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Yoga Body: Le origini della pratica posturale moderna
Yoga Body: Le origini della pratica posturale moderna
Yoga Body: Le origini della pratica posturale moderna
E-book494 pagine6 ore

Yoga Body: Le origini della pratica posturale moderna

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Info su questo ebook

Mark Singleton nel libro Yoga Body le Origini della Pratica Posturale Moderna mette in discussione le idee comunemente condivise sulla natura e le origini delle posizioni Yoga Asana. Infatti lo yoga è talmente diffuso al giorno d’oggi – praticato da pop star, insegnato a scuola, proposto nei centri yoga e nelle spa – che diamo per scontati la sua presenza e il suo significato. Ma com’è nato il boom delle pratiche yoga? Le sue radici sono davvero le antiche pratiche indiane, come molti dei suoi sostenitori affermano?
Mark Singleton in questo rivoluzionario libro mette in discussione le idee comunemente sostenute sulla natura e le origini delle posizioni dello yoga – quello degli asana – e propone un modo totalmente nuovo di comprendere il significato dello yoga come oggi viene praticato da milioni di persone nel mondo. L’autore dimostra che, contrariamente all’opinione generale, nella tradizione indiana non esiste traccia della pratica degli asana come esercizi yoga orientati a salute e forma fisica, aspetto che invece domina la scena globale delle pratiche yoga nel XXI secolo.

La tesi sorprendente e controversa sostenuta da Singleton è che lo yoga praticato oggi deve molto al moderno nazionalismo indiano, alle aspirazioni spirituali del culturismo europeo e ai movimenti europei e americani di diffusione della ginnastica femminile, piuttosto che all’antica tradizione yogica dell’India.
Questa scoperta consente a Singleton di spiegare come le forme di yoga posturale oggi più diffuse – l’ashtanga, il Bikram e l’Hatha yoga – siano diventate un fenomeno così incredibilmente popolare. Basandosi su una quantità di documenti rari provenienti da archivi indiani, inglesi e americani, e sulle interviste ai protagonisti ancora in vita del revival degli asana a Mysore negli anni trenta, Yoga Body
mette in discussione ciò che si è creduto fino a oggi sulle orgini delle tecniche yoga.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2019
ISBN9788827229293
Yoga Body: Le origini della pratica posturale moderna
Autore

Mark Singleton

Mark Singleton, insegna al St. John’s College di Santa Fe, nel new Mexico. È il curatore, assieme a Jean Byrne, del volume Yoga in the Modern World: Contemporary Perspectives.

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    Anteprima del libro

    Yoga Body - Mark Singleton

    Ringraziamenti

    Molte sono le persone che hanno contribuito allo sviluppo delle idee presenti in questo libro. Vorrei qui ringraziare Peter Schreiner per le brillanti e accurate osservazioni fatte sulla prima versione; James Mallinson per avermi aiutato a chiarire alcune tematiche riguardanti i praticanti contemporanei indiani di haṭha yoga e per aver condiviso le foto dei dipinti del Nātha Mahāmandir di Jodhpur; Gudrun Bühnemann per aver individuato alcuni errori eclatanti nei miei diacritici sanscriti; Dagmar e Dominik Wujastyk per le conversazioni avute negli ultimi cinque anni sullo yoga moderno. Grazie anche a Felicia M. Tomasko, editor di LA Yoga Magazine, per le sue intuizioni continue sugli sviluppi attuali dello yoga. Ringrazio Gavin Flood e David Smith che hanno dato un prezioso feedback quando questo progetto era ancora nella fase di ricerca dottorale; e ringrazio Joseph S. Alter e Kenneth Liberman per le loro osservazioni e suggerimenti in veste di lettori della OUP. Grazie anche a Eivind Kahrs del Queen’s College di Cambridge per aver letto e commentato le prime bozze, e a Julius Lipner per l’assistenza nella fase di ricerca durante la mia permanenza presso la Facoltà di Teologia di Cambridge.

    Ringrazio i partecipanti al Modern Yoga Graduate Workshop organizzato nell’aprile del 2006 da Elizabeth De Michelis, Suzanne Newcombe e me presso la Facoltà di Teologia dell’Università di Cambridge. Le costanti interazioni con molti dei partecipanti sono state inestimabili per ultimare le idee di questo libro, e un ringraziamento particolare va a Elliott Goldberg per la generosità nel condividere le sue riflessioni sulla cultura fisica e sullo yoga sia prima che durante questo workshop.

    Un grazie va anche a Vivienne Lo e Ronit Yoeli-Tlalim dello University College di Londra per avermi supportato nell’editing di un numero speciale sullo yoga di Asian Medicine, Tradition and Modernity nel 2007, e a Jean Marie Byrne della Queensland University in Australia per la sua collaborazione nella raccolta di studi sullo yoga per la nostra pubblicazione Yoga in the Modern World (2008). Il lavoro editoriale per questi progetti mi ha dato l’opportunità di avviare un dialogo costante con molti studiosi internazionali che lavorano attualmente nel campo dello yoga moderno e mi ha fortemente aiutato a strutturare questo libro.

