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Il Caso Vax
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Il Caso Vax
E-book330 pagine4 ore

Il Caso Vax

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Info su questo ebook

Nelle strade semideserte della città, l'investigatore commerciale Natan Remo si imbatte in un' altra persona procedente  in senso contrario, e che al suo passaggio si blocca - forse temendo il contagio - come una marionetta del teatro dei pupi. Amareggiato da quella che considera come una psicosi, una caccia all'untore, più tardi viene incaricato assieme al socio della sua agenzia investigativa, di fare luce sull'incredibile furto in due istituti di ricerca - uno inglese e l'altro italiano  - di tutto il materiale di ricerca atto alla preparazione di un vaccino essenziale al debellamento del virus che sta mettendo in ginocchio il mondo. L'entità del colpo è resa più grave dal sequestro degli scienziati coinvolti nella ricerca, i quali rischiano seriamente la vita.Restìo all'assunzione di questo compito, lo accetta anche perché scopre di esserne coinvolto nel profondo. Nel corso delle indagini, le ipotesi iniziali più accreditate si rovesciano  nel riconoscimento di una realtà veramente agghiacciante.
LinguaItaliano
Data di uscita5 apr 2021
ISBN9788898408146
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    Anteprima del libro

    Il Caso Vax - Wang Tao

    Wang Tao – Howard Maris

    Il caso vax

    UUID: 804f3931-0814-4d2e-b5ce-ea932a1ee381

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    immagine 1

    Titolo Originale - The Vax Case

    Il caso Vax

    Prima edizione Aprile 2021

    Collana - Storie in nera

    WLTV – in coedizione con A&A Edizioni

    Via Grimaldi, 5

    96010 Priolo G. (SR)

    Aeaservice.it

    Aeaedizioni.it

    wltvedizioni.it

    ISBN 9788898408146 - e-book

    Responsabile editoriale

    Ludwing Krause

    WANG TAO

    HOWARD MARIS

    The Vax Case

    I

    Si fermò. Come un animale che abbia avvertito un allarme, un pericolo, e prima ancora di rimanere intrappolato, tenti un'immobilità plateale che, immagina, gli consentirà di uscire dal frangente mortale. Un'immobilità via via più contraffatta, ridicola quasi, al momento di passargli accanto. Come un pupo siciliano o napoletano esposto nei vicoli a ridosso di via Toledo.

    Solo allora Natan Remo ne colse l'assurdità, perché la via era larga, e tre o quattro metri lo distanziavano dall'uomo, bardato come un paladino carolingio, mascherina e copricapo di stoffa, che tuttora persisteva nell'immobilismo da pupazzo di legno.

    Poi, quando non solo di latitudine ma anche di longitudine lo spazio era di altri quattro cinque metri, l'animale fissato, il pupazzo carolingio si rianimò, con la sua busta della spesa pendolante, e riprese a camminare claudicando. Anche Natan Omero Remo riprese a camminare, o meglio, continuò a farlo senza più la curiosa, quasi offesa impressione dell'uomo anziano che, per evitarlo, si era fatto statua.

    Da non poche settimane era così, anche se l'incontro appena avvenuto ne costituiva il culmine, l'avanguardia. Sì. Era vero. Per le strade della città si può dire non girasse quasi anima viva, tantomeno le automobili. Uno spettacolo surreale. Ma gli individui (parlare di gente in quella situazione era eccessivo), pur mantenendo una certa distanza e, a volte, un principio di imbarazzo al momento di passarti vicino, sembravano segnalarsi per una discreta prudenza che tuttavia non escludeva il principio della socialità e dell'educazione. Ma quell'anziano che si era fermato al lato di una strada abbastanza larga, che aveva aspettato con sospeso timore che Natan Remo passasse, sgomento alla possibilità che l'unico altro individuo presente in quella strada gli si avvicinasse per contagiarlo mortalmente, non gli era mai capitato.

    Era il segno di una deriva di panico diffusa?

