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La Terza Vittima
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La Terza Vittima
E-book226 pagine3 ore

La Terza Vittima

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Info su questo ebook

Carolina Marconi è una criminologa di fama internazionale ma con un

passato. L'ultimo caso, seguito tre anni addietro negli States, l'ha

quasi uccisa - a causa di una leggerezza commessa in parte dai media, in

parte da lei stessa e dalla sua squadra. Dopo il fatto, decide di

tornare a casa, a Varese, e ritirarsi a fare vita principalmente

accademica. Ma la sua professione l'ha spesso posta davanti a scelte non

facili. Quando scopre che il cadavere decapitato e stuprato che hanno

ritrovato in provincia – Daniela Federici - potrebbe non essere un caso

isolato, sente il dovere di andare a parlarne con il Questore, Carmine

Cottarelli, suo amico di gioventù. Insieme a Carolina, anche l'agente

Sergio De Angelis ha questo sospetto. Cottarelli decide, appoggiato dal

PM Cantoreggi, di affidarle l'incarico di verifica, mettendole De

Angelis a disposizione. Carolina dovrà affrontare i suoi fantasmi. Tra

chi parla con la stampa senza averne diritto e una serie di indizi che

porteranno più vicino all'assassino, la criminologa e l'agente provano a

dipanare il mistero prima che il serial killer torni a colpire.
LinguaItaliano
Data di uscita5 apr 2021
ISBN9791220330862
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    Anteprima del libro

    La Terza Vittima - Maria G. Giuliani

    lettura!

    CAPITOLO UNO

    Il locale non era molto affollato, ma tra la TV sintonizzata su un canale che trasmetteva musica e il chiacchiericcio degli astanti, comunque a Carolina alle volte toccava alzare il tono di voce più di quanto non fosse solita fare. La lasciava un po’ spaesata. Non aveva l’abitudine di parlare a voce alta – e sperava sempre di non esagerare, faticando un po’ a trovare un equilibrio. Abituata a parlare inglese – 10 anni passati tra Regno Unito, Stati Uniti ed Europa come criminologa e consulente – aveva ormai assunto il controllato registro di voce britannico anche nel parlare la sua lingua madre. Anzi, talvolta tendeva ad abbassare la voce più del normale, cosa che finiva per irritare i suoi interlocutori, specialmente se duri d’orecchio.

    Enrico, il suo accompagnatore, le stava raccontando del suo lavoro come veterinario. Gliel’aveva presentato una sua amica di gioventù, Jessica, come il suo amico single ‘che si non capisce come mai sia ancora senza donna’.

    Carolina lo squadrò ancora una volta con occhio clinico. Un bel ragazzo – beh, forse a 45 anni più che ragazzo era un uomo fatto e finito – ma dava ancora quell’impressione del ragazzo. Capelli neri, con una punta di bianco verso le tempie, corti, dritti come spaghetti. Occhi neri, dietro a delle lenti sottili, che mostravano una certa bontà ingenua quando sorrideva. Un bel viso ovale, carnagione abbronzata e guance leggermente scavate ma perfettamente rasate. Enrico gesticolava molto raramente, ma aveva delle belle mani - mani lunghe che appartenevano ad un uomo alto - e un fisico snello, quasi asciutto, che a Carolina non comunicava niente di particolarmente sensuale, essendo più attratta da uomini robusti, anche se doveva ammettere che fosse piacevole da guardare. Ed era piacevole anche da stare ad ascoltare.

    Apprezzava abbastanza marginalmente che sembrasse interessato a lei. Non si era mai vista come una donna particolarmente bella. Anzi, tra il naso abbastanza pronunciato e il fatto che, dopo i 40 anni si fosse arrotondata intorno a vita e fianchi, non essendo alta, si sentiva alle volte francamente bruttarella. Ma gli uomini sembravano trovare coinvolgente la sua vitalità e la sua naturale ironia, per cui in realtà non aveva mai corso davvero il rischio di patire la solitudine. Se avesse avuto la voglia – e forse la pazienza – non avrebbe avuto problemi a trovarsi un partner. Era questo che le sue amiche non riuscivano a capire. Non era single per mancanza di offerta. Era una scelta. Memore di passate esperienze, non aveva voglia di mettersi in gioco con gli uomini con nonchalance.

    E per l’appunto, c’era qualcosa in Enrico che non la convinceva del tutto. Interessante, garbato, colto, ma c’era qualcosa che non andava…

    E tu dove credi di andare, scimmia? Chiedi scusa!

    Una voce maschile, biascicante come da troppe birre in eccedenza, raggiunse il tavolo nell’angolo, addossato alla parete gialla, dove Carolina ed Enrico avevano appena finito di cenare. Istintivamente, lei si voltò - una testa di capelli rosso rame - nella direzione del suono e roteò gli occhi.