    Sono molto riconoscente a Laura Cooley della Meem Library del St. John’s College di Santa Fe per essere riuscita a ottenere i libri che cercavo durante le fasi finali del libro, nonostante le mie molte richieste di prestiti inter-bibliotecari fossero a volte oscure, e a Paige Roberts della Babson Library dello Springfield College del Massachusetts per aver fatto di tutto per fornirmi il materiale sui programmi di cultura fisica in India della YMCA. Grazie anche a Śrī Vasudeva Bhāt, membro anziano dello staff e studioso di yoga del College di Educazione Fisica alla YMCA di Bangalore, che è stato estremamente utile nel dirigere la mia ricerca in Karnataka nel 2005.

    Sono in debito con Śrī M.A. Narasimhan e il dottor M.A. Jayashree di Mysore in India, per il loro allegro supporto a leggere testi sanscriti sullo yoga nel 2005, e con la professoressa Lakṣmī Tattācarya per avermi guidato nella lettura dello Yogasūtra Bhāṣya. Grazie al dottor K.V. Karna di Bangalore per aver condiviso i suoi ricordi su suo padre K.V. Iyer e per aver fornito materiale testuale e fotografico altrimenti irreperibile; grazie anche al professor T.R.S. Sharma, il quale è stato così generoso con i suoi ricordi e le testimonianze di Mysore negli anni Trenta e Quaranta. Grazie anche a Śrī K. Pattabhi Jois, Shankara Narayan Jois, Anant Rao e A.G. Mohan per le interviste concesse, e a B.K.S. Iyengar per l’utilizzo gratuito della sua biblioteca a Pune.

    Grazie a tutti i miei insegnanti di asana, in particolare a Śrī K. Pattabhi Jois, Sharat Rangaswami, B.N.S. Iyengar, Rudra Dev, Hamish Hendry, Barbara Harding e Sasha Perrymen; e a tutti gli amici che hanno sostenuto e ispirato la mia pratica, in particolare Louie Ettling, Norman Blair, Emma Owen-Smith, Nigel Jones, Tara Fraser, Romola Davenport, Louise Palmer e Jennifer Morrison. Grazie anche a Lorin Parrish, che non ha mai trascurato il lato divertente.

    Questo progetto è stato finanziato da una borsa di ricerca dell’Università di Cambridge e da diverse borse di studio per i viaggi messe a disposizione dalla Facoltà di Teologia e dal Sidney Sussex College di Cambridge. Sono riconoscente per l’opportunità che queste borse mi hanno fornito. Infine, ho un enorme debito di riconoscenza nei confronti di Elizabeth De Michelis, per il suo supporto incondizionato e la sua amicizia nel corso degli ultimi sei anni.

    Prefazione all’edizione italiana

    È un grande onore avere pubblicato in italiano questo piccolo contributo alla storia dello yoga moderno e sono immensamente grato a Daniela Bevilacqua per aver intrapreso il lungo lavoro di traduzione di questo libro. Sono passati otto anni dalla sua pubblicazione da parte della Oxford University Press e undici da quando ho completato la maggior parte della ricerca (come parte di una tesi di dottorato presso l’Università di Cambridge). Tuttavia, un argomento come questo non risulta mai veramente completo: il lavoro di altri studiosi – storici, sociologi, antropologi, filologi, studiosi di studi religiosi e altri – così come la mia attuale ricerca, ha costantemente aggiunto, sfumando e alterando, direttamente o indirettamente, il modo in cui considero gli argomenti presentati qui¹. Sono dunque grato per questa opportunità di esprimere alcuni pensieri retrospettivi su Yoga Body. Spero che possano aiutare a rendere questa edizione il più possibile aggiornata e a dissipare certe incomprensioni che esistono tra alcuni lettori di lingua inglese sulle premesse e sulle conclusioni del libro.

    Insolitamente per un libro accademico, Yoga Body ha avuto un vasto pubblico di lettori al di fuori dei circoli accademici, in particolare (ma non solo) tra gli appassionati di yoga, per i quali il materiale è stato di un certo interesse dal punto di vista delle loro pratiche e credenze, e ha generato un livello significativo di commenti in forum non accademici come blog online e social media. Nella mia introduzione originale, ho osservato come gli studi accademici del XIX e del XX secolo abbiano strutturato e influenzato lo yoga pratico moderno (p. 31): lo stesso, a quanto pare, risulta esser vero in parte per questo libro. Alcune delle idee che si possono trovare in questa ricerca (e nel lavoro di altri colleghi) sono diventate esse stesse simili a meme sullo yoga moderno, anche se spesso in forma radicalmente semplificata, e con una considerevole perdita del significato originale. Alcune di queste nozioni saranno qui sotto esaminate.

