La meravigliosa terra degli alberi monumentali
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Anteprima del libro
La meravigliosa terra degli alberi monumentali - Filippo Gannuscio
Fischietti
Il
prologo
Anno Domini 772
Exsternsteine, foresta di Teutoburgo
Il soldato, lacero e stanco, correva a perdifiato, impaurito dalle urla belluine che si levavano dal villaggio nemico. Erano suoni gutturali che si mescolavano al tintinnare del bronzo e al clangore del ferro, ma il suo terrore era tale da fargli ingigantire ciò che sentiva e da fargli immaginare uno scalpiccio di passi che lo inseguiva dappresso, di fatto inesistente.
La folle corsa del soldato franco si concluse sotto un albero, al cui tronco si addossò esausto, prima di crollare per terra rannicchiato su se stesso e ansimante.
Correva da mezz’ora almeno, da quando cioè era rimasto tagliato fuori dal grosso dell’esercito che Carlo Magno aveva condotto in quelle lande selvose e impenetrabili per sconfiggere i Sassoni, estirpare dal loro cuore il paganesimo e sostituirlo con la pura fede in Cristo. Riconsiderando come erano andate le cose, si disse che era stato semplicemente molto sfortunato: il suo cavallo, un roano compagno di mille battaglie, era stato colpito sul collo da una freccia nemica e, reso pazzo dal dolore, lo aveva disarcionato donandogli, come regalo d’addio, un calcio alla mano destra che l’aveva preso solo di striscio ma gliela aveva resa inabile ad impugnare qualsiasi arma.
L’episodio era successo all’imbrunire e lui, dolorante e disorientato, si era ritrovato da solo nei pressi del villaggio sassone che aveva fatto resistenza al loro attacco improvviso e che si preparava adesso, e quelle urla lo dimostravano, a contrattaccare o a difendersi fino alla morte.
Un buio fitto accolse il soldato riaprendo gli occhi dopo qualche minuto passato a calmare i furiosi battiti del cuore. Nessuna luce d’intorno, solo in alto il lucore delle stelle lontane e fioche nella notte gelida.
Maledizione! Questa mano ferita e anche il freddo, adesso! Ma deve passare questa nottata. Poi escogiterò qualcosa
.
Pensando a come avrebbe agito allo spuntare dell’alba, l’uomo si tranquillizzò e si guardò attorno cercando di capire se fosse stato possibile, e conveniente, accendere il fuoco per scaldarsi e non morire assiderato. In effetti, adesso non si udivano più le voci provenienti dal villaggio, segno che lo aveva distanziato ben bene, quindi decise di rischiare e trasse da una sacca che teneva alla cinta una pietra focaia e un acciarino.
Faticò non poco ma mezz’ora dopo, utilizzando una manciata di frasche come esca, ebbe la meglio: un timido fuocherello levò le sue fiamme rosso-azzurre al cielo e sciolse le membra intorpidite del soldato. In breve tempo, anche per effetto dell’estrema debolezza dovuta alla corsa e alla fame (non mangiava dal mattino precedente, e anche allora non aveva certo fatto bisboccia dei suoi viveri), un torpore estremo invase il suo corpo e, seppure si fosse riproposto di rimanere vigile, per via dei nemici ma anche degli animali selvatici, specie i lupi che non erano rari in quelle lande, cadde addormentato.
Quello che seguì, non capì da subito se fosse un sogno o stesse accadendo veramente. Solo dopo comprese il senso di ciò che era stato. Ma andò così.
Si sentì sollevare in alto dall’albero sotto il quale era rannicchiato e di ramo in ramo (rami che adesso agivano esattamente come braccia munite di mani) gli altri alberi della foresta lo condussero lontano, verso il centro di una radura che ospitava un piccolo colle. Qui, deposto a terra da un ultimo ramo, egli aprì gli occhi, che aveva tenuto serrati per tutto il tempo, e si trovò dinanzi ad un albero altissimo, gigantesco, la cui sommità si perdeva nel cielo e le cui radici sembravano sprofondare fino al centro della terra. Solo tre di esse, tre radici contorte e possenti, emergevano dal terreno.
Si chiese dove mai lo avessero condotto e perché, ma decise di accettare tutto quello che sarebbe avvenuto. Non si meravigliò, quindi, neanche quando l’albero gli rivolse la parola.
«Quale è il tuo nome, straniero?»
«Ilex, per servirvi.»
«Porti un bel nome, un nome a me caro. E cosa cerchi, Ilex?»
«Sono un soldato. Seguo il mio re in guerra. Se vince vinco, se perde perdo.»
«Ma è davvero quello che cerchi, soldato?»
Ilex ebbe un fremito: possibile che quello strano albero la cui voce così autorevole arrivava da chissà dove sapesse leggergli dentro? Era vero, non cercava solo la gloria in guerra ma l’impresa, l’avventura solitaria che lo potesse rendere immortale tra gli uomini. Era questo che aveva fantasticato fin da bambino. E forse anche per questo si era aggregato con più entusiasmo del solito nella campagna che Carlo Magno stava combattendo contro i Sassoni, nella speranza cioè di trovare tra quei pagani il suo lasciapassare per la fama eterna.
«No, non è tutto qui, grande albero. Dici bene. Cerco altro. Ma forse qui troverò solo la morte, come tanti.»
Una specie di risata gorgogliò dalla chioma.
«Sai chi sono io?»
«Non me l’hai ancora detto.»
E poi, improvviso, un lampo squarciò il cielo sereno, il vento divenne un turbine e gli alberi tutti attorno si piegarono come se si prostrassero. E la voce, possente stavolta, declamò:
«Io sono Irminsul e reggo l’universo!»
Ilex, stordito, cadde sui ginocchi: non poteva credere a ciò che aveva udito. Ma sì, era stato uno sciocco, come aveva fatto a non riconoscere quell’albero, la quercia presso cui i Sassoni si riunivano in adorazione, lo stesso che Carlo Magno voleva estirpare credendolo il principale nemico sulla via dell’evangelizzazione di quel popolo? Ma il re non aveva detto che si trattava di un alberello rinsecchito? E i prelati al seguito non avevano asserito che consisteva addirittura in un semplice palo? E come mai Irminsul corrispondeva invece in pieno a quello che si diceva tra i soldati, sempre aperti ad accogliere ogni diceria e superstizione?
Basito, Ilex cercò di richiamare alla mente tutto quello che sapeva dell’albero e che aveva udito raccontare durante le veglie nell’accampamento, ma ricordò solo che si affermava che esso collegava la terra al cielo, ovvero il mondo