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La catena della libertà
La catena della libertà
La catena della libertà
E-book374 pagine6 ore

La catena della libertà

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Info su questo ebook

Titolo composto da un connubio apparentemente impossibile, che anticipa già come il contenuto del libro vada oltre il 'normale', oltre il pensiero 'scontato'. La libertà viene, all'interno del romanzo, posta al centro dell'essere, come una luce che permette ad ognuno di trovare il proprio equilibrio. Un messaggio forte scorre continuamente tra le pagine, ogni emozione, che sia di gioia o tristezza, di coraggio o paura, di arresa o azione ha lo stesso valore, nulla va rinnegato se vogliamo davvero tenera integra la catena della nostra libertà. In questo libro la libertà, ben lontana dall'essere qualcosa di astratto e concettuale, è rappresentata come qualcosa di vivo: una linfa che consta di emozioni che, se rinnegate, sconfessano l'essenza stessa di ciò che l'uomo è. Non viene nascosta la confusione, la fatica che costa essere liberi in un mondo di illusioni dove le parole sono infedeli alla sincerità e dove l’eloquenza del silenzio è ignorata. L'autrice, tra le infinite domande che fa, si chiede e chiede: cos'è la libertà? lasciando ad ognuno di noi libero spazio di interpretazione e di risposta.
LinguaItaliano
Data di uscita12 mag 2018
ISBN9788827827192
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    La catena della libertà - Rudina Vukaj

    Tavola dei Contenuti (TOC)

    Start

    Rudina Vukaj

    La catena della libertà

    Youcanprint Self-Publishing

    Titolo | La catena della libertà

    Autore | Rudina Vukaj

    ISBN | 9788827827192

    © Tutti i diritti riservati all'Autore

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell'Autore.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy

    www.youcanprint.it

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    Twitter: twitter.com/youcanprintit

    Note d’autore

    Se leggerete questo libro vi prego di farlo senza tante pretese, soprattutto per quanto riguarda la sua forma! Il mio modo di scrivere è grezzo un po’ per scelta e un po’ per scarsa proprietà di linguaggio, ed è diretto perché esterno me stessa senza tanti filtri e senza timore. Vi confesso che, per svariati motivi, questo libro non gode di alcun intervento esterno; né editing né correzione di bozze. Consapevoli del fatto che la grammatica della lingua italiana è come la conoscenza, senza fine, e del fatto che questo libro è privo di ogni miglioramento esterno, è facile dedurre che avrete a che fare con un testo lontano dall’essere perfetto. Ma vi prego di andare oltre l’involucro, se ne avrete voglia! Un grande ringraziamento va a chi mi ha maggiormente supportata durante questa esperienza Morena Saiano.

    ‘Chissà se qualcuno si chiede: che differenza c'è tra amore e affetto, tra ti amo e ti voglio bene?’

    Il suo pensiero fu vocale, e riuscì addirittura a raggiungere le orecchie della madre, la quale diceva sempre di non comprendere le domande della figlia, secondo lei, assurde e per nulla utili.

    - Cosa dici Samantha?

    Le chiese la madre, e mentre le poneva la domanda, già le voltava le spalle. Forse non le interessava la risposta, o forse già la conosceva.

    - Nulla mà, era un pensiero ribelle a cui non piaceva stare in silenzio.

    Rispose lei, questa volta, con voce decisamente più alta. Samantha pensava e parlava tra sé e sé:

    ‘Sembra che le persone abbiano timore a dire ‘ti amo’ ed abusino, invece, dell’espressione ‘ti voglio bene’. Chissà se la gente si chiede il vero significato di queste parole oppure le ha prese come due password! Come se una permettesse loro di ‘accedere’ al partner e l’altra ai ‘gruppi sociali’! Perché sembra che il ‘ti amo’ si possa usare, e sia doveroso farlo, solo nella sfera sessuale, mentre il ‘ti voglio bene’ gode di un consumo ben più ampio. Peccato che, spesso, entrambe nascono da un cuore chiuso da molto, e da una mente che funziona per inerzia, grazie alla spinta ricevuta dalla ‘corrente’. In questo caso non c’è alcuna differenza tra le due locuzioni, sono entrambe ombra di se stesso. Però, io ci penso tanto al senso delle parole e non posso negare che secondo me il ‘ti voglio bene’ è poco quando si ama una persona; e non per forza, questa persona, deve essere il partner. Magari non è proprio così ma io amo Stefania, inutile che mà se la prenda.’

