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Yoga e alchimia: Alla ricerca della pietra filosofale interiore - Samadhi e Rubedo: il paese delle meraviglie
Yoga e alchimia: Alla ricerca della pietra filosofale interiore - Samadhi e Rubedo: il paese delle meraviglie
Yoga e alchimia: Alla ricerca della pietra filosofale interiore - Samadhi e Rubedo: il paese delle meraviglie
E-book306 pagine4 ore

Yoga e alchimia: Alla ricerca della pietra filosofale interiore - Samadhi e Rubedo: il paese delle meraviglie

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Info su questo ebook

Cos’è la felicità? Come si può raggiungerla? Questo, dalla notte dei tempi, lo scopo della vita, anche se le vie per raggiungerlo parlano linguaggi diversi. Alchimia, yoga, scienza, religione, psicologia. Divino, energia, flusso, samadhi, rubedo. Un viaggio tra lo yoga e l’alchimia alla ricerca dei punti di contatto tra discipline apparentemente diverse, per rendere attuale il loro fine e, nel concreto, applicarlo alla vita di tutti i giorni: la trasformazione interiore delle nostre ombre. Senza fingere di non aver bisogno di conferme che sazino anche la nostra fame logica, è possibile mettere a tacere domande prettamente razionali, trovando nella pura gioia di vivere le risposte che tutti cerchiamo. Come? Integrando e trascendendo tutte le nostre parti, senza ficcarle nell’ombra e così arrivare alla vera felicità. Solo accettandoci, e accettando, possiamo bruciare ciò che ci rende schiavi dei nostri schemi di pensiero, delle nostre abitudini auto-sabotanti, delle nostre frustrazioni, delle nostre paure. Solo dissolvendo tutto questo possiamo rinascere dalle nostre ceneri. E, come la fenice, tornare a volare.
LinguaItaliano
Data di uscita12 gen 2021
ISBN9788863655803
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    Anteprima del libro

    Yoga e alchimia - Valentina Nizardo

    Kevalam.

    PARTE I

    LE ORIGINI DELLO YOGA

    DOVE E QUANDO

    LA NASCITA DELLO YOGA: TRA MITO E REALTÀ ALLA SCOPERTA DI QUEL MODO DI ESSERE E PERCEPIRE LE COSE CHE RENDE LA VITA MAGICA E DEGNA DI ESSERE VISSUTA OGNI GIORNO NEL SUO SPLENDORE

    Sebbene le datazioni siano molto incerte, quello che si può sapere dalle prime testimonianze è che la tradizione dello yoga ebbe origine dalle due principali tradizioni spirituali dell’India, la vedica e la tantrica, il cui confluire in un unico percorso ha portato a fondere gli aspetti più meditativi della prima con quelli più concreti della seconda.

    Ma andiamo con ordine.

    Già intorno al 5000 a.C. nella valle dell’Indo esisteva una civiltà sorta attorno a due centri, Mohenjo e Harappa, l’odierno Pakistan; qui sono stati ritrovati i primi simboli legati allo yoga, amuleti e tavolette raffiguranti figure umane in posizioni yoga e circondate da animali.

    Questo a conferma del fatto che tecniche per lo meno simili allo yoga esistevano ed erano già praticate in epoca pre-ariana.

    Le popolazioni che vivevano in queste zone avevano una cultura animistico sciamanica le cui conoscenze, nelle epoche successive, furono riprese, tramandate e rielaborate dai vipra, i saggi che avevano studiato e che affiancavano gli altri gruppi sociali (il concetto di casta è ben lungi dal rispecchiare quello di varna-ashrama, comparti sociali, in cui si suddivide la società indovedica) e che ricercavano un senso delle cose più profondo e speculativo.

    Su questa scia filosofica attorno al 1500 a.C.¹ sono stati redatti, anche se tramandati solo a voce,² i Veda, paragonabili per importanza al nostro Antico Testamento: trasmessi direttamente dal Brahman, la coscienza cosmica che tutto governa, ai rishi, i saggi che la assimilarono in stato di ispirata contemplazione, in essi si ritrovava esplicitata tutta la visione del mondo indovedico. Per poter diffondere il messaggio in essi racchiuso, essendo un po’ troppo aulico, la letteratura in essi rivelata (shruti) venne poi messa per iscritto in altre opere (le smriti) di maggiore fruibilità per essere trasmessa e divulgata – si pensi a quelle delle Itihasa, i poemi epici Ramayana e Mahabharata, di cui fa parte la Bhagavad Gita che altro non è che una grande metafora di ciò che i Veda racchiudevano sotto forma di riti atti a mantenere l’ordine cosmico.

