La Maledizione di Zauron
Di Ugo Spezza
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Info su questo ebook
Il gran Sacerdote Serkal progetta una sofisticata trappola per imprigionare l'essere diabolico ma questi riesce infine a eluderla. Una volta liberatosi Ezwal scatena tutta la sua furia e procura una immane devastazione in Exodar. Tuttavia il mostro, a causa delle ferite riportate, non conclude lo scempio e si ritira. Ma tutti sanno che presto tornerà per completare la sua opera di distruzione. I sopravvissuti all'attacco, stremati, sono costretti a rifugiarsi dentro le grotte di Kalinur per sopravvivere.
Re Ennòn decide allora di consultare il leggendario stregone Zauron affinché egli possa forgiare un'arma suprema o realizzare un sortilegio che sia in grado di fermare Ezwal. Zauron però è un "non-morto" ed è inviso alla casta sacerdotale. Serkal è furioso per questa decisione ma il Re non se ne cura e invia suo figlio, il Principe Kermes, sulla cima del vulcano Ravarogh ove risiede il grande mago al fine di invocare il suo aiuto. Nondimeno il sortilegio creato da Zauron produrrà un devastante effetto collaterale del tutto inatteso…
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Anteprima del libro
La Maledizione di Zauron - Ugo Spezza
I
imagetreIl Principe Kermes era affacciato al davanzale. Dalla torre ovest del castello lo sguardo poteva spaziare su tutto il regno. Il Sole era al tramonto e le alte torri della grande città fortificata di Exodar stagliavano lunghe ombre arancio pallido sul terreno circostante. Sullo sfondo i campi scardassati delle terre di Mòr, gli animali al pascolo e le baracche di legno dei contadini con i loro comignoli fumanti.
«Mostri un'espressione di inquietudine. Che cosa stai guardando?» gli chiese sua sorella, la principessa Eruanna.
«Dopo anni di guerre con i capi delle tribù barbare finalmente avevamo trovato gli accordi per una pace duratura.» rispose lui.
Puntò l'indice verso l'orizzonte.
«Abbiamo sconfitto le armate dei barbari di Nuur e conquistato tutte le terre fino alla foresta impenetrabile di Arkos. Mai nel corso della nostra storia si era profilato un periodo così lungo di pace e prosperità. Avrei voluto dedicarmi alla costruzione della diga sul fiume Belerian; avrebbe consentito di irrigare i campi e portato acqua pulita in tutte le case. Avevo persino pensato di ampliare il Tempio di Arthemisia e arricchirlo con i nuovi arazzi pervenuti dalle terre conquistate.»
Sospirò.
«E adesso invece si profila questa nuova sciagura…»
«Ma al momento nulla minaccia il nostro regno, vero?» disse Eruanna con un tono di incertezza nella voce.
«Fai finta di non sapere?» replicò lui indispettito.
«Non arriverà fino a qui. Sono sicura che non riuscirà ad attraversare la foresta di Arkos.» disse la principessa esibendo un sorriso forzato.
Lui stette a rimirarla un poco. La veste di seta azzurra che indossava sventolava al vento e i pendenti d'argento che aveva sulle spalle tintinnavano.
«Ah!» disse scuotendo il capo «Non so come fai a essere sempre così ingenua e spensierata. Certo che arriverà! Giungerà fin sotto le mura della città e causerà morte e devastazione.»
Recitò la frase poggiando istintivamente la mano sull'elsa della spada.
D'improvviso si udì un clangore metallico su per le scale.
«Sua maestà Re Ennòn vi convoca nella sala della guerra.» avvisò un soldato grassoccio vestito in armatura di bronzo. Era tutto sudato e ansante; i quattrocento gradini della torre dovevano essere stati un tormento con tutta quella ferraglia addosso.
Dopo alcuni minuti giunsero davanti al Re. Il loro anziano padre era seduto a capo di un lungo tavolo cerimoniale di legno pregiato, intento a rimirare il contenuto di un boccale di ottone pieno di vino. Conservava il suo aspetto fiero nonostante profonde rughe ne solcassero la fronte. Un'espressione di stanchezza campeggiava nei suoi occhi.