    Samantha era piena di pensieri ‘logorroici’, e a volte inconcludenti, riguardanti l’atteggiamento delle persone, solo più tardi avrebbe compreso l’importanza di ciò che non viene esternato. Avrebbe capito che il silenzio è più sincero e profondo delle parole; perché esse, molto spesso, non sono leali al proprio senso, portando inconsapevolmente carichi sbagliati, altre volte, invece, sono volutamente infedeli alla verità. Avrebbe, quindi, capito anche che le persone, abitualmente, ‘amano’ con un ‘ti voglio bene’ e ingannano con un ‘ti amo’.

    Purtroppo, accade molto spesso che la parola eviti la sincerità. Nonostante la confusione nella sua mente riguardo al significato che il mondo dava alla parola ‘amore’ ed all’amore stesso, lei usava il ‘ti amo’, tutte le volte che ne sentiva il bisogno, tutte le volte che un sentimento d’amore le chiedeva voce per farsi sentire. L’amore per lei era ovunque, non aveva preferenza di sesso, nazione e tantomeno religione, non aveva altra identità se non se stesso. Samantha, essendo una ragazza ribelle, non amava la ‘verità assoluta’ che pretende di entrare nella testa della gente con prepotenza, senza presentarsi e senza nemmeno farsi conoscere. Lei cercava disperatamente di comprendere più profondamente possibile ogni ‘verità’ prima di accoglierla come tale, e anche dopo averla accettata l’avvolgeva sempre in un telo di dubbio ‘La fede ci impone a guardare con gli occhi degli altri, il dubbio, invece, ci permette di guardare con i nostri occhi; perché il dubbio è luce e la luce fa paura solo a chi si nasconde. Se c’è qualcosa di sacro quello non è il credo ma il dubbio.’ diceva sempre al riguardo. Samantha considerava il dubbio la via più coraggiosa e sincera verso una verità sempre più limpida.

    Pensava così all'amore, alla fede, agli stereotipi, alle usanze, a come tanta gente vivesse nella gabbia dei pregiudizi propri e altrui, intimorita dall'opinione pubblica, senza il dubbio che tutto questo potesse essere sbagliato. Iniziava a comprendere che le persone, spesso, si dimenticano di costruirsi un’opinione propria, soprattutto nei propri confronti, mantenendo così la mente nuova, cioè, non sottoponendola allo sforzo del ‘pensare’. E chi non usa la propria testa, sapeva bene che, nonostante parli tanto, non dice nulla… di utile. Samantha era una di quelle persone che pensava a tempo pieno, le era bastata la telefonata della sua cara amica, forse l'unica che considerava realmente tale, a farle partire l’uragano ‘pensare’. Tutto era iniziato perché, prima di chiudere la comunicazione, aveva detto:

    … a presto amore bello, sai che io ci sono e ci sarò sempre e che ti amo.

    Sua madre l’aveva rimproverata, per l’ennesima volta, per timore che qualcuno la potesse udire, perché sentir dire tra due ragazze ‘ti amo’ era cosa grave. Non era la prima volta che Samantha si imbatteva in quel ostacolo e non solo con sua madre, anzi, quasi tutti gli abitanti di quel bel paese, economicamente benestanti e mentalmente un po’ meno, la pensavano come lei.

    Samantha amava pensare, col pensiero ci giocava e faceva sul serio, dentro ci moriva e resuscitava perché ‘pensare’ per lei significava essere liberi. Era convinta che la libertà dipendesse da ciò che siamo e non da quello che ci circonda. Molto spesso, però, questo suo modo di vivere la vita la portava a sentirsi sola, perché oltre a Nicola, non c’era nessuno disposto ad ascoltarla, a condividere i propri pensieri con i suoi, nemmeno la sua migliore amica. Samantha e Stefania si volevano bene, anzi, come usava dire lei, si amavano, ma non per questo si sentiva compresa.

