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I viaggi di Sindbad
I viaggi di Sindbad
I viaggi di Sindbad
E-book399 pagine5 ore

I viaggi di Sindbad

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Info su questo ebook

Fantasy - racconti (322 pagine) - Sette viaggi di Sindbad su mari di leggenda, da Baghdad all’Andalusia, a Sri Lanka e alla Cina, sino alle mitiche Lemuria e Antilia, tra maghe, principesse ribelli, giganti, mostri e divinità dimenticate.


Un giovane marinaio approda nel misterioso reame di Subrath, e per apparenti coincidenze diviene l’apprendista del geografo reale, intento a completare un’opera straordinaria, il Globo che rappresenta ogni mare, continente e isola del mondo. Nell’antica biblioteca tra diari di bordo e portolani di ogni epoca trova le storie del più famoso navigatore dei mari, Sindbad. E scopre che la vita di Sindbad è stranamente intrecciata alla sua.

Sette viaggi su sette mari diversi, compiuti dal famoso marinaio a differenti età, formano alla fine un arazzo variopinto in cui ogni filo si incontra e si dipana. In sette avventure, da Baghdad all’Andalusia, da Sri Lanka alla Cina, sino alle mitiche terre di Lemuria e Antilia. Sindbad incontra maghe affascinanti e principesse ribelli, giganti e mostri, pesci simili a isole e divinità dimenticate. Sette viaggi più uno, narrati da  Luigi de Pascalis, Monica Serra, Giorgio Smojver, Mauro Longo, Laura Silvestri, Donato Altomare, Mala Spina e Davide Camparsi e illustrati da Nicolò Rivello in copertina e Pietro Rotelli nelle tavole.


Alessandro Iascy è nato a Palermo nel 1984. Sin da bambino è affascinato dalla letteratura fantastica e dal 2006 ha trasformato questa passione in attività di divulgazione, attraverso i suoi blog, Andromeda per la fantascienza e Heroic Fantasy Italia per il fantasy. È promotore di diverse iniziative editoriali: dalla rivista Andromeda per l'editore Letterelettriche alle collane Heroic Fantasy Italia per l'editore Delos Digital e True Fantasy per l'editore Watson, per cui è stato curatore di diverse antologie da lui ideate. Nel 2017 ha vinto il prestigioso Premio Italia con la webzine Andromeda. Tra le Antologie curate: Eroica. Antologia sword & sorcery, Watson 2016; Folklore. Antologia fantastica sul folklore italiano, Watson 2018;  Thanatolia. Antologia sword & sorcery, Watson 2018; Impero: Antologia Gladius & Sorcery, Watson 2019; Sui mari d'acciaio, Letterelettriche 2020.

Giorgio Smojver è nato a Padova da genitori profughi da Fiume. Si è laureato presso l'Università degli Studi di Padova. Le sue passioni sono la mitologia comparata, la storia antica e medievale,  il romanzo cavalleresco classico e la letteratura Fantasy. Ha lavorato per anni alla rete di biblioteche del comune di Padova dove ha sempre promosso la letteratura fantastica.  Ritiratosi, si è dedicato a scrivere narrativa. Alterna storie fantastiche a sfondo storico ad altre ambientate in un mondo fantasy di sua creazione. Cura con Alessandro Iascy la collana Heroic Fantasy Italia di Delos Digital. Tra i romanzi pubblicati Le Aquile e l'Abisso, Watson 2019; Artigli nei boschi, Delos Digital 2019; I Tre Re, Delos Digital 2019; Spade sull'Oceano Delos Digital 2020. Ha curato le antologie  Impero: Antologia Gladius & Sorcery, Watson 2019 e Sui mari stregati, Letterelettriche 2019.

LinguaItaliano
Data di uscita23 feb 2021
ISBN9788825414691
I viaggi di Sindbad

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    Anteprima del libro

    I viaggi di Sindbad - Alessandro Iascy

    9788825411973

    Introduzione

    Sindbad è, insieme a Ulisse, probabilmente il più famoso navigatore dei mari di leggenda.

    Il racconto dei viaggi di Sindbad il marinaio entra tardivamente nella grande raccolta delle Mille e una notte: non si trova nei manoscritti che a partire dal XVII secolo.

