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L'impero. La vittoria impossibile
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L'impero. La vittoria impossibile
E-book479 pagine7 ore

L'impero. La vittoria impossibile

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Info su questo ebook

Un grande romanzo storico

«Un vero maestro del genere storico.»
The Times

Ancora in cerca di vendetta, Marco Valerio Aquila si trova di nuovo al centro del caos che sta scuotendo le fondamenta di Roma.
186 d.C. Dopo essere sfuggiti per un soffio al tradimento imperiale nelle foreste della Germania, Marco Valerio Aquila e i Tungri vengono inviati in Gallia, dove un fuorilegge di nome Maturno sta seminando il caos. Un gran numero di disertori e schiavi liberati, però, si unisce alla causa, e quello di Maturno potrebbe diventare qualcosa di più di un semplice brigantaggio: per la prima volta da una generazione, nell’aria c’è odore di ribellione. E anche se lasciarsi alle spalle i ricordi di Roma è un sollievo, Marco scoprirà presto che il pericolo lo ha seguito nel suo viaggio verso occidente, fino in Gallia. La spedizione è infatti guidata da quei pretoriani che lui ha tutte le ragioni di odiare. E di temere, se mai dovessero scoprire la sua vera identità.

La grande saga che ha appassionato migliaia di lettori
Un successo in tutto il mondo

Hanno scritto dei suoi romanzi:

«Non tutti gli scrittori sono bravi storici e bravi narratori. Anthony Riches è superbo in entrambe le cose.»
Conn Iggulden

«Una lettura bellissima. Appassionante e piena d’azione.»
Ben Kane

«Avvincente e diretto, con una prosa muscolare e un incedere sempre molto deciso.»
History Today

«I suoi romanzi storici sono capolavori.»
Sunday Express
Anthony Riches
È laureato in studi militari. Ha tenuto nel cassetto per dieci anni il primo romanzo della serie L’impero, rielaborandolo fino alla versione che è stata pubblicata con successo e che ha scalato in breve tempo le classifiche mondiali. La Newton Compton ha pubblicato La spada e l’onore, La battaglia dell’Aquila perduta, Lunga vita all’imperatore, Sotto un’unica spada, Un eroe per Roma, La vendetta dell’aquila, La spada dell’imperatore, La battaglia impossibile, L’altare di Roma e La vittoria impossibile.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2021
ISBN9788822756121
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    Anteprima del libro

    L'impero. La vittoria impossibile - Anthony Riches

    Prologo

    Germania barbara, aprile 180 d.C.

    «Tribuno!».

    Il cavaliere in testa alla colonna indicò un punto più avanti, lungo la strada che la squadra di ricerca stava percorrendo a cavallo, attirando l’attenzione dei suoi compagni verso un pennacchio di fumo che lambiva l’orizzonte, in attesa che i due ufficiali avanzassero per guardare nella direzione indicata dal suo dito. Il più alto in grado, un uomo dalla mascella squadrata, sulla trentina, con indosso l’armatura dorata e il lungo mantello bianco dai bordi porpora tipico di un ufficiale pretoriano, si sporse in avanti sulla sella e fece una smorfia.

    «Merda! Questa è decisamente una cosa che non volevo vedere. Naturalmente, non è detto che si tratti necessariamente di Materno».

    Il più anziano, un centurione con alle spalle più anni di servizio di quanti ne volesse ammettere, scosse la testa in segno di dissenso.

    «Quello è sicuramente Materno, tribuno. Altrimenti perché pensi che siamo stati mandati a recuperarlo, se non per paura che ordini ai suoi uomini di fare qualcosa di avventato?».

    Il suo superiore annuì con espressione cupa.

    «In tal caso, dobbiamo rimettere in riga quell’idiota prima che faccia qualcosa di veramente stupido e rischi di pregiudicare i negoziati dell’imperatore».

    Mano a mano che si avvicinavano al punto di origine del fumo, divenne sempre più evidente che si stavano dirigendo verso un insediamento. Una palizzata di legno circondava il consueto gruppo di rozze abitazioni, posizionate con attenzione in modo tale da garantire la miglior difesa possibile su di un terreno sopraelevato, vicino a un fiumiciattolo, e circondate su ogni lato da campi di terra arata da poco. Il villaggio protetto dalla barriera circolare era già in rovina, con decine di case consumate dagli incendi appiccati in mezzo a esse un’ora prima, ma fu soltanto quando il distaccamento attraversò a cavallo le porte distrutte che il destino subìto dai suoi abitanti si manifestò in tutta la sua chiarezza. Il tribuno levò una mano per far arrestare la colonna, fissando incredulo quella scena di devastazione.

    «Dèi degli Inferi. Cosa cazzo avete fatto, idioti?».

    I soldati sparpagliati tra i resti fumanti di quella che un tempo era una operosa comunità si voltarono a guardare i nuovi arrivati con occhi stanchi e affaticati, una maschera di sdegno sul volto, mentre il loro superiore scuoteva la testa con espressione sempre più incredula. Impegnati nei consueti rituali del dopobattaglia, ormai diventati una prassi nel corso di una lunga e aspra guerra contro le tribù germaniche, gli uomini erano indaffarati a tagliare orribili trofei dai corpi dei caduti, o a scavare tra le rovine degli edifici in cerca di tesori nascosti: alzarono brevemente lo sguardo prima di tornare al proprio lavoro. Gli occhi del tribuno si strinsero davanti all’impegno che mettevano in quella routine che seguiva ogni massacro mentre apriva la bocca per abbaiare un ordine, per poi interrompersi quando le grida e le suppliche lontane provenienti da uno stupro di massa raggiunsero le sue orecchie nel silenzio del villaggio distrutto. Smontando da cavallo con aria sempre più furiosa, avanzò a grandi falcate tra le rovine dell’insediamento con uno sguardo incredulo sul viso.

