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Travolta da un mare di leccate
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E-book248 pagine2 ore

Travolta da un mare di leccate

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Info su questo ebook

Avere un cane come amico o come membro della famiglia è qualcosa di

consueto. Anche averne due o tre insieme è abbastanza normale.

Ma vi siete mai chiesti come si possa convivere con undici, soprattutto se rottweiler?

Questa

è la cronaca vera di un periodo indimenticabile della mia vita, durato

più di dodici anni. Raccontato con i canoni di un romanzo e impregnato

dal mio solito umorismo, questo libro vi farà accedere a un mondo fatto

di tenerezza, gioia, empatia, affetto, amore, ma anche di angoscia,

dolore e tristezza.
LinguaItaliano
Data di uscita23 feb 2021
ISBN9791220324472
Travolta da un mare di leccate

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    Anteprima del libro

    Travolta da un mare di leccate - Nicoletta Niccolai

    www.libriefavolediniki.com

    Il parto (8 marzo 2007)

    Gaia, ansando per lo sforzo, saliva le scale sfiorando i gradini con l’enorme pancia. Luciana la seguiva provando pena per lei, però era sicura che mancasse poco, al massimo uno o due giorni e si sarebbe liberata di quel fardello. Quella sera, guardandola mentre era distesa sul divano nella sua solita posa, ovvero supina con le zampe divaricate e il muso atteggiato a beatitudine, la donna aveva visto quel ventre fremere, vi aveva appoggiato sopra una mano e aveva sentito la nuova vita muoversi sotto il tocco delle sue dita. Si era chiesta quanti potevano essere quegli esserini e aveva ripensato a tutte le circostanze che avevano portato lei e Mauro a dover affrontare quell’imminente evento.

    Già, forse era stato il destino. Eros, il futuro padre dei cuccioli, era entrato nella loro vita dopo la prematura morte di Argo, il loro primo rottweiler che, lottando per mesi e per un errore del veterinario, se ne era andato a soli tre anni. La disperazione che li aveva attanagliati, perché Argo era stato un cane stupendo, equilibrato, affettuoso, combattivo fino alla fine, li aveva spinti a ricorrere all’allevatore dal quale lo avevano preso, facendo però un’amara scoperta.

    Mi dispiace, il male che ha tormentato la mia vita per anni, e che pensavo di aver sconfitto, è tornato. Non so quanto mi resta e… ho chiuso tutto, non ho più cani se non il vecchio Hans.

    Ma la voce che aveva sentito arrivare dalla parte opposta del telefono, avvilita, strozzata dall’angoscia, lo aveva portato ad aggiungere: Però mi sono andato a riprendere un rott che avevo dato a degli individui che si sono rivelati dei delinquenti, degli imbecilli: volevano farlo combattere, ma lui è un buono. Gli hanno tagliato la coda, lo hanno riempito di botte… se ve la sentite… è giovane, compirà un anno tra pochi giorni.

    Era stata una lunga battaglia, combattuta soprattutto a suon di pazienza. Eros, appena entrato in casa e liberato dal guinzaglio, era saltato tra due ripiani di una vetrinetta di cristallo, rovesciando e rompendo il fragile contenuto, si era infilato nell’uscio ancora semi aperto, era corso in giardino, aveva divelto una recinzione di paletti che doveva essere solida, si era buttato giù da un metro e mezzo di altezza ed era sparito tra la vegetazione.

    Oddio. Il viso di Mauro, che aveva da poco ripreso colore appena venuto in possesso di quel magnifico cane, perché Eros era veramente bello, era diventato gialliccio. Si erano precipitati fuori, incuranti del gelo di fine gennaio, in mezzo a chiazze di neve ghiacciata, urlando: Eros, Eros, Eros! e lo avevano visto, più volte, guardarli di soppiatto e poi fuggire, di nuovo, a ogni tentativo di avvicinamento.

    Dopo quel ponte (quello che da allora avrebbero battezzato: ponte Eros) c’è l’autostrada! Se spacca anche quella recinzione, è finito sospirò Mauro.