    In una frazione di secondo – purtroppo l’esperienza l’aveva – comprese cosa stesse succedendo. Un episodio di razzismo. Né più, né meno. Questa volta uno che aveva alzato il gomito e faceva il gradasso con un ragazzino di colore – che non aveva più di una decina d’anni, stando alle apparenze. Ne aveva viste parecchie di queste scene, soprattutto negli States. Ma anche qui stavano diventando all’ordine del giorno, purtroppo. Carolina si diede un’occhiata in giro, vide che nessuno stava agendo di conseguenza e lì decise che stavolta non sarebbe andata così liscia. Non che potesse fare molto, ma almeno far fare ad un razzista una magra figura davanti a tutti, questo sì. Non era più un agente operativo per l’FBI, di giurisdizione nemmeno a parlarne, in Italia, ma sperava di ricordarsi come si faceva a ‘disinnescare’ la bomba umana dell’ubriachezza molesta.

    Enrico, nel giro dei secondi che le c’erano voluti per maturare questa decisione, aveva continuato a parlare come se niente fosse. Non si accorse di ciò che stava succedendo finché Carolina, scusandosi, non si levò in piedi – nella maestosità del suo metro e 60 scarso, e mise una mano sulla mano di lui, che si sbrigò a coprirla con quella lasciata libera, in un gesto affettuoso.

    Lei sorrise un po’ sbrigativa. Fammi una cortesia, Enrico: chiama la Polizia.

    Lui sbattè le palpebre un paio di volte, confuso.

    C’è un tipo che sta infastidendo un ragazzino, spiegò lei. Io mi alzo, ma non vorrei che degenerasse.

    Gli unici in piedi, a parte Carolina, ora erano l’energumeno che teneva il ragazzino per un braccio e glielo storceva, due adulti di colore – probabilmente i genitori del ragazzino – e altri tre giovani della cricca dell’energumeno, che tenevano a bada i due adulti con un fare molto intimidatorio. Enrico rimase interdetto un altro paio di secondi, poi annuì e le mollò la mano, pescando nella tasca dei jeans un cellulare.

    Ti serve aiuto? Chiese, mentre sbloccava lo schermo e componeva il numero delle emergenze.

    Credo di potermela cavare, ma grazie. Spero che non mi serva aiuto dopo. Gli strizzò l’occhio mentre si dirigeva verso il gruppetto. Aveva sempre avuto una buona capacità di gestione delle situazioni sui generis, ma in fondo non potevi mai sapere a priori chi avevi davanti. Carolina confidò timidamente nella sua fortuna e un pochino su pochi dati che aveva in più: stavano arrivando le Forze dell’Ordine e il gestore del locale, che conosceva, dato che veniva spesso lì a mangiare prima di andare al cinema che c’era dall’altra parte della strada, teneva un randello sotto il bancone, che chiamava Il Buttafuori – espediente per nulla legale, ma alle volte un toccasana, anche se, a conoscenza della donna, non era mai stato usato. Sperava non fosse questo il battesimo del fuoco.

    Il ragazzino stava ancora guaendo di dolore, visto che l’energumeno non accennava a mollargli il braccio.

    Carolina gli si parò davanti, a un paio di passi di distanza dal piccolo. Forse da fuori era anche una scena ridicola.

    Ma non ti vergogni di prendertela con un bambino? Gli disse, prima che anche il ragazzone avesse il tempo di riflettere sulla disparità di mezzi tra loro.

    E tu che cazzo vuoi? Pensa ai fatti tuoi che campi più a lungo. Rispose lui, ringhiando.

    Lei gli diede un’occhiata. Un metro e ottanta, testa rasata, barba lunga, più o meno sui 25, massimo 28 anni. Occhi piccoli da ubriaco, cattivelli e instupiditi dalla rabbia. Due braccia grosse come prosciutti. Aveva una macchia di bagnato sulla maglietta. Carolina si fece un’idea di quello che doveva essere successo. Probabilmente aveva fatto un gesto maldestro mentre il ragazzino tornava dal bagno, che stava proprio alle loro spalle, ed era riuscito a versarsi addosso della birra. E quindi aveva deciso di dare la colpa al bambino.

    Sì, meglio che torni al tavolo, le intimò uno degli altri ragazzi in piedi. Prima che decidiamo che possiamo divertirci di più con te che con la scimmia.