    «Dov’è quel coglione del vostro centurione? Dov’è Materno?». Guardandosi attorno, l’ufficiale incredulo posò gli occhi su di un uomo che reggeva un pesante bastone di legno decorato in ottone su entrambe le estremità. Lo stava osservando con un’espressione vicina al disprezzo. «Tu! Optio! Dov’è il tuo ufficiale? E mostra un po’ di rispetto, cazzo, prima che ti faccia frustare la schiena fino a che non ti si vede la spina dorsale e ti lasci a morire con i calzari pieni di sangue!».

    Raddrizzandosi leggermente, l’uomo interpellato indicò l’estremità opposta del villaggio, dove era chiaramente in corso l’aggressione ai danni delle donne catturate.

    Annuendo cupamente, l’ufficiale si voltò di nuovo verso la sua squadra e rivolse un segnale al trombettiere, il cui cavallo stava accanto a quello del suo brizzolato primipilo, ignorando le espressioni nervose di entrambi gli uomini.

    «Suona l’adunata! Suonala tanto forte da spaccare le pietre!».

    Un fragore di note lamentose riecheggiò attraverso gli edifici in rovina e i cadaveri sparpagliati, e sulla loro scia il tribuno urlò un ordine ai soldati sparsi tra i resti del villaggio.

    «In formazione, bastardi succhiacazzi! Almeno potreste far finta di comportarvi da uomini quali dovreste essere nel breve tempo che vi rimane!».

    Il suo centurione anziano smontò da cavallo e lo raggiunse, parlando a bassa voce mentre gli uomini della centuria che era stato inviato a recuperare si radunavano stancamente in qualcosa che assomigliava a una formazione militare.

    «Tribuno, potrei ricordarti…».

    «Ricordarmi che cosa, centurione?».

    L’uomo più anziano scoccò uno sguardo significativo agli uomini sui quali il suo superiore era impegnato a riversare la propria ira.

    «Questi soldati, tribuno, sono esausti. Letteralmente logorati. Combattiamo contro i Quadi da più di due anni, ormai, e quelli ancora non accennano ad arrendersi. Li abbiamo sconfitti in ogni singola battaglia che abbiamo combattuto contro di loro, ma laddove un nemico civilizzato avrebbe negoziato la pace, tutto ciò che hanno fatto costoro è stato dissolversi in queste infernali terre desolate e tenderci imboscate tra le ombre. Solo questa centuria ha perso venticinque uomini, meno della metà in scontri diretti di qualsiasi tipo».

    L’uomo più giovane scosse la testa.

    «Tutti abbiamo perso degli amici durante le loro incursioni, centurione. Non ci sono scuse per una simile deliberata disobbedienza. Questo genere di insubordinazione può solo…».

    «Tribuno! Gentile da parte tua unirti a noi!».

    Un massiccio ufficiale percorreva la strada principale del villaggio sollevando con una mano, mentre si avvicinava, l’elmo dalla cresta trasversale, il viso attraversato da un sorriso ironico alla vista dell’evidente collera del superiore. Per quanto a prima vista sembrasse affaticato quanto i suoi uomini, i suoi occhi apparivano luminosi e calcolatori, chiaramente intenti a valutare la situazione davanti a sé mentre si accostava ai nuovi arrivati. Scrollandosi di dosso la mano che il suo primipilo gli aveva posato sul braccio, l’ufficiale superiore avanzò verso il nuovo arrivato, i pugni stretti con rabbia incontrollabile.

    «Centurione Materno, cosa cazzo pensi di fare qui?».

    I due uomini si affrontarono faccia a faccia, ma se il tribuno pensava che quella ben collaudata dimostrazione di prepotente autorità avrebbe intimorito il suo centurione uscito dalla retta via, spingendolo a mostrare pentimento, rimase deluso.

    «Cosa penso di fare, tribuno? Penso di eseguire gli ordini del nostro beneamato imperatore Marco Aurelio. Ci ha ordinato di inseguire e pacificare i Quadi, e io sto eseguendo le sue direttive con lealtà e diligenza. Ho appena pacificato questo cazzo di nido di vipere, e l’ho pacificato così bene che nessuno dei miei uomini correrà mai il rischio di essere pugnalato alla schiena nella notte da uno dei suoi cosiddetti guerrieri, o di essere colpito da una freccia scagliata da qualche anonimo arciere cresciuto qui». Tacque per un istante prima di continuare, quasi sputando ogni singola parola. «Missione. Compiuta».

    Il suo superiore scosse la testa sbalordito.

    «Idiota! Marco Aurelio è morto! Come tu sai bene! Ora l’imperatore è suo figlio, e Commodo ci ha ordinato di mantenere la posizione e di attendere la firma del trattato di pace che ci consentirà di tornare a casa prima dei Saturnalia. Perciò questo», proseguì indicando con un cenno furioso la carneficina che gli uomini del centurione avevano provocato nel villaggio, «non è altro che la più vergognosa delle provocazioni! Non mi meraviglia che il prefetto mi abbia ordinato di riportarti indietro, invece di lasciarti perdere! Questa palese disobbedienza agli ordini dell’imperatore può portare a un solo risultato!».

