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La Saga di Amnia - Vol.5: L'Alba del Condottiero
La Saga di Amnia - Vol.5: L'Alba del Condottiero
La Saga di Amnia - Vol.5: L'Alba del Condottiero
E-book645 pagine9 ore

La Saga di Amnia - Vol.5: L'Alba del Condottiero

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LA SAGA DI AMNIA


"LA SERIE EPIC FANTASY CHE HA GIÀ CONQUISTATO MIGLIAIA DI LETTORI"

Perfetta per i fan di R. A. Salvatore, J. R. R. Tolkien, Margaret Weis & Tracy Hickman, George R. R. Martin, Terry Brooks e di tutti gli amanti dei Giochi di Ruolo, in particolare di D&D!

TRAMA:


Amnia: 1496.
La distruzione del mondo a opera di Nemesi è stata scongiurata. Qualcuno, però, ha colto l’occasione per cercare un potente manufatto, che solo nell’imminenza della fine di tutto poteva essere trovato. Grazie a esso, Sirran e i suoi alleati sono a un passo dal dare una svolta al ritorno di Aidan, il Condottiero dei Primevi. I deicidi, dunque, sono chiamati ad agire ancora una volta, tuttavia non sono più uniti come un tempo.
Chi potrà opporsi alla nuova minaccia che arriva da un oscuro passato, ora che anche l’Inquisizione della Repubblica Veridiana viene chiamata a scendere in campo?
LinguaItaliano
Data di uscita9 lug 2023
ISBN9791222424538
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    Anteprima del libro

    La Saga di Amnia - Vol.5 - Aligi Pezzatini

    Prologo

    Tre mesi prima della Grande Oscurità

    Un gruppo di dieci persone se ne stava in piedi su un’ampia piattaforma di legno. Tramite un complesso sistema di carrucole, essa scendeva nelle profondità di un’enorme voragine, situata in prossimità delle pendici delle Rocce dei Draghi, le alte montagne rocciose che si stagliavano tra Yonada e Halka, nell’Egemonia Tyranian.

    La personalità più eminente era il Duca di Sanderia, Tarok di Mendiar, un uomo di mezz’età pingue e pesante, molto alto, dai capelli brizzolati corti e radi, riccamente vestito. Si reggeva alle spalle di due mezzelfi di una testa più bassi di lui: una giovane snella, dalla chioma castana sbarazzina, e un giovane di corporatura asciutta, dai lunghi capelli neri raccolti in una coda; entrambi indossavano una corta tunica azzurra senza maniche. Con loro c’erano il responsabile degli scavi, due lavoratori e quattro soldati.

    Dannate interferenze eteriche! Imprecò Tarok dentro di sé; nonostante lo stesse solo pensando, il suo fastidio era ben evidente agli astanti. Se non fosse stato per loro, ci saremmo teletrasportati qui sotto già mesi fa, e avremmo risparmiato tempo e denaro! Il suo umore, però, mutò presto e si mise a gongolare: Oh be’, a questo punto non ha più importanza. Finalmente il momento è giunto...

    Mentre il sole svaniva oltre l’orlo della fenditura, il responsabile degli scavi si fece coraggio e domandò perplesso:

    «Perdonatemi, ma non capisco il motivo di tutta questa fretta nel trovare un luogo sepolto da millenni.»

    Tarok non resistette all’impulso di dimostrare come sempre la propria superiorità, quindi rispose con un certo compiacimento:

    «Non hai visto il sole, Stolz? Nonostante siamo in piena estate, oggi risplende con meno intensità di ieri. Tutti su Amnia hanno ormai sentito parlare dell’inevitabile realizzazione della Profezia, che il mondo cadrà in una notte perenne per essere infine distrutto e ricreato. Nondimeno, se l’Impero si è dato da fare per dotare di lampade eteriche i luoghi sensibili, forse non tutto è davvero perduto...»

    La mezzelfa, che aveva ancora lo sguardo rivolto in alto, lo interruppe timidamente:

    «Che senso ha tutto questo se davvero la Profezia dell’Equilibrio sta per compiersi?»

    Il Duca la schiaffeggiò con violenza. Lei, ormai abituata ai suoi repentini scatti di umore, si trattenne dall’emettere un gemito di dolore che avrebbe provocato un altro manrovescio. Tuttavia non servì, perché l’uomo la afferrò per il collo e lo strinse con decisione, mentre la rimproverava severo:

    «Dunea, perché parli sempre a sproposito? Gli antichi tomi che tre anni fa ci hanno guidato fin qui riportavano chiaramente un avviso: "Fate attenzione a quando la luna si spaccherà. Solo quando il sole comincerà ad affievolirsi, l’ultima dimora degli sconfitti diventerà accessibile."» Abbandonò la presa su di lei, lasciandola con il volto paonazzo, e continuò: «D’altronde, già cinquecento anni fa è successo che la Profezia si sia fermata prima di realizzarsi. E se sarà così anche stavolta, come credo sulla base di alcuni indizi, in particolare proprio dall’installazione delle lampade eteriche, tutto si risolverà in qualche momento di paura per la gente comune. Il mondo non finirà e il nostro piano potrà continuare.»

    Tra il disappunto del responsabile e dei lavoratori, la mezzelfa si sforzò di mantenere la schiena diritta per continuare a sostenere il peso del suo padrone; poi gli disse supplicante:

    «Mi perdoni, mio signore.»

    Dunea aveva già sentito il Duca discutere di quello e di altri argomenti delicati di cui non doveva fare parola, ma a volte il suo stato di schiavitù la faceva disperare così tanto da lasciarsi sfuggire commenti inappropriati ad alta voce. L’uomo, sogghignando, si chinò verso il suo orecchio e le sussurrò lascivo:

    «Avrai modo questa sera di farti perdonare.» Rialzandosi, le accarezzò la testa, passando le grosse dita tra i suoi capelli lisci e setosi, quindi aggiunse con un tono apparentemente dolce: «Mia cara, devi essere contenta per me: oggi i miei sogni si realizzeranno.» Subito dopo afferrò la coda di capelli dietro la testa del mezzelfo e se la portò al volto, annusandola con voluttà, quindi commentò: «Losian, non ti palpita il cuore all’idea che stiamo facendo la Storia?»

    «Certo, mio signore» gli rispose lui in tono rassegnato, mentre Dunea rimaneva in silenzio.

    Il Duca si lasciò andare a un sogghigno perfido, mentre la piattaforma continuava la sua discesa attraverso l’oscurità. Le lanterne dei servitori rischiaravano soltanto le vicinanze e a tratti mostravano le pareti di roccia intorno a loro che scorrevano velocemente; l’unico elemento che interrompeva la continuità di quel panorama monotono era la lunga scalinata in legno addossata alla parete, che i lavoratori usavano per scendere e salire.