    Tuttavia, ci sono buoni motivi per ritenere che risalga a un'epoca tra il IX e il X secolo. La cornice dell'opera è quella dell'età dell'oro del commercio marittimo arabo, quando da Bassora i mercanti arabi e persiani navigavano verso l'India, Sri Lanka, lo stretto di Malacca, le isole delle spezie e infine Canton (Guangzhou), da dove importavano seta e porcellane in cambio di spezie, gemme e legni pregiati. Di questa epoca abbiamo narrazioni di viaggio ricche di meraviglie: il libro Akhabr al-Sin wa al-Hind (notizie dalla Cina e dall'India) attribuita al mercante Sulayman al -Tajir che partito da Siraf in Iran, viaggiò per mare sulla costa indiana del Coromandel, a Sri Lanka, in Bangladesh e infine in Cina, e tornò carico di merci preziose; e il Kitab Aja'ib al-Hind libro delle meraviglia dell'India, racconti raccolti a Siraf e Bassora dal marinaio e geografo Burzurg Ibn Shariyar su viaggi di avventurieri musulmani in India, Malesia, Indonesia e Cina.

    Questi resoconti, che mescolano acute osservazioni geografiche ed etnografiche a voli di fantasia, sono alla base della storia di Sindbad.

    Tra le pagine di questa antologia di racconti Monica Serra e Giorgio Smojver ne hanno rappresentato l'origine nel fare di Suleiman al-Tajir il padre di Sindbad. Per la genesi della leggenda rimandiamo al bel saggio di Lavinia Scolari in questo volume.

    Noi curatori, Alessandro Iascy e Giorgio Smojver, siamo sempre stati affascinati dai viaggi meravigliosi di Sindbad. Tuttavia, al nostro gusto di appassionati di avventure eroiche mancava un tratto: Sindbad non è un guerriero. Nelle Mille e una notte non impugna la scimitarra, ma si affida all'astuzia e soprattutto al soccorso di Allah; e non è nemmeno un marinaio in senso proprio, non è lui a tenere la barra del timone e alzare le vele su mari ignoti. È solo un mercante imbarcato.

    È nata da qui l’idea di reinterpretare i suoi viaggi in chiave di Heroic Fantasy.

    Per uno dei casi curiosi che ricorrono nella storia, Harun al-Rashid, il Califfo delle Mille e una notte, e Carlo Magno, l'imperatore delle Chansons de geste, furono contemporanei, si scambiarono lettere e doni. Perché quindi non mischiare i generi e dare a Sindbad, oltre all'intelligenza curiosa e alla fede in Allah che gli sono proprie, anche il coraggio e la destrezza nelle armi degli eroi occidentali? Giorgio Smojver, (che oltre al ruolo di curatore partecipa all’opera anche in qualità di autore) appassionato del ciclo carolingio cui ha dedicato il romanzo Cavalieri erranti, (di prossima pubblicazione) si è spinto fino a far incontrare a Sindbad gli eroi di Ludovico Ariosto: Rinaldo e Astolfo.

    Abbiamo chiesto all’esperto e talentuoso autore, Luigi de Pascalis di scrivere una cornice, che rende questa antologia di racconti collegati tra loro come i capitoli di un romanzo. Ottimi autori del fantastico italiano, come Monica Serra, Giorgio Smojver, Mauro Longo, Laura Silvestri, Donato Altomare, Mala Spina e Davide Camparsi hanno narrato ciascuno un viaggio, e sette Sindbad si sono meravigliosamente fusi, dato che i racconti sono ambientati in momenti diversi della vita dell’eroe. A impreziosire il volume la copertina e le caricature degli autori a opera di Nicolò Rivello e le tavole interne di Pietro Rotelli.

    Vi auguriamo una buona e avventurosa lettura, tra i mari fantastici di Sindbad il marinaio.

    Giorgio Smojver e Alessandro Iascy

    Il secondo geografo del re di Subrath

    di Luigi De Pascalis

    Il mio nome è Elsiàm. I miei primi ricordi riguardano un vicolo buio e sporco del Cairo, in casa di un acquaiolo e di sua moglie. La mia infanzia è sempre stata una parentesi che ho desiderato dimenticare.

    Ho viaggiato a lungo per mare, come tanti. E come tanti ho visto molto e capito poco. Insomma la mia giovinezza è stata infruttuosa e banale, almeno fino al giorno di molti anni fa in cui sbarcai a Subrath.

    Venivo da Oriente, dal Paese dei Cavalli, ed ero diretto a Occidente, oltre l'ultimo stretto, verso le Isole Radiose. Delle molte cose che non sapevo, ce n’era almeno una che avrei scoperto presto: quello era il mio ultimo approdo, non sarei mai più salito su una nave in vita mia.