    Probabilmente, quando le due culture tantrica e vedica si fusero, diedero luogo alle Upanishad in cui si manifestò la fusione delle due correnti. Le Upanishad, le sedute col maestro, rappresentano l’anello di congiunzione tra smriti e shruti e danno il là alla speculazione filosofica che si concretizzerà nei 6 sistemi di pensiero ortodossi (darshana).

    Ma è proprio in questa fusione che si nota che qualcosa era preesistente alla cultura vedica appunto, qualcosa di animistico e magico, più legato a concezioni mistico religiose che si ritroveranno nell’induismo vero e proprio.

    Come avvenne questa fusione?

    Si narra che, tra il 2000 e il 1000 a.C. (ma i maestri tantrici dicono nell’8000 a.C.) nomadi provenienti probabilmente dall’Asia centrale invasero la valle dell’Indo fondendosi con le tribù che lì vivevano (Dravidi, Mongoli, Austrici): erano i cosiddetti ariani (in sanscrito àrya, persona rispettabile).

    Era un popolo nobile di cacciatori e pastori che venerava il fuoco e praticava già culti divinatori.

    Il loro sistema sociale era basato su quello che poi l’Occidente definì caste e si fuse con quello della cultura tantrica di Lord Shiva, dando vita a quella parte delle smriti definita appunto Tantra: un insieme di testi che contengono le dottrine degli adepti al tantrismo (hindu, buddhisti e jainisti).

    Le due culture si mescolarono quindi dando luogo a qualcosa di davvero magico che probabilmente non si sarebbe avuto se questa fusione non fosse capitata: da un lato il distacco proposto dalla cultura vedica e dal suo yoga (il raja) trovò un bilanciamento nella visione tantrica della vita, più legata al corpo, che cercava appunto tramite esso e la sua cura di trovare un modo per avvicinarsi alla divinità.

    Secondo Mircea Eliade, lo yoga è un sistema ideato dall’India aborigena e non dalla cultura vedica […]. Le origini dello yoga, seguendo quanto espresso dallo storico delle religioni Eliade, sono quindi collocate nella cultura di quel variegato mondo autoctono che la migrazione indoariana incontrò, dispiegato negli strati più popolari [probabilmente i seguaci di Shiva e del tantrismo]…

    René Guénon sottolinea come lo yoga, pur mantenendo le proprie radici nell’induismo, mantenga una propria valenza universale, indipendentemente dai sistemi delle credenze religiose.³

    La leggenda narra che fu proprio Shiva Nataraja, il danzante, a regalare sotto forma di danza alla sua compagna Parvati questa cura del corpo che avvicina l’uomo a dio, lo yoga appunto.

    Una volta che questi due modi di interpretare la vita sfociarono nell’induismo, nacquero le 6 suddette scuole di pensiero post vedico-tantrico ed è proprio in esse che lo yoga – e l’ayurveda – venne formalizzato. Queste 6 darshana⁵ erano considerate astika (ortodosse) dato che riconoscevano l’autorità dei Veda ed è grazie a loro che lo yoga ha potuto trasformarsi, essere tramandato e arrivare ai giorni nostri nelle sue varie forme.⁶

    I primi riferimenti scritti ed espliciti allo yoga come cura di anima e corpo, appaiono in opere come il Bhagavata Purana, la Bhagavad Gita e negli Yoga Sutra di Patanjali (una delle sei scuole astika).

    La formalizzazione dei diversi tipi di yoga, che già appare negli insegnamenti di Krishna ad Arjuna nella Bhagavad Gita, sfocerà nel Bhakti yoga che trova le sue radici nel concetto di upasana kanda (la sezione della conoscenza vedica dedicata al culto spirituale) che si concretizza nel Bhakti marga, il sentiero della devozione amorosa. Questo è il modo più consono alla nostra epoca, quella di Kali, secondo la divisione ciclica del tempo in ere o yuga, per mantenere vivo l’ordine cosmico: la via del cuore e della devozione, quella che prese il sopravvento avendo echi anche nella filosofia buddhista, che a sua volta, pare, cercò per prima di sistematizzare il pensiero tantrico.