    Telefona all’allevatore, io lo tengo d’occhio, se mi metto tra lui e la barriera di sicuro andrà dalla parte opposta, è inutile che continuiamo così, lo spaventiamo e basta.

    L’allevatore era giunto dopo una mezzora, aveva fatto un fischio e il cane era corso da lui, era salito sul fuoristrada e si era fatto riaccompagnare docilmente verso l’abitazione, poi... beh, poi avevano dovuto recintare tutta la proprietà con rete antifuga. Mauro aveva dormito in cantina con lui per più di un mese, gli avevano insegnato ad apprezzare l’interno di un appartamento, a non aver paura di salire le scale, mettendo le crocchette sugli scalini, e…era diventato un francobollo.

    Luciana si scosse da quei ricordi, Gaia era irrequieta, andava avanti e indietro per il corridoio, si fermava e ansimava.

    Maurooooo, vieni su, è ora!

    La camera era pronta da più di un mese, Mauro aveva costruito una cuccia parto delle dimensioni adatte ad accogliere comodamente la femmina e i suoi piccoli. Sui lati aveva sistemato delle assi distanti dal pavimento una quindicina di centimetri in modo che un cucciolo vi si potesse intrufolare sotto, evitando che la mamma lo schiacciasse girandosi involontariamente addosso a lui. La parte anteriore era provvista di una cerniera posizionata al centro di tutta l’asse di legno che, facendola ripiegare all’occorrenza, riduceva a metà l’altezza di quel lato per agevolare le entrate e le uscite della madre. Gaia si era già abituata a quel giaciglio perché l’uomo, giocando, ci era entrato spesso con lei.

    Sopra la cuccia era appesa una lampada a infrarossi per poter riscaldare i nascituri. Il resto del locale era stato trasformato in una vera e propria sala chirurgica, sopra un tavolino e su due ripiani c’erano: due set stracolmi di bisturi, uncini, diverse forbici da taglio e pinze di ogni tipo per prelevare, divaricare, clampare (sigillare) e poi aghi e fili da sutura, disinfettanti, cerotti, garze, bende, guanti, mascherine e camici di protezione usa e getta, lenzuola sterili, telini assorbenti… c’erano pure una piccola bilancia e dei monitor. Insomma, grazie al loro lavoro nel settore sanitario, Luciana e Mauro si erano preparati ad affrontare qualsiasi emergenza.

    Non sapevano quante ne avrebbero affrontate.

    Il primo cucciolo venne alla luce in fretta. Mauro, trasgredendo tutti i dettami in materia, lo prese tra le mani e lo appoggiò al muso della madre, che cominciò a leccarlo e poi lo adagiò vicino a una delle tredici mammelle (sì, la cagna ne aveva tredici) e lasciò che l’istinto facesse il resto per concentrarsi sulle contrazioni che avevano ricominciato a scuotere il ventre della pelosotta.

    Da quel momento furono ore di lotta per ogni vita.

    Il secondo si annunciò facendo sporgere, dalla vulva della madre, non la testa ma la coda e, da quel momento quasi tutti sarebbero nati così. Quell’esserino zuppo di liquido amniotico sembrava non respirare, ma bastarono due massaggi fatti da Mauro con i palmi delle mani per farlo decidere di restare in questo mondo. Quel primo inconveniente fu solo un assaggio. Quando l’orologio appeso a una delle pareti segnò, con la mezzanotte, il passaggio al giorno successivo, otto creaturine erano attaccate alle tette della mamma. Creaturine nere e lucide salvate con energici massaggi e, a volte, con la respirazione artificiale. Erano esausti e anche Gaia, ovviamente, lo era, aveva il respiro affannato, ma non smetteva di leccare i suoi piccoli. Luciana la guardò e si rammentò del primo incontro che aveva avuto con lei. L’avevano scelta, dopo varie ricerche, come compagna di Argo, purtroppo però Argo era morto prima di conoscerla. La prima volta che erano entrati nella casetta adibita a cuccia parto avevano visto una cosetta di pochi giorni che stava mettendo in riga i fratelli maschi, dimostrando, subito, quel caratterino da prima donna che l’avrebbe per sempre caratterizzata. Il proprietario l’aveva presa in mano e Luciana aveva avvicinato il volto a quel musetto ricevendo in cambio un bacino con una minuscola lingua e… la scintilla era scoppiata.