    Sul pianerottolo davanti alla porta dell'ufficio, Natan Remo si chiedeva a che punto si era arrivati, se anche per strada ci si guardava con sospetto, si arretrava quando ci si incrociava in una strettoia, ci si alzava per allontanarsi se qualcuno sulla metropolitana veniva a sedersi a solo due sedili di distanza.

    Aprì la porta d'ingresso, ancora pervaso dal senso di fastidio, come se la ridicola prudenza del vecchio pupo siciliano fosse un'offesa per lui, Natan Omero Remo, che certo non andava in giro come un untore manzoniano a diffondere il morbo mortale.

    «Sei tu?» Gli giunse voce da una delle due piccole stanzette interne, che, unitamente al bagno e all'ingresso, costituiva il complesso dei locali del piccolo ufficio.

    «... E chi vuoi che sia? Il virus nelle fattezze della morte con il mantello, la falce e la torcia capovolta?»

    Non vi fu risposta alla replica di Natan Remo. E mentre questi si toglieva il soprabito, la mascherina e i guanti, dall'uscio di provenianza della voce si affacciò il suo possesore: Arcibaldo Bontempo. La figura alta e atletica, sprizzava ironia e curiosità nello sguardo.

    «... Come mai quest'uscita così... macabra? L'hai incontrata tu, per strada, l'allegoria della morte?»

    «Aspetta... vado a lavarmi le mani, poi ti rispondo».

    «Ah... se sei così ligio alle regole... vuol dire che qualcosa t'è successo per strada...»

    Altra uscita che non ricevette replica, almeno nell'immediato. Si era in parità. Poi, ancora sull'uscio del bagno:

    «Le mani me le sono sempre lavate entrando in ufficio e a casa, anche prima di quest'epidemia».

    «Allora dovresti essere al sicuro».

    «Guarda... io sono sempre stato iper-igienico, al limite della psicosi. Ma se bastasse questo per essere al sicuro...»

    I due soci, abituati a dialogare l'uno prossimo all'altro, quando non a darsi pacche sulle spalle o altri gesti amichevoli, si tenevano a distanza. L'istinto di superare la soglia del metro di sicurezza a volte li portava a farlo, ma poi uno dei due ricordava all'altro, più o meno scherzosamente, ma con un fondo di serietà che anche fra loro era bene essere guardinghi. Da quando si era imposto il regime del lockdown , quando avevano qualcosa da dirsi, sia sul piano del lavoro che della chiacchiera, lo facevano dalle rispettive stanze, poste l'una di fronte all'altra.

    «Allora... l'hai incontrata o no la morte con la falce e... avevi detto?»

    «Col mantello e la torcia capovolta».

    «Perché la torcia capovolta?»

    «Simbolo della vita giunta al suo termine...»

    «Ah... e l'hai vista?»

    «...Ti va di scherzare?»

    «Beh... in questa situazione così lugubre...»

    «Mi sa che io sono stato scambiato per l'allegoria della morte che brandisce minacciosa la falce!»

    «Tu? E perché?»

    «Una cosa che m'ha colpito. Un uomo, anziano, veniva in direzione opposta alla mia in una strada deserta, dove noi eravamo gli unici esseri viventi...»

    «A parte il virus...»

    «... Quello lì mi sa che pensava davvero che il virus aleggiasse attorno alla mia persona!»

    «Ma perché, che ha fatto?»

    «Quando mi trovavo a tre quattro metri da lui, si è bloccato, guardando fisso davanti a sé. Sembrava una statua... non mi guardava, leggevo il terrore nei suoi occhi».

    «Addirittura!»

    «Se non il terrore... la téma che potessi contagiarlo... fargli del male. Era come se cercasse di mimetizzarsi...»

    «Come un animale che cambia colore della pelle per mimetizzarsi all'ambiente circostante...»

    «Esatto. Un camaleonte».

    «E questo cosa ti fa pensare?»

    «Che la gente inizia a essere preda del panico».

    «Hm... io non la vedo così. A me sembra che la popolazione italiana stia reagendo con molta... pazienza e pacatezza a queste direttive così limitanti».