    In questa età di ferro, età di Kali […] gli uomini vivono solo pochi anni, sono sempre irascibili, pigri, disorientati, sfortunati e soprattutto continuamente turbati. — (Bhagavata Purana I.1.10)

    Quest’epoca vede infatti prevalere l’odio e la discordia (il termine kali significa per l’appunto litigio), nonché il progressivo rifiuto dei principi religiosi e il depauperamento delle risorse psicofisiche e intellettuali degli umani, sempre meno capaci di concettualizzare, di memorizzare e di comprendere verità metafisiche.

    CULTURA VEDICA…

    Come abbiamo appena visto, le popolazioni ariane affidarono le loro credenze e la loro filosofia ai Veda ed è proprio in essi che compare per la prima volta il termine yoga se pur non nell’accezione che tutti conosciamo.

    Nel Rig Veda compare infatti con il significato di giogo, l’attrezzo che, applicato al collo dei bovini e dei cavalli, permetteva loro di lavorare in coppia e di essere guidati (da qui probabilmente deriva il significato di congiungimento, unione): immagine che ricorda parecchio quella della Repubblica di Platone dove l’auriga (l’anima) direziona i cavalli (le passioni e i pensieri) e la carrozza stessa, metafora che si ritrova anche nella Bhagavad Gita e che rimanda all’idea di poter aver un controllo sulla propria mente e le proprie emozioni per poter direzionare l’energia che vi sottende senza farsene travolgere.

    Yoga compare nei Veda anche per indicare acquisizione di cose ignorate.

    La compilazione dei Veda è stata attribuita al rishi¹ Vyasa che lo trasmise oralmente ai suoi quattro discepoli che lo riunirono nelle 4 samhita: il Rig-Veda, lo Yajur-Veda, il Sama-Veda e l’Atharva-Veda.

    C’è un’immagine molto significativa dei Veda che li paragona a un grande corpo, di cui ogni membro è costituito da una particolare scrittura, come a volerci rivelare l’Uno nei suoi molteplici aspetti incarnati in diverse divinità ma che dall’Uno derivano e di cui sono espressioni.

    Lo Shankaracharya² di Kanchi, Sri Chandrasekharendra Saraswati, afferma infatti che:

    i Veda ci rivelano la Verità dell’Uno nella forma di molte Divinità. L’adorazione di ciascuna di queste è come un ghat (scalinata) sul fiume chiamato Veda. […] Queste diverse forme sono come rami che hanno una radice medesima. — (Shankaracharya di Kanchi, Sri Chandrasekharendra Saraswati)

    Oltre alle quattro raccolte principali, la letteratura della shruti comprende anche una serie di manuali di ritualistica, Brahmana, opere integrative, Aranyaka, i cosiddetti testi delle foreste che a differenza dei Brahmana non descrivono i riti, ma ne danno spiegazioni simboliche e testi speculativi ed esoterici, Upanishad, a cui abbiamo precedentemente accennato.

    La visione vedica del mondo era nettamente filosofico-speculativa:

    i Veda investigano il fenomeno e il noumeno, il mondo fisico, quello psichico e la dimensione trascendente, la materia e lo Spirito, abbracciando discipline che vanno dalla psicologia alla filosofia, dal diritto alla logica e alla fisica, per giungere alla trattazione approfondita di tematiche inerenti la sfera del sacro, nel senso più ampio ed alto.³

    Ci si interrogava sul perché della vita e della sofferenza e anche lo yoga che derivò da questa visione era per lo più improntato su pratiche atte a distaccarsi dal mondo e dalle emozioni per cercare di riconnettersi con la divinità, con l’uno, con l’energia di cui siamo l’emanazione.

    Evidenti similitudini con il pensiero della filosofia pre-socratica e poi platonica si hanno nella suddivisione dell’Uno in più parti che comunque lo rispecchiano proprio perché sue manifestazioni:⁴ infatti nel pantheon vedico si contano 33 milioni di devi che sarebbero solo infinite funzioni di un unico Dio assoluto, le modalità con cui questa energia si manifesta. Questo a testimonianza di quanto il pensiero antico fosse già omogeneo ovunque sulla terra.