    L’altro rispose con un sorriso storto.

    «E quale potrebbe mai essere questo risultato? Verrò degradato? Fustigato? Flagellato? Trasformato in un esempio allo scopo di scoraggiare chiunque altro possa covare pensieri di vendetta contro i bastardi che hanno ucciso tante guardie senza mai lasciar loro la possibilità di difendersi?».

    Il primipilo si tese verso il suo superiore e sussurrò parole rivolte unicamente all’orecchio del tribuno, ma ottenne in risposta soltanto una risata simile a un latrato.

    «Cosa? Forse per questa volta dovrei mostrarmi misericordioso e lasciar correre? Ma sei serio, primipilo?». Allargò le braccia stupefatto, scuotendo la testa. «Questo idiota ha disobbedito a un ordine diretto dell’imperatore, e ha guidato i suoi uomini fino a qui per commettere un omicidio di massa, furti e stupri che con ogni probabilità manderanno a monte i negoziati di pace in corso in questo stesso momento. E chi sarà l’uomo su cui ricadrà la punizione di Commodo, se ciò dovesse accadere ed egli non riuscisse nel tentativo di tirarsi fuori da questa guerra infinita e a tornare a Roma? Io!». Si volse a fronteggiare Materno, in un tono veemente che trasudava la sua rabbia incontrollata. «Sarò io l’uomo che dovrà subire la sua rabbia, centurione, non tu. Quindi punendoti mi vendicherò dell’ira che, con molta probabilità, ben presto si abbatterà su di me».

    Il primipilo tentò di parlare di nuovo, guardandosi attorno a disagio alla vista dei volti induriti dei soldati raccolti attorno a lui, per poi essere interrotto dall’aspra risposta del centurione rinnegato.

    «Noi siamo una minaccia per la tua carriera, vero, tribuno? È questo il problema? Non l’assassinio di civili innocenti, ma il fatto che stiamo pisciando sul tuo sogno di scalare la scivolosa china fino a conquistare il rango di prefetto, non è vero?». Materno gli voltò le spalle e agitò una mano verso gli uomini dietro di lui, una contorta maschera di rabbia a sostituire l’espressione sardonica di poco prima. «Errore nostro, tribuno, ti chiediamo umilmente perdono. Abbiamo commesso il fatale errore di pensare che questa fosse una guerra che eravamo chiamati a combattere. Giorno dopo giorno, all’alba, trovavamo i corpi di nostri amici e compagni, che giacevano nel punto in cui erano stati uccisi nella notte da silenziosi assassini senza palle come questi». Indicò con la mano i cadaveri sparsi degli abitanti del villaggio. «E naturalmente abbiamo pensato di essere coinvolti in una battaglia all’ultimo sangue: sporca, cruenta, senza pietà. Ma ora capisco: siamo qui soltanto per assicurarci che tu, tribuno, vinca la tua guerra e persegua le tue ambizioni. Così quando l’imperatore, con la patetica scusa di non avere un erede, ha deciso che preferiva starsene a Roma piuttosto che seguire le orme di suo padre, tradendo la lealtà di migliaia di uomini morti per l’Impero in queste terre desolate, ovviamente avremmo dovuto sorridere e dimenticare i bastardi che hanno torturato e ucciso i nostri fratelli. E tutto ciò affinché tu potessi diventare il nuovo cagnolino dell’imperatore!».

    Il tribuno sguainò il suo pugnale, sprizzando furia da tutti i pori, mentre puntava la lama contro il suo subordinato.

    «Hai firmato la tua condanna a morte! Lascerò il tuo cadavere in balìa dei corvi, per questo atto di insubordinazione!».

    Si protese verso il suo centurione, con l’evidente intenzione di ucciderlo, per poi trovarsi con la mano che reggeva il pugnale bloccata da una salda presa. Quando levò l’altra mano per liberare l’arma, se la ritrovò imprigionata allo stesso modo. I due uomini si fissarono l’un l’altro a distanza ravvicinata, e se da un lato Materno non tentò immediatamente di impadronirsi dell’arma, non consentì nemmeno al tribuno di spostarsi dalla posizione in cui era bloccato. Scuotendo la testa disorientato, tenne invece le mani del suo superiore a un braccio di distanza da sé, e abbassò la voce in un tardivo tentativo di riconciliazione.

    «Possiamo ancora risolvere la situazione, tribuno. Se solo tu mettessi via il pugnale, potremmo…».

    «Mai!». L’ufficiale superiore scosse la testa e ringhiò un ordine al suo centurione anziano.

    «Toglimi di dosso le mani di quest’uomo, primipilo!».

    L’uomo più anziano stava per mettere mano alla sua spada, ma si immobilizzò quando si ritrovò a fissare le punte di una decina di lance, impugnate da soldati le cui intenzioni apparivano ovvie come minacce urlate ad alta voce.

    «Questa è una scelta saggia, Giulio. Se quella lama esce dal fodero, scoprirai cosa si prova a essere colpito da una raffica di pila». Materno fissò il suo superiore con uno sguardo calmo che contrastava con la tensione e l’espressione furiosa del tribuno. «Questa è la tua ultima possibilità. Sei sicuro di voler morire qui?».