    Con la coda dell’occhio, vide come la stesse squadrando. Amico, se provi anche solo ad avvicinarti, ho idea che i tuoi compari ti porteranno a casa abbastanza ammaccato. Non sono una persona particolarmente socievole. Si girò verso di lui, mentre gli rispondeva, e gli occhi castani di lei, montati su un paio di zigomi alti, quasi aristocratici, dovevano essere dannatamente convincenti, perché il ragazzotto arrossì, perdendo buona parte della sua velleità combattiva. D’altronde, se l’era aspettato. Quello con la voglia di fare il fracassa era l’energumeno.

    Che, tra parentesi, non le sembrava altrettanto di buonsenso. Mollò il ragazzino, che corse a rifugiarsi singhiozzante tra le braccia della madre, per potersi fare avanti di un passo nella direzione di Carolina.

    Nel frattempo, la porta del locale si era aperta – un refolo di aria fresca era entrata nel locale insieme a due uomini, non in divisa, ma che lei inquadrò subito come poliziotti. Carolina ebbe a malapena il tempo di registrare la loro presenza: uno dell’età della cricca che si trovava davanti, e uno più maturo, a giudicare dalla capigliatura più sale che pepe e dal modo di muoversi molto più sicuro e meno spavaldo. Il secondo fece per fare un passo avanti, ma l’altro lo bloccò col braccio.

    Pensò che il primo magari conoscesse il gruppo e capì che dovesse comunque cavarsela da sola. Sospirò. Pazienza. Ovviamente, ne aveva conosciuti di rappresentanti delle Forze dell’Ordine, non solo in Italia, in cui era rientrata solo un paio d’anni addietro, ma anche all’estero. Solitamente era gente capace e piena di buona volontà. Ma, occasionalmente, l’esaltato di turno lo trovavi. Quello che portava il distintivo solo per il senso del potere e non del dovere. Un peccato, perché di solito questi soggetti finivano per far fare brutta figura anche a tutti gli altri.

    L’energumeno avanzò di un altro passo e di nuovo concentrò tutta l’attenzione di Carolina su di sé.

    Quel piccolo di negro mi ha rovesciato addosso la birra. Ma se una zecca si vuole fare avanti e prendere il suo posto a scusarsi, è la benvenuta. Magari puoi trovare un modo che mi rimetta di buonumore. Disse lui, con fare ammiccante. Che, accoppiato all’aria che gli dava il fatto di essere ubriaco, risultava particolarmente osceno e spiacevole.

    Mica sono tua madre, rispose Carolina. Magari lei usa anche questi metodi per fartela passare, ma io sono più spiccia. Al massimo posso chiedere al gestore se ha un bavaglino da prestarti. Mi sembra che tu abbia avuto un incidente.

    L’energumeno fece un ulteriore passo. Ora ce l’aveva proprio davanti. Come equilibrio non le sembrava molto stabile, ma aveva sempre braccia grosse come prosciutti. Lei arrotolò le dita magroline in due pugni, lasciandole comunque lungo i fianchi. Se avesse dovuto difendersi, era pronta, ma avrebbe preferito evitare lo scontro fisico, essendo in evidente svantaggio.

    Senti stronza, ma che cazzo vuoi? Non so se ti conviene metterti in mezzo… Anche lui strinse le mani in due pugni, che più o meno erano grossi quanto la metà del viso di Carolina. E anche se lei aveva visto situazioni peggiori - come guardare il filo di un’ascia dalla parte sbagliata e da troppo vicino – non erano ricordi che avrebbe voluto rimpiazzare con qualcosa di più fresco.

    Senti tu, brutto ignorante. Te la prendi con un ragazzino. Poi minacci una donna. Se vuoi ti trovo anche qualcuno con gli occhiali e uno in carrozzina. Così fai la raccolta completa delle figure da coniglio, completi l’album e te ne vai. Dimmi tu. La parlantina non le mancava, e nemmeno il sarcasmo. E comunque sperava di portarsi almeno a casa tutti i denti – tanto erano già impianti, che erano costati un occhio della testa, tra l’altro – ma era un rischio che era disposta a correre. I bulli riuscivano sempre a farle saltare i nervi – e probabilmente il suo istinto di sopravvivenza toglieva il disturbo senza pensarci due volte. Sperava davvero di non finire a rimpiangere di essersi messa in mezzo.

    Vaffanculo! L’ominide – non sapeva come altro definirlo – alzò la voce, risultando in un finale stridulo e incredulo, accompagnato da una spinta – non molto convinta – nei confronti di Carolina. E per fortuna che non fosse una spinta convinta – sarebbe probabilmente finita dall’altra parte del locale altrimenti.

    Ma piantala, deficiente. Vergognati un po’, piuttosto. E, inspiegabilmente per il gruppo di bulli, lei si girò verso il ragazzino. Di solito, bastava per far calmare gli animi: distoglievi l’attenzione, toglievi il bullo dal centro della scena e spesso la tensione si stemperava fino a livelli minimi.