    Nicola, che lei affettuosamente chiamava maestro, era un ex militare! Quando iniziarono il loro cammino insieme lui era 75enne ed alcuni di quegli anni li aveva trascorsi in guerra. Nonostante il tempo avesse piegato leggermente il suo corpo, egli conservava intatto il suo portamento sicuro, i suoi passi cadenzanti ed una mente saggia. Era un uomo alto, con occhi chiari e scavati, come se quegli occhi cercassero di nascondersi dentro il cranio, perché stanchi di tutto quello che avevano visto. Viveva da solo, sua moglie era morta già da qualche anno e i suoi figli erano in giro per il mondo. Lui che aveva visto vite spegnersi senza clemenza, come si spengono i carboni ardenti a fine grigliata, nella propria solitudine non trovava alcun motivo per cui lamentarsi. I figli... i figli facevano la loro vita, per lui la cosa più importante era che stessero bene. Quante volte si era sentita dire:

    Io non voglio e non mi aspetto nulla da loro se non il loro benessere, non la carriera, non i soldi e ahimè nemmeno il loro tempo, vorrei solo il loro vero benessere, mi capisci Samantha?

    Infatti Samantha lo idolatrava anche per questo, per la sua capacità di ‘appartenersi senza possedersi’. I figli erano parte di lui, gli appartenevano, ma mai cercava di possedere la loro libertà, le loro scelte, la loro vita. Lui viveva con forza tutto ciò che di bello aveva nella e dalla vita, camminava sempre, anche attraverso il buio, in cerca di sole, sempre attento a non osteggiare la luce agli altri. Quando invece il buio gli imponeva la sua presenza in modo ingestibile, si lasciava possedere da esso sapendo che non si può cambiare tutto, e ciò che non si può cambiare è meglio accettarlo. Semplicemente attendeva che l’attimo di gloria dell’eclissi passasse, sapendo che nulla dura per sempre. Non nascondeva a se stesso il proprio dolore, infatti la sua forza sgorgava anche dalla consapevolezza che fingendo di non avere ferite, inflitte nel passato, si rischia di percorrere il presente zoppicando. L’oggi, fragile e sottile, rischia spesso di essere sbranato dai ricordi di ieri e dalla paura del domani. Lui invece, viveva il presente con una passione viva, come se il passato fosse un racconto ed il futuro una leggenda.

    Se le persone vivessero la vita con lo stesso zelo con cui si lamentano, vivremmo in un mondo così bello che la promessa del paradiso non farebbe più effetto a nessuno

    Era una delle frasi che diceva spesso a Samantha.

    - Mà, io vado a trovare Nicola, e gli porto anche una fetta di torta.

    Annunciò mentre si avviava per andare a casa del suo maestro. Lui abitava in una piccola e graziosa villetta, aveva un abbondante giardino di più di un paio d’ettari, tutto terreno fertile. Gli piaceva tanto coltivare la terra riempiendola di svariate verdure, piante aromatiche, fiori, alberi da frutto e aveva anche tanti alberi ornamentali. Amava vivere in mezzo al verde, passava tanto tempo all'aria aperta, in mezzo alla natura proprio come Samantha; anche se a lei non dispiaceva per niente nemmeno la città. Samantha andava spesso ad aiutarlo, a dire il vero, andava ad aiutare se stessa perché coltivare il terreno le dava energia e la aiutava a scaricare tutto lo stress che la città, il lavoro e la gente le gettavano addosso. Era bellissimo il loro rapporto, erano così diversi in tutto ma entrambi remavano verso la stessa direzione. E com'era iniziato quel viaggio tra di loro lei se lo ricordava benissimo.

    Te lo devi scordare quello lì, hai capito? E’ impensabile che mia figlia di appena 17 anni, già poliglotta, finisca con quel pezzente che non sa nemmeno parlare. Se ti vedo uscire un’altra volta con lui ti rinchiudo, hai capito? Stupida.

    Urlava suo padre così forte da farsi sentire, senza alcuna difficoltà, dai vicini e quindi anche da Nicola visto che le loro abitazione distavano giusto un tiro di schioppo. Samantha corse giù per le scale piangendo, e si mise per terra nel suo piccolo giardino pieno zeppo di rose, prevalentemente rosse, e non fece nulla per trattenere le lacrime. Con le gambe incrociate, dove appoggiavano i suoi gomiti, si teneva la testa tra le mani mentre le lacrime avevano già segnato i suoi blu jeans. Piangeva e singhiozzava ad alta voce mentre suo padre le passò vicino gettandole uno sguardo che sapeva quasi di disprezzo, e invece di cercare di consolarla, parlandole con affetto, fece l’opposto:

    E sarà meglio per te non fartelo dire un’altra volta, hai capito?