    Stolz si sporse per un attimo dal parapetto della piattaforma e disse a bassa voce:

    «A breve toccheremo il fondo. Ho già dato istruzione agli addetti d’illuminare il percorso verso l’ingresso.»

    Il Duca annuì, poi circondò con un braccio le spalle del mezzelfo e si appoggiò a lui con più insistenza. Avvertì che stava tremando, forse più per il timore che per lo sforzo di sorreggere il suo peso, data la maggior forza che gli derivava dalla sua natura di mezzosangue; allora accostò il viso al suo orecchio e gli sussurrò:

    «È probabile che là sotto avrò bisogno dei tuoi begli occhi verdi da mezzelfo: non mi deludere e più tardi festeggeremo insieme il mio trionfo!»

    Losian rimase impassibile, come al suo solito, e si limitò a rispondere in tono neutro:

    «Farò del mio meglio per non deludervi, signore.»

    Nello stesso momento, il Duca abbassò la mano che teneva sulla spalla della mezzelfa fino al suo fondoschiena e lo palpò senza alcun ritegno. Dunea s’irrigidì, nascondendo come sempre il disgusto che provava per quell’umano. Il sigillo di schiavitù che le era stato imposto le impediva di reagire fisicamente contro il suo padrone; tuttavia, sarebbe bastato qualunque atteggiamento interpretabile come sovversivo perché venisse ugualmente punita con severità. Per questo aveva deciso di rimanere in silenzio e sopportare.

    Dopo un paio di minuti, dal basso cominciò a diffondersi un chiarore che divenne più intenso quando la pedana si fermò, toccando il suolo con un sobbalzo.

    Il responsabile degli scavi si affrettò ad aprire il cancello e invitò il Duca a scendere, mentre una decina di persone si era già allineata lungo la parete di roccia chinando il capo.

    «Da questa parte» disse Stolz, indicando una galleria dalla sezione quadrata che proseguiva in piano, illuminata da una serie di lanterne appoggiate in terra.

    Tarok avanzò con il suo solito passo lento, sempre appoggiato ai due mezzelfi, che mantenevano un’espressione impassibile. La scorta gli fu subito dietro.

    Le pareti della galleria erano regolari e levigate, ben diverse da quelle grezze del pozzo da cui erano scesi. Il soffitto presentava ancora qualche fregio, residuo dei fasti di una gloria lontana. Con lo sguardo colmo di cupidigia, il Duca commentò, ricordando quanto aveva letto negli antichi tomi che aveva trovato:

    «Consideratevi onorati di essere qui, fissatevi nella mente questo importante momento. Nessuno vi è mai stato da più di tremila anni: il passaggio che stiamo percorrendo è rimasto chiuso fino al momento in cui il sole ha cominciato a spegnersi.»

    Stolz, spinto dalla curiosità, gli chiese:

    «Cosa c’è oltre la porta in fondo alla galleria che ci avete ordinato di non toccare?»

    Tarok non si degnò di voltarsi verso il responsabile degli scavi, sebbene la sua domanda fosse più che legittima, dato che gli aveva fornito soltanto le informazioni necessarie per raggiungere quel luogo. Allora, con un sorriso soddisfatto, declamò, citando un’antica iscrizione:

    «Ed essi osarono sfidare gli dèi, ma caddero dal cielo sconfitti, quando furono estromessi dalla fonte del loro potere. Ciò che di loro rimaneva, fu sigillato nelle profondità della terra e legato a un antico rituale. Solo quando il sole si sarà quasi spento, l’accesso alla loro ultima dimora verrà aperto, perché possano essere consapevoli che la fine del mondo sarà ormai giunta.»

    Nessuno dei presenti riuscì a comprendere il significato di quelle parole, tuttavia ognuno provò un brivido gelido e inquietante. Il cammino proseguì nel più assoluto silenzio, finché Dunea disse, piano:

    «Laggiù c’è una porta chiusa. Sembra fatta di metallo.»

    Tarok si voltò verso di lei e la mezzelfa si irrigidì, temendo una punizione per avere parlato senza permesso. Invece il Duca le annusò fin troppo platealmente il collo, quindi commentò:

    «Forse meriti più tu di festeggiare con me, stasera. Gli occhi del tuo compagno, oggi, mi stanno deludendo.»

    Stolz distolse lo sguardo dal trio, disgustato. Si sforzò di nascondere il disprezzo per quell’uomo potente, che si riteneva al di sopra di tutti grazie al proprio rango e alla propria ricchezza. Molte volte la Chiesa di Vàlor si era espressa contro lo schiavismo e il maltrattamento dei mezzelfi, ma le persone simili a quell’uomo non ritenevano che tali parole fossero rivolte anche a loro.

    Allontanò quei pensieri pericolosi e si concentrò sulla superficie levigata della porta di bronzo, al cui centro era inciso un triangolo equilatero. Non erano visibili cardini, né fessure che indicassero una serratura; sembrava un pezzo unico, piantato nella roccia.

    «Come la apriamo?» Domandò il responsabile degli scavi, intimidito dalla situazione.

    Tarok si abbandonò a un sorriso di superiorità, quindi abbassò la testa verso il mezzelfo e gli sussurrò all’orecchio:

    «Fa’ come ti ho detto.»

    Losian annuì e si avvicinò alla porta. Il Duca appoggiò entrambe le mani sulle spalle di Dunea, caricando su di lei il proprio peso. La mezzelfa non batté ciglio.

    Il servitore estrasse dalla tasca della tunica tre piccole ampolle. Stolz rabbrividì quando notò cosa contenevano: dei mignoli semimmersi nel sangue. Uno aveva uno strano colorito verdastro. Mentre Losian prendeva il primo e lo portava a toccare un vertice del triangolo, imbrattandolo del denso liquido vitale, Tarok declamò compiaciuto un altro brano letto negli antichi tomi:

    «La porta di metallo che chiude l’ultima dimora, si aprirà al tocco di sangue di un rappresentante per ciascuno dei figli mortali dei tre dèi, dotato della capacità di manipolare l’Eteria. Nell’ordine, secondo il cammino del sole: un umano di Vàlor, una rettiloide di Tyran, un elfo di Ardèsia.»

    Quando Losian toccò il vertice del triangolo in basso a destra con il mignolo insanguinato di un elfo, la porta vibrò e scomparve, rivelando un chiarore intenso un centinaio di metri più avanti. Un flusso d’aria calda si riversò nella galleria, riempiendo le narici dei presenti con un odore pungente. Tutti si coprirono bocca e naso con le mani.

    «Che cos’è?» Sbottò Stolz, nauseato. Nessun altro ebbe il coraggio di fare domande.

    Il Duca esclamò, esultante:

    «L’odore della vittoria!»

    Aiutato da Dunea, raggiunse il mezzelfo e si appoggiò di nuovo alla sua spalla, quindi si addentrò nel passaggio appena aperto, seguito da tutti gli altri.