    Il tribuno bruciava di sdegno, il suo viso contorto dalla furia e dai tentativi di spezzare la presa del centurione.

    «La tua carriera, Materno, è finita! D’ora in avanti, non potrai mai più essere altro che un fuggitivo, perseguitato dai cani da caccia di Roma, con una taglia sulla testa che attirerà anche civili e barbari, invogliandoli a darti la caccia, come mosche attirate dalla merda!». L’uomo sputò in faccia al centurione. «Io ti sputo addosso! Roma ti sputa addosso! E voi morirete, tutti voi che avete partecipato a questo atto di insubordinazione, in risposta al quale l’unica giusta punizione è la morte, da animali quali siete!».

    Materno lo fissò in silenzio per un istante, con la saliva che gli colava lungo il viso.

    «Molto bene. Se questa è la tua decisione, non mi rimane altra scelta se non seguirla fino alla fine».

    I suoi bicipiti si fletterono, i tendini degli avambracci in evidenza mentre costringeva la mano del tribuno che reggeva il pugnale a ruotare verso il basso, per poi girare inesorabilmente la punta della lama verso l’alto, finché essa non si trovò a poche dita dalla gola del suo superiore. Rabbrividendo mentre cercava di resistere alla manovra lenta ma irresistibile dell’uomo più forte, il tribuno, pallido in viso, fissò il suo subordinato mentre si rendeva conto di trovarsi ormai in una situazione disperata.

    «Non farlo! La mia famiglia…».

    L’altro sorrise, mentre testava la sua forza spingendo verso l’alto la lama, movimento che il tribuno riuscì a stento a controllare.

    «La tua famiglia sarà mortificata quando saprà che sei stato ucciso a guerra già finita, vergognosamente ammazzato da un uomo la cui lealtà a Roma hai ricompensato con minacce di morte e infamia, tanto da spingerlo a commettere un simile crimine. È questo che intendi?». Spinse di nuovo la lama verso l’alto, sorridendo quando la punta avanzò tremolando di un altro dito verso la gola del tribuno. «La tua famiglia si chiederà quale demone si sia impossessato di te, perché tu provocassi degli uomini che hanno perduto ogni timore nei confronti della morte?». Spinse di nuovo, e la punta della lama scivolò avanti di un altro dito. «La tua famiglia, tribuno, non saprà altro che questo…». Emise un grugnito mentre, con un improvviso sforzo esplosivo, trafiggeva con la lama del pugnale la mandibola dell’altro e la spingeva verso l’alto fino a quando non rimase che l’impugnatura a sporgere dalla sua testa. «Sapranno solo che sei stato trovato morto, ucciso dalla lama del tuo stesso pugnale. Umiliato per sempre».

    Il tribuno morente arretrò barcollando, soffocando tra le convulsioni mentre il sangue scorreva dalla sua gola; quindi, rovesciando gli occhi, cadde all’indietro addosso al suo centurione anziano.

    «Lo hai… ucciso? Hai ucciso un tribuno, cazzo!».

    Materno rispose con un sorriso stanco allo stupore del primipilo, sguainando la sua spada e sollevando un sopracciglio in un’espressione interrogativa.

    «Non mi ha lasciato altra scelta, lo hai visto anche tu. Ma tu hai tentato di impedirlo, e gli uomini alle tue spalle non sono più colpevoli di quanto lo siamo noi. Non ho alcun desiderio di versare il sangue innocente dei miei compagni».

    L’altro scosse la testa ostinato.

    «Se torno dal prefetto e gli racconto che non sono riuscito a fermarti, mi farà flagellare fino a farmi morire dissanguato. Non è il modo migliore di morire per un uomo».

    «Capisco». L’ufficiale rinnegato scosse la testa con espressione rattristata, quindi balzò in avanti e trapassò con il gladio la gola del suo superiore, facendolo cadere nella polvere, dove rimase a soffocare e a gorgogliare mentre il sangue si spandeva in una pozza scura sotto il suo corpo scosso dalle convulsioni. Mentre ripuliva e rinfoderava la spada, Materno abbassò uno sguardo privo di espressione sull’uomo morente. «Che tu possa trovare i tuoi antenati ad aspettarti con una brocca di vino quando avrai attraversato il fiume. Mi assicurerò che tu abbia una moneta per il traghettatore».

    «E che ne facciamo degli altri?».

    Si voltò e si trovò alle spalle il suo optio.

    «Gli altri? Sono vittime di questa guerra quanto noi». Si parò davanti ai cavalieri rimasti, levando le mani insanguinate perché le potessero vedere. «Siete liberi di andarvene, fratelli, e tutto ciò che vi chiedo in cambio è che portiate un messaggio al prefetto del pretorio da parte mia! Ditegli che se le mie mani sono insanguinate è colpa tanto sua quanto mia! Se avesse mandato un uomo migliore per ricondurci all’ovile, le cose sarebbero potute andare meglio; questo tribuno, invece, questo suo burattino, ha reso me, nonché quelli tra i miei uomini che mi seguiranno, dei reietti! Sappiamo che, d’ora in avanti, vivremo sotto minaccia di morte. Ma fategli sapere che io intendo fare lo stesso con Commodo! Quando arriverà il momento giusto, quando i miei piani saranno pronti per essere attuati, vendicherò ogni uomo morto senza un motivo durante questa guerra che egli è tanto ansioso di abbandonare!». Indicò con la mano l’orizzonte meridionale, abbassando la voce a un tono divertito, colloquiale. «Andate, fratelli, e guardatevi da quei bastardi traditori dei Germani. Ho bisogno che riportiate a casa le coorti sane e salve, e che diffondiate il più possibile le mie parole. Questa non sarà l’ultima volta che Roma sentirà parlare di Materno».

