pioggia invase dai raggi occasionali del sole che si consumava, con dosi massive di opacità,

    fino allo sfinimento, fino all overdose della poca luce.

    Prima di essere riuscito ad impedirselo gli era capitato di dirlo, come lo avrebbe detto il suo prodigioso allievo Camillo. Il diciasettenne favoloso e pazzo. Pazzo come un tacchino pazzo. A Giano ultimamente veniva automatico di pensare, di dire e di giocare con le parole e con i modelli sintattici di quell'adolescente che, in pratica, lo stalkizzava da settimane. E gli succedeva velocissimamente. Giano non aveva il tempo di censurarsi il cervello finel raccontarti la verità, io stesso imiterò sovente quella cifra stilistica caricaturale, arrivando talvolta a parodiarne l'eccessività in una ridondanza senza misura), la cosa lo faceva incazzare. Ma…

    -L'incazzatura è la vittoria dei perdenti.

    Disse, prima di mordersi la lingua. Sulla superficie del vetro la pioggia faceva i suoi disegni. Ci si potevano leggere immagini, simboli e quanto concede di fantasticare la noia. Ma Giano non ne aveva voglia. Odiava la semiotica e di più: il simbolismo. Un disprezzo speciale lo riservava all'esoterismo. Il suo discepolo Camillo, dalla clausura del suo classismo cognitivo e dal monolocale del suo disagio psichico, avrebbe detto che anche l'esoterismo, per paradosso, è diventato di massa. E il Prota aggiunse, sottovoce, rauco, da sembrare in trance:

    -Non bastava la stampa a togliere potere al sapere. Doveva arrivare pure internet e l'era digitale che ha sorpreso l'umanità nella fase più acuta della volgarizzazione, dopo decenni di alfabetizzazione di massa e delle masse, queste precipitate al basso. Altro che analfabetismo di ritorno. Questo è analfabetismo di andata. Di sola andata. Beati i sapienti che impartivano i loro insegnamenti nascosti dietro la tenda, il sipario del mistero che pro tegge la conoscenza, il teatro della sapienza ed i suoi attori che recitano invisibili. Un solo sguardo profano alla verità nuda acceca e a pochi tocca in sorte la disgrazia nobile di diventare un Tiresia, un Omero, un Edipo, un Borges, un Polifemo; ai più resta la cecità, l'accattonaggio e la speranza nei progressi della oftalmologia.

    Rimase a guardare il temporale dal secondo piano di quel capannone industriale dismesso dove viveva abusivamente da tre anni. Quella là fuori era via Affogalasino. E l arcobaleno tra i tetti che appariva e scompariva era l'arcobaleno di quella via.

    Aveva cercato sul web il perché di quel nome. Il fascino pruriginoso della toponomastica. La prima scuola di pensiero voleva il nome dovuto ad un asino affogato in quel torrente che secoli fa finiva nel Tevere e che oggi, come tanti suoi colleghi, scorre interrato. I corsi d'acqua sono costretti ad una involontaria natura carsica, come i pensieri sinceri alla traduzione nelle parole dell'ipocrisia. La seconda scuola, la più divertente, faceva derivare il nome dal dio dei cristiani, rappresentato in età classica con la testa d'asino. A suffragare l iconografia dei detrattori romani della nascente religione mediorientale, veniva evidenziato il ritrovamento presso il Palatino di un Cristo in croce, inscenato con testa d'asino. Quale ulteriore riprova dell'identificazione classica tra i primi cristiani e l asino, si aggiungeva un altra consistente pertinenza: alcuni cristiani venivano affogati proprio in quel lago nella zona della Magliana dove sarebbe poi stata la moderna via Affogalasino. Sotto la superficie di ogni lago, ghiacciata per l inverno denso della nostra contentezza, stanno i cadaveri ed i segreti ed i misteri che ne sono il fondo di melma viscida. E' questo a solleticare la punta del piede della nostra ragione, quando si prova ad indovinare il fine di qualcosa. Certo: i più avvertiti potrebbero obiettare citando la festa medioevale dell'Asino, nell'esegesi che ne fa Guenon. Tirando in ballo il rovesciamento dell'ordine e delle gerarchie, con tanto d'asino messo nel coro della chiesa e di alti prelati che gli si prostrano esibendo devozione. Ma sbaglierebbero. A Guenon l acrobata accade il più delle volte di afierrare il trapezio dell errore, dopo aver sfarfallato, in cerca vana di un appiglio, le braccia deboli del suo pensiero precotto nel vuoto della superstizione, mentre precipita nel nulla, dolcissimo. Non è satanico l asino. Né il bue è segno del bene, se non per la Pasifae di turno e per i massoni più creduloni. Sulla bontà dei cornuti in genere ci sarebbe poi da disquisire, per almeno quaranta giorni. Ciò alla faccia di ogni presepe dimentico della complessità delle cose. L'asino, nero o bianco che sia, è sempre sapienza. La si può cavalcare o esserne sodomizzati. Anche nel secondo caso con godimento, anzi, diciamolo, con gaudio. Satana è quanto è stato sottomesso, relegato nella cantina dell'immaginario collettivo che è l'inconscio frutto della collettivizzazione staliniana della cultura, un tempo elitaria dell'umanità. Il merito del cristianesimo è stato quello di aver mantenuto in vita Satana. Senza il cristianesimo questa idea bislacca non avrebbe avuto la medesima fortuna. Il Prota alitò sul vetro e sulla condensa scrisse 3000.