    Quando raggiunsero l’apertura da cui proveniva la forte luce bianca, Tarok si fermò un attimo per fare un profondo respiro. L’emozione per il raggiungimento del suo obiettivo lo stava quasi per sopraffare. Senza altri indugi, spronò i due mezzelfi a compiere gli ultimi passi.

    Sbucarono in una grande terrazza con una balaustra di cristallo, da cui una grotta immensa si offrì alla loro vista. Le pareti di roccia perfettamente levigate e regolari indicavano che non aveva un’origine naturale. La superficie del suolo era ricoperta da alti cumuli di ossa gigantesche. La luce che rischiarava il luogo proveniva da quei resti.

    Stolz, pieno di meraviglia, mormorò:

    «Sembra il cimitero dei draghi delle leggende...»

    Ignorando quel commento inadeguato, il Duca dichiarò estasiato:

    «Ecco l’ultima dimora degli Etran!»

    Fece appena in tempo a notare dei luccichii tra quelle ossa millenarie, segni evidenti dei cimeli preziosi che erano stati seppelliti con i loro antichi possessori, quando Losian fu colto da un brivido gelido e un senso di oppressione. Afferrò il braccio del Duca e lo tirò via, gridando:

    «Questo luogo non è sicuro, mio signore. Tornate indietro!»

    Con uno scatto della mano, Tarok lo colpì al volto, facendolo cadere rovinosamente a terra.

    «Non osare dirmi cosa devo fare, lurido mezzosangue» gli urlò colmo d’ira, appoggiandosi di più su Dunea. La mezzelfa rimase immobile, ma dai suoi occhi trapelò il suo dispiacere. Poi il Duca si rivolse a Stolz e gli intimò: «Tienilo lontano da me!»

    Subito l’uomo obbedì: sollevò da terra il mezzelfo, che perdeva sangue dalla bocca e dal naso, e lo strinse tra le braccia. Mentre lo trascinava indietro, non poté trattenere un brivido di terrore quando lo sentì mormorare con voce tremante:

    «Non saremmo mai dovuti venire qui...»

    Tarok avanzò e si appoggiò con tutta la sua mole alla balaustra, quindi spaziò con lo sguardo la distesa di ossa e i bagliori multicolori sparsi tra di esse. D’un tratto il Duca notò un luccichio più intenso degli altri e le sue labbra si allargarono in un ampio sorriso.

    «Eccolo, finalmente: l’Eterion! Il destino del mondo è nelle nostre mani.»

    PARTE PRIMA

    Quando gli opposti si affrontano

    Capitolo 1

    Gli artigli dell’Inquisizione

    Dreia, seduta all’interno del carro coperto, si sistemò i lunghi capelli neri raccogliendoli in una morbida coda. Insieme al suo compagno Gavris, era in viaggio da circa due ore sulla strada che portava al confine della Repubblica Veridiana con l’Impero di Anosia. Il lieve dondolio del carro le stava conciliando il sonno e così appoggiò la testa sulla spalla dell’uomo.

    Con un gesto protettivo, lui le circondò le spalle con un braccio, mentre con l’altra mano le accarezzò il ventre, la cui lieve prominenza, rispetto alla snellezza del corpo sotto la lunga veste marrone, tradiva la sua gravidanza. In tono sommesso, le sussurrò:

    «Mi dispiace che ci è toccato andare via da Krios a causa di un dannato incidente. Se quel ragazzino non avesse girato l’angolo proprio mentre lanciavo l’incantesimo, non sarei stato costretto a colpirlo e a far sparire il suo corpo.» Sospirò amareggiato, quindi aggiunse: «Odio la Repubblica Veridiana!»

    Dreia gli accarezzò dolcemente i capelli castani, non troppo corti né perfettamente pettinati, per calmarlo. Neanche a lei piacevano le leggi della Repubblica contro chi usava l’Eteria, a causa loro non avevano potuto fare diversamente. Però così erano riusciti a sfuggire ai Controllori di Kentara e alla pena a cui sicuramente sarebbero stati condannati per le loro scelte ribelli.

    Si abbandonarono in un abbraccio e rimasero così, rilassati in un sonno leggero, finché Tils, l’alto e dinoccolato cocchiere calvo, li svegliò poco prima del tramonto, offrendo loro qualcosa per riempire i loro stomaci.

    Mentre mangiavano pane e formaggio, sollevarono i drappi che coprivano le aperture nel telo con funzione di finestre, e osservarono il paesaggio che scorreva intorno a loro. Nonostante il sole fosse ormai basso, l’aria particolarmente limpida permetteva di intravedere il mare, molto lontano alla loro sinistra; mentre a destra c’era una vasta pianura con una vegetazione variegata e, all’orizzonte, si stagliavano le Montagne Antiche. Stavano ancora percorrendo la strada principale che portava al confine con Anosia: era ben riconoscibile dalle lampade eteriche allineate sul ciglio, che l’Impero aveva offerto alla Repubblica per affrontare la Grande Oscurità di due mesi prima. Tra non molto, però, avrebbero dovuto imboccare vie non battute per raggiungere un punto dove varcare la frontiera evitando i controlli.

    «Troveremo mai un luogo dove vivere per sempre in pace?» Si chiese Dreia in tono dimesso. Poi si toccò il ventre e guardò Gavris: «Che futuro daremo, altrimenti, al nostro bambino?»

    L’uomo le diede un leggero bacio sulle labbra per consolarla e portò con delicatezza una mano sul suo ventre, quindi le sussurrò convinto:

    «Nelle Terre Libere troveremo la pace che cerchiamo! Ricordi il mio vecchio amico Sert? L’ultima volta che l’ho sentito diceva che alcuni come noi avevano stabilito una piccola comunità ad Akander, nel profondo Nord. Forse là soffriremo un po’ il freddo, ma per la libertà può valerne la pena.» Si interruppe per darle un altro bacio, poi riprese: «Sarà un viaggio molto lungo, senza contare che dovremo evitare la Milizia Divina: sarebbe veramente assurdo essere sfuggiti all’Inquisizione per finire nelle mani dei miliziani.»

    Lei gli accarezzò una guancia, provando un certo piacere al tocco della sua barba di due giorni, e sussurrò a sua volta:

    «Magari incontreremo la Strega d’Argento, l’incantatrice che sta facendo impazzire la Milizia con le sue razzie. Chissà, forse è una di noi...»

    Gavris le prese la mano e la baciò, poi si allontanò a carponi per raggiungere la botte fissata al pavimento del carro con delle funi. Prese un bicchiere di legno agganciato a un uncino e lo mise sotto il rubinetto, riempiendolo d’acqua. Dopo aver bevuto, lo riempì di nuovo e lo portò alla donna.

    Lei lo ringraziò e bevve a sua volta. Mentre gli restituiva il bicchiere, disse:

    «Per fortuna sapevamo da tempo di queste persone che aiutano gli incantatori a uscire dalla Repubblica, anche se ho sempre sperato di non averne bisogno.»