    Asserì alimentando ancor più la rabbia e la disperazione di lei. Mentre suo padre le parlava, Samantha smise di singhiozzare, come se non gli volesse dare la soddisfazione di quella sofferenza inflitta da un uomo dalle passioni assopite e dall'orgoglio virile. Uno di quegli uomini che vedono il futuro dei propri figli come un investimento a lungo termine, che non pensano al loro bene, cercando di aiutarli a trovare se stessi, ma pensano a se stessi, cercando di soddisfare, tramite loro, i propri sogni e progetti mai realizzati. E solo dopo che suo padre avviò il motore dell’autovettura, lei si sentì libera di riprendere il suo disperato pianto. Trascorso qualche minuto, le si avvicinò sua madre, una donna minutina che, a quanto pare, dentro la sua famiglia aveva il ruolo dell’ombra, l'ombra del proprio marito. Con parole più dolci, quasi sussurrate, ma con lo stesso contenuto della voce che la precedette, lei poco si impegnò a consolarla e ancor meno ci riuscì. Samantha ignorò del tutto la presenza di sua madre, d'altronde era stata lei a scegliere il ruolo dell'ombra, era sempre stata lei a non prendere mai una posizione se non quella di fare eco al proprio marito. Senza insistere tanto e senza palesi segni di dispiacere, sua madre rientrò in casa lasciandola lì, sola, con il capo tra le mani e le lacrime che, data l'inclinazione della testa, la baciavano lungo tutta la guancia prima di cadere giù, tra l'erba verde e i jeans blu.

    Era primavera inoltrata e il sole non era solo tiepido, ormai si rischiavano le prime scottature e Samantha era solita prenderle tutti gli anni. Si perdeva nel suo piccolo giardino a curare, sarebbe più corretto dire a godere delle sue rose, e a giocare e parlare con Shaggy, il suo amato cane meticcio di colore rosso. La sensibilità che la contraddistingueva le rendeva impossibile ignorare i dettagli e le sfumature, era anche per questo che a volte trascorreva ore intere dentro a quel fazzoletto di terra. Si perdeva ad annusare i fiori accarezzandone i petali, amava sentire l'effetto vellutato contro il suo naso, la morbidezza di un fiore era una calamita per i suoi polpastrelli. Parlava con Shaggy come si parla con il miglior amico, no anzi, come si parla con sé stessi. Confidava a lui tutte le sue pene, le sue soddisfazioni, i suoi timori e i suoi amori. Shaggy conosceva tutto di lei. Forse era l'unico a conoscere la sua vera natura. A scuola andava bene e non la si poteva definire associale ma non aveva nessun’amica o amico del cuore. Infatti, il suo confessore, maestro, amico, amore era Shaggy che lo aveva trovato abbandonato in un canale, ancora cucciolo, circa 5 anni fa. Pensava che il linguaggio dei cani, degli animali in genere, fosse molto più avanzato di quello umano. Gli animali si leggono dentro, senza far nascer malintesi, non lasciano pensieri inespressi e non esprimono tutte quelle bugie che, a volte, feriscono a morte. Gli animali non si parlano, gli animali si capiscono, si amano e basta. Come possono, gli umani, pensare di avere un linguaggio più avanzato degli animali quando dopo una vita trascorsa a parlarsi in continuazione scoprono di non conoscersi affatto?

    Samantha non subiva gli effetti indesiderati della solitudine grazie al suo miglior amico Shaggy, anche se più cresceva e più sentiva il bisogno di un amico più simile a sé; di qualcuno che non si limitasse ad ascoltarla ma che le potesse anche parlare, che la potesse contraddire. Avvertiva il bisogno di esporre e confrontare i propri pensieri e idee, mai però si sarebbe aspettata un amico come Nicola! Ma nella vita, le cose più belle giungono inaspettatamente.

    Il padre di Samantha era dotato di una mente poliedrica, nonostante fosse l’amministratore delegato di una grande azienda, trovava il tempo anche per dipingere, per suonare il pianoforte e per scrivere. Era veramente un artista... l'unica arte che gli mancava del tutto era quella più importante, l'arte del saper vivere. E questa mancanza la rifletteva sia sulla moglie, di carattere molto debole, come un liquido che si adatta al contenitore in cui viene posato, che sulla figlia, molto ribelle e precocemente matura. La moglie, per compiacerlo, viveva assecondandolo, Samantha invece no, non le andava bene ignorare l'arte del saper vivere, ed era questo il motivo principale per cui era in continuo conflitto con il padre. Con sua madre invece, essendo lei solo il riflesso del proprio marito, né andava d'accordo né era in disaccordo, era una presenza assente per Samantha. Si sentiva così sola a casa, ecco perché passava tutto il suo tempo libero in giardino tra le sue rose rosse, vicino al suo amato Shaggy, fino a quando nella sua vita non entrò lui.