    -Tremila euro. Me ne mancano novecentonovantasettemila. Rabota ne potrà mettere insieme non più di diecimila. Sono già morto. Posso solo augurarmi che il Cigno non voglia farmi soffrire. Ci vorrebbe un miracolo o… un'apocalisse.

    Sussurrò a se stesso. E da chi altri avrebbe potuto pretendere comprensione comprensione che non arrivò. Né nella forma alta della compassione, né in quella bassa della pietà. Si era diventato insopportabile. Il Cigno non gli avrebbe concesso dilazioni. E perché avrebbe dovuto? Chi era lui per meritarsi un trattamento diverso da quello riservato a tutti gli altri? Il Cigno, oppure, se ti piace di più: Vittoria Penna. Bella pensò il Prota. Ma… bella come un mostro precisò. Severa, anzi, severissima, però giusta. Pelosa, a detta di quelli che hanno conosciuto la sua intimità. Pochi sono ancora vivi. Nessuno tra quelli che se ne sono vantati. Smise di parlarsi dentro la testa. Un'onda di silenzio, di altezza ed intensità mal calcolata, lo colpì in pieno e lo bagnò di buio. Giano franò con le ginocchia sul pavimento e, laggiù, si ritrovò a piangere.

    -Chi cazzo me l ha fatto fare? Che stronzo perché? Sono morto e non voglio, non voglio morire…

    Tinnì il telefono. Il Prota si alzò. Andò a controllare il display. Avrebbe preferito un aggiornamento di Ramona. Dovette constatare che il messaggio era invece di Camillo Bottoni. Andava bene pure Camillo. Ad un certo punto della vita, una nemesi vale l'altra. Giano si strinse nelle spalle, sollevò le sopracciglia. Si atteggiò nella posa dell indifferenza. Finse di fregarsene di tutto. Ostentò un mistico non attaccamento alla materia di cui era fatto.

    Ma non si può bluffare con se stessi, non dopo essersi promessi per anni cose senza mai mantenerle, millantando facoltà ed aspettando il realizzarsi di possibilità inarrivabili. Così la materia di cui era fatto lo addentò con il morso doloroso che è la consapevolezza dell'imminenza improcrastinabile della propria morte; lo reclamò alla paura e l'ascetico non attaccamento si mostrò per quel che era davvero: un concretissimo gatto inferocito attaccato allo scroto della mortalissima ed unica ed irripetibile vita.

    -Il Cigno!

    Urlò quasi. Non gli rimaneva che distrarsi e concentrarsi su quel nome.

