Una burla riuscita
Di Italo Svevo
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Narrativa - romanzo breve (76 pagine) - Un borghesuccio dalla vita insipida, condita solo di iperbolici sogni di gloria letteraria, cade vittima di un perfido inganno che, nel bene e nel male, darà una svolta al suo destino. A raccontare la vicenda lo Svevo più lucido e ardito di sempre, pronto ad alzare il tappeto e a rimestare senza imbarazzi nello sporco celato sotto.
Nessuno si salva nella vicenda narrata in questa breve e fulminante opera: chi fosse a caccia di exempla edificanti resterebbe deluso, perché ogni dettaglio, anche il più insignificante, è in qualche modo sporcato, contaminato, lacerato dal vizio. I pochi personaggi, e più di tutti il protagonista Mario Samigli, inetto col pedigree, sono scandagliati da uno Svevo maturo (il testo è del 1926), sempre più convinto che le nevrosi siano l’unico antidoto contro l’alienante conformismo borghese. Per rappresentare un mondo in cui disturbi mentali e pecche caratteriali danzano tra loro una quadriglia sincopata, viene scelto un plot semplice nella sua efficacia: il borioso mitomane viene beffato dall’invidioso patologico e tutti perderanno qualcosa (o quasi). Sullo sfondo una Trieste di primo Novecento inquietante e funestata dalla bora che prende a schiaffi ogni cosa e sembra sottrarre a tutti qualsiasi conforto e sicurezza.
Introduzione di Milena Contini.
Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz (Trieste, 1861 – Motta di Livenza, 1928), nato in una benestante e numerosa famiglia triestina di origini ebraiche, non fu mai uno scrittore a tempo pieno, anzi visse sempre con un certo conflitto interiore la propria vocazione letteraria, non riuscendo a scrollarsi di dosso il pregiudizio che l’uomo d’affari ha nei confronti dell’attività artistica. Nonostante questo intimo dissidio, scrisse opere fondamentali nel panorama della letteratura italiana (e non solo) della belle époque e, soprattutto, del primo dopoguerra, rappresentando magistralmente la figura dell’“inetto” nello scenario della società di massa. Dei suoi tre romanzi – Una vita (1892), Senilità (1898) e La coscienza di Zeno (1923) – l’ultimo è quello più noto, anche grazie alle raffinate e non scontate strizzate d’occhio verso le teorie freudiane dilaganti in quegli anni. Oltre a queste opere, scrisse numerosi articoli letterari, racconti e opere teatrali, che necessiterebbero di una maggiore attenzione di critica e pubblico.
Italo Svevo
Italian writer, born in Trieste, then in the Austro-Hungarian Empire, in 1861, and most well known for the novel _La coscienza di Zeno_.
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Anteprima del libro
Una burla riuscita - Italo Svevo
pubblico.
Introduzione
di Milena Contini
Una burla riuscita: romanzo breve o racconto lungo? Dipende dai punti di vista, si potrebbe rispondere con una certa dose di diplomazia, oppure, un po’ irriverentemente, alla sottoscritta parrebbe quasi sensato replicare alla domanda con un’altra domanda (retorica): ha davvero importanza? Quello che interessa sul serio è che questo intrigante testo fu scritto da Italo Svevo, nom de plume di Aron Hector Schmitz (Trieste, 1861 – Motta di Livenza, 1928) – uomo d’affari ebreo con la passione per la scrittura, affermatosi troppo tardi come una delle penne più interessanti del primo Novecento italiano – nel 1926 e venne pubblicato due anni dopo sul numero di febbraio di – Solaria: rivista mensile di arte e idee sull’arte – qualche mese prima che l’autore perdesse la vita a causa di un incidente automobilistico.
Il protagonista dell’opera è Mario Samigli (pseudonimo utilizzato da Schmitz per alcuni articoli e racconti), inconfondibile cugino di primo grado dei più celebri Alfonso Nitti (Una vita, 1892), Emilio Brentani (Senilità, 1898) e Zeno Cosini (La coscienza di Zeno, 1923), inetto piccolo borghese a un passo dai sessanta incastrato in un impieguccio che gli dava non molti fastidi e un piccolissimo reddito
, ma pervaso da smisurate velleità letterarie (puntualmente insoddisfatte). Samigli – impenitente sognatore (nel senso deteriore del termine) affetto da quello che oggi definiremmo disturbo narcisistico della personalità, mescidato con manie di persecuzione e mitomania paranoide – vive un’esistenza squallida e scolorita con un certa gaiezza, grazie a una distorta percezione della realtà che lo porta a prefigurare scenari gloriosi per l’imminente futuro. Un brav’uomo, in fondo, il povero Samigli, tutto lavoro, scrittura e accudimento del fratello infermo, Giulio, anziano, gottoso e sempre pronto a spronare il letterato di casa. Giulio, tenuto in vita da una sfilza di medicamenti, il più dei quali abbastanza spiacevoli (i clisteri si sprecano), fotografa con una battuta davvero memorabile la propria condizione di vecchio malato: Vorrei sapere se, tenendomi vivo, truffo la vita o la morte
. Con un palese rovesciamento di ruoli il fratello minore ha atteggiamenti paternalistici nei confronti del povero degente sempre bisognoso di cure, che risulta l’unico vero estimatore (nemmeno troppo convinto) dello scrittore.