    Samantha piangeva ad alta voce, mentre dentro le cresceva una rabbia così forte da accorciarle il respiro. Non sopportava più vivere così, senza una persona che le dedicasse attenzioni, che le parlasse con amore e ascoltasse il suo pensiero. Stefania era ancora solo una conoscenza, una ragazza piena di problemi che non le poteva offrire nulla, anzi, le rare volte che trascorreva del tempo con lei lo faceva per aiutarla. Qualche volta aveva provato a parlare con le sue amiche ma erano fatte di un’altra pasta, pensavano solo ai ragazzi e alle mode, i loro pensieri non andavano oltre, o almeno lei non riusciva a rintracciarli. Si sentiva ancora più sola quando provava a parlare con loro perché le rispondevano sempre parli come una 50enne e poi ridevano tutte come se avessero fatto chissà quale battuta, e lei, arresa, rideva con loro. Samantha pensò a quanto fosse, o meglio, a quanto si sentisse maledettamente sola in quel momento e lanciò un urlo di dolore, che da molto tempo teneva dentro. Il suo grido fu così forte che Shaggy si spaventò e si agitò come non mai. Quello stesso urlo, fin ora inespresso, agitò anche Nicola che lasciò cadere la canna dell'acqua per terra senza preoccuparsi di chiudere il rubinetto, aprì il suo cancelletto ed uscì quasi di corsa avvicinandosi al recinto di ferro battuto che delimitava il giardino di Samantha. Fino a quel momento, loro due non erano mai andati oltre ai saluti formali, a malapena conoscevano i rispettivi nomi… ma presto di lui, e soprattutto da lui, Samantha avrebbe appreso molto.

    - Samantha, piccola, cosa c'è? Cosa ti succede? Mica starai piangendo così per quella discussione con tuo padre?

    Nicola si rivolse a lei come ci si rivolge ad una bambina che esagera con i capricci, e questo infastidì Samantha che, sicuramente, l’essere capricciosa non era una sua peculiarità.

    - Senta lei, se è venuto ad integrare le prediche lasciate a metà da mio padre lasci stare, ne ho abbastanza dei vostri consigli dettati dall'invidia, solo perché noi giovani siamo ciò che voi non potrete mai più essere!

    Non era solita rispondere con arroganza ma questa volta aveva proprio perso la calma, e anche la ragione. Era così disperata e arrabbiata che avrebbe potuto trattare male persino il suo Shaggy, che la guardava stralunato, standole un po’ distante come se avesse paura di lei. Samantha fu molto sgarbata e aggressiva ma per fortuna Nicola non era quel tipo di persona che davanti al primo ostacolo cambia rotta, quindi ignorò lo sfogo come se la conoscesse da sempre e sapesse che in quel momento aveva un disperato bisogno della sua presenza.

