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L'uva d'oro. Passeggiate metafisiche d'un flâneur romano ferrarese nella città dalle cento meraviglie
L'uva d'oro. Passeggiate metafisiche d'un flâneur romano ferrarese nella città dalle cento meraviglie
L'uva d'oro. Passeggiate metafisiche d'un flâneur romano ferrarese nella città dalle cento meraviglie
E-book179 pagine2 ore

L'uva d'oro. Passeggiate metafisiche d'un flâneur romano ferrarese nella città dalle cento meraviglie

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Info su questo ebook

Ogni istante partecipa di un attimo di eternità, direbbe il filosofo. Ed

è con questo spirito che l'autore ci accompagna in sette 'passeggiate

metafisiche' alla scoperta della Città dalle cento meraviglie, nome dato

dal pittore Filippo de Pisis alla città di Ferrara.

Ogni luogo

descritto diviene occasione e pretesto per stimolanti dissertazioni

filosofiche e metafisiche spesso condite da una sottile vena ironica e

paradossale. Su tutto, sembra aleggiare in sottofondo lo spirito di

Nietzsche, o se vogliamo quello di Schopenhauer, ma anche di due 'numi

tutelari' prediletti dall'autore: i pittori Giorgio de Chirico e Filippo

de Pisis, grandi conoscitori ed estimatori della Città di Ferrara. Si

parla principalmente di questa magica città e del carattere dei suoi

abitanti, ma dal 'particolare' si passa poi a temi e conclusioni di

carattere più universale e generale su cui ognuno di noi (anche se non

ferrarese) si potrà agevolmente confrontare e misurare. In questo

cammino dal sapore 'iniziatico', volto a scoprire la vera essenza di

questa celebre città, il lettore farà poi la conoscenza di misteriosi e

bizzarri personaggi locali, ciascuno capace a suo modo di illuminare un

tratto del cammino percorso.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2021
ISBN9791220330565
L'uva d'oro. Passeggiate metafisiche d'un flâneur romano ferrarese nella città dalle cento meraviglie

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    Anteprima del libro

    L'uva d'oro. Passeggiate metafisiche d'un flâneur romano ferrarese nella città dalle cento meraviglie - Paolo Zapparoli

    Zapparoli

    Capitolo 1

    Da Corso Porta Mare a Corso Porta Po

    Visitare la città di Ferrara è un onore prima che un piacere. Ripercorrere i luoghi che ispirarono poeti come l’Ariosto, il Tasso, o il D’Annunzio, per non citare che i più famosi, e che videro lo splendore di una delle dinastie più potenti e raffinate del Rinascimento italiano, gli Este, è un privilegio di inestimabile valore, soprattutto se lo si fa con il giusto spirito, quello del passeggiatore/ flâneur. Nulla accadde per caso in questa città, ed è dunque nostro primo dovere indagare non solo ciò che gli occhi vedono, ma soprattutto ciò che gli occhi non vedono ma che costituisce però il vero sostrato e la vera essenza della apparente realtà che ci circonda. È questo l’atteggiamento giusto da adottare durante queste sette passeggiate che audacemente mi sono ripromesso di proporvi; un atteggiamento pacato e riflessivo, ma anche indagatore e sempre pronto ad accogliere eventuali imprevisti di percorso. Ferrara non è una semplice città, ma uno ‘stato’ della mente; una condizione esistenziale che una volta acquisita ci accompagnerà poi saldamente per tutto il corso della nostra vita, illuminandoci nei momenti bui, e confortandoci laddove necessario. Ma procediamo con ordine.

    Prima di addentrarci in considerazioni di carattere più propriamente filosofico o metafisico, è ora il momento propizio per fornire qualche cenno generale di sapore più ‘fisico’ su questa meravigliosa città, ed in particolare sulla porzione di abitato oggetto della presente prima passeggiata.

    Si proceda dunque, con la giusta disposizione d’animo da vissuti ‘flâneur’, e dando le spalle al Piazzale San Giovanni, su Corso Porta Mare, così chiamato perché da qui, volendo proseguire in direzione di Copparo e passando per Jolanda di Savoia, si può arrivare agevolmente al Mar Adriatico.