    Ricordo che sbarcai in un giorno di maggio. Faceva caldo e l’aria odorava dei frutti di mango, ma anche del pregiato legno di sandalo che veniva stivato sulla nave ormeggiata affianco a quella da cui sbarcavo. Dalle colline alle spalle del porto giungeva il profumo intenso degli agrumeti che verdeggiavano fino all’orizzonte.

    A quel tempo Subrath era una città magnifica: ricca, colta, cosmopolita. E non potrebbe essere stato diversamente dal momento che era capitale di un regno di mercanti e navigatori senza pari.

    Da molti secoli sul trono del reame sedevano i discendenti di Angrath il Navigatore. E, per quanto ne so, tutti hanno sempre considerato come gioiello più prezioso del loro tesoro la più antica e prestigiosa Scuola di Navigazione del mondo, fondata dal loro mitico capostipite.

    La Scuola di Navigazione di Subrath domina il promontorio omonimo da un alto e affilato sperone di roccia elegante come la prora di un vascello. Alla sua base spumeggia il Mare Orientale, laddove unisce le sue acque a quelle più salate del Mare Interno. Al largo dell'affilato sperone di roccia l’incontro tra i due mari crea la lunga scia violetta che i naviganti conoscono come Corrente di Subrath, la stessa che va a perdersi nella profondissima fossa oceanica al centro del lontano Arcipelago del Paradiso.

    Quando vi approdai, Subrath era un luogo incantevole popolato da uomini forti e incapaci di ignorare il richiamo del mare e di donne bellissime e sensuali incapaci di resistere al richiamo dei sensi. Un paradiso!

    Come ho detto, pensavo che sarei tornato a imbarcarmi in uno o due giorni perché a quel tempo, avevo poco più di vent’anni, tutto mi incuriosiva, tutto m’attraeva e nulla mi tratteneva.

    Il secondo giorno di permanenza a Subrath decisi di andare a visitare la sua celebre Scuola di Navigazione, mai immaginando che tale decisione avrebbe cambiato la mia vita per sempre. Vita che da allora divenne più quieta e stabile; non monotona, tuttavia, perché sarebbe stata dedicata per anni a un’opera straordinaria, il Globo, accanto a un uomo altrettanto straordinario: Balthasar Polidorìdes, il geografo reale.

    Ma è bene che io vada con ordine.

    A quell'epoca la scuola, una specie di severo castello a picco sul mare, era in perenne fermento, essendo frequentata da centinaia di aspiranti capitani di vascello. Vi risuonava un viavai di passi eccitati e un intrecciarsi concitato di voci e risa ordinati dal suono severo del grande gong di bronzo istallato accanto all'ingresso principale; ma nell'immensa biblioteca e nella sala del Globo regnava il più completo silenzio.

    La sala del Globo! Non posso dimenticare la prima volta che vi entrai. Ne varcai la soglia e mi arrestai incantato dinanzi al gigantesco manufatto che troneggiava al suo centro. Ruotava su un robusto asse d’acciaio infisso nel pavimento e nel soffitto ed era abbracciato da una monumentale scala a spirale che vi si avvolgeva attorno come un serpente uroboro; abbastanza vicino da poter osservare ogni unghia della sua spropositata superficie e abbastanza lontana da permettere al Globo di ruotare senza impedimenti e sforzi.

    La superficie dell’immensa sfera era ricoperta di segni e nomi: continenti, monti, città, fiumi, villaggi, fattorie, perfino case isolate; ma anche penisole, isole, isolotti, scogli, fari, porti, porticcioli, anfratti. Insomma vi era riprodotto fin nei minimi particolari il mondo intero; e con una precisione assoluta!

    Sì, il Globo mi apparve subito come un’opera talmente bella da lasciare senza fiato.

    Quando entrai nella sala che lo ospita, essa era illuminata dalla luce dorata del tramonto incipiente ed era deserta a parte i due uomini che discutevano piano, in cima alla straordinaria scala, appena sotto la volta.

    Uno era vestito di porpora, l’altro di nero; uno era bruno, giovane e robusto, l’altro era anziano, aveva una lunga barba d’impressionante candore ed era fragile e ossuto come una mummia delle sabbie. Il primo, come avrei appreso di lì a poco, era sua maestà Amorrion, sessantunesimo re di Subrath; il secondo era Balthasar Polidorìdes, il geografo di corte.

    I due stavano discutendo sull’esatto percorso di un fiumiciattolo stagionale che nel periodo dei monsoni tagliava l’estremità orientale del deserto sassoso ai piedi dei Monti Ventosi, nella regione australe. Il perché fossero in cima alla scala, tuttavia, mi fu chiaro solo più tardi.

