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L'infinita leggerezza dei quanti
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E-book102 pagine1 ora

L'infinita leggerezza dei quanti

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Fantascienza - romanzo breve (74 pagine) - Un viaggio di andata e ritorno nell’Utopia


Alzi la mano chi pensa che il nostro sia il migliore dei mondi possibili. Di certo non lo pensa Joseph Lovato, costretto dalla paranoica Giunta militare al governo a diventare soggetto di un esperimento dall’esito incerto: per provare l’utilità pratica delle ipotesi sulle particelle elementari, verrà “trasferito” istantaneamente come un oggetto quantistico tra due punti distanti. Qualcosa non funziona secondo le previsioni, Lovato si ritrova in una realtà parallela, agli antipodi rispetto al presente distopico da cui proviene. La società cui appartengono Mary, Peter e gli altri scienziati che entrano in contatto con lui, è una specie di anarchia democratica, decentrata in America settentrionale, decisamente orientata alla scienza, con un impatto antropico sostenibile per l’ambiente. Nella migliore tradizione della fantascienza sociologica, Carducci e Fambrini raccontano una società utopica che ha vinto contro il nemico peggiore: la natura umana. Tuttavia, l’utopia è circondata avversari agguerriti che preparano un’invasione, e Lovato sarà chiamato a contribuire, con la sua preparazione scientifica, a debellare la minaccia.


Alessandro Fambrini, nato a Seravezza (Lucca) nel 1960, lavora presso l’Università di Trento. Si occupa di letteratura tedesca di Ottocento e Novecento; in particolare dei rapporti tra avanguardia e tradizione nel fin de siècle come lente d’ingrandimento per una definizione e una migliore comprensione della modernità. Ha pubblicato lavori tra gli altri su Kurd Laßwitz (Apoikis, ovvero I sogni della scienza sono un mondo senza scienziati, 1999), Egon Friedell (Egon Friedell precursore dello Steampunk?, 2002), Franz Kafka (Tentativi di evasione. Kafka e Houdini, 2003). Al fantastico e alla fantascienza ha dedicato e dedica un impegno non secondario come autore (racconti e romanzi su numerose pubblicazioni del settore, tra le quali Urania e Robot) e come critico (numerosi i suoi articoli e saggi pubblicati su Futuro EuropaRobotNova sf* e Anarres, che ha fondato insieme a Salvatore Proietti nel 2012).

Stefano Carducci è nato a Mestre nel 1955. Informatico di professione, critico e traduttore, ha pubblicato novelle e racconti. Insieme ad Alessandro Fambrini ha pubblicato il romanzo Ascensore per l’Ignoto con Mondadori. Fra i principali autori tradotti, Sturgeon, Vonnegut, Priest, Moorcock, Shepard, K.S. Robinson, Aldiss, Watson, Bishop. L’ultimo saggio è stato pubblicato sul n. 2 della rivista Anarres della Delos Books.

LinguaItaliano
Data di uscita30 mar 2021
ISBN9788825415636
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    Anteprima del libro

    L'infinita leggerezza dei quanti - Alessandro Fambrini

    9788825402797

    – Sei mai stato all’estero? – chiese.

    – Lo so lo stesso come vanno le cose in quei luoghi.

    Non c’è bisogno che tu mi racconti delle storie in proposito.

    Buio a Mezzogiorno, Arthur Koestler

    Prologo

    – Scusi il ritardo – disse l’uomo nell’anonima divisa grigia, accomodandosi sulla sedia di ferro. Aprì sul tavolo una cartella, non troppo spessa. Non aveva bisogno d’altro. La stanza appariva nuda con le sue pareti di cemento e il falso specchio, ma era imbottita di videocamere che registravano ogni centimetro quadro.

    – Come si sente oggi, tenente Lovato? – proseguì, fingendo di consultare alcuni fogli.

    – Dottor Lovato – scattò l’uomo seduto di fronte a lui. Indossava una tuta bianca che gli stava larga; incurvato sulla sedia, i capelli lunghi gli scendevano sugli occhi. – Mi sentirei meglio se mi lasciaste uscire.

    – Si renderà conto che dobbiamo terminare i controlli sanitari. – Il tono dell’uomo s’era fatto più freddo.

    – Non è necessario tenermi rinchiuso in una stanza – insisté Lovato.

    – Questioni di sicurezza – l’altro sollevò lo sguardo. – Non sia ingenuo. Lei è appena tornato da una missione militare che ha avuto un risultato non previsto. È prioritario comprendere che cosa non ha funzionato.

    – Ha funzionato tutto alla perfezione – disse Lovato, appoggiando la testa sulle braccia piegate sul tavolo.

    – Lei finge di non capire – disse l’uomo questa volta con un tono intimidatorio. – Non abbiamo tempo da perdere. Si renderà conto, spero, che quanto ci ha raccontato costituisce una minaccia per tutti noi.

    Lovato si raddrizzò sulla sedia. Non disse nulla.

    – Anche il più piccolo dettaglio può risultare decisivo – disse l’uomo, battendo con l’indice sul tavolo per sottolineare ogni parola.

    Lovato continuò a restare in silenzio.

    L’altro trasse un sospiro.

    – Daccapo – ordinò.