    «Molti rispettano le direttive perché hanno paura. Non saranno presi dal panico, ma hanno paura. E quando escono, quelli che hanno paura si vedono. Ma... in generale forse hai ragione, c'è pazienza e rassegnazione. Ti impongono di stare a casa per non morire o far morire gli altri... e a casa ci resti. Però una cosa del genere, come quella dell'uomo di stamattina, non mi era mai capitata».

    «Sarà stato un caso... quella era una persona anziana, e forse temeva per sé, visto che i molto anziani sono più esposti... e forse anche per te!»

    «Mah... forse. Però mi ha fatto uno strano effetto. Un misto tra... una sorprendente situazione grottesca e... l'allarme. Quasi come se quell'episodio sia stato per me una sorta di campanello d'allarme».

    «... Il campanello d'allarme dell'epidemia è già suonato più di due mesi fa, mi sembra superfluo aggiungerne un altro».

    «Dici?... Ma io mi riferivo ad altro...»

    « Anche perché ...»

    «Eh?»

    « Anche perché un altro campanello d'allarme è già suonato ».

    «... Che è suonato?...»

    «Tu sapevi che una società partecipata italiana – si trova alle porte di Roma – in joint venture con un Istituto universitario inglese, era sul punto di approntare un vaccino per la cura del virus?»

    «... Sì, sapevo che stavano iniziando la sperimentazione sull'uomo... Ma perché hai detto era sul punto? Che cosa è successo?»

    «Tutta la documentazione delle ricerche, le prove di laboratorio, le formule chimiche elaborate e insomma tutto il lavoro compiuto in diversi mesi di ricerca, peraltro iniziata in autonomia sui diversi ceppi del virus, appartenenti alla stessa famiglia del Sars-Cov.2, già prima della proclamazione dell'emergenza sanitaria globale da parte dell'Oms, è stata trafugata quattro giorni fa dai laboratori dell'Istituto sito nella periferia di Roma. Ma non solo! Un altro furto è stato compiuto in Inghilterra! Dove si trova l'altro Istituto della joint venture , quello principale».

    A quella informazione Natan Omero Remo rimase di stucco. Sulle prime, anzi, il suo sguardo distratto che girovagava per i quarantacinque metri quadrati dell'ufficio, e la sua attenzione ancora presa al gesto di asciugarsi bene le mani e la faccia, davano l'impressione o che non avesse capito il senso delle parole di Arcibaldo Bontempo, o che non gli desse particolare importanza. Tanto che questi continuò stizzito:

    «Mi stai ascoltando? Hai capito quello che ho detto?!»

    «Hai detto che hanno rubato tutto l'insieme della documentazione e delle prove di laboratorio necessarie alla preparazione del vaccino del virus...»

    «Embè? Non hai niente da replicare? A te sembra normale?»

    «... Assolutamente no!» Sembrò svegliarsi Natan Omero, per poi aggiungere:

    «Però questa notizia in giro non c'è. Non l'ho letta sui giornali, i media non ne hanno parlato né mi è arrivata notifica informativa sul telefono, come spesso accade anche per le notizie più insulse».

    «E certo che no!»

    «Perché... certo che no?»

    «Perché non si tratta di una notizia ufficiale».

    «E tu come hai avuto quest'informazione?»

    Arcibaldo Bontempo guardò Natan Remo con intenzione, come se stesse valutando l'affidabilità del socio che, quella mattina, gli sembrava con la testa fra le nuvole, distratto, e che avrebbe potuto andare in giro a spargere ai quattro venti l'informazione riservata che era sul punto di comunicargli .

    «Allora?» Sollecitò Omero Remo.

    «Un'ora fa, circa».

    «Un'ora fa... ma da chi? L'hai letta su un sito di controinformazione o te l'ha detto qualcuno?»

    «... Che mestiere facciamo noi, Natan?»

    «Gli informatori commerciali: perché me lo chiedi?»

    «Stamattina sei un po'... tardo, come mai? Hai dormito male o hai incontrato sul serio la morte con la falce e la torcia rovesciata? O forse l'incontro con quel vecchio ti ha convinto che prima o poi la morte, quella vera e non la sua allegoria, ti venga a bussare alla porta?»