    A un certo punto, mentre guardavo imbambolato la gigantesca sfera che pareva ruotare senza sforzo appena l’uomo vestito di porpora ci poggiava sopra la mano, il borbottio sommesso dei due fu rotto dalla voce possente e soddisfatta del re.

    – Bene, Balthasar, ora che anche l’ultimo corso d’acqua del mondo ha il suo esatto percorso sulla sfera, non hai più scuse: devi terminare l’opera.

    – Vi riferite all’Arcipelago Perduto, maestà?

    Mi parve che la voce del vecchio tremasse d’ansia.

    – Certo, l’Arcipelago: che altro?

    – Ma non abbiamo dati sicuri! Potrei situarlo nel posto sbagliato, compromettendo la scientificità del Globo. Secoli di fatiche altrui e mie ne sarebbero vanificati.

    – Sciocchezze, Balthasar. Abbiamo un archivio che trabocca di resoconti di viaggio, portolani e mappe parziali, cosa altro vuoi per situare sul Globo l’Arcipelago Perduto?

    Il vecchio ciondolava il capo, titubante.

    – Ordine, maestà: io ho bisogno di ordine! C’è ancora un lavoro immenso da fare. I portolani riportano rotte incongruenti che a volte si riferiscono a distanze abbastanza brevi e altre a traversate interminabili. A volte fanno riferimento al Sole, altre volte alla Stella Polare; e molti rapporti parlano di rotte tracciate alla luce della Croce del Sud. Come si fa a stabilire alcunché, su basi tanto discordanti? Io faccio il possibile, ma…

    – Raffronta i dati, Balthasar: non sono io che devo insegnare a te il mestiere di geografo.

    – Raffrontare dati incongruenti? Non è possibile, maestà… – Il vecchio seguiva il re che scendeva deciso lungo la scala, in uno svolazzo di porpora. – E se non ci fosse un solo Arcipelago Perduto… Se ce ne fossero molti?

    Il sessantaduesimo re di Subrath si arrestò all’improvviso e si voltò verso il vecchio che quasi inciampò nel bordo del regale mantello. Sua maestà aveva il viso illuminato dal sole morente ed era abbastanza vicino da permettermi di notare che lo sguardo lampeggiava di collera.

    – Le ricerche di sessantuno sovrani di Subrath e di sessantuno geografi reali non sono stati sufficienti a cancellare questa assurda ipotesi, Balthasar? Eppure è stata formulata dal secondo geografo, più di duemila anni fa! L’Arcipelago Perduto è uno solo, lo sento.

    Il re e il geografo avevano raggiunto il pavimento della sala, a non più di qualche passo da me, ma per loro ero invisibile.

    – Le vostre sensazioni sono rispettabilissime, sire, ma non hanno nulla di scientifico. Allo stato attuale io non posso…

    – Basta, Balthasar! – Il re si voltò a indicare il Globo. I suoi occhi erano colmi d’ira. – Ho promesso a mio padre, sul suo letto di morte, che il Globo sarebbe stato terminato durante il mio regno e intendo tenere fede all'impegno.

    Balthasar abbassò il capo, rassegnato se non vinto.

    – Allora ho bisogno d’aiuto, maestà. Autorizzate uno dei vostri cortigiani ad assistermi.

    – Sai che non è possibile. L’Archivio Geografico Reale è segreto. Da più di duemila anni possono accedervi solo il sovrano e il suo geografo che non è mai, dico mai, un cittadino di Subrath! La tua richiesta è fuori questione.

    A volte le vite degli uomini mutano rotta per un semplice soffio di vento. La brezza di ponente che entrava dalla grande vetrata spalancata sul mare rinforzò all’improvviso. Il mantello del re s’aprì in un ennesimo svolazzo e il suo bordo mi sfiorò il viso con un tocco setoso. Ma nessuno può sfiorare il re di Subrath, o il suo regale mantello, salvo il suo geografo: pena la morte. Questo lo sanno anche i forestieri.

    – Voi, come osate!

    Rischiavo la testa e l’espressione del sovrano alludeva già al boia. Cominciai a sudare freddo.

    – È stato il vento, maestà – balbettai per giustificarmi. – S’è levato all’improvviso e il vostro mantello….

    Non conoscevo ancora il proverbio di Subrath che dice: È il vento che traccia la rotta.

    Logico e vero sul mare, ma sulla terra?

    Anche sulla terra, secondo il re e gli abitanti di Subrath.

    Il re aggrottò la fronte e mi domandò: – Cosa ci fate qui?