    1

    Lovato stirò le pieghe del tessuto ruvido che aderiva troppo stretto alla pelle, sulle braccia, sul collo. Non aveva mai indossato una tuta mimetica e, oltretutto, aveva l’impressione che quella che gli avevano dato non fosse della misura giusta. Ma avevano agito d’urgenza, gli avevano detto che il tempo era un fattore essenziale. Lui non ne era convinto, credeva che quell’ansia fosse solo una manifestazione di un potere che all’improvviso sentiva vacillare il terreno sotto i piedi.

    – Avanti – risuonò la voce dall’interno del laboratorio.

    Lovato aprì la porta e avanzò in mezzo ai lunghi ripiani su cui si disponevano gli strumenti noti, i computer, i simulatori di carica, i radioemettitori con i quali lui e la sua squadra avevano scandagliato le frequenze infraatomiche alla ricerca di quello che… di quello che avevano voluto che cercassero, si disse Lovato. Semiaccecato dalle luci troppo forti alle quali le sue lenti fotocromatiche si adattavano a fatica, vedeva tuttavia con la chiarezza che gli era mancata del tutto nelle settimane, nei mesi precedenti. Miope negli occhi e nella mente, Lovato si era illuso di trovare la verità nei suoi esperimenti, e aveva fatto finta di dimenticare che loro cercavano un’arma.

    Verso l’estremità del grande spazio aperto (un hangar che un tempo aveva ospitato Raptor F-22 e che era stato riorganizzato per le ricerche portate avanti dal team di cui faceva parte) era stato allestito il Portale. Lovato aveva contribuito a costruire il suo gemello in scala minore, il congegno sperimentale con il quale si era procurato quella via… nella gloria? Più probabilmente nella morte, pensò, e ancora una volta nella sua mente si formò l’immagine di un vortice di elettroni impazziti, ciò che credeva sarebbe diventato il suo corpo una volta entrato nel tunnel di transito.

    Sono un soldato, e poi uno scienziato, si ripeté Lovato per l’ennesima volta, mentre si avvicinava alla squadra dei colleghi, alcuni in uniforme, altri in camice bianco, che stavano operando le ultime regolazioni per l’esperimento. Quasi tutti tenevano lo sguardo abbassato, a evitarlo. Anche Lene. Per quanto la sera prima lo avesse abbracciato e lo avesse pregato di fuggire. Fuggire dove?

    Un po’ defilati, sulla destra, a formare un semicerchio grigio e bruno, i generali e i loro subalterni sorvegliavano la scena. Lovato sentiva gli obbiettivi discreti dei fucili laser puntati su di lui, su tutti loro.

    – Ringraziamo il tenente Lovato – disse il colonnello Brentano – per la sua generosa disponibilità. Con lui, oggi, si apre un capitolo nuovo della storia. Se tutto andrà secondo i piani, il vantaggio strategico che la vostra scoperta arrecherà alla nazione… – A queste parole dedicò un breve cenno con il capo agli scienziati, poi tornò a rivolgersi agli uomini con le uniformi traforate di stellette e medaglie che lo fissavano con espressioni di ghiaccio: – …sarà inestimabile, incolmabile per i nostri avversari, per i nemici occulti e palesi, per le potenze ostili che mettono a repentaglio il nostro diritto inalienabile alla libertà.

    Come stremato da quella tirata condotta con voce un po’ stridula, Brentano sembrò sgonfiarsi come un pallone vuoto. Un movimento impercettibile della sua mano mise in azione il dottor Prybyszewski, che si animò all’improvviso come colpito da una scossa elettrica.

    – Vieni, Joseph – disse a Lovato, armeggiando con gli elettrodi e i catodi del tunnel quantico. – Spogliati.

    Lovato avanzò, mentre la sua mente lucida oltre ogni panico registrava ogni particolare. Gli sembrò paradossale che quell’esperimento, espressione dei più raffinati intelletti scientifici del suo tempo (be’, almeno di quelli che appartenevano al loro blocco) assomigliasse tanto a un incubo gotico, con un contrasto stridente tra le intangibili categorie della fisica che il suo gruppo aveva definito, elaborato e convertito in modelli teorici, e gli oggetti pesanti, la materia grezza, che doveva servire a tradurre quei modelli in realtà. Muri scrostati, cavi elettrici saldati con nastro marrone sporco, pannelli isolanti un po’ fuori squadra, superfici dei tavoli da laboratorio butterate dagli acidi, e quella vasca di formica che assomigliava tanto a una bara. Non siamo progrediti poi tanto, da Frankenstein in poi, pensò. Non siamo progrediti dentro.

    Lovato alzò gli occhi verso le finestre di una stanza che dava sull’hangar. Da dietro il vetro, un tecnico in camice bianco gli indirizzò un gesto di incoraggiamento. C’era soltanto una parete a dividerli; ma erano pochi metri che facevano tutta la differenza del mondo, in quel momento.

    Lovato si tolse gli abiti con poche rapide mosse, si distese supino sul lettuccio scorrevole. Mentre gli stringevano nei morsetti i polsi, le caviglie e il cranio, il suo sguardo fissava un punto nella volta dell’hangar. L’arco del soffitto, da quella prospettiva, gli appariva piatto, eppure sapeva che si trattava di un’illusione. Il lettuccio scivolò all’interno del tunnel quantico e si bloccò con una scossa. Trascorsero lunghissimi secondi, poi: – Ora

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