    Natan Omero Remo, l'informatore commerciale titolare di quell'agenzia, della quale Bontempo era socio di pari livello, stava per perdere la pazienza. Già la situazione incredibile nella quale erano costretti a vivere da più di due mesi era dura da sopportare, specie per i suoi risvolti economici; adesso ci si metteva anche il parlare sibillino, allusivo e cripto-critico del socio, dal quale doveva aspettarsi solo chiarezza e fedeltà. Stante anche la delicatezza del lavoro che – quando c'era – dovevano svolgere.

    «Insomma! Mi vuoi dire?... Ti ha telefonato qualcuno? Qualcuno ti ha...»

    «Qualcuno mi ha chiesto di svolgere in gran segreto le indagini su quello sciagurato furto del materiale di laboratorio necessario alla preparazione del vaccino».

    Omero Remo prese tempo. Si era sempre fidato, ciecamente, dell'amico e socio Bontempo, il quale, più giovane di dieci anni, aveva anche compiuto con lui i cinque anni di apprendistato necessari a ottenere la licenza per diventare informatore commerciale. Ma in quella tarda mattinata gli sembrava che qualcosa non quadrasse nell'atteggiamento del socio. Parlava a rate, a volte quasi per enigmi. E girava attorno al nocciolo della questione con studiata parsimonia, con calibrato attendismo. Come se volesse ottenere, attraverso una crescente aspettativa, un effetto particolare. Una sorta di coup de theatre .

    «Qualcuno ti ha chiesto in gran segreto di svolgere indagini su quel furto? Qualcuno chi? E perché in gran segreto?»

    «Me lo ha chiesto...»

    «Chi?...»

    «Ma se prima ti ho chiesto che lavoro svolgevamo noi due... chi può avermelo chiesto?»

    «M... mi stai prendendo per i fondelli? Parla!, perdiana!»

    «Il legale del presidente e amministratore delegato di quella società».

    «E perché a noi? Ci saranno ben altri investigatori... dalle varie forze dell'ordine agli investigatori privati italiani e internazionali adatti a questo genere di indagini».

    «Ti ho già detto che la faccenda non è trapelata... e quindi alle forze dell'ordine non è stata comunicata la notizia di reato... Quanto agli investigatori privati, italiani e internazionali... saranno stati assoldati anche quelli, immagino...»

    «... Immagini? Ma... scusa una cosa, Arci... Ok che sia stato trafugato tutto il materiale di laboratorio, le formule ecc. Ma se quella documentazione l'hanno approntata i ricercatori dei due Istituti – quello italiano e quello inglese – che saranno un' equipe vasta con a capo uno o più scienziati... questi scienziati e la loro equipe ... in un tempo ragionevole potranno ricreare tutto il materiale che è stato trafugato. L'hanno fatto loro!, del resto. Ci sarà una perdita di tempo a causa del furto, ovvio, ma di quanto? Un paio di settimane, un mese al massimo. Ma poi...»

    Bontempo osservò, stavolta con un sospiro e quasi con sconforto, l'amico Natan Remo.

    «Non è così semplice Natan... perché i due scienziati a capo del progetto, uno italiano e l'altro inglese... sono stati sequestrati».

    «... Sequestrati? Sono stati rapiti? E... come hanno fatto, e dove?»

    «Si è trattato di un'azione coordinata... una scaltra... e vera e propria azione di guerra. Un'azione da commando terroristico! »

    II

    Basito dalle comunicazioni fattegli da Bontempo, Natan Remo era tornato a casa, sempre con i mezzi pubblici, e sempre in mezzo al quasi-deserto, a volte indifferente, a volte diffidente quando non ostile, che era il paesaggio urbano di Roma. Un paesaggio mai visto in quelle modalità, e che nel centro della città doveva essere come quello che si presentava agli occhi dei suoi abitanti in un giorno festivo agli inizi dell'Ottocento.

