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Li Mendez El Tanguero
Li Mendez El Tanguero
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E-book222 pagine3 ore

Li Mendez El Tanguero

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Info su questo ebook

L’amore puro e genuino che travolge Sandra e Lazo, due giovani ballerini di tango argentino, si trasforma nel gancio per raccontare una storia intensa, profonda, fatta di fuoco e passione, che vede protagonista la figura di Li Mendez, ballerino leggendario di cui tutti parlano per il suo talento e per la sua particolare personalità. 
A narrare la storia di Li Mendez, detto El Tanguero, è lo scrittore Jorge Luis Borges, che Sandra avrà la fortuna di incontrare presso la biblioteca del quartiere Palermo, dove sono conservati vecchi articoli e racconti che, in parte, descrivono usi e costumi dell’Argentina e la passione per il Tango, tra lotte fino all’ultimo sangue per conquistare il primato di ballerini e per conquistare il cuore di una donna o di un uomo. 

BRUNO BIANCHI 
è nato a Badalucco e risiede a Sanremo. Grande e attento viaggiatore, ha vissuto in diversi Paesi stranieri. Ha scritto:
- Nel silenzio del bosco (romanzo);
- Una lettera mai scritta (romanzo);
- Uno scrittore da strada nelle mani di Dio (romanzo);
- Il segreto del fiore nel deserto (romanzo);
- Li Mendez El Tanguero (romanzo);
- La tana di Bertrand (romanzo);
- Chi ha ucciso Pablo Escobar (romanzo);
- Vi racconto come sono morto (romanzo);
- Pittimo e Minizeli (racconti);
- Sereno sotto la pioggia (poesie);
- Gli invisibili (romanzo).
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2021
ISBN9788830643048
Li Mendez El Tanguero

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    Li Mendez El Tanguero - Bruno Bianchi

    LQpiatto-Bianchi.jpg

    Bruno Bianchi

    Li Mendez

    El Tanguero

    © 2021 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-3787-0

    I edizione maggio 2021

    Finito di stampare nel mese di maggio 2021

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Li Mendez

    El Tanguero

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    PREMESSA

    La trama è l’insieme delle vicende che si svolgono all’interno di un ambiente musicale e di professionisti del tango argentino. La base dei motivi musicali non riguarda mai storie allegre, difficilmente si incontra un tema piacevole, forse perché sulla felicità non c’è nulla da dire o da scrivere. Alla base di un testo musicale, ci sono sempre cose tristi o tragedie come nelle opere liriche.

    La storia si ambienta a Buenos Aires, in Argentina, dove è nato il tango, dove un gruppo di tangueros condivide l’amore per il ballo e dove l’amore gioca la parte più importante tra una coppia di protagonisti. Altri ne subiranno la perdita perché purtroppo l’amore ha un solo obiettivo.

    La storia si svolge in un contesto forte e violento, dove i coltelli sono una normalità. Il territorio fa parte di questo romanzo e ne fanno parte la famiglia del protagonista e tutto l’ambiente di guerre e dittature che hanno spadroneggiato per tanto tempo in Sud America.

    La voce che racconta (simbolicamente, s’intende) e che si alterna ai giocatori di carte, la più importante e autorevole, è del grande poeta e scrittore argentino Jorge Luis Borges, che di queste storie è stato maestro. I giocatori di carte, per esserne stati protagonisti, si accalorano e raccontano la loro versione che non sempre coincide con quella degli altri.

    La necessità di sapere, di ascoltare e di raccontare risale ai tempi delle notti buie, quando il fuoco era un punto disegnato nella notte e gli uomini tutti attorno, in silenzio, come ombre nere confuse con il buio e con gli occhi vetrati di paura, ascoltavano. Messaggi che il tempo non interrompe.

    La prima voce che ascoltiamo raccontare, prendendo il suo latte, è quella della madre. Poi il padre, poi il nonno, se saremo stati bravi. Perché è quello che ci dice, è in quel momento che si inizia ad apprendere. Compiti che vengono divisi, perché le mamme sono più caute, più attente, ammorbidiscono le parole, le cantilenano, poi ne fanno una favola. Danno un senso più romantico, come è nella loro natura. Il padre è diverso, più reale e con meno fantasia. Senza tanti giri di parole, non ha tempo né pazienza. Il nonno ne fa un’altra versione, lui crea l’avventura. Forse la studia la notte, quando non può dormire. Si prepara per il giorno dopo. Lui ha bisogno di fantasia, di allungare e allargare, altrimenti non ci sarebbe merito.