    Sono molto felice che questo libro abbia avuto una vasta e variegata gamma di lettori. Tuttavia, è opportuno chiarire che non ho nulla da dire su come i praticanti dovrebbero fare yoga. Il libro non è in alcun modo destinato a essere prescrittivo. Non è a favore dello yoga o contro lo yoga, non raccomanda ai lettori di iniziare a fare yoga (né indica quale tipo), né mette in guardia i lettori dal praticare yoga. Non è un’opera di difesa confessionale o missionaria in nome dello yoga, né in nome di alcuna pratica religiosa, spirituale o credo. Dico ciò a causa di due tipi di conclusioni comuni, e a prima vista diametralmente opposte, che alcuni hanno tratto sulla base del materiale contenuto in questo libro. Entrambe nascono dal supporre che il libro abbia lo scopo di sfatare i miti o demistificare lo yoga moderno (ovviamente, conclusioni mal poste e riduzioniste sui reali obiettivi dell’opera).

    Il primo tipo di conclusione dice che dobbiamo sbarazzarci delle forme recenti e imbastardite di yoga moderno e ritornare alla fonte antica e autentica del vero yoga. Il secondo tipo sostiene che, poiché lo yoga è semplicemente un costrutto, possiamo (e in effetti dovremmo) essere completamente liberi di innovare lo yoga in qualsiasi modo riteniamo opportuno. Ciò dà al libro lo strano e discutibile onore di sostenere l’agenda, ad esempio, sia delle organizzazioni culturali conservatrici indù negli Stati Uniti, che attaccano le forme popolari di yoga americano in quanto non autentiche e invitano a ritornare a uno yoga (indù) originale, sia di alcuni insegnanti creativi di yoga (di nuovo, spesso negli Stati Uniti) che credono che lo yoga sia lì per essere reinventato. Mentre questi fenomeni sono di grande interesse da una prospettiva socio-culturale, è sufficiente dire che questo libro non sostiene nessuna di queste conclusioni.

    Nonostante il sottotitolo (Le origini della pratica posturale moderna), il libro non tratta effettivamente delle origini dello yoga, nel senso degli inizi della pratica moderna, ma di alcuni dei suoi contesti². In effetti, di fronte a una storia dialetticamente densa, ingarbugliata e varia come quella dello yoga nel mondo moderno, non è utile pensare in termini di singola origine. Per esempio, se si presenta il movimento moderno della cultura fisica come l’origine della pratica haṭha yoga popolare e globale dell’inizio del XX secolo, si sollecitano prevedibili (e, in alcuni casi, corrette) confutazioni che tale pratica abbia in realtà origine nelle tradizioni indiane dell’haṭha yoga. Se, invece, si presenta la cultura fisica moderna come un contesto (sebbene vitale) in cui alcune varietà di haṭha yoga del primo scorcio del XX secolo fiorirono, ci si ritrova in un terreno piuttosto differente, in cui è possibile apprezzare il fatto che una molteplicità di contesti hanno contribuito a un nesso di significati che trovano la loro espressione in questo haṭha yoga includendo, in essi, senza dubbio forme premoderne di haṭha, ma anche, e soprattutto, includendo la cultura fisica moderna. La prima presentazione invita alla polarizzazione e, secondo me, a sterili dibattiti su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato (per non parlare delle agende culturali nazionaliste). La seconda, d’altra parte, sostiene la possibilità di un continuo, collettivo lavoro accademico sui contesti dello yoga, nella loro complessità sociale, culturale e storica.

    Ovviamente, gli sforzi filologici per identificare le prime istanze e genealogie degli asana nei testi di yoga sono significativi e di valore, sia di per sé che per le possibilità che offrono di ampliare e approfondire questi contesti. Questo libro non si concentra sulla filologia, tuttavia, poiché il suo obiettivo è la storia culturale prodotta dalle fonti inglesi sullo yoga nel XX secolo – un corpus di letteratura che fornisce abbondanti idee su alcune forme di yoga del periodo. Ciò ovviamente non esaurisce le fonti di ricerca per sviluppare ulteriormente le informazioni sulle forme moderne di yoga, soprattutto se si usano fonti sanscrite e vernacolari indiane del periodo precedente o di quello preso in analisi. E i miei sforzi durante la ricerca, prima della pubblicazione – che includono tre anni e mezzo di studio di yoga in India, lo studio del sanscrito (in India e a Cambridge) e dell’hindi, e la lettura di testi di yoga in sanscrito sia con pandit indiani che indologi occidentali – lo dimostrano chiaramente. È giusto sottolineare che la categoria teorica ma imperfetta di yoga anglofono transnazionale ha avuto un certo valore nel portare l’attenzione sullo sviluppo di alcune importanti caratteristiche dello yoga, precedentemente trascurate.