    Questo Corso, veniva denominato anticamente Via de’ Prioni, essendo allora il manto stradale costituito da ciottoli di fiume, i cosiddetti prioni, che in veneto significa pietroni (e occorre ricordare qui che gli Este originariamente provenivano appunto da Este, città veneta).

    La denominazione del Corso, Porta Mare ci rivela dunque che Ferrara è città in qualche modo legata all’acqua, visto che è ancora oggi percorsa, anche se marginalmente, dal Po di Volano che poi sfocia appunto in mare; non a caso questo stesso Corso più avanti cambia denominazione divenendo Corso Porta Po. D’altronde il legame della città con il fiume Po è stato ben immortalato in numerosi film e documentari tra i quali basti ricordare il film di Mario Soldati La donna del fiume, con Sofia Loren, (girato però tra Comacchio e le sue valli), Gente del Po di Antonioni, oppure Ossessione di Luchino Visconti.

    Ferrara, dal punto di vista urbanistico poi, è una delle poche città di origine non romana, essendo piuttosto di origine bizantina e longobarda; la si potrebbe anche accostare, dal punto di vista della sua innovativa progettazione, al modello di Pienza, ovvero ad un tipo di città ‘ideale’ e moderna.

    È in effetti una delle città meno antiche dell’Emilia Romagna.

    La città deve la sua impostazione urbanistica principalmente a Pellegrino Prisciani(Ferrara, 1435 circa – Ferrara, 1518), umanista, bibliotecario, astrologo di corte e professore d’astronomia; al geniale architetto Biagio Rossetti (Ferrara,1447circa –Ferrara,1516); ed all’oculatezza e lungimiranza dei vari sovrani estensi che seppero fare delle ‘aggiunte’ urbanistiche chiamate qui addizioni al nucleo originario della città, sorto inizialmente lungo gli argini del Po attorno al VII secolo.

    Cominciando la nostra passeggiata nell’Addizione Erculea (così viene chiamata questa porzione della città, essendo stata voluta da Ercole I), e proseguendo diritti su Corso Porta Mare per circa 400 metri, arriverete ad una piazza bellissima, Piazza Ariostea, della quale però ci occuperemo più avanti; alla fine di essa, e sempre rimanendo sul Corso, noterete alla vostra destra un’edicola, che si trova all’angolo con la famosa e antica Via delle Erbe. Lasciate allora il Corso, ed inoltratevi in questa piccola via laterale.

    Qui, le basse case alla sinistra dell’osservatore, alcune apparentemente modeste alla vista, dischiudono invece, nel loro retro, orti e giardini da sogno che ispirarono e continuano ad ispirare scrittori ed artisti di ieri e di oggi.

    In fondo a sinistra, la via poi prosegue inoltrandosi nella campagna, ed immettendosi su Via delle Vigne, in un magnifico quanto inaspettato scenario che farebbe la felicità di ogni spirito romantico. Nel parco presso Via delle Vigne i nobili praticavano la caccia al fagiano (di qui l’appellativo di Horti della Fasanara) ed in effetti ancora oggi, a volte, è possibile ascoltarne il suo caratteristico grido animale.

    Nella stessa via vi è poi il cimitero ebraico citato da Giorgio Bassani nel suo racconto L’odore del fieno, che ospita la sua stessa tomba, ideata dal celebre scultore Arnaldo Pomodoro.

    Questo cimitero, di cui torneremo a parlare in altre parti del libro, a causa dei pregiudizi popolari alimentati dalla Santa Inquisizione, era ritenuto essere luogo satanico e frequentato dai diavoli, mentre invece per gli ebrei era ovviamente un luogo di pace dove vi portavano i loro morti provenienti dal ghetto, come amava raccontare lo studioso Paolo Ravenna, avvocato e politico, qui sepolto assieme al padre Renzo. Molte tombe vennero poi saccheggiate ed i loro marmi riutilizzati per altri monumenti; alcuni finirono anche assemblati nella colonna che ancora oggi sostiene la statua del duca Borso d’Este, quella visibile davanti al Palazzo Municipale.