    – Nulla di male, maestà – balbettai prostrandomi ai suoi piedi. – Sono sbarcato ieri a Subrath per la prima volta e ho voluto visitare la Scuola, attratto dalla sua fama. Ma non avrei mai immaginato che al suo interno ci fosse una tale meraviglia. Il Globo, dico.

    Il re era famoso per la rapidità delle sue decisioni.

    – È il vento che traccia la rotta – disse a Balthasar per la milionesima volta, forse, in tanti anni di frequentazione reciproca. Poi si rivolse a me: – Secondo la legge di Subrath potrei farvi giustiziare, lo sapete? – La mia espressione sconvolta lo fece sorridere. – Tranquillizzatevi, non ne ho intenzione. Voi mi servite.

    Mi sforzai di sorridere anch’io, prono com'ero.

    – Come mai potrei rifiutarmi?

    – Non potete, infatti. – Estrasse la spada: il sibilo sinistro della lama mi diede la pelle d’oca. – Vi nomino secondo geografo reale. Da questo momento siete agli ordini del primo geografo, il qui presente Balthasar Polidorìdes. Fuga e disobbedienza saranno punite con la morte; la divulgazione di ciò che vedrete e apprenderete qui dentro sarà punita con la morte… Per la verità sono molte le infrazioni, anche lievi, che le leggi di Subrath puniscono con la morte, tuttavia la vita nel mio regno è degna di essere vissuta, avrete modo di accorgervene. Venite, ora: voglio mostrarvi il tesoro più segreto del regno, l’Archivio Geografico Reale.

    Rinfoderò la spada e precedette Balthasar e me verso la sala segreta dove i sessantadue re di Subrath avevano fatto raccogliere per più di duemila anni i giornali di bordo e i resoconti di viaggio dei navigatori, compresi quelli che asserivano di avere fatto approdo all’Arcipelago Perduto.

    Anche quella sala era immensa.

    Gli scaffali senza fine odoravano di mistero.

    Una fragranza che non dimenticherò mai, lo giuro.

    – Sei straniero, Elsiàm, dunque è giusto dirti qualcosa sulla terra che ti trovi a calcare, certo per destino dal momento che sei qui e che il re ha deciso di affiancarti a me nella fase conclusiva dell’immensa impresa di riportare sul Globo il mondo intero, spanna per spanna, segnando ogni sasso, ogni ruscello, ogni pozzanghera con il suo giusto nome.

    La voce di Balthasar era più flebile che mai, le sue spalle erano curve, le dita tremavano disegnando voli di parole nell’aria. Ma il suo sguardo era dritto, senza ombre e senza tentennamenti. Ricordo che pensai per la prima di molte volte: Ecco un uomo che ha visto ogni cosa con testa e cuore, prima che con gli occhi. Il re è fortunato ad averlo con sé.

    Perciò risposi: – Voi, signore, amate più viaggiare con la mente che partire o arrivare col corpo, non è così?

    Il vecchio sorrise.

    – Sì, è vero… – Si guardò attorno con fare circospetto. Poi aggiunse, a voce bassissima sebbene fossimo soli: – Non so se hai già capito che questo archivio è l’inferno dei ricordi di sessantadue re e di sessantadue geografi. – Fece un gesto circolare, per indicare la sala dove ci trovavamo, ma anche la scuola che la includeva, quasi a proteggerla; e il porto, immenso e brulicante che si vedeva attraverso la grande vetrata. – Nessuno conosce il numero delle navi che in tante centinaia di anni hanno salpato dai nostri moli, né il numero di quelle che vi hanno fatto approdo nello stesso periodo. Ma so per certo che tutte quelle che partivano recavano messaggi del re in carica per i suoi omologhi stranieri e che ognuna di quelle che tornavano aveva un resoconto, una mappa, una testimonianza, dono di qualche re straniero al sovrano di Subrath. Su questi scaffali ci sono cose a cui non possono stare alla pari neppure i tuoi peggiori incubi o i tuoi sogni più ambiziosi. Qualunque ipotetica follia vi è documentata puntigliosamente, perché vera in questo o quel luogo; qualunque possibile miracolo della natura vi è descritto, perché verificatosi in qualche angolo del mondo; e avventure incredibili; e creature inimmaginabili. Vedi, Elsiàm, dai documenti qui conservati sembrerebbe che tutto ciò che nega le leggi fisiche che conosciamo abbia origine nell’Arcipelago Perduto; anzi che, su quelle isole che nessuno sa di preciso dove si trovino, la ragione umana non abbia alcun valore. Come se fossero soggette ad altre leggi, capisci?