    - Samantha…

    Chiamò a bassa voce cercando lo sguardo di lei. Samantha alzò piano la testa e, nell’incontrare gli occhi di Nicola, si sentì percorrere da una scossa. Come se quegli occhi le avessero letto l'anima, sfogliandone ogni singola pagina. Si sentì compresa, voluta bene, o come le piaceva dire ‘amata’. Senza nemmeno accorgersene era già in piedi che camminava verso di lui. Prima appoggiò le mani, esitante, su quel confine di metallo che li separava, poi con uno scatto si aggrappò al cancelletto, tenendo però la testa leggermente indietro. Era attratta e intimorita da quell’anziano che, fino a qualche minuto fa, lo riteneva semplicemente un vicino di casa… un po’ originale. Riservato e, definito dal paese, associale e anomalo, si parlava di lui come si parla di un fantasma! Qualcuno diceva di averlo visto nel cuore della notte accendere un grande fuoco e buttarci dentro i vestiti della defunta moglie, e qualcun altro di aver sentito dei versi, la voce di un’anima senza pace che lo perseguitava ma... sapeva che spesso si parla per niente, solo perché è la cosa che riesce meglio a chi non fa uso dei propri pensieri. Di lui si diceva che era stato torturato in guerra e da allora non c’era più con la testa. E giusto per occuparsi come si deve degli affari degli altri, dicevano anche che i suoi figli erano frutto degl’innumerevoli tradimenti della moglie. Sì diceva che di notte aveva gli incubi e non dormiva, e che aspettava l’alba all’aperto, nel suo giardino; e già che c'erano, dicevano che faceva anche riti di magia nera. Soprattutto si diceva che bisognava girare alla larga da Nicola, perché non era una persona normale! E presto anche Samantha l’avrebbe pensato, più o meno, nello stesso modo; ‘se essere normale vuol dire essere banale, lui non lo è, lui è anomalo, è straordinario, Nicola è unico’ diceva parlando di lui. A Samantha mai erano interessate le dicerie del paese, ma le occasioni per discorrere tra un anziano introverso e una ragazzina ribelle solitamente non abbondano, e poi Nicola era una persona così discreta da sembrare davvero associale. Solo grazie allo scorrere del tempo, Samantha capirà che Nicola non stava da solo perché non riusciva a unirsi alla società ma perché stava bene con se stesso e non necessitava conoscenze superflue giusto per far un dispetto alla solitudine; quest'ultima non lo disturbava affatto. Samantha era poco più di una ragazzina e non era ancora riuscita a capire che per stare bene con gli altri avrebbe dovuto, prima di tutto, stare bene con se stessa. Solo così avrebbe scelto le persone giuste che l'avrebbero completata, resa migliore, perché quando si sta bene con se stessi si diventa esigenti nello scegliere.

    Gli occhi di Nicola avevano qualcosa di... inspiegabile ma fortemente percepibile. Samantha non aveva ancora smesso di piangere, le sue ciglia lunghe, come per far fronte al dolore, si erano unite in piccoli gruppi, ricordando gli aghi di pino; con il viso bagnato lo fissava abbassando e avvicinando le sopraciglia, come se stesse cercando di mettere a fuoco meglio ciò che Nicola custodiva dentro ai propri occhi. Rimasero per un po’ immobili, a guardarsi, come se non fosse loro permesso di andare oltre, come se uno dei due fosse carcerato. Samantha stringeva le sbarre del cancelletto come per sfogare la rabbia che ancora sentiva dentro, Nicola invece era sereno, la guardava con quegli occhi indefinibili, si leggeva l'amore, il dispiacere ma soprattutto la comprensione per la disperazione di quella ragazza, che tanto gli ricordava se stesso. Lui se n’era accorto da molto del ricco e complesso mondo interiore di Samantha e gli dispiaceva tanto che i suoi genitori, non solo non lo notavano ma, volevano addirittura cambiarlo. Aveva provato a parlare sia con sua madre che con suo padre, più di una volta, ma aveva trovato solo silenzio e porte sbattute in faccia. Eppure il papà di Samantha stimava molto Nicola... finché le loro idee non divennero discordi. Il papà di Samantha era, se vogliamo, un genio, ma non sopportava quelli che non la pensavano come lui, non accettava di aver torto, non si metteva in discussione, non cresceva mai dentro.

    - Samantha, so che ti sembra strano ma, io ti capisco!

    All’improvviso, gli occhi di Nicola si accesero di un forte bagliore, avrebbe voluto dire altro ma si impose il silenzio, aspettava una sua reazione. Samantha gli rispose con le lacrime che, dopo aver esitato un po’, si lanciarono convinte giù per i zigomi ritrovandosi sotto al mento, per poi, come frutti maturi, cercare il suolo. Il suo pianto divenne singhiozzante, in un attimo aprì il cancello e, senza capire nemmeno lei quello che stava facendo, si gettò tra le braccia di Nicola. Lui ne rimase sorpreso, e infatti, nonostante avesse avvertito il tepore delle lacrime sul suo petto, visto che Samantha le arrivava a malapena al collo, esitò di stringerla a sé. La lasciò piangere così, stretta a lui come se fosse abbracciata a un tronco, finché Samantha non smise di versare lacrime e di lamentarsi. Solo allora Nicola mise la sua grande mano sui capelli castani e lunghi di Samantha e la accarezzò dicendole;

    - Hai finito di piangere piccola, possiamo parlare un po’ adesso?