La sala era immensa e dalle ampie vetrate multicolore filtrava la luce del Sole al tramonto. Il pavimento di marmo bianco si colorava di riverberi arcobaleno.
«Sedetevi…» disse il sovrano.
Chiamò a se il gran sacerdote Serkal. L'uomo, voltato di spalle contro una vetrata, si avvicinò. Era vestito di una lunga tunica viola; alto e ossuto con barba bianca tagliata corta e ben curata.
«Come mai il Generale Denech non è ancora arrivato?» chiese seccato Re Ennòn.
«Vostra illustrissima maestà, Re di tutte le terre di Atlantis…»
«Al diavolo la cerimonialità! Ti ho fatto una domanda; rispondi!» sbraitò il Re alzandosi in piedi.
«Il Generale e i suoi due ufficiali Helkor e Thar saranno qui in brevissimo tempo…» disse Serkal abbozzando un sorriso.
Di fatti, poco dopo, tre uomini varcarono la soglia. Era evidente, da come era sistemato il loro vestiario e dal tanfo del loro alito, che si erano dati ai bagordi durante la notte appena trascorsa.
Il sovrano li rimirò per qualche istante con sguardo arcigno.
«Il fatto che abbiamo raggiunto accordi di pace con i capi delle tribù barbare confinanti non vi autorizza a passare la notte attaccati alle botti di vino dell'osteria di Herbal!»
«Oh… vostra eccelsa maestà,» disse imbarazzato il Generale Denech «noi siamo sempre sull'attenti e pronti a ogni evenienza dovesse presentarsi.»
«Ma se a malapena vi reggete in piedi!» rincarò il Principe Kermes sostenendo le ragioni del padre.
«Le vostre guance rosse come la lava di un vulcano e i vostri occhi lucidi parlano per voi. Che non si ripeta mai più!» urlò Re Ennòn.
I tre, evitando di replicare, si limitarono a inchinarsi in segno di pentimento.
Il Re, dopo aver tirato un sorso dal boccale si voltò verso il consigliere Serkal.
«Adesso puoi far entrare il messo.» disse.
Il sacerdote diede istruzioni alle guardie. Poco dopo un ragazzo giovane si presentò. Era alto ed esile, vestito con abiti da contadino. Percorse la sala andando a prostrarsi sul tappeto rosso alla base della scala del trono.
«Riferisci a sua maestà quanto hai detto a me poco fa.» gli disse Serkal.
«Ho… ho visto…»
Ma il gran Sacerdote lo interruppe stringendo la presa sulla sua spalla.
«Sei di fronte al Re di Atlantis, non a un capo bifolco delle terre di Mòr dalle quali provieni. Fai un inchino, presentati e chiedi se puoi parlare.»
Il giovane strabuzzava gli occhi. Non era abituato ai cerimoniali.
«Vostra eccelsa maestà, io sono l'umile corriere Gaerandir e vi chiedo la parola.»
Il sovrano mise sul tavolo un sacchetto e fece cenno al ragazzo di prenderlo. Lui vi guardò dentro con bramosia trovandovi due grandi monete d'argento. Era un compenso pari al lavoro di due mesi nei campi. Ringraziò con un inchino e iniziò a raccontare.
«Ho incontrato ieri mattina dei contadini barbari che hanno le terre al limite della Foresta impenetrabile di Arkos. Mi hanno riferito di essere scappati dai loro possedimenti. Tutte le loro coltivazioni sono state incendiate e le loro case di terracotta distrutte. Ci sono stati molti morti e feriti. Un agricoltore era scampato assieme alla moglie e la figlia piccola. Si era rifugiato nelle grotte sotto il monte Nurak. Mi ha rivelato che l'orrenda bestia, non contenta della devastazione causata dalle sue fiamme, si prodigava a schiacciare i fuggitivi con le sue enormi zampe artigliate. Talvolta prendeva qualche uomo in bocca, lo masticava e poi lo risputava.»
