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Cose.. D'altri mondi
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E-book183 pagine2 ore

Cose.. D'altri mondi

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Info su questo ebook

Per accedere ad una classe sociale superiore, un giovane Soofhiriano è costretto a compiere un’accurata analisi di una decina di pianeti. S’imbatte in esseri stravaganti, in menti tecnologiche o amebiformi, in personaggi tremendamente umani o al limite dell’assurdo che vivono la loro esistenza in modo diverso da quello che lui concepisce. Alla fine, con la mente dilaniata da un’infinità di torturanti dubbi, il ragazzo sarà costretto a prendere una terribile decisione.
LinguaItaliano
Data di uscita21 ott 2011
ISBN9788866183563
Cose.. D'altri mondi

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    Anteprima del libro

    Cose.. D'altri mondi - Nicoletta Niccolai

    Epilogo

    Prologo

    Il giovane Kote non riusciva a reprimere l’ansia che, premendo dall’interno del suo petto, si sfogava nel leggero tremito delle mani e nel lieve rossore delle gote. Del resto quel giorno l’aveva atteso per centocinquant’anni. Ora, giunto alla maturità fisica, doveva essere valutato su quella intellettuale e morale, superando un arduo esame davanti all’adunanza dei Lungimiranti, per poter finalmente essere ammesso alla casta degli Evoluti.

    Mentre attendeva l’apertura dell’enorme porta di ferro battuto, nella quale erano incastonate tutte le varietà di gemme del suo pianeta, disposte in una simmetria di sfaccettati iridescenti geroglifici, simboleggianti le verità della vita, Kote tentò di ripassare mentalmente le innumerevoli dottrine che gli erano state impartite fin dalla nascita. Ma, non conoscendo il tipo di prova che lo aspettava dietro quell’uscio, comprese che, forse, l’unico aiuto che poteva esigere da se stesso era quello di rilassare, liberare ed aprire la mente.

    Con un fruscio melodioso la porta scorse nel pavimento, lasciando al giovane la possibilità di entrare in un vasto, scuro, sebbene illuminato locale. Nel centro di quel luogo che pareva non avere pareti spiccava uno schermo trasparente.

    Kote non era solo. Si trovava alla presenza dei sei più eminenti membri di Soofhiria. Erano gli uomini e le donne più saggi del suo mondo. In ognuno di loro era racchiusa l’essenza di una scienza fondamentale ed era attraverso le loro menti che il sapere poteva essere assimilato e tramandato.

    Gheisu era uno dei più amziani. Il suo volto rugoso era circondato da folti capelli candidi che gli sfioravano le spalle. La fronte era cinta da una fascia bianca ornata, nel mezzo, da una grossa pietra azzurra di una incredibile purezza: la Tolleranza.

    Sontrao aveva una carnagione molto scura, bronzea. Probabilmente era quasi coetaneo di Gheisu ma la sua pelle era levigatissima; per contro era calvo. La fascia che gli cingeva la sommità del lucido cranio era impreziosita da una luminosa pietra gialla: l’Ardimento.

    Adella era un bellissimo essere di sesso femminile che nascondeva efficacemente la sua età. Aveva degli incredibili occhi verdi che catturavano, come una calamita, lo sguardo di chi le stava davanti. La pietra che aveva sulla fronte era della stessa tonalità della sua ondulata, fluente capigliatura: rossa a simboleggiare l’Amore.

    La massiccia donna al suo fianco aveva l’aspetto di una madre sempre pronta a proteggere i figli. Era Zuara; tra i capelli biondi, fermata dal solito nastro, riluceva la pietra verde dell’Esperienza

    Wusar formava un vero contrasto con la vicina collega, lei, infatti, era piccola, magra, con un colorito verdognolo ed una chioma insignificante e grigiastra. Del suo aspetto eccelleva solo il calore intenso che si diffondeva dal suo sorriso. La sua pietra era opaca e marrome: l’Umiltà.

    Infine Lotar, alto, possente, dall’epidermide vermiglia e dorati occhi indagatori. Sulla terza treccia bluastra, che portava raccolta a chiocciola tra le sopracciglia, splendeva in tutta la sua purezza una pietra cristallina: la Conoscenza.

    Kote chinò la testa, in segno di rispetto, davanti ai suoi esaminatori ed attese, in silenzio, di essere informato su quale fosse la sua incombenza.

    Fu Gheisu a parlare: Mio giovane amico, avvicinati al pannello…ecco dimmi cosa vedi?

    Il vecchio toccò con un dito la materia plasmabile e gelatinosa che ricopriva lo schermo per far apparire un nero profondo costellato di miriadi di punti sfolgoranti, di varia grandezza.

    L’universo maestro, o meglio una parte di esso poiché nessuno ne conosce tutta la vastità se non l’Ideatore….

