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Puttana da Guerra
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Puttana da Guerra
E-book110 pagine1 ora

Puttana da Guerra

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Info su questo ebook

In un futuro in cui tutti sono stati arruolati fin dalla nascita, cinque soldati esausti attendono tra i ghiacci artici che accada qualcosa. Non sanno perché si trovano lì né cosa devono fare.

I loro superiori hanno smesso di dare ordini, il cibo sta finendo e forse non esiste nemmeno un nemico da combattere. Quando la loro puttana da guerra (un essere geneticamente modificato per soddisfare i desideri dei soldati) sparisce nella tormenta, decidono di lasciare il campo per andarla a salvare e ciò che trovano nella città di ghiaccio è ben al di là di ciò che avevano immaginato.

[Racconto lungo di Bizarro Fiction, collana Vaporteppa, 16.600 parole, circa 55 pagine, con in aggiunta un saggio di "Introduzione alla Bizarro Fiction" di 3800 parole a cura di Chiara Gamberetta]
LinguaItaliano
Data di uscita14 lug 2014
ISBN9788898924165
Puttana da Guerra

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    Anteprima del libro

    Puttana da Guerra - Carlton Mellick III

    Carlton Mellick III

    PUTTANA

    DA GUERRA

    Traduzione di Emilio Zanchi

    &

    Postfazione di Chiara Gamberetta

    Puttana da Guerra

    Carlton Mellick III

    Traduzione: Emilio Zanchi

    Grafica del biglietto: Laura Bagliani

    Illustrazione di copertina: Manuel Preitano

    Postfazione a cura di: Chiara Gamberetta

    ISBN 978-88-9892-416-5

    Copyright © 2014 Antonio Tombolini editore

    Via Villa Costantina, 61

    60025 Loreto (Ancona), Italia

    Titolo originale: War Slut

    Copyright © 2006 by Carlton Mellick III

    http://carltonmellick.com

    Tutti i diritti riservati.

    Collana ideata e curata da

    Marco Carrara - il Duca di Baionette

    Vaporteppa n. 5

    www.vaporteppa.it

    vaporteppa@simplicissimus.it

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    Indice dei contenuti

    Colophon

    Nota dell’Autore

    Capitolo Uno – Il Battaglione Perduto

    Capitolo Due – La Puttana da Battaglia

    Capitolo Tre – L’Ultima Battaglia

    Capitolo Quattro – Gli Ufficiali Silenziosi

    Capitolo Cinque – Pallasega

    Capitolo Sei – La Città Perduta

    Capitolo Sette – Orecchio di Miele

    Capitolo Otto – Lucine che Spariscono

    Capitolo Nove – Proiettili Sega

    Capitolo Dieci – Sangue Bollente

    Capitolo Undici – Proiettili Biblioteca, Proiettili Stomaco

    Capitolo Dodici – Un Nuovo Giorno

    Introduzione alla Bizarro Fiction

    Note dell’Editore

    Grazie da Vaporteppa

    NOTA DELL’AUTORE

    Non farò finta di saperne qualcosa a proposito del prestare servizio nell’esercito. Preferisco non insultare il lettore con del gergo militare cliché e con informazioni palesemente mal ricercate. Senza un’esperienza in prima persona, questo genere di cose appaiono troppo forzate e artefatte. E io semplicemente le odio quando le vedo in televisione o nei film di Hollywood. Così non aspettatevi una storia di guerra che sia realisticamente accurata. Infatti, i soldati di questa vicenda assomigliano di più ai pupazzetti di G.I. Joe con cui può giocare un bambino di nove anni mentre fuori nevica. O magari assomigliano ai soldati nei videogiochi d’azione fantascientifici di guerra.

    Ma non mi interessa essere realistico. Essere realistico non è il mio stile. Questa storia parla dell’assurdo.

    – Carlton Mellick III 16/09/2006 16:46

    CAPITOLO UNO

    IL BATTAGLIONE PERDUTO

    Gli ufficiali hanno smesso di parlarci questa mattina, hanno smesso di darci ordini, e così non sono del tutto sicuro di cosa dovremmo fare.

    Stiamo acquattati qui, nelle trincee invase dalla neve; il Caporale McClean va avanti e indietro tra le trincee e la tenda degli ufficiali per avere notizie, ma gli ufficiali non lo guardano neanche: semplicemente rimangono seduti comodi ai loro posti, fissando la desolazione ghiacciata, e tenendo in mano i sigari. Lasciano che si consumino fino a che non si bruciano le nocche.

    «C’è qualcosa che non va» dice McClean, mentre mi agita davanti al viso le dita tatuate, come se stesse suonando il pianoforte.

    McClean non dice mai nient’altro.