    L’uomo annuì, sollevando le spalle, e rimise a posto il bicchiere, poi tornò accanto alla moglie e le si accucciò al fianco.

    Poco dopo, il carro si fermò di colpo. Tils, in tono basso e leggermente tremante, intimò loro di non muoversi. I due obbedirono senza fare domande, prendendosi per mano.

    Sentirono il cocchiere che scendeva lentamente dal carro, poi una voce profonda e potente chiese:

    «Perché viaggiate in questo sentiero lontano dalle vie principali? Avete forse qualcosa da nascondere?»

    Tils rispose senza esitazione:

    «Nulla di tutto questo, mio signore. Sto semplicemente accompagnando una giovane coppia al Lago Alto: il panorama da lassù è molto romantico.»

    I due fuggitivi si guardarono negli occhi per rassicurarsi l’un l’altro: era evidente che il cocchiere doveva avere delle risposte preparate per i casi di emergenza. Forse tutto si sarebbe risolto con un po’ di spavento.

    L’uomo sconosciuto riprese con un tono severo:

    «L’undicesimo mese dell’anno non è proprio l’ideale per questo tipo di viaggi. Le piogge non aiutano a godere del panorama.»

    «Siamo attrezzati per ogni evenienza» gli ribatté Tils con una certa tranquillità. «E comunque oggi è una bella giornata.»

    «I tuoi clienti sono consapevoli dei rischi che corrono a percorrere questo sentiero? Poco fa abbiamo visto dei lupi aggirarsi tra la boscaglia...»

    Gavris cominciava a spazientirsi per la troppa caparbietà di quel tizio. Si fece coraggio e, nonostante l’ordine di Tils, si avvicinò all’apertura del telo per scrutare l’esterno.

    Una decina di uomini in armatura era allineata a sbarrare il sentiero; alcuni passi avanti, quello che doveva essere il comandante teneva l’elmo sotto il braccio. Era alto e muscoloso, dai corti capelli neri pettinati a spazzola e una rada barba curata. L’armatura bianca dalle rifiniture rosse aveva al centro del pettorale il simbolo di una spada con un occhio fiammeggiante al posto del pomolo e, insieme all’elmo dalle fattezze della testa di un leone, spiegava senz’ombra di dubbio chi fosse.

    «Dannazione!» Imprecò Gavris a bassa voce, tirandosi rapidamente indietro. «È Alkor, il Leone Bianco. L’Inquisitore Supremo è qui!»

    «Non è possibile!» Esclamò Dreia, sgomenta. «Come poteva sapere che saremmo passati per questa strada?»

    Nel frattempo, la discussione tra Tils e l’Inquisitore era andata avanti, con il cocchiere che cercava di declinare gentilmente l’offerta di protezione del comandante:

    «Non vorrei distogliervi dai vostri doveri, mio signore. Un fuoco sarà più che sufficiente per tenere lontani dei lupi e, se così non fosse, sono un abile cacciatore e il mio arco non sbaglia mai il bersaglio.»

    «Capisco che tu voglia proteggere l’intimità della coppia tua cliente, ma sei certo che non sarebbe meglio un aiuto in più? Dopotutto è nostro compito proteggere i cittadini della Repubblica.»

    Gavris non capiva perché quel maledetto Inquisitore continuasse tranquillamente a parlare, ma pochi attimi dopo ne realizzò il motivo: tre soldati in armatura avevano raggiunto il retro del carro e puntavano le spade contro di loro.

    «Lurido bastardo!» Sbottò l’uomo per quell’infido inganno.

    Anticipò la reazione dei militari e usò la fibbia della cintura per procurarsi un taglio sul palmo della mano; poi focalizzò l’attenzione sul sangue che fuoriusciva e formulò rapidamente il primo incantesimo che gli venne in mente. Quando tese la mano verso di loro, un’onda invisibile li spinse indietro di una ventina di metri, scaraventandoli a terra.

    Alkor fece un sonoro sospiro e commentò a voce alta:

    «Così vi siete rivelati per quello che siete veramente: dei luridi manipolatori di Eteria, i veri nemici della Repubblica e di Amnia!» Poi si rivolse al cocchiere con un tono più severo: «Coloro che osano aiutare in qualsiasi modo gli incantatori non sono più degni di essere considerati cittadini della Repubblica!»

    Due soldati lasciarono lo schieramento e avanzarono armi in pugno verso Tils per prenderlo in custodia, mentre il comandante indossava l’elmo a forma di testa di leone. Il cocchiere si girò di scatto ed estrasse un arco e una faretra dalla base della cassetta, quindi incoccò con rapidità una freccia e la scagliò contro Alkor.

    Il dardo si spezzò innocuo contro il pettorale dell’armatura bianca.

    Nel frattempo Gavris era sceso dal carro, sussurrando a Dreia di proteggere se stessa e il bambino. Si assicurò che i tre soldati fossero ancora storditi per gli effetti della Spinta Repulsiva, quindi si diresse verso il più grande nemico di ogni incantatore. Sapeva di avere poche possibilità contro di lui, ma per sfuggirgli non era necessario sconfiggerlo.

    Alkor sollevò la visiera e i suoi intensi occhi verdi lo puntarono mentre si avvicinava con fare minaccioso.

    «L’Inquisizione vi avrebbe lasciati in pace se aveste continuato a vivere come normali cittadini, senza fare sfoggio delle vostre ripugnanti abilità. Noi aborriamo l’Eteria, non chi ha la capacità di manipolarla.»

    «Bugiardo ipocrita!» Gridò Gavris colmo di rabbia, avvicinando la mano sinistra alla fibbia della cintura. «Perché allora rinchiudete ad Abaddon chiunque dimostri capacità eteriche?»

    «Nessuno che non sia pericoloso si trova nella Prigione degli Interdetti» gli replicò l’altro, mostrandosi fin troppo calmo.

    «Per voi tutti gli incantatori sono da condannare, anche se fossero bambini...»

    Prima che l’Inquisitore potesse ribattere ancora, Gavris completò la serie di movenze e tese le braccia in avanti. Dalle sue mani si generò un vortice di fuoco che investì in pieno i soldati.

    Dopo un primo istante di esaltazione, però, l’uomo fu colto da un brivido, perché vide la sagoma di un’armatura bianca avanzare verso di lui attraverso le fiamme.

    «Perfino i vassalli dell’Inquisizione sono capaci di resistere al fuoco eterico» commentò il Leone Bianco in tono beffardo, accennando con la mano ai soldati intorno a lui. «È sempre quello il primo attacco di voi incantatori.»

    Gavris allontanò da sé ogni timore: doveva proteggere Dreia e loro figlio a ogni costo. Indietreggiò per mantenere inalterata la distanza con il nemico, mentre si affrettava a lanciare un altro incantesimo che sarebbe stato sicuramente più efficace. Le sue mani iniziarono a circondarsi di minuscole scintille sempre più numerose.