    Mi sentirei di consigliare ora, soprattutto per i cultori dei posti segreti e nascosti e per gli spiriti romantici, visto che ci troviamo nelle vicinanze del cimitero ebraico, una piccola deviazione, che ci consente di immetterci in un sentiero stretto delimitato da piante ed arbusti, che si trova uscendo dal cimitero ebraico e percorrendo le stradine alla vostra destra (Via delle Vigne). Ad un certo punto vi troverete in questo stretto corridoio verde che collega Via delle Vigne al Viale degli angeli costruito per raggiungere facilmente le mura, e d’un tratto, come in un sogno, vi sentirete magicamente immersi in una natura benevola ed edenica pronta ad accogliere ogni vostro più inconfessabile desiderio… insomma, credo che si possa qui affermare in forma solenne, e senza timore di essere smentiti, che non esista luogo migliore di questo per una eventuale e sincera dichiarazione d’amore… provare per credere!

    Perdendosi per queste strade e vicoli di Ferrara, si ha una sensazione ricorrente: «esse non dicono e non nascondono, ma indicano… » nelle magnifiche parole di Eraclito, che si riferiva però in quel caso all’Oracolo di Delfi. Si è in città, ma è come se si fosse nel giardino dell’Eden, innocenti e maliziosi come già fu il nostro capostipite Adamo. Commistione di natura e cultura, tramite tra mondo civilizzato e mondo rurale, questo spicchio di città ci impartisce una prima lezione: è dalla zolla di terra che nasce la civiltà, e ad essa dobbiamo rimanere in qualche modo sempre riconoscenti e legati nel ricordo.

    Come ha mirabilmente osservato la Dottoressa Paola Roncarati, sulla ‘zolla’ come elemento di ispirazione si sono esercitati vari pittori ed artisti, dal contemporaneo tedesco Anselm Kiefer che ha esposto al Louvre un’arida zolla secca, alla grande zolla di Dürer. Rammento poi, che anche il premio nobel Roberto Benigni durante una delle tante interviste rilasciate, commuovendosi, paragonò la bellezza dei suoi genitori a quella di una zolla di terra.

    Una sensibilità acuta ed attenta, è sempre capace di percepire queste sottili allegorie provocate dalla visione di un filo d’erba o di una semplice zolla di terra. In quella occasione, l’artista italiano Roberto Benigni, a proposito della povertà in cui versava la sua famiglia, la interpretò come madre di tutte le ricchezze e parlando dei suoi genitori, Luigi ed Isolina, aggiunse commosso: «non possedevano niente, ma possedevano tutto». Nelle sue parole: «Io sono un uomo di terra. Il mio babbo e la mia mamma erano due contadini, ma di quelli belli, di quelli mitici, proprio due zolle! L‘ho sempre visti in mezzo alla terra, l’ho sempre visti come due divinità. Ah! la forza che avevano! Anteo, ve lo ricordate quel Dio che più cadeva e più pigliava forza? Era figlio della Madre Terra. Erano proprio figlioli della terra, due zolle, due divinità! Dove sono nato io si chiama Misericordia».

    A proposito dell’amore per la campagna e per il mondo botanico, vasto è anche l’elenco di coloro che vollero allestire erbari, spesso a scopo medicinale o solo estetico, da De Pisis fino ad arrivare agli erboristi attuali, alcuni dei quali si avrà modo di conoscere passeggiando con spirito attento tra le viuzze della città magica e non mancheremo di citarli via via nel corso delle nostre passeggiate.

    Rientrando su Corso Porta Mare, il flâneur poi (perché tutti gli attenti camminatori in fondo lo sono), volgendo l’attenzione alla sua sinistra, si imbatterà nella piazza metafisica par excellence di Ferrara, la famosa Piazza Ariostea. La colonna al centro della piazza, sulla quale si erge fiera la statua del sommo poeta Ludovico Ariosto (Reggio Emilia,8 settembre1474–Ferrara,6 luglio1533, autore del celebre poema cavalleresco L’Orlando furioso, che a Ferrara trascorse gran parte della sua vita) sembra volerci ricordare che l’asse del mondo si trova qui, e che il suo perno ruota attorno alla Poesia, senza la quale non vi è redenzione possibile.