    Distratto da quelle considerazioni da cartolina, aveva relegato le informazioni del socio e collega in fondo alla sua coscienza. Una volta a casa però, queste erano tornate alla ribalta in tutta la loro rilevanza, stranezza e contraddittorietà. Con l'amico avevano avuto poco tempo per discuterne: Remo era passato in ufficio per prendere una documentazione da approfondire, e del resto in quei giorni il lavoro non solo scarseggiava, ma si può dire che fosse inesistente. Quindi non c'era davvero quasi nulla da fare. Ma quelle comunicazioni, e quella proposta di lavoro, postulavano ben altra attenzione!

    Dopo aver pranzato e riposato una mezz'ora, aveva telefonato all'amico chiedendogli di ritornare quel pomeriggio in ufficio, come del resto avevano già ventilato. Avrebbero sfidato il divieto di uscire di casa senza valide motivazioni, adducendo la giustificazione, se fossero stati fermati, che erano impegnati in una indagine commissionata da un'azienda che sospettava di azioni illecite un proprio prestatore di lavoro. Era una mezza verità, peraltro; perché le carte che Remo si era portato a casa riguardavano proprio quell'incarico, già risolto, ma che attendeva solo il processo penale nel quale avrebbero dovuto produrre le prove raccolte.

    Attraversato di nuovo il deserto urbano in direzione centro, Natan Remo era arrivato in ufficio prima del socio. Liberatosi della mascherina e soprattutto dei fastidiosi guanti, che lo rendevano quasi incapace di accendersi una sigaretta o di trarre dalle tasche il telefono o un fazzoletto, e lavate le mani come da indicazioni raccomandate in qualunque angolo della città e con qualsiasi mezzo di comunicazione, si era seduto alla sua scrivania.

    La proposta di incarico fatta a Bontempo era davvero inaspettata. Quello che era successo, un furto di materiale di ricerca atto a produrre un vaccino che, una volta rivelatosi efficace poteva salvare centinaia di migliaia di vite umane, costituiva una fatto di una gravità inaudita. Un evento di risonanza mondiale. Inoltre, a corollario del crimine se ne era aggiunto uno ancora più efferato: il rapimento dei due scienziati a capo del progetto; le menti pensanti, dunque. Ebbene, di fronte a un caso del genere, le vittime del sopruso invece di denunciare la cosa alle autorità di mezzo mondo, avevano tenuto segreto l'episodio, nel quale peraltro erano in pericolo due vite umane di grande valore, e si erano rivolti a un piccolo istituto di indagini, specializzato nell'ambito delle informazioni commerciali. Invece di invocare l'intervento degli investigatori militari o privati più accreditati di fronte a questo genere di delitti, si erano rivolti a due semplici informatori economici, usi a operare secondo le norme ai fini di limitare il rischio connesso al credito, all'attività economica e imprenditoriale!

    Un fatto davvero inesplicabile .

    In quel momento entrò Bontempo, e Natan Remo fu distolto dalle sue solitarie considerazioni.

    «Sei arrivato al momento giusto!» Gli scappò di dire subito a Omero Remo.

    «... Al momento giusto per cosa?» Rispose Bontempo, mentre si liberava nell'atrio dei guanti e del resto dell'armamentario necessario a muoversi fuori casa.

    «Hai appena fatto il caffè?»

    «No, niente caffè. Sei arrivato giusto in tempo per chiarire una serie di cose».

    «Ti riferisci alla telefonata che ho ricevuto stamattina?»

    «Esatto».

    «E infatti! Hai fatto bene a convocarmi qui in ufficio, c'è da parlarne. Anche se... avremmo dovuto farlo in remoto...»

    «Ma quale remoto! Qui c'è da parlare a quattr'occhi, e nemmeno da stanze separate».

    Affacciandosi sulla soglia dell'ufficio di Natan Omero, Bontempo prese la sedia vuota che stava davanti alla scrivania, e dirimpetto a Remo che sedeva di fronte al computer. Sedutosi a una certa distanza, osservò il socio con un'espressione che non dissimulava ironia e disapprovazione.

    «È inutile, lo sai?, questo tuo atteggiamento di rifiuto delle regole da seguire per evitare che la situazione sanitaria generale peggiori. Ed è anche puerile».