    Alkor non mostrò alcun segno di preoccupazione e continuò ad avanzare, mentre i soldati si fermarono, tradendo un accenno di timore.

    Quando Gavris unì le dita, ci fu un intenso bagliore e una folgore si sprigionò da esse. Nel vedere il Leone Bianco colpito in pieno, l’uomo si lasciò andare a un grido di vittoria. Dopo pochi istanti, però, l’urlo gli si spezzò in gola: il nemico aveva portato la mano davanti a sé e tra le dita stringeva un globo luminoso: ciò che restava del fulmine lanciatogli contro. In tono calmo disse:

    «Molti pensano che la fama degli Inquisitori sia esagerata, che sia solo una leggenda creata per spaventare coloro che vivono fuori dalla Repubblica, in particolare voi incantatori.» Con un gesto plateale, chiuse il pugno e la sfera di luce si estinse. «Invece è tutto vero, noi siamo l’antidoto contro il veleno dell’Eteria!»

    A un suo cenno della testa, i soldati circondarono Gavris.

    Nel frattempo Tils aveva raggiunto il retro del carro per aiutare Dreia. Notò che i tre vassalli colpiti dalla Spinta Repulsiva stavano rinvenendo e, con prontezza, si affrettò a tagliare loro la gola.

    «Era proprio necessario?» Gli chiese la donna, in procinto di aprire la sponda posteriore per scendere.

    Il cocchiere si avvicinò e le offrì una mano per aiutarla, mentre rispondeva serio:

    «Meno vassalli saranno con l’Inquisitore, più sarà possibile sfuggirgli. Anche lui è una sola persona, non può certo occuparsi di più nemici contemporaneamente.»

    Dreia si incupì nel comprendere il senso di quelle parole.

    «Io non lascio Gavris con quel mostro per fuggire!»

    Lui le aveva sussurrato di proteggere se stessa e il bambino, ma non era sua intenzione far crescere loro figlio senza un padre. Fece un passo per andare oltre la copertura del carro, ma Tils la fermò prendendola per un braccio.

    «È l’unica possibilità che hai per...» Una freccia gli passò la gola da parte a parte e la donna non poté far altro che guardarlo inorridita mentre si accasciava a terra sporco del proprio sangue.

    Un impulso istintivo la spinse a voltarsi e così vide un soldato pronto a colpire di nuovo con il suo arco. Allora lanciò l’incantesimo protettivo più semplice e veloce, ma perfetto per quell’occasione. La freccia, nonostante fosse ben indirizzata, deviò quel tanto che bastava per mancare il bersaglio. Approfittando del disappunto del vassallo, Dreia formulò rapida le movenze per il Fulmine e riuscì a folgorarlo senza che lui avesse l’opportunità di ribattere.

    «Non vi lascerò prendere il mio Gavris!» Sbottò infuriata, pronta a tutto.

    Intanto l’incantatore aveva eliminato altri due vassalli: uno l’aveva ucciso focalizzando la Spinta Repulsiva contro il suo collo, spezzandolo; un altro lo aveva messo fuori combattimento tempestandolo di Dardi di Ghiaccio fino allo svenimento. Tuttavia, niente di ciò che aveva provato era riuscito anche solo a macchiare l’armatura dell’Inquisitore. Fino a quel momento questi era rimasto impassibile a osservarlo, limitandosi a difendersi, forse nel tentativo di intimidirlo facendogli notare l’inefficacia dei suoi incantesimi. Comunque, lui non aveva alcuna intenzione di arrendersi.

    «Siete sempre meno» gridò minaccioso rivolto ai restanti soldati. Poi fissò il comandante negli occhi e aggiunse in tono di sfida: «Quanti uomini vuoi sacrificare per prendere un solo incantatore?»

    «Tutti quelli che sarà necessario» replicò lui in tono gelido.

    Gavris si preparò a lanciare l’incantesimo più potente che conosceva, ma nel tempo che impiegò per battere le palpebre, l’Inquisitore scomparve. Un’ombra al limite del campo visivo lo spinse a guardare in alto e rimase stupefatto nel vedere il Leone Bianco che si abbatteva su di lui. Si gettò di lato, ma non riuscì a evitare di essere colpito al braccio sinistro e il dolore improvviso e lancinante lo fece urlare. Un profondo squarcio si era aperto lungo tutto il bicipite e il sangue fuoriusciva copioso. Alkor era in piedi a pochi passi da lui e lo guardava apparentemente impassibile; ciò che fece rabbrividire Gavris, però, fu la vista della sua mano, adesso dotata di artigli acuminati.

    «Hai fatto male a svegliare il leone» lo schernì l’Inquisitore, sfoderando anche gli artigli dell’altra mano. «O forse, invece, puoi considerarti fortunato, perché così non vivrai abbastanza per raggiungere la prigione di Abaddon.»

    «Non osare!» gridò una voce di donna e subito dopo un fulmine rosso sangue si infranse contro l’armatura del Leone Bianco.

    Alkor barcollò qualche momento, provando un senso di vertigine e di malessere, ma si riprese subito.

    Questa non era semplice Eteria del Sangue, pensò sorpreso e turbato. Se è riuscita a superare le mie protezioni, quella donna deve aver attinto a una fonte più... Si interruppe e rabbrividì, notando il lieve gonfiore del ventre e realizzando cosa doveva essere successo. È incinta! Ha incrementato il proprio potere sfruttando il sangue innocente del figlio non ancora nato... Spero per lei non consapevolmente: qualcosa di simile era usato una volta nei rituali per evocare il potere dei demoni... Non le posso permettere di continuare con questo abominio!

    «Dreia, vattene!» Le intimò Gavris con tutto il fiato che aveva in gola, senza voltarsi.

    La donna rivolse uno sguardo disperato verso l’amato e il Leone Bianco approfittò di quell’attimo di distrazione. Un bagliore verde si accese nelle sue iridi per un secondo, poi lui liberò il proprio potere. In un istante fu davanti alla donna e affondò gli artigli nel suo corpo. O almeno così aveva creduto. Infatti Gavris, appena aveva scorto la strana luce negli occhi dell’Inquisitore, si era concentrato sul sangue che sgorgava dalla ferita al braccio per teletrasportarsi immediatamente davanti alla moglie e farle da scudo.

    Fermi uno di fronte all’altro, l’incantatore sussurrò con sdegno ad Alkor, mentre perdeva altro sangue dalla bocca:

    «Non sono gli incantatori i nemici di Amnia. L’Inquisizione è il morbo purulento che la porterà alla rovina. Voi dite di essere contro l’Eteria, ma tutti sanno che l’Eteria è la fonte vitale del nostro mondo.»