    Samantha però non si staccava dal suo petto, come se, aprendo gli occhi, avesse paura di scoprire che tutto ciò che le stava accadendo fosse solo una spietata illusione. Nicola prese la testa della ragazza con entrambe le mani, la spostò leggermente all’indietro, la guardò negli occhi e le ripeté la domanda.

    - Allora, possiamo sederci qui un attimo a parlare o no? piccola irrequieta!

    Samantha ormai fissava senza timore gli occhi di lui ed era sempre più convinta che ciò che percepiva fosse una cosa bellissima, di una magia ineffabile; nella sua vita non si era mai sentita così compresa.

    - Nicola, mi scusi, mi scusi per la risposta di prima e per il mio comportamento impulsivo di ora…

    Forse Samantha sarebbe andata avanti a scusarsi e spiegarsi ancora, ma Nicola la fermò con la forza del suo sguardo e una leggera piega all'angolo sinistro della bocca, che gli donava un sorriso saggio rendendolo paterno.

    - Samantha ti prego due cose, la prima non darmi del lei perché non voglio distanze, altrimenti non sarei qui, sarei rimasto nel mio giardino, e la seconda, non scusarti, io ti capisco! Non bisogna scusarsi quando, dando ascolto a se stessi e non alle norme, ci si comporta in modo diverso.

    Samantha rimase sorpresa e perplessa, ma non disse nulla e obbediente come una brava bambina si sedette sulla vecchia panchina, dove erano solite sedersi le anziane del quartiere quando dovevano raccogliere informazioni per il loro quotidiano 'pettegolezzi a gogò'. Si sedette anche Nicola e rimasero a lungo a parlare. Si accorse del tempo trascorso solo quando sua madre la chiamò per pranzare.

    Ecco, la loro conoscenza, la loro amicizia, la loro vita insieme ebbe inizio così.

    Canticchiando, tenendo in mano il piatto con all’interno la torta allo yogurt, preparata da lei, andò a trovare il suo maestro, Nicola. Samantha ormai era cresciuta, aveva 22 anni ed era cambiata molto, Nicola ne aveva 80 e…  anche lui era cambiato. Lei non era più così tanto irrequieta e litigava meno con il padre, anche se continuava a non condividere i suoi pensieri, e aveva imparato ad apprezzare e riscoprire sua madre. Aveva perso il suo amico e confidente Shaggy poco dopo aver trovato Nicola, come se tra i due ci fosse stato un accordo, non lasciarla mai sola. Quando il suo primo vero amico se n’era andato, lei aveva sofferto tanto... e subito dopo, nella sua vita, erano cambiate molte cose, troppo in fretta. Si era trovata senza un amato amico, che non aveva la parola ma non si stancava mai di ascoltarla a coccolarla, mentre ne aveva trovato un altro, che la amava ugualmente, ma questa volta era lei ad ascoltare, e lo faceva per ore.

    Diceva di dovere tanto a Nicola, che lui le dava la carica per ripartire tutte le volte che era esausta, che si sentiva in crisi con il mondo e, peggio ancora, con sé stessa. Le sembrava lui fosse munito di qualche dote soprannaturale, perché la faceva subito stare meglio, in modo quasi inspiegabile. Ovviamente lei non andava a trovare Nicola, ormai ottantenne, solo quando era triste, quando aveva un problema o quando non aveva con chi parlare; lei condivideva con lui quasi ogni dettaglio della sua vita, ogni sfumatura dei suoi, a volte confusi, pensieri, gli raccontava tutto e lo ascoltava perdendo la cognizione del tempo. Nicola la aiutava a conoscere se stessa, Samantha diceva che per lei era come una lanterna, senza invadenza e irruenza illuminava gli angoli bui del suo essere. Ricordava le parole che Nicola le disse quando erano ancora agli inizi della loro conoscenza, quando lei, esasperata dai momenti 'no' della sua vita, se ne voleva andare, voleva scappare via. Lui nulla aveva fatto per farle cambiare idea, aveva cercato solo di farla riflettere, voleva fosse consapevole di ciò che realmente voleva. Lui considerava sacre le scelte, anche quando non si azzeccano quelle giuste, perché anche dallo sbaglio nasce il ‘sapere’, basta impegnarsi a cogliere i lati giusti delle scelte sbagliate, e quindi si era limitato a dirle quelle parole che lei non avrebbe mai più scordato:

    Quando ti verrà voglia di scappare dai momenti 'no' della vita, sappi che non stai facendo altro che spostare il tuo malessere da dove ti trovi a dove andrai a stare, perché il tuo mondo è dentro, ed è dentro di te che si trovano i momenti ‘no’, ed è sempre lì che giace la giusta soluzione.