«Una crudeltà inaudita…» commentò Serkal con la fronte aggrottata.
Il Re prese a grattarsi la folta barba bianca. Lo faceva spesso quando qualcosa gli generava preoccupazione. Infine sbottò: «Ce l'ha fatta quel maledetto. È riuscito a passare le paludi e la foresta impenetrabile di Arkos. Ora è nel nostro territorio.»
Batté con violenza il boccale sul tavolo. Un fiotto di vino ne venne fuori.
«Ma… di cosa stiamo parlando?» chiese Thar, il comandante in seconda, un giovane dal fisico atletico e dalla folta capigliatura.
«Del Drago Ezwal, signore.» replicò il messo Gaerandir.
Il Generale Denech sgranò gli occhi: «No… No! Il Drago più grande e maestoso che sia mai esistito. Dopo aver devastato le terre dei barbari Nuur, ora è entrato nei nostri possedimenti. È una notizia terribile!»
La Principessa Eruanna volle intervenire: «E se lasciassimo che passi senza ostacolarlo? Potremmo fargli trovare del cibo lungo il percorso. Una volta che si sarà saziato di qualche capo di bestiame potrebbe decidere semplicemente di volar via e lasciare il nostro territorio.»
Il consigliere Serkal, all'udire di quelle parole, esibì uno sguardo allucinato, sollevò il alto il suo bastone cerimoniale e gridò: «No! Assolutamente no! Quel mostro non è un comune Drago. Egli è il frutto di una stregoneria della Dea malefica Nyx. Il suo solo sorvolare le nostre terre, indipendentemente dai danni che vi arrecherà, porterà sfortuna e indurrà malefici su Exodar per gli anni a venire. Bisogna combatterlo con ogni mezzo!»
«Come possiamo fermarlo?» chiese il Principe Kermes al comandante delle armate di Exodar.
Il Generale stette a pensare un po', poi replicò: «Dalle scarne informazioni che abbiamo sembra che i barbari non siano riusciti ad arrestare in alcun modo la sua avanzata. Le frecce gli fanno il solletico e nemmeno le lance riescono a penetrare la sua pelle coriacea.»
«E se usassimo le catapulte?» chiese il Re.
«Non sono adeguate.» replicò Denech aprendo i palmi delle mani «Quel mostro si libra in volo ed è estremamente difficile puntare un oggetto in movimento con una catapulta. Sono meccanismi a puntamento lento e vanno bene solo per colpire oggetti statici.»
«Potremmo costruire delle grandi fiocine!» ipotizzò il Principe.
Denech diede una spallata a Helkor. Essendo lui il luogotenente capomastro d'armi era stato invitato a replicare. Il giovane obeso si schiarì la voce.
«La costruzione di possenti fiocine o di grandi obici per lanciare oggetti richiede molto tempo.» disse «Occorrono dei legni elastici particolari e una lavorazione delle pelli di bue che vanno trattate per poter essere rese elastiche. Non faremmo mai in tempo a realizzarle prima che il grande Drago giunga fin sotto le nostre mura. Inoltre anche qui sussiste, come per le catapulte, il problema del puntamento di un obiettivo che vola ed effettua rapidi spostamenti.»
Re Ennòn batté con violenza la mano aperta sul tavolo.
«Insomma ci state dicendo che dovremmo permettere il passaggio di quel mostro sulle nostre terre aspettando che rada al suolo quasi tutta Exodar? Dovremo nasconderci nel sottosuolo come dei vermi finché non sarà passato?»
Il Generale Denech sembrava smarrito: «Maestà, anche se gli schierassimo contro il nostro esercito non servirebbe a niente. Le nostre armi sono inefficaci. Brucerebbe vivi i nostri soldati dentro le loro armature come noi facciamo con le tartarughe sulla brace.»
Un cupo silenzio aleggiò a lungo nella sala.
«Consigliere Serkal. Tu hai da dire