    Di tutto quanto sopra, Sandra è origine, ed è giovane, si sta affacciando alla vita e subentrano i problemi. Vuole essere sicura di quello che fa, degli impegni che si accinge a prendere. Quando si è anziani, i problemi sono quasi terminati ed è per questo che c’è più bisogno di fantasia. Lei vuole la realtà.

    La realtà dei Mendez, dei Ramon, dei Rosa Ramirez, dei Francisco, dei Nino Bien, dello stesso Jorge Luis Borges che di tutto quanto raccontato, nella maniera più sublime, vi ha giocato e scritto, con tanto gusto da esserne travolto, posizionandolo come il più importante poeta e scrittore sud americano.

    Questo libro non è un giallo ma come un giallo si fa leggere.

    CAPITOLO I

    Un grande direttore d’orchestra diceva che la musica è l’anima dell’uomo. Quello di cui non può fare a meno. La musica come parte di Dio. Fin dagli albori, due le cose principali, credere in qualcosa di sovrannaturale e danzare. I ritmi e i tempi sono quelli come un’armonica sensibilità dell’aria, una frenesia del corpo, come estrema necessità, come bere, come mangiare. Dio, la musica, bere e danzare.

    La sincronia di un direttore d’orchestra con la sua musica, davanti allo schieramento dei suoi professori. Quando la musica scoppia, le sue note si elevano, sospese nel vento, i suoi capelli svolazzano inseguendo quella bacchetta che segna il tempo sopra le stelle. Un segno della musica autentico, vero, impareggiabile. L’uomo dentro la musica stessa che lo avvolge. Il giovane non poteva togliersi dalla testa questo detto. Gli ritornava continuamente nella mente.

    Sequenza, dopo sequenza. Un fondamento importante era chiuso in quella frase, lui lo avvertiva, lo pensava, come una droga, una frenesia che prende tutto il corpo e che non svanisce dopo che la musica è finita, ma ti rimane dentro per molto tempo, allo stato latente, fino al momento di esultare, di uscire dall’involucro che la racchiude. Si direbbe come fuochi d’artificio e l’accostamento non è casuale, perché è nell’aria che si danza, come i fuochi e come essi uno strepitante slancio per dare forma alla sua evoluzione: l’armonia. Si ricordava quando era ragazzo e trovava spartiti in tutti gli angoli, sotto i mobili e sentiva il nonno suonare il clarino.

    Poi aveva sentito il nonno e i suoi fratelli e i figli, insieme, compatti come una roccia e, ora che si trovava in quella galleria e osservava quel quadro famoso che rappresentava un gruppo di suonatori, gli tornavano in mente quei ricordi e si ricordava il nonno direttore d’orchestra: diritto sul palco, rivolto ai professori che con occhio attento aspettavano il segno di quella mano, quel via. Il via per scoppiare in una frenesia di suoni e, in questa frenesia, vederlo scoppiettante nei movimenti, con una forza terribile, quasi demoniaca e con i capelli al vento, anch’essi parte della musica che lo seguono da un lato all’altro come quel gruppo di professori, in scala come la stessa musica che sprigionano e che arriva fino ai piani superiori dell’immensità.

    Lui non suonava strumenti musicali, ma come una malattia, la musica, componente di quelle vibrazioni che scuotevano l’aria, lo percorreva in tutto il corpo. Poteva rappresentare un tormento, perché non in tutti i luoghi era possibile dare sfogo a questa provocazione, perché uno che abbia questo virus nel sangue stentatamente riesce a trattenersi.

    Allora comincia a muovere i piedi, a battere il tempo, a guardarsi intorno per vedere che nessuno lo prenda per matto e comincia a volteggiare. Ormai eravamo all’ora di chiusura della galleria, e vi erano poche persone e lui in quella bella sala lunga con quel pavimento che luccicava iniziò a volteggiare e subito gli ultimi ritardatari non se ne accorsero, attenti ad osservare i quadri, ma poi si voltarono e, stralunando un poco gli occhi, osservavano quel giovanotto strano, che seguiva il ritmo della musica di sottofondo che riempiva la galleria.