Ecco, ma cosa scrive Samigli? Dopo un romanzo dal titolo che è un tutt’uno con il periodo di stesura, Una giovinezza, pubblicato a spese dell’autore e ignorato da pubblico e critica, il mite colletto bianco dalle aspirazioni iperboliche si è buttato, scimmiottando Esopo, nella composizione di racconti edificanti con protagonisti animali, soprattutto passeri (per i quali nutre una forma di ossessione maniacale), che gli servono più che altro per vendicarsi delle quotidiane ingiustizie subite.
Il tema che muove i fili della trama, però, non è tanto l’inettitudine di Samigli quanto l’invidia, quel terrificante vizio capitale che porta il peccatore a mal sopportare la felicità altrui e a operare per distruggerla. Nella figurazione di questo difetto così scomodo e spiacevole, il vero colpo da maestro segnato da Svevo è quello di rappresentare come oggetto di invidia non un vincente (bello, ricco, giovane, fascinoso, in carriera, ecc.), ma un opaco e patetico fallito come Mario Samigli, che non suscita astio e rivalità per i propri inesistenti successi letterari, ma per il suo atteggiamento gioviale e speranzoso nonostante tutto.
La protagonista ideale del romanzo è, invece, la letteratura, autentica burattinaia capace di plasmare intere esistenze, di elargire momenti di estasi come di infliggere amare delusioni. Tutti i personaggi le gravitano in un certo senso attorno: Samigli, perso nei suoi aneliti di celebrità, il fratello Giulio, dipendete dalle letture serali (in verità propedeutiche al sonno), il commesso viaggiatore Gaia, individuo irrisolto e ancorato al suo passato di poeta dilettante. Così la letteratura sembra una benefica medicina solo per chi sa cogliere la sua bellezza profonda, mentre si trasforma in veleno agli occhi di coloro che sanno concepirla solo come grimaldello per la vanità. Qui si ritrova l’aspetto più autobiografico della narrazione che dimostra come Svevo anche a fine carriera non fosse riuscito a superare interamente il disagio del produttivo uomo d’affari di fronte al conturbate, evanescente e irrazionale fascino del mondo letterario. In Una burla riuscita, per altro, si assiste a un pieno recupero della grammatura letteraria della prosa a discapito del carattere sfacciatamente antiletterario che aveva pervaso i primi scritti dell’autore. Anche l’ombra delle teorie freudiane, che tanta parte avevano avuto nelle opere degli anni Dieci e dei primi anni Venti, pare più rarefatta e tende a cedere il posto a una introspezione della coscienza più tradizionale, pur non risultando mai banale. Samigli, del resto, è un outsider che riesce a sfuggire all’incardinamento nel rigido e tedioso solco della vita borghese grazie ai propri disturbi mentali che fanno di lui un uomo imperfetto, ma paradossalmente più felice. Svevo in qualche modo ribadisce quindi in questo scritto che le nevrosi non devono essere interpretate necessariamente come una caratteristica negativa da curare, ma possono essere concepite come occasioni di resistenza al conformismo della società contemporanea.
Nell’opera si rintraccia una penetrante analisi delle miserie dell’animo umano condotta con uno stile asciutto, agile e capace di vampate folgoranti nella loro semplicità: La calvizie del tedesco, che gli era rivolta come una faccia muta, cieca e priva di naso, era molto seria, perché le mancavano gli organi per ridere
, quasi una strizzata d’occhio a Marinetti: calvi degni di regnare […] con la loro calvizie guardante, seconda faccia dell’uomo
(Fa troppo caldo, 1922). Sullo sfondo delle vicende la turbolenta Trieste dei primi del Novecento, scivolata nel primo conflitto mondiale tra entusiasmi e spavento, per poi riemergere dalla guerra un po’ malconcia, ma italiana (almeno sulla carta). E poi l’immancabile bora, che avvolge i capitoletti dell’opera rumoreggiando, intirizzendo ogni cosa e infondendo un non so che di elettrico alla narrazione.
A questo punto sarebbe inutile e insensato perdersi nel resoconto dei meandri della trama, privando i lettori del piacere di scoprire da soli il plot di Una burla riuscita. Mi permetto un unico avvertimento: non fidatevi troppo dell’aggettivo presente nel titolo…
I
Mario Samigli era un letterato quasi sessantenne. Un romanzo ch’egli aveva pubblicato quarant’anni prima, si sarebbe potuto considerare morto se a questo mondo sapessero morire anche le cose che non furono mai vive. Scolorito e un po’ indebolito, Mario, invece, continuò a vivere per tanti anni di certa vita lemme lemme com’era consentita da un impieguccio che gli dava non molti fastidi e un piccolissimo reddito. Una tale vita è igienica e si fa ancora più sana se, come avveniva da Mario, è condita da qualche bel sogno. Alla sua età egli continuava a considerarsi destinato alla gloria, non per quello che aveva fatto né per quello che sperava di poter fare, ma così, perché un’inerzia grande, quella stessa che gl’impediva ogni ribellione alla sua sorte, lo tratteneva