    – Come ha avuto inizio tutto ciò? – chiesi smarrito.

    – Cominciò durante il regno del primo re, Angrath il Navigatore – mi rispose Balthasar. – Quel re aveva una figlia, l’infanta Helena, che era bellissima e inquieta come tutte le donne di Subrath. Un giorno la principessa s’invaghì di un marinaio di povere origini, ma gran narratore. Si chiamava Paridès e le parlò delle meraviglie dell’Arcipelago dov'era nato: sì, proprio quello che noi chiamiamo l'Arcipelago Perduto. E tanto gliene parlò che alla fine lei s’innamorò di lui e delle sue isole. E una notte s'imbarcò di nascosto sulla nave di quell'avventuriero che all'alta marea salpò per chi sa dove.

    – Adesso capisco l’origine del detto: È il vento che traccia la rotta.

    – Già! Il re mandò tutte le sue navi alla ricerca della figlia ma quelle poche che tornarono non avevano visto che mare o terre già note. Allora il sovrano si rivolse a ogni sorta di pirati, mercenari, briganti e avventurieri e anche questi partirono alla ricerca dell’infanta col miraggio della ricompensa dovuta ai valorosi che l'avessero riportata a casa. Ai valorosi, dico, che per i giusti la giustizia stessa è premio… Tuttavia anche quei pochi di loro che riuscirono a tornare si presentarono a mani vuote. Alcuni dissero di essere arrivati fino a un arcipelago non segnato su alcuna mappa, visitato e subito perso, che pensavano fosse lo stesso in cui il marinaio vagabondo aveva portato l’infanta. E consegnarono al re le prime, strabilianti relazioni di viaggio. Ecco, questa è l’origine del nostro archivio.

    – Tornò mai l’infanta?

    – No, mai. Eppure per secoli e secoli i re di Subrath non hanno smesso di cercare lei o la sua discendenza. A Subrath, quando si vuol indicare una felicità che forse non verrà mai, si dice: Sì, al ritorno dell’infanta!. Non mi è mai stato chiaro se in questo detto ci sia più speranza o disincanto. A ogni modo, questa è la storia che ha generato l’archivio reale. Ora il sovrano pretende che con il tuo aiuto io situi sul Globo il luogo esatto dove dimorano speranza e disincanto: ti pare possibile, dimmi?

    No, non mi pareva possibile: disincanto e speranza non hanno dimora, sono semi che il vento sparge ovunque.

    – C’è una cosa che capisco meno delle altre – dissi alla fine. – Perché il re vuole stabilire il luogo e la rotta per l’Arcipelago Perduto con tanta improvvisa urgenza? In fondo è una questione che si dibatte da molti secoli.

    – La ragione della sua premura è che non ha eredi a cui lasciare il regno e spera di trovare nell’Arcipelago i discendenti dell’infanta: sangue del suo sangue da mettere sul trono, legittimamente.

    – Capisco. Da dove volete che cominciamo?

    – Dai resoconti di un marinaio di nome Sindbad, il quale, per la verità, ce ne ha mandati diversi, non tutti coerenti tra loro. Eppure, dopo decenni di riflessione, credo che solo lui tra tutti si sia avvicinato all'Arcipelago Perduto. Ma se dovessi esporti il perché di questa convinzione, non saprei che dire.

    Mi guidò in un angolo della sala, montò su una scala altissima e traballante e tornò giù con un manoscritto la cui intestazione era Resoconto del primo viaggio di Sindbad il marinaio. Seguiva un lunghissimo numero di registrazione del documento.

    – Tieni – disse porgendomelo. – Leggi e dimmi che ne pensi.

    Da mercante a marinaio

    Resoconto del primo viaggio di Sindbad il marinaio

    Monica Serra

    L'ultimo dirham cadde tintinnando.

    – E con questo, sono cinquemila. – L'uomo appuntò qualcosa su un registro, poi tese la mano verso il giovane elegante che guardava con aria indifferente il mucchietto di monete d'argento davanti a sé. – Il tuo sigillo.

    – Sei un ladro, Salah. Cinquemila dirham d'argento li vale da solo il sigillo che mi stai chiedendo.

    Il funzionario si strinse nelle spalle.

    – Non sono io quello che ha dilapidato le sue ricchezze. Il tuo fondaco è requisito, ringrazia che il califfo abbia previsto questo indennizzo. Fosse stato per me, ti avrei sbattuto fuori senza tanti riguardi – Agitò la mano, brusco. – Avanti, Sindbad, il sigillo.

    Il mercante sfilò l'anello, lo rigirò tra le dita, poi lo consegnò.