    Questo libro si focalizza perlopiù sull’ascesa, agli inizi del XX secolo, della pratica degli asana, mentre ha poco da dire su altri aspetti dello yoga nel mondo moderno. Con questo non voglio dire che le forme recenti e globalizzate di yoga prevedano solo gli asana, ma è chiaro che, poiché nell’immaginario popolare lo yoga è identificato comunemente con l’asana, e questo in molti casi diventa il costituente primario della pratica dello yoga, è giusto rendere l’asana stesso un oggetto di studio. Data questa scelta, non ho molto da dire su quei sistemi globalizzati e popolari che non mettono in primo piano l’asana, né sui sistemi che enfatizzano altre pratiche yogiche come la meditazione. Detto ciò, spero che i miei altri libri (soprattutto i volumi accademici sullo yoga) parlino della mia consapevolezza e del mio impegno verso questi altri aspetti che fanno parte della prassi dello yoga moderno.

    Il capitolo 2, Fachiri, yogin, europei, e il capitolo 3, Rappresentazioni comuni dello yogin, chiariscono varie idee e pregiudizi che riguardano l’haṭha yoga e lo yogin diffuse tra gli etnografi stranieri e gli studiosi che hanno scritto sull’India, e presentano certe attitudini e credi sullo yoga che erano diffusi tra quelli che furono strumentali nel diffonderne il messaggio all’estero. Per diversi aspetti, dunque, questi capitoli presentano la storia di un fraintendimento transculturale, un recupero ideologico e di gusti e pregiudizi culturali, piuttosto che un resoconto sull’haṭha yoga di per sé³. Questi capitoli forniscono un background essenziale alle analisi di certi sviluppi nello yoga che seguirono.

    Il primo capitolo, tuttavia, è di un ordine diverso, perché concerne non un periodo moderno, ma guarda allo yoga nella tradizione indiana. È, molto probabilmente, uno sforzo schematico e abbastanza insoddisfacente di comprimere migliaia di anni di storia in poche pagine⁴. In più, recenti sviluppi nella ricerca storica sullo yoga offrono fonti migliori per la storia dello yoga in generale e in alcuni casi mettono alla prova alcuni aspetti delle considerazioni qui presentate⁵. La posizione di questo capitolo all’inizio del libro potrebbe creare anche l’impressione che il mio scopo sia di confrontare e contrastare la tradizione indiana con gli sviluppi moderni nello yoga, descritti nel resto del libro. Non è così: il libro deve essere visto principalmente come una storia culturale di alcuni sviluppi avvenuti nello yoga in tempi moderni, con poco da aggiungere sulla storia di forme di yoga premoderne.

    Due fonti per il mio resoconto sugli asana nelle tradizioni di yoga presente nel primo capitolo sono state un articolo e un libro pubblicato verso la fine della mia ricerca da Gudrun Bühnemann (2007a⁶ e 2007b). In essi, Bühnemann nota che i testi tradizionali di yoga assegnano un ruolo preparatorio e subordinato agli asana, e afferma che la priorità data agli asana in molte scuole moderne di yoga non deriva direttamente da alcuna tradizione testuale dello yoga – un’idea che riprendo in diversi altri punti del libro. Alla luce di studi più recenti, queste affermazioni devono essere riviste. Da una parte, come attestano⁷ nuove testimonianze testuali, è chiaro che in India tra il XVI e il XIX secolo (ossia nel periodo precedente a quello esaminato qui) ci furono dei considerevoli sviluppi relativi al numero e allo status degli asana praticati. Nel periodo successivo alla composizione del locus classicus del­l’haṭha yoga, ossia l’Haṭhayogapradīpikā, l’asana sembra assumere una posizione di maggiore prominenza e importanza in alcuni testi quando li confrontiamo con fonti più antiche sullo yoga, come alcune porzioni del Mahābhārata, alcune Upaniṣad o gli Yogasūtra in cui, come sottolinea la Bühnemann, l’asana ha un ruolo subordinato nel più ampio contesto dello yoga.

    Sebbene queste affermazioni sulla posizione relativamente secondaria degli asana debbano essere modificate alla luce di queste nuove testimonianze, non si deve però ritenere che queste sopperiscano, confutino o rendano irrilevante la storia culturale presentata nei capitoli successivi del libro. Né annullano le osservazioni di Bühnemann sulla funzione mutata e lo status degli asana nel mondo moderno⁸. Questo ci porta a un punto vitale che deve essere compreso. Valutare e presentare livelli di innovazione e continuità nelle tradizioni contemporanee, come lo yoga transazionale, è sempre pieno di insidie, perché ogni cambiamento è di solito (sebbene non sempre) presentato come derivante, comunque, dalla trasmissione di insegnamenti antichi e immutati. Questo è un tropo della trasmissione che si ritrova nelle tradizioni religiose indiane attraverso i secoli e non ci dovrebbe stupire: le tradizioni di yoga si sono sempre adattate e trasformate in risposta ai bisogni dell’epoca e, in questo senso, i tipi di trasformazioni che io descrivo qui non sono nuovi – nonostante il ritmo e il grado di cambiamento osservabile nello yoga moderno globalizzato rendano questo caso abbastanza stupefacente e unico⁹.