    «Taci, dannato miscredente!» Ringhiò il Leone e mosse le mani verso l’esterno, squarciandogli il petto con gli artigli.

    L’uomo emise solo un gemito di dolore e l’altro, infuriato oltre ogni limite, lo colpì ripetutamente a una velocità incommensurabile, riducendogli il corpo a brandelli.

    Alkor, con l’armatura ricoperta di sangue e di frammenti di carne, traeva profondi respiri liberatori e guardava il cielo, mormorando più volte le parole: «Onore e gloria alla Forgia onnipotente!»

    Dreia aveva assistito inerme al massacro di cui era stato vittima il marito e il suo cuore, colmo di dolore e di disperazione, gridò vendetta.

    «Voi avete tradito Amnia» sibilò la donna piena di odio. «Avete rinnegato gli dèi che l’hanno creata e ne avete creato uno vostro per zittirvi le coscienze.» Si portò le mani sul ventre e, mentre il Leone si voltava verso di lei, riprese con voce più forte: «Con la mia vita io apro la tua mente: sentirai le parole di pietà che non avete ascoltato, vedrai i volti di coloro che avete tormentato, proverai il dolore che con le vostre azioni avete provocato. Solo il giudizio che tu stesso emetterai, infine ti libererà.»

    Alkor percepì un tremore in tutto il corpo. Quella non era la semplice emanazione dell’Eteria del Sangue, perché non avrebbe mai fatto presa su di lui. Senza perdersi in ulteriori analisi, si mosse con incredibile velocità e affondò gli artigli nel petto della donna, perforandole il cuore.

    Accasciandosi su di lui e bagnandolo con il proprio sangue, Dreia gli sussurrò tutto il suo odio con l’ultimo alito di vita:

    «Offro la mia vita per la tua condanna.»

    Capitolo 2

    Chiamata alle armi

    Alkor era disteso sul suo grande letto. Era nudo, così come la donna bionda e formosa che si dimenava ansimando sopra il suo bacino. Le stringeva i fianchi per accompagnarne il movimento, indugiando ogni tanto per accarezzarle le gambe e il fondoschiena.

    Un’altra donna, castana e snella, era sdraiata al suo fianco e gli accarezzava i capelli e la barba, oltre al petto glabro e muscoloso in cui spiccava una cicatrice arcuata all’altezza del cuore.

    «Non hai ancora finito con lei?» Gli chiese con un certo disappunto. «Ti voglio di nuovo dentro di me!»

    Senza voltarsi, continuando a osservare il seno della bionda, le rispose:

    «Non assillarmi, Leria! Mettiti giù e aspetta il tuo turno.»

    La donna sbuffò e si lasciò andare appoggiando la testa sul cuscino, poi gli ribatté, contrariata:

    «Comunque il mio nome è Suria...»

    «Le ultime tre lettere sono giuste» le replicò e, subito dopo, portò le mani dietro la schiena della bionda e la tirò su di sé, così da affondare il viso nel suo seno.

    Improvvisamente ci fu un rumore e la porta della camera si aprì.

    «Ma che cosa...?» Borbottò la voce maschile oltre la soglia, con un chiaro accenno di imbarazzo.

    Alkor spinse la bionda di lato, che espresse la propria contrarietà con un gridolino acuto, e si mise a sedere sul letto, guardando con fastidio l’uomo appena entrato. Era il deputato Parmen, non più giovane e con un’ampia calvizie, un po’ sovrappeso; l’espressione di disagio sul suo viso fece sorridere l’Inquisitore. Con un tono a metà tra l’ironico e l’irritato, lo rimproverò:

    «Se qualcuno osservasse la buona educazione di bussare prima di entrare, eviterebbe di farsi venire un colpo al cuore alla vista di certe scene a cui non è abituato!»

    L’uomo si fece serio e portò le mani ai fianchi.

    «A quest’ora del mattino pensavo di trovarvi pronto per il consueto addestramento...»

    Alkor afferrò i seni delle due ragazze, che risposero con un grido soffocato di sorpresa e di piacere, e gli ribatté in tono divertito:

    «Anche questo è allenamento... Ed è stato anche piuttosto duro, considerando che ci siamo esercitati tutta la notte!»

    Parmen scosse la testa, deluso e irritato per la sua mancanza di serietà. Approfittando della loro lunga amicizia, l’Inquisitore si divertiva spesso a denigrarlo così, e di solito lui stava anche al gioco, ma adesso non poteva permettersi di perdere tempo e si decise a dirgli con una certa enfasi:

    «Siete stato convocato dal Cancelliere Yaven di Antorax!»

    Alkor sospirò e, un po’ bruscamente, disse alle due ragazze di andare. Queste raccolsero rapidamente i vestiti sparsi per terra e li strinsero tra le braccia in modo da coprire il petto e il ventre. Lanciarono un’occhiata dispiaciuta all’uomo e gli sorrisero, speranzose che le scegliesse di nuovo.

    Mentre le due uscivano dalla stanza, il deputato si voltò quasi automaticamente per osservare le loro schiene nude. Allora, con un sorriso beffardo, Alkor commentò:

    «Sta’ attento a cosa guardi, Parmen, o il tuo dio ti brucerà gli occhi!»

    L’uomo si girò di scatto verso di lui, serio in volto, e proruppe in tono alterato:

    «Faber è il dio che servi, non lo dimenticare! Vàlor ha creato noi umani, ma è Faber che ci ha donato la libertà dall’Eteria!»

    Il fatto che avesse tralasciato di dargli del voi, fece capire ad Alkor quanto il deputato tenesse alla propria fede. Lui, invece, pensava raramente all’aspetto religioso della Repubblica, incentrata sul fabbro degli dèi, che lì veniva chiamato l’Artefice; anche se non aveva una Chiesa simile a quelle di Vàlor o Tyran, tutti nella Repubblica gli elevavano onori e preghiere. L’Inquisizione aveva il ruolo di intermediare con la divinità, proprio perché nata per perseguire la sua volontà. Pochissimi, fuori dalla Repubblica, ne erano a conoscenza e mantenevano uno stretto riserbo. Infatti tutti ritenevano che i veridiani seguissero esclusivamente i dogmi di Vàlor, come nell’Impero di Anosia.

    Alkor si alzò dal letto e si stiracchiò, incurante della propria nudità. Parmen si affrettò a distogliere lo sguardo.

    Forse dovrei lavarmi prima di incontrare il Cancelliere, pensò l’Inquisitore, consapevole dell’odore che emanava dopo un’intera notte di sesso. Però, considerato come Parmen sia entrato di corsa, direi non è il caso di ritardare troppo.

    Aprì l’armadio e si osservò allo specchio interno dell’anta: la muscolatura perfetta e scolpita del suo corpo era scalfita da un unico difetto, la cicatrice curva all’altezza del cuore; sembrava una falce di luna rossa crescente. In realtà era un piccolo prezzo per il potere che aveva ottenuto.