    La triviale voluttà dell'onomastica. Meglio: la goduriosa ermeneutica dei soprannomi. Il telefono lo aveva ancora in mano. Sedette sull'unico pouf al centro dell'unico ambiente di cui era composto quel cubicolo striminzito che qualcuno avrebbe avuto l impudenza di definire loft e che lui chiamava sarcastico il mio living. Giano o il Prota, se preferisci, scrutò il telefono, ci strofinò sopra i polpastrelli. Lesse quanto gli aveva scritto Camillo.

    III

    A Mezzogiorno in punto Ramona chiamò Giano. Lo attaccò con violenza.

    Violenza verbale. Al telefono ci si deve accontentare. Sibilò, lei faceva così.

    -E' l'ultima volta che mi faccio il culo per te. Letteralmente.

    Il Prota ascoltava, in silenzio. Sapeva di dover tacere. Ogni pur timido fonema avrebbe peggiorato lo stato già putrefatto delle cose. Ramona gli confermò di aver messo insieme settemila cinquecento euro. Contava di farne almeno il doppio prima di mezzanotte. Chiedere un prestito ad altri strozzini per saldare e guadagnare tempo era impossibile. Gli strozzini, quelli in grado di fornire una cifra così alta in così poco tempo, lavoravano tutti per il Cigno. I piccoli, gli indipendenti conoscevano Giano e la sua situazione; non avrebbero potuto, anche volendo, aiutarlo. Anche volendo.

    Nessuno vuole mai quando dice: anche volendo. Il Prota lo sapeva. Non c era più tempo. O meglio, di tempo ce ne era un infinità, sparso ovunque, come la sabbia sulle spiagge del mondo, come l'arenario in cui è atomizzata la ricchezza umana, ma non riguardava più Giano. Era Giano, infatti, a non averne più. Morire asfissiato con un sacchetto di plastica legato sul collo, non significa che l aria sul pianeta non ci sia. Ce n è, eccome, fuori dal sacchetto, ma quella dentro il sacchetto è finita. Tutto qui. Erano le ultime ore della sua vita. Il Prota non ce la faceva a rassegnarcisi. Chi ci riesce? A parte quelli che soffrono talmente da non poterne più? Le ultime centinaia di minuti. Una vita. Stupida. Tutte ci sembrano stupide quando le guardiamo sporgendoci dal davanzale dei momenti estremi, scoprendo la nostra morte che ci saluta con la sua manina scheletrica da laggiù, sul fondo del cortile dove stiamo per sfracellarci. Macabra sega è il pensiero forzoso con il quale cerchiamo un senso almeno per quella manina santa. La nostra morte. È gentile. Ci ha sempre fatto credere, finché le è stato possibile, di essere la nostra morte. Solo nostra. È stata la madre insana, quella che ci giura di voler più bene a noi e che sì, d accordo, anche agli altri suoi figli, ai nostri fratelli… va bene, però noi… No. La morte è quella di tutti. Sempre la stessa. Pubblica. Niente è privato nella nostra vita. Meno che mai lo è la morte. Tutto è ostentato, nella sobrietà dell indifferenza.

    -Rabota…

    Mormorò Giano. E la rivide come l'aveva vista le prime volte. Innamorata.

    Con ogni gesto dichiarava di aver fiducia in lui, di credere in lui, nel futuro che avrebbero costruito insieme, l'uno donato all'altra, l'altra donata all'uno.

    Ramona, allora piena di quella cosa che lui aveva impiegato anni a toglierle, la gioia. Lui l aveva ammalata. Era stato la muffa dell anima di Ramona. L anima? Dai, fai finta che un anima ci sia. L aveva corrosa, da dentro. Il Prota era riuscito nell'operazione per niente facile di torcere il capo all'amore, perché questo mostri la maschera dell odio che ha sulla nuca. Oggi Ramona, invecchiata male, ancora bella, più di lontano, come la speranza, ma artefatta.

    Stanchissima. Non aveva più né curiosità, né voglia. L abitudine la mandava avanti a spinte violente: cercare quattrini, ogni giorno, per i debiti che Giano produceva con una costanza professionale, nella stupefacente facoltà di ripetere l'errore e di compierlo tutte le volte più grave. La vera disgrazia di un uomo è spesso quella di non capire d'essere un fallito e di aver giocato tutte le sue carte, perdendo. La mitologia sociale ci ha farcito il cervello con slogan sul rialzarsi sul provarci ancora sul non arrendersi mai. È mitologia.