    Seguendo Bühnemann, affermo poi che la pratica degli asana nello yoga anglofono transnazionale non è il risultato di una trasmissione diretta e continua dall’haṭha yoga (p. 51). Prendendo in considerazione le recenti ricerche sulla storia degli asana, ribadisco questa affermazione¹⁰. Tuttavia, come dico nello stesso passaggio, ipotizzare che gli asana contemporanei non abbiano alcuna relazione con la pratica di asana presente nella tradizione indiana sarebbe andare troppo oltre. Ovviamente ce l’hanno. La maggior parte degli insegnanti moderni e, se non tutti, degli scrittori e degli yogin presentati in questo studio furono coinvolti in ripetute discussioni interpretative che cercavano di riconciliare gli insegnamenti tradizionali dello yoga (in cui molti di loro erano immersi) con sensibilità moderne, nuove epistemologie (le scienze moderne, per esempio), e habitus culturali relativamente nuovi (ad esempio, l’aspetto velocemente mutevole dell’India moderna coloniale).

    In questo senso, è importante capire che i recenti movimenti di yoga – che operano all’interno e attraverso il mondo modernizzato e globalizzato – non possono essere semplicemente considerati il risultato di una trasmissione diretta e continua. Alcuni, come Shri Yogendra, sono a volte abbastanza espliciti e fiduciosi delle loro innovazioni, mentre altri ripongono queste apparenti innovazioni riportandole al discorso della tradizione ininterrotta. Quello con cui abbiamo a che fare è da considerare, forse, più utilmente in termini di rinascimento¹¹, che non è lo stesso che parlare di un lignaggio o tradizione diretta e continua ma, in pratica, significa parlare di una rielaborazione delle tradizioni in un dialogo creativo con nuove tecnologie e informazioni. È, in altre parole, una risposta alla modernità. Come Simona Sawhney afferma parlando della modernità del sanscrito, la modernità culturale stessa diventa un modo per confrontare la tradizione – vale a dire, confrontare varie narrative concorrenti sulla tradizione¹². Il grado e la natura di tale rielaborazione sono vari e variegati ma sono, credo, sempre presenti, in una forma o nell’altra, negli esperimenti di yoga che presento nelle pagine di questo libro.

    Le interconnessioni che descrivo e gli yoga che considero sono in questo senso un caso differente rispetto agli ordini degli yogin tradizionali poiché questi non subirono le stesse rapide, massicce trasformazioni che così evidentemente influenzarono lo yoga anglofono transnazionale nel tardo XIX e XX secolo¹³. D’altra parte, la notevole storia moderna dello yoga non dovrebbe privarci di notare che lo yoga premoderno non è un’astratta entità unitaria o statica, ma ha periodicamente subito delle enormi trasformazioni come, per esempio, l’assimilazione dell’haṭha yoga nell’Advaitavedānta a partire dal XVI secolo¹⁴.

    Mentre da una parte riconosco i legami con il passato (tradizionale e yogico), dall’altra quello che spero di chiarire nel libro sono i processi di scambio dialettico in cui gli sviluppi avvenuti in una India già moderna e globalizzata hanno definito la forma dell’iniziale diffusione dello yoga in Occidente, dove ulteriori accumulazioni, commentari e interpretazioni hanno a turno influenzato gli sviluppi successivi di alcuni yoga in India. Le categorie di Oriente e Occidente cessano di essere utili e funzionali in questo contesto, almeno nella misura in cui i prodotti culturali esaminati qui sono considerati come un amalgama che risulta dall’incontro accelerato di diverse forze culturali.

    Qualcosa di simile può essere detto sulle tradizioni testuali moderne di yoga. Gli insegnanti di yoga posturale moderno, come Swami Kuvalayananda, Shri Yogendra e altri, furono strumentali nel promuovere una tradizione testuale di haṭha yoga. Loro stavano, allo stesso tempo, riadattando lo yoga tenendo conto della cultura fisica e della ginnastica pedagogica, della moderna comprensione scientifica e medica del corpo, delle idee della psicoterapia, dei movimenti eugenetici, della filosofia moderna europea, e via dicendo. A volte, i testi furono interpretati in contesti culturali completamente differenti da quelli dei pandit e degli yogin tradizionali, perché rivolti a lettori o a un pubblico che sapeva poco dello yoga in India. Per esempio, due dei principali protagonisti del revival moderno dello yoga, Swami Vivekananda e Shri Yogendra, si ritrovarono a leggere gli Yogasūtra di Patañjali a New York (il primo intorno al 1890, l’altro verso il 1920), mentre interagivano anche con – e insegnavano yoga a – la società più d’avanguardia della East Coast¹⁵.