    – E che cosa dovrei farci, secondo il califfo, con la sua elemosina?

    Salah ibn Azar fece cadere l'anello nella borsa di pelle che portava legata alla cinta.

    – Comprati una nave. – Il tono compiaciuto si accompagnò a un sarcastico inchino. – Con cinquemila dirham d'argento, il negozio di giocattoli in fondo al mercato potrebbe vendertene addirittura due.

    Sindbad non intendeva dare soddisfazione all'untuoso esattore del califfo. Raccolse il denaro in un sacchetto di tela, raddrizzò la schiena e uscì a passo deciso dalla porta di quella che fino a pochi istanti prima era stata la casa della sua famiglia. Fuori, il cavallo di Salah attendeva il suo cavaliere, mordicchiando le ortensie cariche di fiori. Sindbad osservò il nobile busto, la pelle sottile ricoperta da peli corti e lucenti, gli zoccoli piccoli e forti, e un’idea gli passò per la mente, rapida come le saette dei temporali estivi.

    Cinquemila dirham e uno dei purosangue del califfo.

    Non ci pensò due volte. Balzò in sella e spronò l’animale.

    Alle sue spalle, la voce di Salah ibn Azar tuonò: – Imbroglione di un mercante! – ma le sue imprecazioni furono rapidamente divorate dalla distanza.

    Non lasciava nulla a Baghdad. Salvo Nur Jan: la sorellina quindicenne, che il padre aveva riportato da uno dei suoi viaggi lontani, di cui non aveva mai conosciuto la madre. A lei e solo a lei aveva chiesto perdono. Ma Nur, che sin da bambina amava travestirsi da maschietto e mischiarsi ai ladri e ai mendicanti, aveva alzato le spalle e sorriso. – Non preoccuparti, io so badare a me stessa.

    Sindbad giunse a Bassora qualche giorno dopo, navigando sul Tigri. Aveva barattato il cavallo con un passaggio, senza intaccare il misero compenso che gli era stato elargito. Non avrebbe potuto comprarci una nave, ma forse un transito per le Indie sì. Aveva venticinque anni, e tutta la vita davanti. La sua abilità di mercante gli avrebbe permesso di ricostruire il patrimonio che aveva incautamente sperperato.

    Ritemprato l’animo con i buoni propositi, sbarcò a Bassora in un tardo pomeriggio. Il tramonto rosseggiava sull’acqua, tingendo di riflessi sanguigni le vele delle imbarcazioni attraccate ai moli. Una baghla attirò la sua attenzione. Aveva due alberi, come quelle che usava scegliere suo padre per i suoi commerci. La poppa era sopraelevata rispetto al ponte di coperta e vi era scolpito un nome.

    Aidha.

    – Colei che parte ma ritorna. – Gli sembrò un nome propizio per la nave di un mercante.

    La tua nave.

    La voce femminile giunse sussurrata e inattesa. Sindbad si guardò intorno, ma non aveva nessuno accanto. C’era gente che andava e veniva sul molo, ma si trattava di marinai, commercianti, passeggeri appena sbarcati. E nessuno di loro era una donna.

    Tornò a osservare la nave. Per un istante, il via vai del porto si dissolse. L’immagine della vela trapezoidale che si gonfiava di vento e prendeva il mare con eleganza e agilità gli riempì la mente. Il desiderio di possedere quella nave, e nessun’altra, era così forte da farlo star male. Si riscosse dalla malia, e fu allora che si avvide della donna.

    Dall’altro lato della via, se ne stava immobile nell'andirivieni indaffarato del molo. Aveva la pelle liscia come l'olio e un’insolita carnagione dorata. Indossava una lunga veste, semplice, del colore del grano maturo, che cadeva a pieghe dalle spalle fino ai piedi, e portava i capelli legati dietro la schiena in una treccia splendente di sfumature brune come quelle dei legni pregiati. Sindbad ne era attratto, in un modo che gli sembrò molto pericoloso.

    Lei pareva racchiusa in una bolla di vetro. Per un momento i suoi intensi occhi scuri si fissarono in quelli di Sindbad, e lui si ritrovò la bocca secca. Annaspò, alla ricerca del respiro che pareva essersi smarrito in quello sguardo magnetico. In mezzo alla gente che andava e veniva con frenesia erano all'improvviso soli, occhi negli occhi, indifferenti alla folla.

    Tutto quello che hai nella borsa sarà sufficiente.