    Si muoveva con una grazia straordinaria, seguendo il tempo musicale come se fosse una mano che sfiorava la tastiera di un pianoforte. Gli ultimi visitatori smisero di osservare i quadri e si fermarono sorridenti a guardare quel giovanotto che, con abilità straordinaria e non usuale, ballava senza l’ausilio di una partner.

    Qualcuno accennò un battito di mani, ma smise immediatamente, per il luogo in cui si trovavano e anche per evitare l’intervento di qualche responsabile della Galleria per far smettere a quel ballerino i suoi volteggi.

    Quando dal fondo della sala spuntò una persona diretta contro di lui, il ballerino, senza smettere di volteggiare, non aspettò di essere fermato e si diresse all’uscita e svanì per la strada lasciando i visitatori stupiti.

    Solo una ragazza continuò a guardarlo fino all’uscita, correndo per vedere cosa avesse continuato a fare, ma lungo la via non lo vide più.

    La strada era affollata e, malgrado si sforzasse in mezzo a quella calca, la figura snella e leggera si perse.

    Iniziò a camminare con la speranza di trovarlo prima o dopo.

    Arrivò al fondo della via, ma aveva perso le tracce del giovanotto. Lei era una ballerina della scuola della città e a quanto si diceva molto brava. Avendo il pomeriggio libero, decise di visitare la galleria e quel giovanotto che ballava l’aveva colpita; con la sua esperienza, aveva intuito qualcosa di straordinario in lui.

    Rimase delusa ma, malgrado avesse continuato a cercare guardando nei locali, del giovanotto niente, era sparito nel nulla come una bolla di sapone che scoppia.

    Una strana sensazione prese la ragazza, non rendendosi conto neanche lei del perché fosse attratta da quel giovane, dal desiderio di conoscerlo. Sicuramente dal motivo di un’unica passione, il ballo, ma ancor di più dal suo modo, dalla sua classe, dal ritmo con cui seguiva il tempo come se la musica e le sue gambe fossero un’unica cosa.

    Quando arrivò alla scuola, lo disse subito alla maestra di ballo, la quale non capiva perché la ragazza fosse rimasta così colpita da un ragazzo che ballava, se pur bene, e pensò che fosse rimasta attratta dalla sua bellezza e che il ballo ne fosse la conseguenza. La ragazza ci pensava e ogni tanto si incantava, allora la maestra la riprendeva scherzando:

    «Pensi sempre a lui, ti sei presa una cotta»

    «Ma che cotta! Non riesco a farti capire, lo dovevi vedere come ballava…»

    «Va bene»

    Era passato un po’ di tempo e non pensava più a quel ballerino che l’aveva affascinata, quando, un giorno, per commissioni varie, si trovò a passare in una via del centro città, dove una gradinata portava in una piazza sovrastante, chiusa in parte da una balaustra.

    Su di essa vide nuovamente quel giovanotto volteggiare con passi pericolosi su quei trenta centimetri della larghezza della balaustra stessa. Alcuni si erano già fermati a guardare e lei era rimasta incantata con la testa all’insù.

    Fu in quel momento che il giovanotto si fermò, in bilico, con una gamba alzata, fermo, come una statua. Guardò fissamente la ragazza e poi continuò, saltando dalla balaustra all’interno della piazza. Lei prese la grande scalinata che portava alla piazza, correndo per vedere cosa faceva e magari per conoscerlo, ma, quando fu nella piazza, del ragazzo niente, non c’era più. Quando rientrò alla scuola, nel pomeriggio, lo raccontò alla maestra che questa volta rimase sovrappensiero e disse: «Non ho ancora sentito nulla di un ragazzo che va ballando per le strade, adesso questo fatto mi incuriosisce. Come mai da me che ho una scuola di ballo non si fa vedere?».

    La ragazza, che si chiamava Sandra, rispose: «Vedi che anche tu sei curiosa? Non ci sono ballerini in questa scuola che ballino in quel modo. Non sarà mica uno che vuole mettere una scuola e che per farsi pubblicità fa quelle evoluzioni?».