    CULTURA TANTRICA…

    Del tutto diversa era la visione tantrica della vita, seppur espressione di una medesima corrente vitale.

    Colui che voleva avvicinarsi alla divinità non lo faceva per evitare la sofferenza, distaccandosi dal mondo e dalle proprie emozioni, ma grazie al proprio corpo (inteso non solo come fisico ma anche emotivo) cercava il modo di risanarsi: si cercava di accettare anche la sofferenza non per sfuggirla ma per curarla e trasformarla (come nelle fasi alchemiche) e avvicinarsi in questo a Dio.

    Ogni aspetto della vita è infatti una manifestazione divina, quindi lo è anche il dolore: unirsi anche ad esso, osservarlo, percepirlo, lasciarlo fluire anche tramite pratiche yogiche – non solo fisiche ma anche meditative e spirituali – può aiutare a raggiungere la beatitudine proprio grazie alla via dell’unione (= yoga) tra mente, corpo e spirito.

    Con tantrismo in genere si fa riferimento a una cultura nata nel e per il popolo: forse per questo è più concreta rispetto alla cultura vedica. Anche le sue origini sono antichissime. Alcuni studiosi la fanno risalire alla Civiltà Vallinda.¹

    Tantra letteralmente significa telaio e può essere interpretato come una metafora del tessere su di esso la tela di testi e di pratiche che cercano di risvegliare l’energia e le forze divine che scorrono sia nel micro che nel macro cosmo, attraverso il risveglio della Kundalini, l’energia spirituale latente in ognuno di noi e che simbolicamente è ritratta nella svastica,² le cui linee intersecanti rappresenterebbero Shakti nella sua direzionalità orizzontale e Shiva in quella verticale.

    Anche la sua letteratura fu tramandata per molti secoli solo oralmente e fu messa per iscritto solo in un secondo tempo, dopo la fusione con la cultura ariana, mantenendo però l’attenzione sulle vie del corpo per raggiungere la pace della mente: testi classici dello Yoga tantrico sono l’Hatha-Yoga Pradipika, la Gheranda Samhita e la Shiva Samhita.

    Due sono le entità di questa corrente di pensiero: una maschile, Shiva, e una femminile, Shakti.

    Simboli di forze opposte ma complementari (coscienza e volontà) incarnano in sé il tendere a quell’unione a cui lo yoga aspira: non più energia separata in correnti contrapposte, ma accettazione e unione dei suoi opposti per lasciarsi fluire come un fiume in cui ci si lascia andare scorrendo con esso, non controcorrente ma allineandovisi. Un po’ come nella coincidenza degli opposti di cui parla Eraclito, che più che filosofo del tutto scorre può a buon diritto essere considerato filosofo dell’unità.

    Connessioni: intero non intero, convergente divergente, consonante dissonante: e da tutte le cose l’uno e dall’uno tutte le cose.³

    Si legge lo stesso nella Bhagavad Gita, libro II, vv. 45:

    le scritture vediche parlano delle tre parti costitutive della natura: le qualità. Innalzati al di sopra di tutte queste, o Arjuna, al di sopra di tutte le coppie di sensazioni opposte; sii saldo nella verità, libero da ansie mondane e concentrato sul tuo Sé.

    Sarà poi l’Occidente a fraintendere e storpiare la visione proposta dal tantra, associandolo alla sola sfera sessuale.

    Si legge infatti nel Kularnava tantra⁴ che

    il vero vino che bisogna ricercare e bere è il nettare divino che inebria con la gioia e la vita eterna. È un vero yogi che conosce la copulazione chi gode della beatitudine infinita che deriva dall’unione del Sé (Shiva) e della sua suprema Shakti (Kundalini).

    Dato che etimologicamente la parola tantra deriva da Tan = espandere, Ta = ottusità, Tra = liberare e che oltre al significato di telaio ha anche quello di principio, essenza, sistema, dottrina, tecnica, tantra vorrebbe allora alludere a una tecnica che espande la coscienza liberandola dall’ottusità.