    Tali intricate convergenze non minano ovviamente l’antichità o la validità dello yoga per sé, né negano il ruolo che la tradizione svolge nelle formulazioni moderne. Dovrebbero però portarci a riflettere su come tali incontri testuali si siano strutturati, e come nuovi significati si siano generati rispetto ai testi stessi. Da una tale riflessione sorgono alcune domande: qual è il significato dell’interpretazione testuale nel contesto più ampio della fioritura dello yoga agli inizi del XX secolo? In quali modi il testo è stato interpretato, seguendo standard ermeneutici attuali all’epoca o per aiutare la comprensione (forse limitata) dello studente? In quali modi il messaggio è stato rinnovato, rivivificato, aggiornato e usato dai suoi scopritori? D’altra parte, ci potremmo anche chiedere come questo testo sia stato ricevuto e compreso da quelli che praticavano i suoi insegnamenti, come sia stato modificato, rifratto e visto quando la pratica si diffuse oltre i confini temporali, intellettuali, culturali e geografici in cui è stato originariamente concepito o pensato, e come i praticanti di seconda e terza generazione abbiano interpretato i suoi insegnamenti.

    Un equivoco comune su questo libro è pensare che affermi che gli asana siano un’invenzione recente¹⁶. In realtà, parlo dell’invenzione di posture solo in un punto, e in riferimento all’affermazione fatta da Dharma Mitra, insegnante brasiliano di yoga che vive a New York, secondo il quale gli yogin globali inventano nuove posture ogni giorno (p. 155). Il concetto di invenzione implica creare qualcosa che non è mai stato fatto prima – il che alcune volte, come afferma Mitra, può essere effettivamente vero per le posture dello yoga (ma comunque non solo per i tempi moderni). Tuttavia, considerando la storia che presento qui, è più giusto parlare di adattamento, riformazione, reinterpretazione (e via dicendo) piuttosto che di invenzione, proprio alla luce del fatto che questi termini mettono in risalto i processi continui di sperimentazione e bricolage che caratterizzano la storia recente dello yoga globalizzato, e ci tengono lontani da dibattiti sulle genealogie e le origini di particolari posture. Il libro si focalizza proprio su questo punto: sul lavoro di interpretazione e assimilazione della tradizione e della modernità. In questo senso, ovviamente, un tale studio ci dice molto sia sulla cultura contemporanea che sullo yoga. Latour affermava che è l’intera società francese del XIX secolo che si presenta se si prendono i batteri di Pasteur¹⁷. Cosa si manifesta se uno prende in considerazione lo yoga posturale moderno? Una risposta potrebbe essere: una visione prismatica delle aspirazioni religiose, sociali e culturali di individui contemporanei, le loro visioni metafisiche, culturali e politiche religiose, i loro legami con la nazione e le altre nazioni, e così via. Soprattutto, questo studio non deve essere preso per mettere in discussione la validità, l’autenticità o la sincerità delle varie figure che svolgono un ruolo nello sviluppo e diffusione dello yoga posturale, né nega le radici indiane dello yoga.

    Per comprendere la relazione dello yoga con la cultura fisica moderna, potrebbe essere d’aiuto considerare altre discipline non yogiche che hanno influenzato il modo in cui lo yoga moderno globalizzato è stato concepito. Nel secolo scorso, lo yoga ha avuto un legame profondo e duraturo con la psicologia moderna: da The Psychology of Religious Mysticism di James H. Leuba del 1925¹⁸, ai seminari di Carl Jung nel 1932 sul kuṇḍalinī yoga, allo Yoga and Western Psychology di Geraldine Coster del 1934, alla terapia psicosomatica concepita come yoga sulla base del lavoro di Wilhelm Reich (1897-1957) o ai sistemi più recenti di yoga posturale psicoterapeutico come quello del Phoenix Rising. Vivekananda, considerato da alcuni come colui che ha lanciato l’intera impresa dello yoga moderno (De Michelis 2004), era affascinato dalla psicologia e chiese al padre della psicologia americana William James di scrivere la prefazione a uno dei suoi libri, e James era similmente interessato e scrisse di yoga.

    Sembrerebbe che in molte delle sue manifestazioni moderne lo yoga si sia mescolato con i sistemi di psicologia moderni, e che la psicologia abbia spesso esercitato un’influenza su come lo yoga debba essere compreso a livello popolare – vero è stato anche l’opposto, e continua a esserlo.