    Samantha era rimasta senza parole, non tanto per il contenuto del discorso ma perché era stata la prima persona che, fino ad allora, non le aveva detto cosa fare e non, ma semplicemente l’aveva invogliata a riflettere. L’atteggiamento di Nicola aveva suscitato in lei una grande forza, le aveva riacceso il desiderio di ricominciare. Ricevere un amorevole consiglio invece di un ordine le aveva reso tutto più facile, come se il buio che le eclissava la gioia di vivere, tutto ad un tratto, fosse stato diluito con la luce, che avanzando sgretolava le mura della sua oscurità interiore.

    Diventerai una signora molto rugosa se non la smetti di ridere sempre per la minima cosa.

    Molto spesso veniva rimproverata per le sue continue risate, secondo la madre non era un atteggiamento adeguato a una signorina di buona famiglia... Le venne in mente questo perché si rese conto che, mentre apriva il cancelletto del bellissimo giardino di Nicola, sorrideva. Le rughe, per ora, non erano un problema ma lei ne era certa che non lo sarebbero state mai, se il conto da pagare, per non averle, era non godersi le risate, le assurde, esagerate, a volte fuori luogo ma sempre sacre risate.

    - Maestro, io sono quiiii.

    I suoi modi scherzosi piacevano molto a Nicola. Il loro rapporto era fantastico, lei si fidava di lui e gli confidava tutto; trovava in lui la guida per il suo percorso e l’amico con cui scherzare durante il suo cammino, con lui condivideva serietà e ironia senza mai mancarsi di rispetto. Lui provava un grande affetto per lei, ma nonostante il suo sentimento, non cadeva mai nell'errore di assecondarla semplicemente per soddisfare un suo capriccio.  ‘Una lezione di vita vale più di tanti bronci’ le diceva ricorrentemente Nicola.

    - Oh piccola Sammy, ti stavo proprio pensando, vieni cara, cosa mi hai portato? Aspetta, non dirmi la torta allo yogurt altrimenti mi sento un indovino.

    Samantha sorrise mentre bisbigliava un confuso 'ma dai maestro non vale'.

    La casa di Nicola era veramente graziosa, non c’era quell’invasione di oggetti inutili e sopramobili indefinibili, che l’anziano ironicamente definiva ‘i custodi della polvere’. Era sempre tutto al suo posto, ‘purtroppo o per fortuna, nessuno, oltre a me, scombina le cose, quindi la maggior parte delle pulizie le faccio non sporcando' le aveva detto agli inizi della loro conoscenza. Le camere erano grandi, arredate solo con l’indispensabile, quindi con classe. C'era un’armonia che non si spezzava dentro quegli spazi, ogni cosa, con un dettaglio o un altro, era legato a qualcos’altro. Il divano richiamava le tende le quali condividevano alcuni colori con il grande e unico tappeto che giaceva in sala sopportando il peso di un enorme tavolo in legno immacolato, nonostante i suoi anni. Le finestre erano grandi e quasi sempre tra semiaperte e spalancate. Nicola non chiudeva mai la porta a chiave e Samantha lo riteneva un comportamento bizzarro. Lui le aveva spiegato il motivo dicendole che se qualcuno mai dovesse venire con l'intento di rubargli in casa non sarebbe bastato chiudere la porta per ostacolarlo, quindi perché farsi rompere anche la serratura? Ancora più bizzarra la spiegazione, finì per pensare Samantha che si sentiva a casa sua dentro quegli spazi incantevoli, e si sentiva a suo aggio vicino al suo ‘bizzarro’ maestro.

    Nicola aveva già tagliato il pezzo della torta in quattro fettine, due le aveva già riposte in frigo e le altre due, con due piccole forchette, le aveva posate al centro dell'enorme tavolo di legno, rigorosamente senza tovaglia. Era un'abitudine, qualsiasi cosa portava da mangiare a Nicola, lei gli doveva fare compagnia, mangiando con lui.

    - Sai cosa mi è successo oggi maestro?

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