    Serve per dare fede alle persone, non perché la favola che racconta sia vera.

    Il core business dell'azienda società è la fede, meglio se cretina, persino una fede così ridicola come quella in se stessi. Senza fede si ferma tutto. Il pupazzo mondo si sgonfia e s affoscia in terra. E tutto torna reale. La fede è il feticcio più potente dell'uomo. La sua magia nera. Invece, la vera disgrazia di una donna è innamorarsi di un uomo che non comprende di essere un fallito e di aggiungere a questa già notevolissima s figa, anche la morbosità di credersi in grado di cambiare quell uomo e di (incantesimo fallato ed afiizione dell eterno femminino) salvarlo.

    -Grazie, lo stesso. Grazie. Sei l'unica donna che…

    -Vafianculo.

    Giano rimase col telefono in mano. Il display tornò a farsi ombroso, divenne buio.

    Rieccolo subito allumarsi con la sonorità di un messaggio. Camillo

    Bottoni aveva scritto a Giano. Camillo aveva scritto ancora. Il cielo là fuori non prometteva niente di buono, oltre la densissima oscurità del temporale. Il cielo promette soltanto quello che non saprà mantenere. È un bugiardo patologico, il cielo. Se glielo rimproveriamo, dice che siamo noi ad aver frainteso, ad aver capito male quello che ci ha detto; anzi, che, in verità, lui non ci ha detto proprio niente. Siamo noi ad aver mal interpretato il suo silenzio. E, se insistiamo, alla fine, senza preoccuparsi di dover dar sfoggio di pazienza, né, men che mai, di pietà, perché arrivati al punto, a quel punto, solo di pietà si tratta e di fare pena a qualcuno ed a se stessi, anche il cielo, giunti al punto, distrattamente, ci manda a fare in culo. Giano o il Prota, se preferisci, vellicò con la punta del pollice la pelle vitrea del suo telefono, che squittì uno scampanellio. Lesse quanto gli aveva scritto Camillo.

    IV

    Qualcuno stava bussando alla porta. Il Prota lo sentì, si svegliò. Si accorse così di essersi addormentato leggendo l'ultimo messaggio di Camillo. Si appropinquò all'uscio. Sommesso:

    -Chi è?

    -Sono Loredana, signor Giano. La mamma di Camillo.

    Giano fece scorrere i tre chiavistelli che si illudevano di proteggerlo dalla crudeltà del mondo. Lui sapeva che trattavasi, appunto, di un'illusione, neppure pia, ma non se la sentiva di spiattellare la cruda o cotta realtà in faccia a quei miseri chiavistelli arrugginiti e malconci che cercavano soltanto di svolgere al meglio la loro mansione. Onesti lavoratori in una fabbrica di ingranaggi al servizio della globale disonestà.

    -Buongiorno, signora.

    Disse in controluce, nel barbaglio dello spiraglio dell'anta socchiusa.

    -Scusi se sono venuta qui a casa sua. L'indirizzo una volta me l'ha detto

    Camillo che lo conosce.

    -Immagino. Senta, signora, non è per scortesia, è che questa per me è una giornata particolare e non posso dedicarle il tempo necessario. In un'altra circostanza l'avrei molto volentieri fatta accomodare e avrei ascoltato quanto ha da dirmi…

    -Solo cinque minuti.

    -Signora, mi creda…

    -E per mio figlio. Credo sia in pericolo.

    -Non è il solo…

    -Non faccia lo stronzo.

    La signora Loredana perentoria, all improvviso. Fu la vampata di un momento (poi via di nuovo verso il vento? No… ), poi il suo sguardo tornò alla consueta assenza, distratto com'era mentre esplorava altrove, non che fosse strabica, era che una parte consistente del suo pensiero aveva il baricentro in un punto chissà dove lontano. Giano aprì la porta.

    -Venga.

    Loredana Bottoni si infilò nella stanza con passo da girafia.

    -Posso offrirle un caffè. Non ho altro.

    -Un caffè è perfetto.