    Attese fino a quando anche l’ultimo dei cavalieri non ebbe attraversato le porte distrutte dell’insediamento, con i corpi dei due uomini morti legati di traverso sulle selle dei loro cavalli, quindi si rivolse al suo optio.

    «Di’ agli uomini di prepararsi a marciare, dobbiamo proseguire. Ci dirigeremo a ovest, lontano dall’esercito, e seguiremo i boschi. Nel giro di un paio di giorni, le strade si affolleranno di cavalieri, tutti desiderosi di incassare la taglia che quel coglione del prefetto metterà su di me per aver ucciso il suo cocco. E io non sono ancora pronto a vedere la mia testa rotolare davanti alla guardia pretoriana. Dopotutto, abbiamo passato gli ultimi due anni a imparare dai migliori come evitare l’esercito romano; direi che è giunto il momento di attuare ciò che abbiamo appreso e stare a vedere quanto riusciamo a sopravvivere. Chi lo sa, potremmo anche diventare dei banditi abbastanza decenti».

    1

    Roma, settembre 186 d.C.

    «Immagino tu sia felice di tornare a fare il soldato, vero, tribuno? Finalmente hai finito di strisciare fra paludi e foreste ai confini del mondo per andare a rapire donne». Gaio Rutilio Scauro si accigliò per un attimo alla battuta del suo centurione anziano, rimanendo in silenzio. Ma lungi dal sentirsi intimidito dalla disapprovazione del superiore, Giulio scosse la testa e ridacchiò.

    «Sì, lo so. Non ci sono paludi e foreste in Germania, è tutta un’invenzione degli uomini che non ci sono mai stati per far sembrare più esotico il luogo e i suoi abitanti così poco civilizzati che i romani non dovrebbero sentirsi in colpa a ridurli in schiavitù».

    Il muscoloso primipilo si voltò a osservare la piccola unità in attesa nella piazza d’armi della caserma di transito. Gli uomini erano ansiosi di ricevere l’ordine che li avrebbe rispediti alle rispettive centurie dopo il lungo viaggio verso sud, dalla frontiera settentrionale dell’Impero alle porte di Roma.

    «Che ne dici, allora, diamo un’occhiata a quello che mi hai riportato dal barbaro Nord? Immagino che i nostri caduti siano morti con onore, giusto? Qadir, sembra che tu sia tornato con qualche uomo in meno rispetto a quelli con cui sei partito».

    Un uomo alto e snello, dai tratti orientali, abbigliato con l’armatura a scaglie e l’elmo crestato da centurione, avanzò ed eseguì il saluto militare, con lo sguardo apparentemente fisso sull’orizzonte.

    «Quattro dei miei uomini sono morti uccisi dalle lame dei Germani, primipilo, e non tutti di una morte rapida».

    La voce dell’amiano, solitamente calma, si indurì al ricordo di una perdita le cui cicatrici erano ancora fresche. Centurione a capo degli arcieri amiani della coorte, aveva visto morire il suo migliore amico. Lo aveva ucciso lui stesso, affinché non dovesse subire l’inevitabile vendetta del nemico per le morti che aveva inflitto in combattimento, e ancora non riusciva a rassegnarsi al fatto che il suo compagno non ci fosse più. «Non avrei potuto chiedere loro di più: sono morti per la dea venerata ogni singolo giorno in tutti gli anni che abbiamo trascorso insieme. E sono orgoglioso di aver potuto chiamare ciascuno di essi mio compagno e mio amico».

    Giulio annuì in segno di rispetto per il sacrificio compiuto dagli arcieri.

    «Ti ringrazio, centurione. Condivido il tuo dolore per quelle perdite e il tuo orgoglio per il modo in cui i tuoi uomini hanno scelto di andare incontro alla morte. Compirò con te il sacrificio per chiedere la pace per le loro anime. Dubnus?».

    Un altro ufficiale avanzò di un passo, scattando sull’attenti e tenendo una pesante ascia appoggiata a una spalla. Estremamente muscoloso, e dotato di una barba degna di nota quanto quella del suo superiore, l’uomo rivolse uno sguardo imperturbabile al centurione anziano.

    «Tre miei fratelli guerrieri sono morti, due di loro sopraffatti dall’orda dei Bructeri e il terzo a causa di una ferita al piede, che si è incancrenito e gli ha infettato il sangue. Per nostra fortuna, il medico navale che l’ha medicato aveva con sé del latte di papavero e ha agevolato il suo passaggio attraverso il fiume che porta agli Inferi». Dubnus si accigliò al ricordo della dolorosa e tormentata morte subita dal suo soldato. «Ma se n’è andato con la sua ascia in mano, i suoi fratelli attorno a lui a infondergli la forza di cui aveva bisogno per il trapasso, e il sangue di molti uomini a tingergli l’armatura. Avresti approvato il modo in cui ciascuno di essi si è congedato da questa vita».