    Il contrasto tra spazi vuoti e spazi pieni è il leitmotiv architettonico usato in questa piazza, e tale espediente, assieme a molti altri, contribuisce a far acquisire al gentile visitatore, un corretto ‘ritmo interiore’.

    Cos’è infatti l’Architettura se non musica ‘condensata’? E viceversa, cos’è la Musica se non architettura rarefatta ed espansa?

    Lo sapeva bene il sommo musicista Johann Sebastian Bach, e non solamente lui.

    In questa piazza si dà modo all’anima di respirare con il giusto ritmo, ed allo stesso tempo di riflettere. È come se questo luogo ci obbligasse a pensare o ripensare la nostra vita.

    Al centro della scena si erge fiera la colonna con la statua dell’Ariosto, quasi fosse uno ‘gnomone’ delle nostre precarie esistenze.

    Essa ci sembra suggerire l’dea della verticalità e dell’ascesi spirituale, in contrasto con la lunghezza della piazza e della pista ovale del centro che sembrano invece simboleggiare l’orizzontalità dello spazio.

    Gnomone metafisico dunque, solido elemento che fa da trait d’union tra il Tempo e lo Spazio.

    Fossimo stati a Roma, al centro di questa piazza vi sarebbe stata posta probabilmente una fontana (Roma essendo la città delle fontane e degli acquedotti, basti citare la Fontana dei Quattro fiumi del Bernini, quella di Trevi, o quella della Barcaccia in Piazza di Spagna; tutto sembra essere legato all’acqua nella città del Tevere!) ma qui la scelta di una colonna risulta ‘azzeccatissima', oltre che inaspettata.

    Una delle cose che mi ha sempre stupito di questa meravigliosa città, Ferrara, per me che ora vivo a Roma, è in effetti la pressoché totale assenza di fontane, aspetto spesso non ricordato nei vari libri che la riguardano. Ci sarà mai una risposta a questa domanda?

    Le risposte in fondo non sono mai tanto importanti quanto le domande, e quindi, accontentandoci di aver posto una lecita domanda, continuiamo a riflettere: sappiamo ad esempio che per De Chirico la fontana è sinonimo dello scorrere del tempo, e così è considerata nei suoi quadri. Non sarà allora che Ferrara, città metafisica per eccellenza e dove il tempo sembra non scorrere affatto, viva invece immersa in una sua realtà ‘atemporale', così sospesa nell’infinito gioco dell’eterno ritorno?

    Credo si debba dare risposta affermativa a questo quesito, e convenire con me che, il Tempo, per lo meno all’interno delle mura che circoscrivono il centro della città, sembra essere a Ferrara perennemente sospeso!

    Ma torniamo per un attimo alla nostra magnifica piazza.

    Fra le crepe della colonna di Piazza Ariostea, ricercava e raccoglieva erbe per lui preziose, lo scrittore, poeta e pittore, Filippo de Pisis (in particolare vi colse esemplari di felce), sempre attento a frugare tra ruderi o polverosi campi in cerca di meraviglie, e concedendo in questo modo il giusto spazio «con leggero spasimo, al mistero che governa la vita e la bellezza».

    Lo stesso De Pisis poi (di lui parleremo spesso durante le nostre passeggiate), invitava ad ascoltare in Piazza Ariostea il coro dei grilli. Come amava infatti dire: «Quanto frutto si ricava dal guardare, dal notare, dal sentire sul vero, dal penetrare ben addentro nelle più intime cose. Ecco l’ufficio doloroso e penoso del vero artista».

    Il vero passeggiatore, se vuole veramente penetrare i misteri della Natura, ha dunque il dovere di mantenere i cinque sensi continuamente all’erta.

    Occorre poi ricordare che questa piazza, una volta l’anno, diventa lo scenario per la cerimonia del Palio di Ferrara (uno dei

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