    ***

    Sono passate cinque settimane da quando siamo arrivati nell’Artide, cinque settimane di assideramenti, cinque settimane di morti stupide. La guerra è finita. È finita da mesi. Ma noi siamo ancora qui fuori, e nessuno ci dice perché.

    Mentre tornavamo a casa, sull’aereo diretto in California, il Colonnello Dupont ci ha scrutati da sotto le sottili sopracciglia a forma di lampo e si è staccato una crosticina dalla verruca sul pollice. Lo fa sempre quando ha cattive notizie per noi.

    «La guerra può essere finita per tutti gli altri» ha detto. «Ma non per noi.»

    Dovevamo svolgere un’altra missione. Della massima importanza. Ma non ci ha fornito alcun dettaglio. Non ci ha detto quali fossero gli obiettivi. Non ci ha detto dove saremmo andati. Ci ha detto solo che la guerra non era ancora finita per noi, e che potevamo toglierci quei sorrisi ebeti dalle facce.

    «Devono ancora esserci dei renitenti alla leva nascosti» si sussurravano tra loro i soldati.

    Renitenti alla leva. Sono parole che mi fanno venire la pelle d’oca. I renitenti alla leva sono il nemico definitivo della pace. Il nemico definitivo della libertà.

    Ogni uomo, donna, e bambino del mondo era stato arruolato nell’esercito per combattere la guerra contro i renitenti alla leva. Era successo anni fa, molto prima che nascessi, molto prima che tutte le nazioni del mondo si unissero. I renitenti: codardi, ribelli, traditori, anarchici. Credevamo di averli uccisi tutti. Ma ne rimanevano ancora. Da qualche parte.

    ***

    «Ancora nessuna novità?» chiede LeForge al Caporale, sistemandosi le mutande sotto i pantaloni prima di sedersi accanto a me, gli occhiali sporchi di neve.

    McClean scuote la testa e LeForge gli sputa addosso un grumo di carne di manzo della razione da campo.

    «Non è colpa sua» dico a LeForge.

    «Stronzate» dice il robusto francese. «È un incompetente.»

    «È più alto in grado di te» dico.

    LeForge mi mostra il dito medio.

    McClean ha ancora il grumo di carne sul petto; non gli interessa la discussione, muove le dita come se suonasse il piano, seguendo una melodia che ha in testa.

    «Dunque, che cazzo dobbiamo fare?» chiede LeForge.

    «Aspettare» dico. «Ci daranno gli ordini quando sarà il momento.»

    ***

    Passa un giorno. Ancora niente ordini.

    Chauney esce dal rifugio con un lanciagranate posato sulla spalla come se fosse uno zaino.

    «Kot è morto» mi dice.

    «Era l’ultimo, vero?» le chiedo.

    Lei annuisce.

    Rimaniamo solo in cinque. Più gli ufficiali.

    Ci guardiamo in faccia per un po’, la neve che scricchiola sotto i piedi.

    «Forse potremo proseguire la missione» dico. «Adesso che i feriti sono morti.»

    Chauney si stringe nelle spalle.

    ***

    McClean dice agli ufficiali che Kot è morto durante la notte, ma gli ufficiali non gli prestano ascolto. Non si sono mossi dai loro posti, continuano a fumare i sigari e adesso anche a sorseggiare brandy, lo sguardo perso nel vuoto, nessuna preoccupazione che li sfiori.

    «Sono come un fantasma» ci dice McClean.

    LeForge tira un calcio alla neve.

    «Cosa dobbiamo fare?» chiede Chauney.

    «Cosa possiamo fare?» chiedo.

    «Possiamo fare qualcosa» dice lei.

    «Qual era l’ultimo ordine?» chiedo.

    «Seppellire Jefferson» dice Chauney.

    «Vuoi seppellire Kot?» le chiedo.

    «Certo» dice Chauney.

    Seppelliamo Kot. Non ci vuole molto.

    «E adesso?» chiede LeForge.

    «Potremmo scavare le tombe per noi. Non si sa mai» dice Chauney.

    Facciamo spallucce e scaviamo le tombe.

    CAPITOLO DUE

    LA PUTTANA DA BATTAGLIA

    Passa un altro giorno.

    Gli ufficiali hanno finito il brandy. I sigari si sono consumati fino a bruciare loro le dita. Ma loro semplicemente rimangono seduti ai propri posti, lo sguardo assente.

    Mi spalmo un altro strato di camo climatico. È uno dei miei ultimi barattoli. Siamo ancora vestiti con uniformi adatte al deserto, progettate per il clima del Nord Africa; in Nord Africa ci abbiamo passato gli ultimi tre anni. L’unica cosa che qui ci tiene caldo è il camo climatico: una crema, densa come un rossetto, che stendi su

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