    «Guarda... sostanzialmente inutili sono queste misure, superata la soglia dei diciassette giorni di clausura. Dopo quel limite, la clausura forzata non incide sul calo o l'aumento dei contagi, dei morti ecc. ecc...»

    «Da dove esce questa perla di informazione scientifica? Dove l'hai letta o sentita?»

    «L'ho letta su diverse testate e in rete, e proviene da un esperto». Tagliò corto Remo, «Dimmi tu, piuttosto, da dove provengono le informazioni incredibili che mi hai comunicato stamattina!?»

    Bontempo, rimasto come bloccato nella stessa posizione da quando s'era seduto, e con la stessa espressione dell'inizio, replicò senza muovere ciglio:

    «Te l'ho già detto stamattina: dal legale dell'amministratore delegato e presidente della società partecipata».

    «Ah, ok. Adesso però devi dirmi prima di tutto perché dopo quattro giorni una notizia di tal fatta è stata tenuta, e lo è tuttora, segreta».

    Arcibaldo Bontempo, detto separatamente Arci oppure Baldo, a seconda del capriccio del momento, si sistemò meglio sulla sedia, stavolta cambiando postura e assumendo un espressione più seria e professionale.

    «Stamattina, vista la fretta e la tua sostanziale assenza dalla realtà, non ho approfondito. Ma la questione è seria. Perché secondo te un episodio così grave non è stato ufficializzato?»

    «Ma continui a farmi gli indovinelli come stamattina? Dimmelo e basta! Sarà perché o non si voleva spaventare la gente, o meglio, disilluderla – visto che della possibilità di questo vaccino già si parlava da tempo – o per qualche altro motivo... più losco, che mi sembra di subodorare nella questione».

    «Motivi più loschi? E quali? Quelli stanno lavorando per salvare l'umanità, non so se ti rendi conto... e quali loschi motivi possono celare?»

    Stavolta fu Natan Remo a muoversi nervosamente sulla sua sedia. Le affermazioni di Bontempo lo destabilizzavano, aprendogli diversi fronti di discussione che, in quel momento, non aveva nessuna intenzione di affrontare.

    «Quando parlo con te, a volte, mi taglierei la lingua per non dire cose che ci portano fuori strada. Insomma!, mi vuoi dire perché questa cosa è stata tenuta così in segreto?!»

    «Ma... in parte per i motivi che tu stesso hai delineato prima: per non disilludere la popolazione che, probabilmente, confidava nella realizzazione prossima di questo antitodo alla malattia».

    «Allora... questo ti è stato detto dal legale di quella società?»

    «Sì, questo è quello che mi ha detto».

    «Dimmi tutto quello che ti ha detto, per favore, senza aspettare che sia io a tirarti fuori le cose con le pinze».

    Bontempo sospirò, rendendosi forse conto che era il caso di essere più collaborativo con il socio. Quell'incarico, se lo avessero accettato, dovevano affrontarlo assieme, come quasi sempre avevano fatto. E in fondo lui stesso, Arci Bontempo, non era del tutto convinto della trasparenza dell'offerta, e qualche perplessità era necessario fugarla con il collega.

    «Saranno state le dieci, stamattina, un'ora circa prima che arrivassi tu, e il telefono fisso squilla. Alla mia risposta il legale si presenta subito per quello che è , dice di conoscere l'attività di questo istituto, il nostro, e di dovermi parlare di una cosa molto seria. Poi mi informa dei presupposti della società in joint venture con l'Istituto universitario inglese...»

    «Inglese di dove?»

    «Di Cambridge».

    «Vai avanti».

    «Insomma... dopo avermi detto che il gruppo di ricerca, piuttosto folto, 200 unità di ricercatori fra Italia e Gran Bretagna, ha iniziato le prove sperimentali su volontari, e che si è a buon punto, perché i risultati sono soddisfacenti, mi informa di quello che è avvenuto».

    Natan Remo si drizzò sulla sedia, accendendosi una sigaretta elettronica .

    «Ecco. Cosa ti dice a proposito di quello che è avvenuto?»

    «Oggi è sabato... era la sera tardi di martedì scorso. Nel...»