    Era arrivata a casa loro quando non aveva ancora cinquanta giorni e aveva fatto subito innamorare Eros. Lui, il cane maltrattato, il cane che non aveva avuto un’infanzia, aveva imparato a giocare, a saltare, a ridere come non aveva mai fatto ed era diventato il suo protettore. Guai a chi torceva un pelo a Gaia. Non l’aveva più lasciata sola un istante, erano diventati una coppia indissolubile e con quei nomi: Eros il dio dell’amore e Gaia ovvero la madre. Nonostante le attenzioni sue e di Mauro, non poteva non finire con una gravidanza, complice la gita al mare.

    Già, quella gita. Avevano comprato un camper, di seconda mano ma ben tenuto, molto spazioso e logisticamente idoneo alle loro esigenze. Avrebbe accolto benissimo quattro persone (anche la mamma di Mauro e la sua badante avrebbero fatto parte della compagnia) e i due cani. Erano riusciti solo a raggiungere un paio di mete: una breve visita a San Marino e una giornata passata sulla spiaggia di Chioggia, deserta in quel periodo non considerato di ferie e accessibile a tutti, anche ai cani, e i cani avevano fatto i pazzi, avevano corso, scavato nella sabbia, si erano spinti in acqua, l’avevano assaggiata, si erano rotolati cambiando il colore del mantello da nero focato a nero dorato, sempre vicini, sempre all’unisono nel compiere lo stesso gioco. Quando stanchi, sporchi e inzuppati erano rientrati nel camper, quel tratto di litorale era gremito delle loro impronte, come un insolito ricamo. Quella nuova forma di complicità aveva acuito il loro amore e…

    Oh, ti sei imbambolata? sbottò Mauro, Dai, ne sta nascendo un altro.

    Oh mamma, ma tutti avevano detto che, essendo la priva volta, sarebbero stati pochi, sei sette al massimo.

    I tutti a quanto pare si sbagliavano.

    Quella cagnolina era stata davvero miracolata, era nata podalica, non respirava e aveva il cordone lacerato all’altezza dell’ombelico. Era sporca di sangue. Mauro prese un’apposita pinza, riuscì a trovare i due lembi giusti sul ventre di quel corpicino e bloccò la fuoriuscita del sangue; poi, sempre con le pinze appese, cominciò a massaggiare finché avvertì un sussulto tra le mani.

    Eccoti, mi hai fatto preoccupare, tu sarai una malandrina. Luci, dammi un laccetto disinfettato, leghiamo il moncherino e la diamo alle cure di Gaia.

    I due successivi dettero meno problemi.

    Erano sfiniti, sudati, quella stanza era caldissima per l’energia che avevano emanato, per il calorifero messo alla massima temperatura e anche per la lampada a infrarossi. Si faceva fatica a respirare, l’aria era satura di odori: sudore, sangue, liquidi vaginali, mischiati a quelli dei disinfettanti. Mauro si sfregò la corta barba, i suoi occhi, di solito di varie tonalità di azzurro che dipendevano dall’umore, erano di un grigio annacquato e sembravano gonfi, dilatati. I capelli biondi, sempre curatissimi, somigliavano a un nido disfatto.

    Senti, vado a buttarmi un attimo sul letto, sembra abbia finito, almeno lo spero, tu stenditi sul materassino e, mi raccomando, fa’ attenzione che non li acciacchi…i primi giorni dovremo stare attenti, fare dei turni per non lasciarli mai soli. Aprì la porta, uscì, ma poi ricacciò dentro la testa. Qualunque cosa…chiamami.