    Il mastodontico primipilo chinò la testa in segno di rispetto.

    «C’è sempre un prezzo da pagare, considerando le strade che stavate percorrendo». Quindi alzò un sopracciglio rivolgendosi al grosso centurione. «Anche se, a quanto vedo, la tua vita è ancora benedetta dagli dèi, come sempre. Suoni ancora quel corno ogni notte?»

    «Sì». Centurione a capo di una centuria di pionieri, e uno tra i pochi che sulla piazza d’armi era in grado di eguagliare Giulio sia in altezza sia in larghezza, il britanno guardò il suo superiore dall’alto in basso in un modo che sapeva avrebbe sicuramente irritato l’uomo più anziano. «E se non l’avessi suonato con tutto il fiato che avevo qualche settimana fa, la maggior parte di noi non sarebbe qui».

    Giulio scrollò le spalle.

    «Immagino che la storia sia stata infiorettata passando di bocca in bocca. Ma sembra comunque una stronzata in piena regola, non credi? Faresti meglio ad allenarti un po’ di più, e a portare con te le tue muscolose sorelline. E lo stesso vale per te, Qadir, i tuoi arcieri non vedranno l’ora di tornare dai loro fidanzati». Ignorando l’irritazione provocata dalle sue parole, avanzò lungo la fila mentre pionieri e arcieri si allontanavano, dirigendosi alle rispettive camerate, e i centurioni si salutavano rispettosamente prima di separarsi. «E vedo anche che non sei ancora riuscito a sbarazzarti dei membri più indisciplinati della coorte, tribuno». Si fermò davanti a una coppia di soldati, i cui sguardi rimasero risolutamente fissi sull’edificio alle sue spalle. «Sanga, sfuggente come sempre, se non di più, e Saratos, più simile che mai al cane da guardia di un boia. Potete entrambi levarvi dalle palle e tornare alla Quarta centuria: mi è giunta notizia che il vostro centurione vi attende con ansia per ascoltare le vostre entusiasmanti storie. Oppure vuole prendervi a sberle finché non vi avrà dimostrato quanto gli siete mancati. Lascerò che siate voi a immaginare quale delle due alternative sia la più probabile. Siete congedati».

    I due soldati salutarono e gli voltarono le spalle. Sanga diede una gomitata al suo compagno daco, spingendolo verso le porte della città e le miriadi di possibilità che essa aveva da offrire, ma il commento finale di Giulio non lasciò loro alcun dubbio riguardo a ciò che ci si aspettava da loro.

    «Voi due imbecilli dovete immediatamente fare rapporto a Otho. Si aspetta che riprendiate servizio come ufficiali di guardia, e nel caso in cui non lo facciate, ha precise istruzioni di esprimere la propria delusione con i suoi abituali modi diretti. Non dite che non eravate stati avvertiti!».

    Fece un largo sorriso quando i due uomini cambiarono direzione e si avviarono, un po’ meno entusiasti, verso la caserma della Quarta centuria, quindi riportò lo sguardo sui rimanenti membri dell’unità partita per la Germania su ordine del ciambellano imperiale, rivolgendo la sua attenzione a due soldati, uno abbastanza vecchio da essere il nonno dell’altro. Stavano in piedi accanto a due barbari, uno dei quali, Arminio, schiavo germanico del tribuno, era semplicemente alto e possente, mentre l’altro superava di una spanna il primipilo. Prigioniero britannico entrato ormai da tempo a far parte della familia di Scauro, il suo corpo era dotato dei muscoli necessari a sollevare l’appuntito martello da guerra che reggeva con noncuranza, mentre la testa di ferro era abbastanza pesante da rendere il semplice atto di alzarlo da terra estenuante per chiunque dei suoi compagni. Fermandosi davanti al più giovane dei due tungri, Giulio scosse la testa in segno di evidente disgusto mentre l’altro soldato, un veterano vecchio abbastanza da poter essere in pensione già da anni, si voltava a guardarlo con la sua consueta espressione calcolatrice.

    «E qui, contro ogni speranza e aspettativa di qualsiasi scommettitore in questa coorte, abbiamo Morban, tornato tra noi senza nemmeno un graffio». Osservò attentamente il portabandiera prima di riprendere a parlare. «E con il solito aspetto sgradevole: basta dare uno sguardo alle condizioni della tua uniforme e del tuo equipaggiamento per notare almeno una mezza dozzina di trasgressioni degne di punizione. Fila via, portainsegne, e datti una svegliata prima che mi veda costretto a farti trascinare davanti al tuo centurione perché ti possa giudicare e menare. E sii gentile con i tuoi compagni; alcuni soldati, sotto il mio comando, non sentono il delicato tocco delle tue dita sui loro borselli da tanto tempo che ormai hanno quasi dimenticato cosa significhi aver paura». Scoccò uno sguardo al giovane soldato in piedi accanto al veterano, una spanna più alto dell’ultima volta che l’aveva visto, e sorrise suo malgrado alla quasi comica maschera di serietà sul viso del ragazzo. «E puoi portare con te questo vitellino. Non avrei mai riconosciuto il ragazzo se non fosse stato in piedi accanto a te. Hai già immerso la tua lancia nel sangue, Lupo?».

    Morban rispose per suo nipote, la voce venata dall’indignazione.

    «Mio nipote ha tenuto fede al suo sangue, quando è arrivato il momento. Ha fatto il suo dovere e ha ucciso il suo primo uomo, primipilo».