    Bene… a tuo piacimento ingrandisci una zona.

    Il ragazzo usò pollice ed indice di entrmbe le mani per allargare un’area di una decina di centimetri fino a portarla, allontanando velocemente le dita, ad essere contenuta dall’intero visore.

    Ora cosa vedi?

    Oh, una decina di mondi di dissimile forma, grandezza, massa e colore …

    Bene Kote, tu ora avrai il grande privilegio di entrare in contatto con quei mondi, seppur in modo repentino e superficiale. Dovrai recepire tutto ciò che la tua mente ti suggerirà e prepararti, in seguito a rispondere ad un quesito.

    I Lungimiranti lasciarono la stanza senza aggiungere altro.

    Kote premette, delicatamente, un polpastrello sulla superfice del pianeta più lontano, poi si sedette disponendosi ad analizzare quanto gli avrebbe rivelato quella sfera che ora sembrava proiettarsi velocemente verso di lui.

    Handicap

    La piccola piramide d’alabastro verde cadde sul pavimento e Okyoito sentì scoppiare nella testa le risate canzonatorie dei suoi compagni. Poi arrivò, come una saetta, il rimbrotto severo dell’insegnante: Okyoito, hai dieci anni e non sei ancora capace di spostare un oggetto da un tavolo all’altro? Ti devi applicare, ragazzo, applicare, o sarò costretta a trasmettere con i tuoi genitori. Auko prova tu, con la sfera rossa.

    La bambina si alzò dal suo banco premette gli indici sulle tempie per concentrarsi meglio e la pallina, posata su una sorta di scacchiera insieme ad altri colorati pezzi tridimensionali, si alzò, fluttuò nell’aria e dopo una lieve esitazione ricadde dolcemente su un’altra scacchiera che si trovava sul lato opposto della stanza.

    Bene, per oggi abbiamo finito, quale compito quotidiano esercitatevi a muovere una dozzina di oggetti senza farli strisciare sulle superfici. Ci vediamo domani.

    Okyoito si avviò sconsolato verso casa. Era arrabbiato, arrabbiato con se stesso. Si sentiva un essere inutile. Si guardò attorno. La maggior parte delle persone levitava una ventina di centimetri sopra la strada percorremdola senza fare alcuno sforzo. Solo i bambini piccoli, a parte i neonati portati a tracolla, usavano gambe e piedi, accessori ormai quasi inutili nel suo mondo. I bambini piccoli, gli animali e lui.

    Assorto nei suoi pensieri varcò, quasi senza accorgersene, la porta della sua abitazione ed automaticamente si avviò verso la cucina. Sul tavolo di vetro erano allineati tre contenirori colorati ricolmi di cibo. Il ragazzino si sedette, prese una sorta di grossa cannuccia, se la infilò nel buco carnoso che aveva al posto della bocca e iniziò a trangugiare sorsi di delizioso pourtami. Ogni tanto tramite una cannuccia più piccola sorbiva anche dell’acqua.

    La madre entrò in cucina quando Okyoito aveva già aspirato metà della seconda portata, consistente in un sugoso e profumato yoscia cotto lentamente a vapore.

    Vedo che hai fame oggi e….sei di cattivo umore comunicò al figlio.

    Già è facile capirlo per una telepatica come te…io non riesco ancora a nascondere agli altri i pensieri della mia mente e non riesco a fare anche altre cose…

    Spostare gli oggetti? Io ho cominciato a cavarmela bene a quindici anni. Levitare? Tua zia Kroine preferisce ancora usare gli arti e poi…anche noi adulti siamo costretti spesso ad adoperare gambe braccia e mani, se dovessimo ricorrere ai poteri del nostro cervello in tutte le attività giornaliere ci estingueremmo ben presto. Andremmo incontro ad una specie di cortocircuito per uso eccessivo di energia. Non ti crucciare, vedrai che a suo tempo diventerai bravissimo. Sai cosa facciamo? Ora finisci di mangiare, poi vai in camera tua, leggi un libro, ascolta musica, gioca per un po’ poi, i compiti li faremo insieme…Ti aiuto io.

    Per fortuna esistevano le mamme.

    Il bambino rimase una mezzora ad acoltare i Geigik. Il loro ultimo albo di musica telepatica faceva furore tra i giovani. Poi cominciò ad avere dei rimorsi. Forse l’insegnate aveva ragiione: non studiava abbastanza. Prese la sua collezione di strutture tridimenzionali e le appoggiò sul pavimento.

    Le ordinò per forma e per colore. Poi fissò lo sguardo sul cubo color topazio e gli ordinò di sollevarsi. L’oggetto vibrò, si alzò di un paio di cetimetri, poi prese a roteare vorticosamrnte ed a strisciare sul pavimento, senza più controllo. Okyoito, allarmato, smise di pensare, raccolse il cubetto con le dita e lo rimise al suo posto.