    Per Sindbad ritrarre i pensieri fu quasi uno sforzo fisico, come estrarre la mano da un vaso di melassa. Si girò e si allontanò in fretta attraverso il mercato affollato. Urtò i passanti, sbatté contro una bancarella. Quando finalmente si volse a guardare indietro, la donna era scomparsa.

    Col respiro spezzato e mille domande nella testa, Sindbad si allontanò dal porto, addentrandosi nel dedalo di stradine che s’intrecciavano dietro al mercato. Trovò un vicolo tranquillo, slegò la tasca e ne esaminò il contenuto.

    – Tutto quello che hai nella borsa – aveva detto la voce. Quasi scoppiò in una risata isterica: con quei pochi dirham poteva permettersi al massimo una stanza e pasti regolari per un paio di settimane oppure uno scomodo passaggio per il porto indiano più vicino.

    – Potresti invece accettare la mia offerta.

    Sindbad sospettò per un istante di essere sull’orlo della pazzia. Eppure, quella voce era così reale.

    – Segui il profumo dell’ambra grigia, mercante. E per cinquemila dirham farò di te un grande marinaio.

    Come accidenti faceva a sapere che i suoi averi ammontavano esattamente a cinquemila dirham d'argento? Sindbad non riusciva a decidere se essere spaventato o arrabbiato. Chiunque – o qualsiasi cosa – fosse a inculcargli quelle idee, la situazione era folle. Poi ripensò all’Aidha e alla sua vela piena di vento. Ripensò alla donna del molo, ai suoi occhi e alle parole che gli sembrava di aver udito senza che tuttavia lei le pronunciasse.

    Allora richiuse per bene la borsa e la rimise al suo posto, nella fascia che gli cingeva la vita. Mentre il sole del pomeriggio calava in una lunga sera d'estate, un sentore di legno secco misto a una nota dolciastra gli solleticò il naso.

    Ambra grigia.

    Fu a quel punto che Sindbad il mercante fece la sua scelta. Si lasciò alle spalle la città e cominciò a percorrere la riva.

    Pronto a divenire Sindbad il marinaio.

    La brezza serale era la benvenuta dopo il calore del giorno. Il cielo era chiaro e prometteva un domani sereno. Fuori città c'erano alcune spiagge sassose dove i pescatori più poveri tiravano in secca le loro barchette. Era lì che la donna lo stava aspettando.

    Sindbad raggiunse una piccola costruzione di pietra bianca affacciata sull’acqua. Non c’erano porte, solo una piccola apertura nel muro e una tenda pesante a chiudere l’ingresso. Entrò. Le ultime strisce di luce filtravano all'interno della casa intrufolandosi nella trama del legno intarsiato che proteggeva la finestra, e proiettavano disegni geometrici sul pavimento ricoperto di tappeti di ogni grandezza e colore. Piccole lampade a olio illuminavano un cerchio, al centro del quale lei lo attendeva.

    – Sapevo che saresti venuto.

    – Chi sei?

    La donna lo fissò, soppesando la risposta.

    – La nave che vorresti comprare è mia, mercante – affermò.

    – Non ho detto a nessuno che voglio acquistare una nave. – Sindbad cercò di non mostrare il disagio che gli strisciava nello stomaco. – Soprattutto quella nave. Eppure, sembra che tu conosca i miei segreti.

    Un sorriso, quasi impercettibile, curvò le labbra della sconosciuta. Dapprima Sindbad credette che fossero le luci a ingannarlo. La pelle della donna cambiò colore e assunse il blu delle profondità marine, liscia come seta e trasparente come l'aria. Il tempo di un respiro, e tutto tornò normale, tanto che Sindbad pensò di averlo immaginato.

    Devo piantarla con vino e hashish, si disse, mi hanno bruciato il cervello.

    La donna fece qualche passo nella sua direzione. Si muoveva in modo fluido, come attraversando l’acqua. Era più alta di quanto Sindbad si aspettasse. Non era bella, eppure c'era qualcosa di affascinante nel suo portamento aggraziato, nella veste dalle pieghe fitte, nella folta treccia, nell'aspetto semplice ed elegante.

    – Dunque, la nave. – Le pagliuzze dorate nel suo sguardo sfavillarono. – Potrei accettare i tuoi cinquemila dirham d'argento.

    Sindbad era incredulo: la baghla che aveva visto ormeggiata valeva almeno il triplo, e in dinar d'oro oltretutto. Venderla a quel prezzo sarebbe stato da idioti. Dato che non riusciva a pensare con chiarezza, preferì restare in silenzio.

    La donna emise un piccolo sospiro.

    – Sei un ragazzo testardo – disse, e

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