    «La sera tardi... che ora?» Puntualizzò Natan Remo.

    «Le ventitre, o forse qualcosa di più...»

    «Non te l'hanno detto?»

    «Con precisione, no».

    Remo sospirò. «Continua».

    «Erano rimasti nei laboratori il medico italiano che coordinava le ricerche qui in Italia, e due altri più giovani dottori suoi collaboratori ».

    «Erano rimasti... oltre gli orari convenzionali di lavoro?»

    «Credo di sì... Oltre le ventitre non mi sembra si possa definire un orario di lavoro... ma anche molto prima! Posso immaginare che un lavoro del genere termini alle venti... venti e trenta massimo se si va oltre; ma vi saranno gli inservienti e altro personale che a quell'ora stacca».

    Omero Remo parve perplesso, e si rivolse al collaboratore con sguardo ottuso:

    «Quel lavoro, in queste condizioni emergenziali, non è un lavoro ordinario, Arci. È di certo molto probabile che per velocizzare la ricerca, quei medici abbiano spesso fatto le ore piccole. Un istituto del genere sarà organizzato per quelle eventualità».

    «Sì... forse hai ragione. Comunque quel legale...»

    «... Che si chiama? Non te lo ha detto presentandosi?»

    «Sì, me lo ha detto. Ma non ho preso nota e non lo ricordo».

    Natan Omero ebbe una smorfia di disappunto.

    «Baldo Bontempo!»

    «Non chiamarmi Baldo... lo fai quando sei arrabbiato con me!»

    «Appunto, Baldo...»

    «Quel legale...» proseguì un po' alterato il socio, «... mi ha detto che erano poco oltre le ventitre, e nell'Istitutto non c'era quasi più nessuno. Solo la luce accesa di quel laboratorio, e che si poteva vedere dal parcheggio esterno del complesso . A un certo punto, lui ipotizza, i sequestratori arrivati sul posto, attraverso quella luce hanno individuato il locale dove si trovavano i ricercatori, e a colpo sicuro vi hanno fatto irruzione . Erano in quattro, armati, e hanno avuto facile ragione dei due più giovani ricercatori e dello scienziato che, narcotizzato con del cloroformio , è stato portato via assieme a tutto il materiale di ricerca e di sperimentazione».

    «... Quindi hanno sedato anche i due altri ricercatori...»

    «... Mi pare ovvio».

    «Questo non te l'ha detto?»

    «No. Non mi ha fatto una ricostruzione dettagliata del rapimento e del furto, lo immagino io».

    Natan Remo guardava fisso davanti a sé, come a cercare di immaginare la dinamica degli eventi appena descrittagli da Bontempo. C'era più di qualcosa che non lo convinceva in quel resoconto . Ma passò oltre, per il momento.

    «E l'altro scienziato? Dove si trovava?»

    «L'altro è stato rapito a Londra, sempre quel martedì notte».

    «A Londra? E come?»

    «Era circa l'una di notte, e stava rincasando. Sceso dall'automobile, è stato preso di peso e portato via, con un'altra automobile, si presume».

    «Preso di peso... c'era qualche testimone che ha dato questa descrizione?»

    «N... non lo so. Così mi ha detto quel legale».

    Natan Remo posata la sigaretta si alzò di scatto e, per non avvicinarsi troppo al collega, andò verso la finestra. Per stare in due in una stanza, avrebbero dovuto portare una mascherina che invece non avevano.

    «Dici che è stato preso di peso e gettato sul sedile di un'automobile, ma senza testimoni! E allora come si fa a parlare di una dinamica del genere? Te lo ha detto il legale l'illustre ignoto, una persona senza nome. Immagini che i tre ricercatori a Roma siano stati narcotizzati anch'essi... ma su quali basi? E se fossero stati legati e imbavagliati? Hai testimonianze a questo o quel riguardo? Come si fa a parlare in questi termini!»

    «Ma questo è quello che mi ha detto quel legale!...»

    «Una persona senza nome. Ma poi... anche in Inghilterra vi saranno stati i materiali di ricerca, le prove di laboratorio, i

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