    -Si sieda pure sul pouf e mi dica tutto, intanto io preparo.

    La Bottoni osservò con diffidenza il pouf. Fantozziane reminiscenze la dissuasero dal mettercisi sopra. O altre paure inconfessabili e ben più serie.

    Fobie singolari, come quella per la singolarità. Fobie originali, come quella per il peccato. Così rimase in piedi. La grossa borsa a tracolla. Il piumino giallo. Il maglione nero come i fuseaux e come gli anfibi ai piedi. Il Prota la osservò meglio. Non era brutta, anzi. Trasandata. Stanca. Riccia. Puzzava un po', appena un po', di sudore. Ogni tanto un tremolio elettrico, non blu, le attraversava le dita delle mani.

    -Che c'è?

    Chiese, sentendosi scrutata.

    -Niente, signora. Aspetto che lei mi dica cosa succede a Camillo.

    E Loredana raccontò al Prota di come, da quando era terminato il corso di scrittura, il figlio fosse caduto in una depressione nerissima.

    -Non esce, non comunica più nemmeno con me. Ci parli lei. Lui la stima, l'ascolterà.

    Prese dalla borsa immane una cartella e la consegnò a Giano. Gli confermò quanto lui aveva immediatamente temuto: lì dentro c'erano cose scritte da Camillo e lei voleva che lui le leggesse.

    -Lo aiuti e mi aiuti.

    Quindi gli parlò della malattia cardiaca che la perseguitava da quando era bambina.

    -Se dovesse perdere me, chi si prenderebbe cura di lui?

    -Signora, quanto mi sta dicendo mi addolora, ma deve capire che ognuno di noi ha i suoi problemi, enormi problemi. Ed io…

    -No, aspetti, mi faccia finire. Ho messo da parte un po di soldi per portare via Camillo, allontanarlo dal mio compagno che non lo ha mai sopportato e lo maltratta.

    Giano, già più disponibile.

    -Maltratta anche lei il suo… compagno, signora?

    -Sì. Picchia entrambi. Me e mio figlio.

    Il Prota assunse la domestica aria professionale, terapeutica, psichiatrica.

    Le cinque rughe sulla fronte che aggrottò con maestria, erano già il pentagramma dove chiunque avrebbe riconosciuto le note della musica che accompagna il giuramento di Ippocrate.

    -Da quanto tempo?

    -Da due anni. Credo che la violenza sia colpa del suo lavoro. Con ciò non intendo minimamente giustificarlo.

    -Quanto zucchero, signora?

    -Amaro. Grazie.

    -Abbiamo una cosa in comune. Che lavoro svolge quell'uomo?

    -Fa l esattore per una società di recupero crediti.

    Il Prota deglutì.

    -Per conto di un grande gruppo che opera in tutto il mondo.

    Si affrettò a precisare Loredana Bottoni che aveva letto sul viso di Giano un annuncio di malore.

    -E comunque la capa di Demetrio è una donna, e delle donne ci si può sempre fidare, vero?

    Il Prota ebbe una vertigine. Loredana lo sorresse e lo aiutò a raggiungere il pouf dove lo lasciò sprofondare. Demetrio Fallocco, una delle tante nerborute braccia della piovra che era Vittoria Penna, alias il Cigno.

    -Lui sa che lei è venuta da me?

    -No, non glielo avrei mai detto. Lui non vuole che io mi occupi di Camillo. Dice che è una guerra persa. Figurarsi se sapesse che ho intenzione di spendere i miei risparmi per aiutare mio figlio figurarsi se sapesse che ho dei risparmi.

    Giano tossì e si sollevò seduto, più compostamente.

    -Quanto?

    -Quanto cosa?

    -Quanto ha messo da parte, signora?

    -Quasi ventimila euro.

    Il Prota fu per lasciarsi crollare di nuovo quasi sdraiato, ma si trattenne.

    Restò composto nell'incontinenza invisibile dei pensieri. Solo un'apocalisse ci può salvare, mi può salvare, altro che un altro dio, Heidegger dei miei coglioni! Ebbe a pensare. "L'importante è che stanotte mi salvi io, afianculo l Occidente e i suoi viziatissimi figli inetti e rincoglioniti.