    Tuttavia, dovremmo evitare di arrivare a facili conclusioni. Per esempio, il fatto che lo yoga abbia ripreso linguaggio, prassi e presupposti della psicologia non significa:

    che lo yoga sia una disciplina inventata di recente dalla psicologia moderna; né

    che la psicologia sia solo una forma di yoga; né

    che gli insegnamenti di yoga tradizionale non offrano intuizioni psicologiche o presagiscano alcune delle intuizioni degli psicologi moderni; né

    che sulla base di (c) lo studio dello yoga psicologico moderno sia senza senso, dato che tutto è già presente negli insegnamenti tradizionali; né (una variante di [d])

    che lo yoga sia comunque sempre stato oggetto di cambiamento, adattamento e sviluppi, dunque nessuna di queste storie ha una reale pertinenza o interesse.

    Nozioni analoghe (o meglio l’attribuzione di queste nozioni a me) sulle conclusioni relative alla relazione storica dello yoga con la cultura fisica sono sbagliate. In breve, non bisogna pensare che parlare del complesso incontro storico tra gli asana e la cultura fisica moderna significhi che gli yoga asana siano un’invenzione recente che emerge dalla cultura fisica (a), né che la cultura fisica sia solo una forma dello yoga (b), né che lo yoga tradizionale non contenga, in alcuni casi, o prefiguri elementi di cultura fisica (c), né, su tale base, dovremmo azzerare il valore dell’importanza di uno studio storico dell’incontro moderno con la cultura fisica, dato che è a volte prefigurato e contenuto in parti dello yoga premoderno che usano posture simili o altre tecniche (come ad esempio mudrā o movimenti dinamici ecc.) (d). Infine, ammetto che spesso non so come rispondere a quelli che, in maniera sconcertante, affermano che lo sviluppo dello yoga in tempi premoderni rende la sua storia moderna ipso facto non interessante (e). Forse questo non è un libro per loro.

    Durante il tempo trascorso in India, e i molti anni passati tra l’Europa e il Nord America, ho studiato yoga come uno sperimentatore partecipante¹⁹, vale a dire dedicandomi direttamente alle pratiche di yoga piuttosto che osservandole o esaminandole semplicemente attraverso i libri. Una lunga, diretta partecipazione alla pratica dello yoga, in contesti culturali, sociali e religiosi fortemente diversi, è stata utile nel dare una comprensione più ampia alla pratica dello yoga moderno e dell’esperienza del praticante emico – soprattutto dato che una tale esperienza fisica e psichica potrebbe rimanere difficile da esprimere a parole e dunque rimanere nascosta ai lavori accademici incentrati sui testi, o alla mera osservazione. Per questa ragione, la pratica è uno strumento importante per riflessioni antropologiche sullo yoga moderno. Tuttavia, nonostante il mio lavoro abbia tratto vantaggi da questa esperienza diretta (che continua a supportare la mia ricerca più recente, basata sui testi delle tradizioni dello yoga), il libro non ha un approccio prettamente antropologico e non offre particolari riflessioni sulle complessità teoriche della fenomenologia e del metodo antropologico, o per quanto riguarda i paradossi e le difficoltà affrontati dallo studioso-praticante di yoga. Prendo come punto di partenza quel corpus di letteratura popolare e informativa sulla teoria e pratica dello yoga che è stato successivamente influente nel plasmare il modo in cui lo yoga è stato compreso e praticato, in India e nel mondo, dal tardo XIX secolo in poi. Considero poi i vari contesti che agirono come prismi per le rifrazioni moderne e globali dello yoga, costruendo, su tali basi, una storia culturale della pratica dello yoga moderno.

    È importante capire che questo libro esamina le varie manifestazioni dello yoga in quanto artefatti umani (sebbene artefatti che, puntualmente, puntano a stati ed entità che vanno oltre l’umano), i quali, per essere completamente compresi, devono essere situati in particolari contesti storici e network di significato condiviso. Questo è un approccio alla storia dello yoga differente rispetto a quello che si trova spesso negli insegnamenti dei guru moderni, che (parlando in generale) affermano che lo yoga è eterno, è sempre esistito (e dunque non può essere un prodotto umano), e rimane, nella sua essenza, immutato. La sua autorità trascendentale e autenticità deriverebbe dal fatto che fu originalmente insegnato da esseri sovrannaturali (come Hiraṇyagarbha o Śiva) e poi fu mantenuto dall’autorità di un guru vivente. Oppure, se vogliamo dare un tono più moderno, la sua autorità deriverebbe dal fatto di essere un’eredità senza tempo, trascendentale e spirituale dell’umanità intera. Il grande designer del progetto dello yoga moderno nel XIX secolo (secondo De Michelis 2004), Swami Vivekananda, diede voce a un simile punto di vista quando scrisse che dal momento in cui fu scoperto, migliaia di anni fa, lo Yoga fu perfettamente delineato, formulato e insegnato in India (Vivekananda 2001 [1896], p. 134).