    Ogni polarità, ogni opposto che compare nel mondo e in questa visione del mondo, è faccia complementare della stessa medaglia: compito del saggio è riunirle e non evitarle, esattamente come l’attitudine di Shiva e Shakti è quella di ritrovare l’unione originaria del loro essere coppia di apparenti opposti. Sempre nel Kularnava tantra si legge:

    il tantra cerca di armonizzare i diritti dello spirito con quelli della materia. Riporta in auge l’eredità perduta degli antichi Veda, che sottolineavano l’intima comunione di uomo, natura e Dio e l’uguaglianza di status tra la madre terra e il padre cielo.

    … E INDUISMO

    Parlare di induismo come di una cultura unitaria è difficile: può essere a ragione considerato un insieme di movimenti religiosi e spirituali differenti le cui origini sono controverse. La fusione del popolo ariano con un substrato autoctono (la cultura tantrica) è quella a cui sono approdata io nei miei primi anni di studi. In questa teoria cosiddetta appunto del substrato, la popolazione degli ariani avrebbe inglobato nelle sue conoscenze ritualistico-sacrificali quelle dei discendenti di Shiva.

    L’induismo sfocerebbe allora, seguendo una ricostruzione storico-lineare tipicamente occidentale che a ben vedere non rispecchia quella del tempo circolare induista, dalla presunta fusione della cultura vedico-ariana e di quella del substrato tantrico e troverebbe la sua maggior espressione nelle astika darshana, di cui si accennava prima. Una di queste è l’opera di Patanjali, lo Yoga Sutra, probabilmente il testo antico più autorevole dedicato allo yoga, considerato il padre dello yoga classico. Lo yoga, all’interno delle sei darshana riconosciute come tali, rappresenta il pensiero psicologico ed è strettamente connesso al Samkhya, il pensiero filosofico, da cui trae termini e interpretazioni di vita.

    Le sei darshana erano infatti sei modi di interpretare la realtà via via sempre meno legate ai sensi e alla ragione, secondo la tradizionale ripartizione in tre della realtà, della conoscenza e dei modi di e per rapportarsi ad essa.

    Gli Yoga Sutra sono costituiti da 139 aforismi (sutra) ermeticissimi tanto che nacquero, oltre alle varie interpretazioni e commenti, commenti dei commenti per cercare di svelare il messaggio di queste perle che costituiscono una collana indissolubile, il cui verso precedente è intrinsecamente connesso al successivo.

    Nello yoga stesso sono sintetizzati e tradotti in pratica le visioni del mondo indiano, la sua filosofia e il suo rapporto con il divino e l’umano che lo manifesta.

    La forza stessa dei simboli grafici o divini la si può ritrovare nelle asana = posizioni che a loro volta agiscono sulla nostra energia interna proprio perché è la medesima che agisce ovunque fuori e dentro di noi.

    Abbandonarsi ad essa, riconoscerne l’esistenza, sentirsi parte di qualcosa di così più grande ma di così caldo e avvolgente può essere vissuto come un vero e proprio ritorno a casa: ci si sente protetti e sicuri qualsiasi cosa succeda perché non si rema più contro niente e nessuno ma si sente e si sa per certo che si sta andando nella direzione più adatta a noi, semplicemente sentendolo e non razionalizzandolo.

    Una delle polarità espresse nella visione induista del mondo, e ripresa poi nella dualità rappresentata proprio nell’apparente rivalità tra Tantra e Veda, è quella dell’unione-distacco che si può ritrovare nello yoga stesso e nelle sue prime manifestazioni: il raja yoga di tradizione vedica basato appunto sul distacco delle emozioni, e l’hatha yoga di tradizione tantrica basato invece sul tendere all’unione di esse con la divinità.

    Questo è uno dei tanti paradossi della visione dualistica della vita che ci conduce spesso in vicoli ciechi e in circoli viziosi proprio perché abituati a vedere solo un lato della medaglia e non la medaglia nel suo insieme.

    Lo yoga aiuta la mente a riportarsi sulla giusta vibrazione, grazie proprio alle vibrazioni dei mantra e ai simboli racchiusi ed espressi nelle asana che accordano il corpo e la mente facendoli risuonare con la stessa vibrazione che risuona in tutto l’universo.