    Da un cassetto tirò fuori un unguento profumato che si cosparse sul torace, sulle braccia e sulle gambe; poi prese il completo nero con le borchie di protezione bianche e lo indossò rapidamente. Alla fine mise sulle spalle un mantello pesante blu scuro e si girò verso il deputato, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo.

    «Conducimi dal Cancelliere» gli disse con un sorriso, come a voler rimuovere il precedente scontro verbale.

    L’uomo annuì e aprì la porta, aspettando che l’altro la oltrepassasse per poi raggiungerlo al suo fianco mentre si avviavano verso l’uscita della Casa Inquisitoria.

    Ogni donna che incrociarono negli ampi e ariosi corridoi si voltò a osservare con desiderio il bell’Inquisitore. Lui si lasciò andare a un sorriso solo verso quelle più appariscenti, che sospirarono nell’incrociare il suo sguardo. Parmen, per l’ennesima volta, non poté fare a meno di commentare:

    «Il vostro fascino continua a fare strage di donne. Intendete lasciarne qualcuna anche a noi comuni mortali?»

    Alkor sorrise e gli ribatté:

    «Dimmi, Parmen: tua moglie è d’accordo che tu vada con un’altra donna, vero?» Fece una breve risata, poi continuò: «Sai bene che non costringo nessuna a venire a letto con me. Perfino le due di stanotte mi si sono presentate insieme mentre finivo di cenare in mensa e si sono offerte di allietarmi la serata. E comunque, io non ho legami e posso permettermi di divertirmi come più mi piace.» Tacque qualche momento, poi aggiunse con un tono più serio: «Almeno finché non avrò incontrato la donna che sposerò.»

    Il deputato si fermò, stupefatto da quelle ultime parole. L’Inquisitore, non appena si accorse che l’altro non era più al suo fianco, si girò verso di lui e rimase sorpreso dall’espressione sbalordita che vide sul suo volto.

    «Che c’è? Ti ho deluso?»

    Parmen si riscosse e lo raggiunse, quindi lo afferrò per un braccio e lo tirò dietro di sé per guadagnare più rapidamente l’uscita. Quando furono nella grande piazza alberata che circondava la Casa Inquisitoria, si fermarono in un punto dove c’era meno gente e gli disse quasi sottovoce:

    «Le donne cadono già ai vostri piedi, ma avete pensato a cosa accadrebbe se sapessero della vostra intenzione? Non esiterebbero a usare ogni mezzo per accaparrarsi un così ottimo partito. Dovreste fare attenzione a dire a voce alta certi vostri desideri! Forse non vi rendete conto che il grado di Inquisitore Supremo è allo stesso livello di quello del Cancelliere della Repubblica... E poi, per quale motivo uno come voi, che passa ogni notte con una donna diversa... o anche con più di una... vorrebbe sposarsi e dire addio a tutto questo? Inoltre, quale scegliereste tra tutte quelle che avete intorno?»

    Alkor era sorpreso dall’accalorato discorso del deputato.

    Lo conosco da quando sono entrato nell’Inquisizione, ormai quindici anni fa, ma non ha mai mostrato così esplicitamente tutta questa preoccupazione per me. Che le mie condizioni di salute abbiano spinto il suo istinto paterno a venir fuori? In effetti, è sempre stato come un padre per me...

    «Nessuna» gli rispose alla fine. «Queste sono soltanto un passatempo: quando incontrerò quella giusta, non ci sarà più nessun’altra.»

    Parmen alzò gli occhi, sconsolato. Il cielo era grigio, ma l’aria non era così fredda come avrebbe dovuto essere all’inizio dell’inverno. Lungo la strada c’era molta gente; alcune persone si erano accorte di loro e avevano cominciato a osservarli con una certa curiosità: un Inquisitore e un Deputato erano individui importanti nella Repubblica e vederli era un evento raro. Parmen valutò che, se avessero lasciato passare il tempo della loro sorpresa, si sarebbero sicuramente ritrovati circondati da domande e richieste. Allora prese con grazia il braccio di Alkor, invitandolo a riprendere a camminare, e, per dare l’impressione che non volessero essere disturbati, riprese a parlare con lui e gli domandò:

    «Come farete a riconoscere quella giusta? Non posso credere che, tra tutte quelle che avete incontrato finora, nessuna fosse adatta a voi. O forse questo desiderio impossibile è solo una scusa per continuare a fare i vostri comodi?»

    Mentre imboccavano la scorciatoia, un vicolo parallelo alla via principale riservato ai notabili della Repubblica, Alkor indicò il proprio cuore e gli rispose:

    «Lo saprò! Ho chiare nella mente le caratteristiche che dovrà avere la donna che sposerò: intelligente, forte, decisa, fiera... e naturalmente di bell’aspetto.»

    Parmen scosse la testa e, con un mezzo sorriso, commentò:

    «Sono qualità difficili da trovare tutte insieme... Penso proprio che la vostra sia una scusa bella e buona per...»

    All’improvviso Alkor cadde in ginocchio con un gemito soffocato. Il mondo intorno a lui perse di consistenza e divenne diafano, come se non avesse più alcuna importanza. La testa iniziò a pulsargli allo stesso ritmo del battito del cuore, che sembrava diventare a ogni istante sempre più pesante. Dalla nebbia densa che lo circondava uscirono dei lamenti, inframmezzati ogni tanto da grida acute e disperate. Percepì qualcosa stringersi intorno alla punta delle dita della mano destra e una voce gracchiante sussurrò con un macabro compiacimento:

    «Hai rinnegato gli dèi scegliendo di manipolare l’Eteria, perché dovresti continuare a usare i doni meravigliosi che ti hanno fatto per interagire con il mondo?»

    Sentì un rumore metallico, rapido e netto, poi un dolore lancinante all’indice gli penetrò fin nel cervello e lo fece urlare. Avvertì la mano inumidirsi di un liquido caldo, poi qualcuno gli aprì gli occhi e vide il suo dito penzolare da un filo bianco davanti a lui, sporco di sangue.

    «Risparmia le forze, lurido incantatore» biascicò ancora la voce stridula, «abbiamo appena cominciato...»

    Percepì una lama seghettata che iniziava a penetrargli nella carne alla base del pollice, provocandogli un dolore sempre più acuto, aggravato dalla disperazione per le abilità che avrebbe perso, quelle che erano diventate la sua ragione di vita...

    Con la stessa rapidità con cui era iniziato, quel mondo oscuro di dolore infinito si scontrò violentemente contro la luce della realtà, che lo percosse come uno schiaffo in pieno viso.

    «Alkor, riprendetevi!» La voce di Parmen aveva un tono preoccupato, ma l’Inquisitore lo ignorò e si aggrappò a essa con uno sforzo disperato della coscienza, riuscendo a tirarsi fuori dall’oscurità.