    Giulio annuì in segno di approvazione, ma ulteriori commenti furono anticipati dal germano Arminio, che si sporse verso di lui e parlò in tono calmo ma fermo.

    «Vedo i semi della grandezza nel ragazzo, e la sacerdotessa l’ha confermato. Sarà per te ben più di un soldato, puoi starne certo».

    Giulio alzò un sopracciglio a quell’intromissione, per poi colpire il germano sul petto con la punta del suo contorto ramo di vite.

    «Quello che vedo io, invece, è che il tribuno non ti ha ancora insegnato la differenza tra intelligenza e insubordinazione. Non è così, Arminio? Siete congedati, tutti e tre…». Lanciò un’occhiata all’imperturbabile gigante in piedi accanto a loro. «E portate quel mostro di Lugos con voi. Voglio scambiare due parole con il vostro ufficiale senza dover sopportare i continui commenti di uno schiavo e di un portabandiera. Il ragazzo avrà presto occasione di raccontarmi le sue gesta nelle oscure foreste germaniche, ma per ora gli adulti hanno questioni più importanti da discutere».

    Attese fino a quando i quattro uomini non furono fuori portata d’orecchio, poi si voltò verso Scauro e i centurioni in piedi accanto a lui.

    «Le voci viaggiano più veloci dei cavalli quando si tratta di cattive notizie, e abbiamo udito gran parte della storia del vostro viaggio a nord mesi fa. Sappiamo come siete riusciti a mettere le mani sulla donna che il ciambellano imperiale vi aveva inviato a catturare, per poi lasciarla di nuovo alla tribù da cui l’avevate rapita per salvarvi la vita».

    Scauro scrollò le spalle.

    «Ho sempre ritenuto saggio, primipilo, prendere tutte le notizie provenienti da lontano, buone o cattive che siano, cum grano salis, nel caso in cui saltasse fuori che sono state modificate a beneficio di chi le riferisce. E chi ti ha detto tutto questo? Nessuno al di fuori del palazzo imperiale avrebbe avuto accesso a quelle informazioni». Scauro rivolse a Giulio uno sguardo interrogativo, ma il grosso centurione si limitò a restituire l’occhiata in silenzio, conscio che il suo superiore già conosceva la risposta alla propria domanda. «Cleandro?»

    «Uno dei suoi liberti. È sceso dalla collina qualche giorno fa e mi ha riferito che sareste tornati in città entro una settimana, e che io avrei dovuto preparare entrambe le coorti alla marcia. Il tuo amico ciambellano ha dei piani per noi, a quanto pare».

    Il più giovane dei tre centurioni rimasti, in piedi accanto a Scauro, scosse la testa con rabbia, portandosi le mani ai fianchi e puntando lo sguardo oltre le basse mura della caserma di transito, verso la sagoma del colle Aventino che si ergeva dietro di esse.

    «Quell’uomo non ha nessuna pietà! Come può aspettarsi che ci rimettiamo in marcia così presto, dopo essere tornati da un viaggio tanto faticoso, con tutto quello che è successo?».

    Scauro rise piano.

    «Nessuna pietà? Certo che non ha nessuna pietà. È il ciambellano imperiale, Vibio Varo, porta il peso dell’Impero sulle sue spalle, e ha risorse alquanto scarse a disposizione quando i vicini di Roma decidono di mettere alla prova la forza dell’Impero. E nelle nostre coorti, come sa fin troppo bene, trova i mezzi ideali per spegnere qualsiasi incendio venga acceso sotto le sue terga. Millecinquecento delle truppe migliori in tutto l’Impero, guidate da uomini la cui immediata e incondizionata obbedienza è garantita dalla semplice minaccia sospesa su ciascuno di noi, e su coloro che ci stanno più a cuore».

    Il più alto dei suoi compagni annuì, con il volto magro atteggiato a un’espressione cupa alle parole del suo superiore e le nocche delle dita sbiancate mentre stringeva le sue due lame, una spada lunga da cavaliere e un gladio dal pomolo a forma di aquila. Erano le armi che costituivano il suo normale equipaggiamento e che da tempo gli avevano meritato il soprannome di Due Lame tra gli uomini delle coorti tungre.

    «È un comportamento imperdonabile. Dovrei semplicemente…».

    «Prendere tuo figlio e svanire nel nulla?». Il tribuno scosse la testa con un sorriso gentile. «Non servirebbe ad allentare la presa di Cleandro su di noi, Marco, non credi? Traditore una volta, traditore per sempre, questa sarebbe la sua unica risposta. Ci tiene in pugno, che tu stia con noi o meno. Condannati in eterno per averti protetto dalla giustizia dell’imperatore dopo lo sterminio della tua famiglia. Una via, ci tengo a ricordarti – prima che tu prenda in considerazione l’idea di tornare a immergerti nel mare di disperazione in cui sguazzavi non molto tempo fa – che tutti noi abbiamo scelto liberamente. E a parte questo, mi sembra chiaro che non dureresti un mese, non con gli agenti di Cleandro che ti danno la caccia e un bambino piccolo di cui occuparti. Almeno in questo modo tuo figlio è al sicuro, sotto l’ala dello stesso uomo che ci condannerebbe tutti quanti a morte, e senza pensarci due volte, se solo avesse il minimo dubbio sulla fedeltà che riserviamo a lui e a lui soltanto. No, almeno per il momento, se Cleandro ha bisogno di vederci scattare a ogni suo comando, la cosa migliore che possiamo fare è metterci in marcia prima ancora che lui lo chieda».