    Dalle due correnti di yoga originarie sono poi nate tutte le altre, ma è sulla base di queste e sugli 8 anga di Patanjali che si basa il tutto.

    Le ashta = 8 anga = membra con cui Patanjali fonde l’hatha yoga e il raja yoga sono: Yama, Niyama, Pranayama, Asana (Bhairanga), Pratiyahara, Dharana, Dhyana, Samadhi (Antaranga).

    Yama > ciò che evito di fare per vivere in armonia con l’ambiente (in particolare la non violenza = ahimsa).

    Niyama > ciò che faccio per vivere bene con me stesso (in particolare l’accettazione = santosha e l’abbandono al supremo = iswara pranidhana).

    Pranayama > regolazione di corpo e mente tramite tecniche respiratorie.

    Asana > posture corporali.

    Pratiyahara > capacità di astrarsi dal mondo.

    Dharana > riportare di continuo la concentrazione sull’oggetto della meditazione.

    Dhyana > concentrarsi e contemplare l’oggetto della meditazione senza più distrazioni.

    Samadhi > fusione di oggetto contemplato, atto del contemplare e di colui che contempla.

    Concetti fondamentali per lo yoga, come Kundalini, Nadi, Prana, Ida e Pingala, Sushumna, derivano tutti dalla tradizione tantrica e a questi lo stesso Patanjali fa riferimento senza esaminarli nel dettaglio. Libri fondamentali di riferimento per lo yoga sono la Gheranda Samhita XVI-XVII sec. d.C., la Shiva Samhita XVIII sec. d.C. e l’Hatha Yoga Pradipika XV sec d.C., che è considerato da molti la Bibbia dell’Hatha yoga.

    Nelle parole del suo autore, Swami Swatmarama, nel libro 1 vv. 3 leggiamo:

    osservando l’oscurità e la confusione creata da un gran numero di opinioni di persone non in grado di comprendere la disciplina del Raja Yoga, il compassionevole Swatmarama compone l’Hatha Yoga Pradipika ovvero la lanterna dell’Hatha Yoga

    come a dire che la lanterna dello yoga fu scritta per chiarire la confusione tra la distinzione tra i tipi di yoga che, lungi dall’essere disgiunti l’uno dall’altro, sono anch’essi riflessi della trayi vidya (triplice conoscenza).

    Sempre l’Hatha Yoga Pradipika, libro 1 vv. 67, recita così:

    Asanas, vari Kumbhaka, e altre cose illuminanti, andrebbero tutte svolte nella pratica dell’Hatha Yoga, fino a quando non si ottengono i frutti del Raja Yoga.

    La raccolta di Gheranda, la Gheranda Samhita, introduce una parte dettagliatissima dedicata alle Shatkarma, pratiche per l’igiene del corpo, il primo livello a dover esser purificato nei sette gradini in cui l’opera è divisa (sapt-anga) – infatti le shatkarma sono proprio il primo anga, mentre la Shiva Samitha è quello dei tre testi con maggior attenzione data ai principi teoretici.

    L’hatha yoga può esser considerato allora la base per il raggiungimento del raja yoga in cui la mente viene portata a raggiungere uno stato di coscienza più elevato; la terza via¹ dello yoga dovrebbe chiudere il cerchio: il bhakti yoga descritto nella Bhagavad Gita e nel Bhagavata Purana, noto anche come Srimad-Bhagavatam.

    Uno yoga e un modo di essere e di compiere azioni (karma) ancora diverso rispetto a quello della tradizione tantrica, vedeva nell’azione e nel vivere le emozioni la concreta possibilità di trascenderle: la via dell’agire disinteressato che va a combaciare con la volontà cosmica e per questo ad allinearsi alla nostra vera natura (la base di ciò che ci renderebbe davvero felici).

    Ogni parte del cammino yoga mira a questo: a ricongiungersi a Brahman, all’energia, alla forza vitale, a Dio. Chiamatelo come volete. E intraprendete la via più consona a voi, sapendo che ognuna sfocia o sfocerà in questa forza che scorre in ognuno di noi: sacrificando il corpo o la mente o le nostre azioni o il nostro cuore. Tutti i tipi di sacrifici (jaina) hanno un unico fine: mantenere ritam = l’ordine

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