    Decenni senza guerra e questo è il risultato: tre generazioni, una peggio dell'altra, incapaci di guardarsi allo specchio e di riconoscere le proprie deficienze per superarle o per accettarle, i migliori esiliati e odiati, in fuga verso un estero amico e astuto che li accoglie come fuggiaschi e salvi dal fallimento italiano, i mediocri fatti arroganti dall'idea maligna ed infondata di possedere almeno un'anima e per giunta immortale. Le bombe fanno male a chi ci crepa sotto, ma bene a quelli che restano vivi dopo aver visto. L'apocalisse, meglio di una passeggiata al cimitero, è davvero la scuola dei pensieri migliori…. "

    -E' troppo poco?

    -Che?

    -Le chiedevo se ventimila sono pochi per aiutare il mio Camillo?

    Erano comunque altri ventimila, certo la signora non li avrebbe sganciati tutti insieme e non facilmente. Sommato a quanto contava di raccogliere prima della mezzanotte, non gli avrebbero consentito di arrivare nemmeno a cinquantamila, ma era un principio, era un biglietto della lotteria per sperare di vincere la clemenza del Cigno e guadagnare tempo, qualche altra ora, forse... bisognava tentare.

    -Li ha qui con sé, signora?

    -Certo.

    Disse Loredana e diede una sculacciata alla gigantesca borsa.

    -Quasi dimenticavo…

    E disse a Giano dello strano invito ricevuto dal figlio per partecipare alla cerimonia di premiazione per un concorso letterario.

    -Un grande premio in denaro. Io nemmeno sapevo che il mio Camillo avesse partecipato ad una cosa del genere.

    -Quanto?

    -Un milione di euro.

    -Possibile?

    Giano lo chiese a se stesso, ma rispose Loredana.

    -C'è scritto così. E' stata una gara ad esclusione. Con un solo vincitore.

    Dove gli esclusi sono stati sacrificati. Che intendono per sacrificati, secondo lei?

    -Strano.

    -E' quello che ho pensato anche io. Secondo me è uno scherzo. Inoltre è strano pure il biglietto di invito alla cerimonia della premiazione.

    -Perché?

    Loredana porse al Prota il cartoncino. Giano lo studiò. Era una riproduzione a china di un quadro. Il cui originale veniva indicato, nella minuscola didascalia sul fondo estremo del bigliettone, nelle sue dimensioni reali, senza che ne fossero precisati titolo, autore, epoca, tecnica. Una madonna con bambino, ma entrambi, sia la madonna che il pargolo, erano mostruosi, mostruosamente belli. Vedendogli negli occhi il cruccio e ritenendolo attribuibile alla scarsezza dei soldi offerti, Loredana Bottoni, per allontanare

    Giano dal ghiaccio scivoloso del dubbio, aggiunse alla sua proposta commerciale anche la totale disponibilità del suo corpo.

    -Cosa?

    -Non è mia intenzione offenderla, signor Giano.

    -Non è questione di offendersi, signora. Mi parrebbe indecoroso, tutto qui, oltre che ridicolo.

    Loredana abbassò lo sguardo, fino a che, dopo tanto ondeggio di piuma, si depositò quale ulteriore pulviscolo sul pavimento. Atteggiò le labbra ad un broncio involontario, commovente.

    -Allora le chiedo scusa.

    Il Prota trovò la forza di alzarsi dal pouf. Spiegò che non c'era nulla di cui doversi scusare. Che il piccolo fraintendimento era già chiarito e che l'unica preoccupazione di entrambi doveva essere quella di far star meglio

    Camillo. Loredana gli poggiò la fronte sul petto. Come recitava il cantastorie antico e come recita ancora ciascun coscienzioso cazzaro moderno, dando lo snodo alla favola sozza che tutti ci illuse, in un battibaleno Gia no si ritrovò con le chiappe nude sul pouf, le braghe calate al ginocchio, a contemplare quell ennesima donna genuflessa nella silenziosa liturgia della fellatio. Giano lasciò che i pensieri gli si disperdessero, branco di cavalli incitati appena il recinto viene

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