    «Dannazione!» Imprecò appena riuscì a riaprire gli occhi e il suo respiro si normalizzò. «Credevo che dopo tre giorni tranquilli fosse tutto finito, invece è successo di nuovo, e in modo più intenso...» Si portò una mano alla guancia sinistra, dove avvertiva uno strano dolore pulsante, e guardò il Deputato negli occhi: «Mi hai dato uno schiaffo!»

    L’uomo abbassò lo sguardo imbarazzato e si giustificò:

    «Non sono riuscito a risvegliarvi solo con gli effluvi dei sali odoranti, mi dispiace. Questo attacco è stato più forte degli altri...»

    Gli tese la mano e lui la afferrò per aiutarsi a rialzarsi in piedi. Quindi Alkor gli intimò torvo:

    «Non parlarne con nessuno, nemmeno con il Cancelliere, o sarò costretto a usare i miei artigli su di te!»

    Parmen comprese il senso di quella minaccia: non si doveva sapere che l’Inquisitore Supremo fosse debole, perché tutto il sistema su cui si reggeva la Repubblica sarebbe crollato. Era stato con lui quando, tredici giorni prima, aveva avuto il primo attacco appena rientrato dal pattugliamento intorno a Krios, per questo era l’unico a esserne a conoscenza. Aveva rispolverato le conoscenze giovanili di quando era un guaritore e si era messo a studiare un modo per aiutarlo, ma senza richiedere l’intervento di altri non era facile. Approfittando della documentazione presente nella sezione proibita della biblioteca dell’Inquisizione, insieme avevano compreso che la causa era la maledizione lanciata su di lui da quella dannata incantatrice del sangue e avevano scoperto che un certo tipo di effluvi lo avrebbe aiutato a riprendersi, ma il motivo per cui fosse riuscita a superare le sue barriere protettive era ancora un mistero. Poteva aver provocato una perturbazione negli scudi perché aveva usato il sangue innocente del feto che portava in grembo, ma niente di più serio. Forse era vero quello che sostenevano alcune voci, cioè che da qualche tempo l’Eteria del Sangue stava acquisendo maggiore potenza, però anche così non avrebbe mai dovuto attecchire sull’Inquisitore Supremo.

    Mentre riprendevano a camminare, Parmen fece un commento per alleggerire la tensione:

    «Perché hai infierito su quegli incantatori fuggiaschi, riducendoli a carne trita con i tuoi artigli? Non era necessario...»

    Alkor gli fu grato per il cambio di argomento; lo guardò di sottecchi, fece un sogghigno e gli replicò:

    «Il leone usa tutta la sua forza anche per uccidere un coniglio, deve sempre dimostrare di essere superiore agli occhi degli altri.»

    Quelle parole confermarono a Parmen i suoi pensieri precedenti: la debolezza dell’Inquisitore Supremo non era contemplata.

    Finalmente raggiunsero la grande piazza della Repubblica, dominata dalla fontana monumentale artistica e dal Palazzo del Cancelliere, che si ergeva maestoso in pregiato marmo bianco con numerosi bassorilievi sulle pareti tra le semicolonne rastremate, che richiamavano le glorie passate.

    Le guardie all’ampia loggia d’ingresso, armate di alabarda, si inchinarono al loro passaggio. Alkor seguì Parmen lungo i corridoi ariosi e riccamente decorati fino alla Sala delle Udienze Private.

    Il Cancelliere era in piedi al centro della stanza luminosa dalle pareti bianche ma curiosamente spoglie, di fronte alla pesante scrivania in legno pregiato. Aveva un aspetto giovanile e sembrava piuttosto in forma; teneva i capelli biondi perfettamente pettinati con la scriminatura a sinistra e un pizzetto ben curato intorno alla bocca; indossava la divisa ufficiale della Repubblica, di colore blu scuro con le rifiniture in oro.

    I due si inchinarono al suo cospetto, come da etichetta, poi Yaven indicò le poltroncine davanti a lui e loro vi si accomodarono con la massima compostezza.

    «Siamo di fronte a un evento epocale» esordì il Cancelliere con la sua voce possente. «Una delegazione dell’Impero di Anosia è venuta qui a chiedere l’intervento dell’Inquisitore Supremo per annientare la Strega d’Argento. Tu, Alkor, avrai l’onore di essere il primo membro dell’Inquisizione a varcare i confini della Repubblica!»

    Alkor e Parmen si guardarono esterrefatti, poi quest’ultimo si rivolse al Cancelliere in tono cauto:

    «Non sorgeranno problemi con Kentara? Il Trattato di Indipendenza che abbiamo stipulato con loro tanti anni fa ci proibisce di far uscire dal nostro territorio le tecniche anti-eteriche.»

    «L’incapacità della Milizia Divina di fermare la Strega d’Argento ha convinto il Senato, anche se non all’unanimità, a sospendere nel territorio dell’Impero la validità del trattato fino alla conclusione della minaccia.» Rivolse uno sguardo compiaciuto ad Alkor e aggiunse: «Naturalmente dovrai giurare su Vàlor che ti limiterai a usare le tue capacità solo contro di lei, ma di questo non devi preoccuparti...»

    Lui, in effetti, non era affatto impensierito da quel problema e lo dimostrò dicendo:

    «Dopo tutto il lavoro che sta facendo per il compimento del nostro piano, com’è possibile che la Milizia si sia arresa di fronte a un’incantatrice che ha bisogno di un nome così altisonante per impressionare la gente?»

    Yaven si limitò ad alzare le spalle, sogghignando.

    «Questa missione all’estero potrebbe durare anche mesi, quindi assicurati di aver sistemato tutti i tuoi affari prima di partire... soprattutto quelli amorosi» concluse ammiccando.

    Alkor e Parmen si guardarono di nuovo, questa volta con un accenno di preoccupazione. Entrambi, infatti, avevano pensato alla maledizione dell’incantatrice di Krios che lo aveva colpito e alla possibilità che qualcuno ne venisse a conoscenza.

    Notando la loro esitazione, il Cancelliere domandò:

    «Ci sono forse dei problemi? L’ingaggio pagato dalla delegazione imperiale è così ingente che potremmo inviare un’armata di inquisitori, ma sapete anche voi che, fuori dai confini della Repubblica, solo l’Inquisitore Supremo mantiene le capacità anti-eteriche.»

    Alkor irrigidì la schiena e con la massima serietà rispose:

    «Se il piano ha bisogno della mia presenza fuori dalla Repubblica, allora sarò pronto a partire. Sarà un onore, per me, porre fine alla minaccia della Strega d’Argento.»

    <><><>

    Krenim di Abindal, Duca di Crandall, mosse il cavallo d’avorio sulla scacchiera del piccolo tavolo ovale, minacciando la regina di ossidiana del suo avversario, Pileno di Vardenas, Duca di Bandelios. Sorridendo compiaciuto, posò i gomiti sui

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