    Fece un cenno verso il colle.

    «Va’ a trovare tuo figlio, Marco. Il tempo che potrai trascorrere con lui sarà già abbastanza breve senza che tu te ne stia qui a lamentarti di un destino che non possiamo eludere. E poiché ti ho sentito chiaramente usare la parola noi, poco fa, centurione Varo, chiariamo subito che da questo momento sei congedato dal servizio con le coorti tungre. Spero che tuo cugino navarca trovi il tempo di inviare a tuo padre la lettera che ha promesso, per riferirgli quale eroe tu ti sia dimostrato mentre eri lontano».

    Varo sorrise, scuotendo la testa divertito.

    «Mio padre? Saluterà il mio ritorno al solito modo, non ho alcun dubbio in merito. Una volta che le donne avranno finito di piangere dalla gioia per avermi visto tornare incolume a casa, mi farà un bel discorsetto di quelli seri. Poi, ogni volta che i suoi amici verranno a cena, sarò esibito come l’eroe del giorno che ha svolto incarichi clandestini per l’Impero a est e a nord: incarichi di cui, naturalmente, non potranno mai essere rivelati i dettagli e che quindi assumeranno ben presto contorni mitologici».

    «E così tornerai a essere idolatrato da una sequela di fanciulle smorfiose e matrone entusiaste? Non posso far altro che scuotere la testa per la compassione davanti al tuo sacrificio, giovane b…».

    «Grazie, Giulio», lo interruppe Scauro. Aspettò finché non fu certo che il suo centurione anziano si fosse finalmente zittito, poi si rivolse a Varo, figlio di un senatore, la cui presenza nei ranghi delle sue coorti ausiliarie aveva sempre considerato temporanea.

    «Va’ e inizia a riconsolidare il tuo rapporto con tuo padre. E credo che la cosa migliore sia concordare che i tuoi giorni in marcia con i tungri sono giunti alla loro naturale conclusione. Dopo quest’esperienza, immagino che saresti un eccellente tribuno legionario. Se tuo padre possiede la metà del buonsenso che sospetto lui abbia, chiederà un favore o due per farti entrare il più rapidamente possibile alla corte di un qualche legato. Probabilmente sarebbe consigliabile trascorrere un po’ di tempo lontano dagli occhi dell’Impero, visto che hai deliberatamente scelto di unirti a uomini che difficilmente si può dire godano del favore dell’imperatore». Si voltò per rivolgersi a Marco, agitando la mano in un cenno sbrigativo. «E tu, centurione, hai un figlio che ha bisogno di suo padre. Andate, tutti e due, e lasciate che io e Giulio pensiamo a cosa ci serve per preparare i nostri uomini, qualunque sia la prossima missione che Cleandro intende affibbiarci».

    I due uomini si diressero alle porte, e dopo un istante trascorso a contemplare le loro schiene, Giulio si voltò verso il suo superiore e l’ufficiale rimasto con uno sguardo interrogativo.

    «Quando è partito, era un uomo più o meno a pezzi. Quasi mi aspettavo di vederti tornare senza di lui, ed ero pronto a dichiarare la sua morte un piccolo atto di misericordia per uno spirito tanto tormentato. E invece eccolo qui, più simile al vecchio Marco di quanto avrei mai immaginato di vederlo. Cos’è successo, per cambiarlo in quel modo?»

    «Cos’è successo?». Scauro scosse la testa. «Non ne so molto più di te». Si toccò il fianco con una smorfia. «A causa di una mia imprudenza, sono rimasto ferito durante il rapimento della sacerdotessa, e ho passato la maggior parte dei giorni successivi a restare aggrappato alla vita, senza capire granché di ciò che mi accadeva attorno. Perlopiù era tutto un succedersi di colline e fiumi, e quella terrificante strada di tronchi di legno sull’acqua che sembrava non finire mai. Sono passati giorni prima che mi svegliassi davvero, e a quel punto era ormai tutto finito, più o meno, e il nostro compagno si era già trasformato nell’uomo che hai appena visto. Non proprio il Marco Valerio Aquila di un tempo, ma decisamente non l’individuo cupo e quasi perennemente taciturno che abbiamo portato con noi a nord. Sembra aver trovato… be’… pace, suppongo».

    L’ultimo dei centurioni, un uomo avanti con gli anni, con il viso segnato dall’esperienza, ma dallo sguardo ancora lucido e dalla postura eretta, scosse la testa.

    «Io so cos’è successo, anche se non riesco a capirlo. La strega che siamo stati inviati a rapire lo ha fatto addormentare, apparentemente con un gesto della mano, e poi l’ha risvegliato schioccando le dita. E a quel punto…». Scrollò le spalle. «Vedete anche voi che ora è un uomo diverso».

    Giulio fissò per un istante il suo vecchio avversario, arricciando le labbra in risposta alla mancanza di rispetto mostrata dall’uomo più anziano nei confronti del suo rango.

    «Sei sereno come sempre, non è vero, Cotta? Hai ucciso qualche re mentre attraversavi il Reno, qualcuno da aggiungere al tuo conteggio? Dubito che un imperatore basti a mettere in difficoltà un assassino

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