    Aveva un groppo in gola. Aveva voglia di piangere. Decisamente era un imbranato. Sospirò…poi…oh, che idea!

    Avrebbe provato qualcosaltro, una tecnica che veniva insegnata solo nella sesta classe. Se fosse riuscito, avrebbe sbalordito i suoi compagni, l’insegnante ed i genitori. Altro che forme da far levitare.

    Gli era capitato più volte di passare vicino all’aula dei ragazzi più grandi e, come tutti i bambini curiosi, era rimasto a percepire, di nascosto, quello che trasmetteva il docente ai suoi allievi. Erano piccole frazioni di sapere ma, di sicuro, a lui sarebbero bastate.

    Si mise al centro della stanza, respirò a fondo ed iniziò a concepire il suo progetto.

    Si sarebbe….si, si sarebbe trasportato, tramite la teleforesi, dalla sua camera a…a…alla terrazza.

    Serrò gli occhi per aiutare il raccoglimento e cominciò ad imporsi:

    Io da camera a terrazza…io da camera a terrazza, Okyoito da camera a terrazza…

    Continuò così, per più di cinque minuti, le braccia rigide lungo i fianchi, le mani che si stringevano convulsamente a pugno come ad aumentare lo sforzo mentale finchè il suo volto divenne paonazzo e poi improvvisamente pallido.

    Cadde a terra privo di sensi. Nella sua mente, prima che divenisse di un nero profondo, saettò un ultimo pensiero: Okyoito terra…camer…

    Nella casa risuonò un grido lacerante.

    La madre si trasportò, in meno di un secondo, nella stanza del figlio.

    Seduto nel mezzo del pavimento un ragazzo di pelle giallognola e capelli nerissimi stava urlando, attraverso un’enorme bocca provvista di denti, tutta la sua paura.

    La donna, pur sconcertata, si precipitò a soccorrere il figlio di cui aveva scorto, in un angolo, il corpo esanime.

    Era caldissimo.

    Fece scorrere acqua fredda nella vasca dell’attiguo bagno e v’immerse il suo bambino nel tentativo di riportarne la temperatura a valori normali, nel frattempo, mentalmente, chiamò in aiuto il medico ed il marito.

    Nel locale accanto l’altro ragazzo continuava ad urlare; smise solo quando si vide apparire davanti, quasi sorti dal nulla, due preoccupati individui simili ad uomini. Allora la sua gola si serrò ed il terrore, di cui era preda, si manifestò in un irrefrenabile tremore.

    Iroscki, cara, cosa succede? E chi è questo strano, giovane essere?

    Non lo so, non lo so… rispose la donna distrattamente, presa com’era a seguire le analisi che il medico stava compiendo sul suo piccolo, ora adagiato sul letto.

    Non si preoccupi signora, suo figlio è solo scarico. Probabilmente ha fatto uno sforzo mentale superiore alla sua portata. Gli ho iniettato un ricostituente. Basteranno un paio di giorni di riposo e cibo nutriente ma…quello là..chi è? Anzi cos’è? Beh in ogni caso assomiglia ad un cucciolo bisognoso d’aiuto

    La donna con un istinto innato trasmise: Non lo osservate così, poverino, non vedete che è terrorizzato? Si è fatto la pipì addosso, via, via, uscite, me ne occupo io.

    Iroscki analizzò velocemente quell’esserino spaurito che aveva davanti. Non era molto dissimile a lei, tranne che per la smisurata cavità orale e le grandi orecchie che, nella sua razza erano, al pari della bocca, simili ad un buco.

    Aveva le corde vocali, per cui non era così evoluto da parlare col pensiero. Comunque fece un tentativo che, come previsto, si rivelò infruttuoso. Allora ricorse all’universale linguaggio dei gesti, portò con cautela una mano sulla testa del ragazzo che, prima si ritrasse poi, acquistando un minimo di fiducia, accettò le carezze di quella cosa di sesso femminile.

    L’Alieno giallo, come venne subito nominato, fu lavato vestito e rincuorato, poi condotto in cucina dove Iroscki fu costretta a risolvere un’ urgente problema: come sfamare quel ragazzo?

    Lo fece sedere, poi gli mise davanti una decina di contenitori di cibo, recuperandoli dalla dispensa conservatrice, e cannucce di varia misura.

    L’alieno la guardò sconcertato.

    La donna allora prese una cannuccia e mostrò al bambino come fare. Il suo giovane ospite la imitò ma, la smorfia di disguto che gli si disegnò sul viso le fece comprendere che quella pietanza non era adatta a lui. Tutti i raffinati manicaretti che gli furono serviti ebbero il potere di far stomacare il ragazzo. Quando

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