    La maestra, scocciata per quella ipotesi che le avrebbe fatto perdere degli alunni, disse: «Ma figurati».

    Quando passava nei pressi della galleria d’arte, Sandra non poteva trattenersi dall’entrare e dare un’occhiata per vedere se c’era qualche quadro nuovo. Il padre era un pittore importante e le aveva trasmesso questa passione, anche se lei aveva preso un’altra strada. Era stato allievo del grande pittore Quinquela Martin di cui continuava lo stile.

    Quando uscì, andò a prendere un caffè nel bar di fronte.

    Con la mano sulla maniglia aprì e nel vano della porta, ad ostacolarne il passaggio, c’era proprio il ragazzo ballerino che la guardava fisso e non la lasciava passare. Poi, con un mezzo sorriso disse: «Lei mi sta seguendo».

    Sandra rimase un po’ perplessa perché non si aspettava quell’incontro e non sapeva cosa dire: effettivamente, aveva cercato di vedere cosa faceva, sia la prima volta alla galleria, sia la seconda, sulla grande balaustra.

    Il ragazzo, un po’ sul serio e un po’ sul faceto, disse: «Se non mi dice perché mi segue, non la lascio passare»

    «Sa che lei ha una bella faccia tosta? L’ho vista ballare alla galleria come un matto e mi aveva incuriosito, tutto qui, cosa vuole da me?»

    «E non mi seguiva una volta che ballavo per la scalinata nella piazza dell’imperatore?»

    «Ebbene, sì, anche quella volta mi aveva incuriosito, però adesso basta. Mi lasci passare!»

    «Ah, e lei dopo tutto questo pedinamento, vorrebbe che la lasciassi passare senza offrirle un caffè?»

    «Sa che lei ha un bel carattere? Mi vuole lasciar passare o no!?».

    Il ragazzo si voltò senza togliersi dal passaggio e, rivolto al barista, disse: «Due caffè».

    Nel frattempo, un cliente voleva uscire e il ragazzo si dovette togliere; la ragazza passò. Sembrava un poco scocciata e si avvicinò al banco. Il ragazzo la seguì e ripeté al barista: «Qui i due caffè». La ragazza si voltò a guardarlo fisso e poi voltò la testa con un mezzo sorriso. La scocciatura le stava passando e il ragazzo, oltre che saper ballare bene, era anche un bell’uomo.

    «Come mai balli per la strada? Non hai un posto dove ballare?»

    «Io sono un artista e ballo quando ne ho voglia e dove mi esprimo meglio. Il ballo ce l’ho nel sangue e nella mia famiglia sono tutti dei musicisti. La musica è nell’aria. Il vibrare delle foglie, i fischi del vento, lo sferragliare del treno, il suono delle campane, tutto è musica per me».

    Adesso era la ragazza a voler fare domande e a voler prendere la parola: «Come mai ti trovi qui? Sei tu ora a seguirmi. Guarda che lo dico al mio ragazzo».

    Intanto erano arrivati i caffè e il ragazzo con educazione: «Quanto zucchero?».

    «Un cucchiaino, grazie!». Poi, visto che il ragazzo non rispondeva: «Non hai paura?»

    «Perché dovrei? Non faccio nulla di male, offro un caffè a una ragazza che mi piace e che qualche volta mi segue per vedermi ballare, perché ballerini come me ne trovi pochi»

    «Ah! Sei anche modesto. Non si direbbe».

    Conoscendo la ragazza, il barista intervenne e disse: «Guarda che questa è una ballerina della scuola di Mamma Rosa»

    «Ma io lo so che è una ballerina, altrimenti non mi sarei fermato a parlare con lei perché sono molto impegnato».

    Il ragazzo tacque e la ragazza sembrava pendere dalle sue labbra per conoscere cos’altro avesse in testa, perché ballando così bene e sapendo che era una ballerina faceva sospettare un motivo ben più importante dell’incontro casuale con una semplice ragazza.

    Difatti, il motivo non si fece attendere perché il ragazzo disse: «Io ho bisogno di fare coppia, per potere fare degli spettacoli, e so che tu sei una brava ballerina e di una ottima scuola».

    La ragazza rimase un po’

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