    Seguendo questa prospettiva, allora, lo yoga non cambia. Ovviamente, la posizione degli essenzialisti e dei costruttivisti può variare e, qualche volta, incontrarsi nel mezzo. Un essenzialista potrebbe non desiderare di negare che lo yoga ha assunto forme diverse in tempi e luoghi diversi (le testimonianze a riguardo sono ovunque), insistendo tuttavia che questi meri epifenomeni non alterano l’essenza e lo scopo dello yoga. E uno storico costruttivista potrebbe essere dell’opinione che c’è, in effetti, un fulcro trascendentale al centro di tutte le manifestazioni di yoga, oppure potrebbe mostrare una specie di agnosticismo a riguardo. Queste due posizioni non sono chiaramente invariabilmente opposte. D’altra parte, una posizione costruttivista dura – in cui c’è solo la storia terrestre, e in cui gli unici prodotti a noi disponibili (includendo anche gli artefatti spirituali) sono i prodotti del fallibile, mortale terreno, in cui il trascendentale e l’eterno non è che parte della narrativa umana – è ovviamente meno facilmente assimilabile all’interno della posizione essenzialista, e viceversa²⁰.

    Scrivendo da una prospettiva storica costruttivista, potrebbe sorgere una tensione sui temi considerati da alcuni oltre la storia: ossia da quelli per cui lo yoga è un evento sincronico piuttosto che uno sviluppo diacronico nel tempo. Per esempio, il capitolo 9 del libro presenta uno studio diacronico sulla storia della carriera di uno dei più influenti insegnanti dello yoga moderno, T. Krishnamacharya. Come tale, il capitolo enfatizza gli sviluppi negli insegnamenti di Krishnamacharya che derivano dall’adattamento e dall’innovazione continua in nome della modernità, e non le caratteristiche eterne di questo insegnamento che si ritrovano di solito nei resoconti agiografici degli insider²¹. Usando la prospettiva di Krishnamacharya, è ovvio che un’analisi del genere sarebbe vista come secondaria e pure irrilevante quando accostata alla perenne identicità dello yoga. Come ha detto lui stesso: In qualsiasi luogo, qualsiasi tempo, gli antenati hanno strutturato le pratiche dello yoga per adattarlo a tutti. Solo le attitudini e le circostanze degli esseri umani cambiano. Il tempo e lo spazio non cambiano. Lo stesso sole splende come sempre (Srivatsan 1997, p. 11). Secondo questa prospettiva, le nuove tecniche, i testi e gli insegnamenti non sono mai inventati, ma sempre scoperti, e così il nuovo non è mai veramente nuovo, ma è una rielaborazione dell’antico e immutato logos dello yoga. E dunque, gli studi costruttivisti che lavorano sul presupposto che lo yoga è il prodotto contingente dell’invenzione umana (fallibile) attraverso le ere, con espressioni distintamente differenti e occasionalmente inconciliabili in momenti diversi della storia, potrebbero essere visti con sospetto, poiché non riconoscono l’identità trascendente e perenne che sempre soggiace nonostante la comparsa di differenze nell’insegnamento. Quello che lo storico potrebbe vedere come revisionismo è infatti conservatorismo: non c’è nulla di nuovo sotto il sole.

    Nel capitolo 9 suggerisco che è utile considerare lo stile inusuale di yoga insegnato da Krishnamacharya a gruppi di giovani durante la prima fase della sua carriera da insegnante (stile che ebbe successivamente un’enorme influenza sullo sviluppo dello yoga a livello mondiale) nel contesto del movimento di cultura fisico del tardo XIX inizio XX secolo in India. Per essere chiaro, non affermo, come alcuni credono, che Krishnamacharya abbia inventato o plagiato il suo stile sulla base di sistemi esistenti di cultura fisica come quelli del ginnasta danese Niels Bukh o sui sistemi di yoga orientati alla cultura fisica come gli esercizi yogici di gruppo (yaugik saṅgh vyāyām) di Swami Kuvalayananda. Non ci sono prove per questo e, per quanto ne so, ogni affermazione su una causalità diretta rimane speculativa. Ma l’importanza di questi sistemi per la cultura del tempo (il sistema di Bukh era la seconda più importante forma di ginnastica pedagogica in India e Kuvalayananda era il principale insegnante di yoga riconosciuto a livello internazionale, presso il cui istituto Krishnamacharya fece ricerca nel 1933, si veda p. 199) e i suggestivi parallelismi tra questi e il sistema di Krishnamacharya, ci forniscono almeno l’opportunità di considerare l’insegnamento di Krishnamacharya nel più ampio contesto socio-storico del periodo e alla luce del resoconto dato nei capitoli precedenti di questo libro.

    Come bisognerebbe approcciare il fatto apparente che Krishnamacharya

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