    Luciana si tolse i guanti e li buttò nel cestino stracolmo di ogni tipo di materiale usa e getta, aprì leggermente le ante della porta finestra facendo in modo che solo un filo d’aria filtrasse dalla parte opposta della cuccia e si guardò in uno specchietto appoggiato su una mensola. Che faccia aveva! Occhiaie, guance giallastre, evidentissime rughe in fronte, pieghe ai lati della bocca e i capelli, altro che quelli di Mauro! Lei li aveva neri e lunghi una ventina di centimetri sotto le spalle, ora pendevano a grappoli intrecciati, sembravano unti, appiccicosi. Prese un fazzolettino detergente da una scatoletta e se lo passò più volte sul viso, poi sistemò quello che sarebbe stato il suo giaciglio per parecchio tempo, lo accostò bene alla cuccia, diede una carezza alla cagna ancora ansimante, si stese e cercò di rilassarsi. Ma perché Gaia ancora ansimava? A parto concluso avrebbe dovuto respirare con più calma. Si mise a sedere e toccò il ventre della neo mamma, insinuando la mano tra due cuccioli. Non sembrava avere contrazioni. Diede la colpa al caldo, si stese di nuovo e socchiuse gli occhi, mantenendo però all’erta gli altri sensi. Riuscì a stare tranquilla per una ventina di minuti. Gaia, che hai? Sei troppo irrequieta. Andò a chiamare Mauro.

    Quell’esserino era grigio, la madre aveva fatto una terribile fatica a farlo uscire dal suo corpo. Troppo, troppo tempo. Mauro fece un breve tentativo di ridargli vita, ma era evidente che quella vita non c’era più da parecchi minuti.

    Lo avvolsero in un telino e lo misero in un contenitore di cartone, mentre Gaia sfornava, senza problemi, il suo tredicesimo figlio.

    Mauro la guardò. Tredici mammelle, servivano per tredici cuccioli.

    Già… rispose lei scoccando un’occhiata alla scatoletta, …ma una sembra avvizzita, non sarebbe stata in grado di erogare latte… destino?

    Mah, dai, facciamo entrare Eros, è ora di fargli conoscere la sua prole.

    Vita con i cuccioli

    Buongiorno, mi scusi, so che è una richiesta insolita. Vede, la mia rottweiler ha partorito dodici cuccioli e ha cominciato ad avere difficoltà ad allattarli tutti, poverina, l’hanno prosciugata. Ho acquistato, e mi trovo bene, il primo latte, prodotto da voi, ma nel giro di pochi giorni ho svuotato il negozio del paese e due di quelli limitrofi. Non ne trovo più, non so, potete darmelo voi direttamente o aiutarmi in qualche modo?

    L’uomo che aveva risposto al telefono era rimasto muto fino alla fine del racconto. Signora, io non posso fare nulla, sa che quest’azienda ha molteplici settori e io non ho la competenza idonea. Se ha pazienza, vedo di farla parlare con il responsabile giusto.

    Sì, sì, aspetto. Luciana giocherellò con la lattina che aveva contenuto l’ultima dose di latte in polvere, facendola rotolare sul tavolino che aveva davanti. Dopo pochi minuti si stancò di quell’intrattenimento e iniziò a far passare il tempo vagando con la mente. Quante ne avevano passate. Rammentò le nottate insonni trascorse a estrarre da sotto il corpo di Gaia qualche cucciolo assonnato o troppo intraprendente, poi sorrise perché rivide, come se l’avesse ancora sotto gli occhi, una scenetta che l’aveva divertita e intenerita: la femmina russava pesantemente a pancia in su, con una marea di esserini neri che, appiccicati a lei come un mantello morbido, si agitavano sognando, ma uno, il più affamato, era arrampicato sul suo ventre e con scatti regolari, le ciucciava a tutta forza una tetta.

    Mentre ascoltava la musichetta stonata e ripetitiva che arrivava dall’altoparlante del telefono, la donna pensò alla sua povera lavatrice che da giorni lavava, lavava, lavava mucchi di lenzuolini sporchi di feci e pipì. Poi le venne in mente la visita del veterinario che aveva praticato un’iniezione a Gaia per farla liberare di eventuali rimasugli di placenta rimasti nell’utero e

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