    Ma non sempre riusciva. Carolina ebbe appena il tempo di scorgere il destro dell’energumeno che partiva – ma così sgraziato, visto l’equilibrio instabile e la differenza di altezze, che le bastò semplicemente spostarsi di lato di mezzo passo, piegarsi leggermente sulle ginocchia e sferrargli un gran cazzotto proprio sotto la cintura.

    Il tipaccio si accartocciò ai suoi piedi all’istante, i tendini del collo grossi come corde di un ring, mentre si inarcava all’indietro, tenendosi l’inguine con entrambe le mani e con le lacrime che gli uscivano dai lati degli occhi. Non riusciva a trovare nemmeno abbastanza fiato per ululare. Gli amici di cricca si girarono imbarazzati verso qualsiasi altra direzione disponibile.

    Improvvisamente i due soggetti che erano entrati in precedenza nel locale apparvero al fianco di lei.

    Cosa abbiamo qui, signorina? Chiese il più giovane – un biondino particolarmente dedito all’uso del gel e con la faccia coperta di lentiggini.

    Carolina si girò verso di lui per cogliere l’espressione seccata sul viso dell’altro – sì, sicuramente entrambi poliziotti – che gli stava di fianco. Solo un’increspatura dei connotati – ma che raccontava tante cose.

    Dottoressa per lei, agente, grazie. Per il momento credo che abbiamo il reato di percosse ai danni di un minore e tentata aggressione nei miei confronti. Glielo spiega lei a questi buontemponi? Rispose.

    Il secondo agente la fissò brevemente con due occhi di un azzurro cristallino – lei si trovò a notare suo malgrado e con una certa sorpresa.

    Avvocato o collega? Le chiese, con uno strascico, forse, di accento romano ancora percepibile.

    L’agente più giovane si raddrizzò improvvisamente per ascoltare meglio la risposta.

    Nessuna delle due cose… Carolina lasciò in sospeso la frase mentre l’agente giovane si sgonfiava altrettanto improvvisamente.

    Agente Sergio De Angelis, per lei. Finì l’uomo, che aveva compreso il perché dei puntini di sospensione. Ma invece di offrirle la mano, le sorrise, lievemente ironico, alzando brevemente il capo come per un cenno di saluto.

    Piacere di conoscerla, Agente De Angelis. Sono Carolina Marconi, rispose al cenno informale ma anche con un sorriso divertito. E non sono avvocato. Sono una criminologa. Esperta in Linguistica Forense, per la cronaca.

    Questo strappò una breve espressione di stupore all’uomo. Ma, come prima, niente più di un’increspatura. Le piacque a pelle.

    Avete chiamato un’ambulanza? Chiese lei.

    In effetti, Cristian sembra messo male. Giudicò il poliziotto più giovane. Conferma del sospetto che si conoscessero.

    Non per lui, Matteo, De Angelis la batté sul tempo nel replicare, per il ragazzino. Solo che gli uscì ‘regazzino’. Carolina ci aveva probabilmente preso sulla provenienza. Si è fatto male lui per primo. L’altro aspetta il suo turno.

    Carolina diede a De Angelis un’altra occhiata, senza farsi accorgere. Un bell’uomo, di corporatura solida, a giudicare dall’aspetto intorno ai 50 anni, forse poco più. Un’aria intelligente, sveglia e pratica. Con delle labbra perfettamente disegnate e stranamente sensuali per un uomo, si trovò a pensare. Occhi azzurri che sembravano danzare sulle cose, ma, giudicando dall’approccio alla scena, che ne registravano tutti i particolari. Era il modo di reagire alla situazione che aveva colpito Carolina, però.

    Sì, Matteo, si permise lei, per il tuo amico, se proprio c’è urgenza, c’è un veterinario in sala. L’ho portato da casa. Fece un cenno col capo verso Enrico, che si era alzato e stava in piedi di fianco al loro tavolo, con in mano la giacca di lei e uno sguardo che non le piaceva per niente dietro agli occhiali. Carolina fece finta di niente e si girò verso il bambino.

    Come ti chiami? Gli chiese, arruffandogli teneramente una selva di capelli ricci.

    Leonardo. Rispose il bambino.

    Carolina si accoccolò per guardarlo negli occhi, da pari a pari. Ti ha fatto male, ma gli abbiamo fatto il culo.

    Leonardo sorrise timidamente, il visino ancora gonfio di lacrime, mentre si teneva il braccio che l’ominide gli aveva storto. Non si dicono le parolacce.

    Hai ragione. Lei gli sorrise di rimando. Ma io sono grande. Ogni tanto mi capita di dirle. E comunque gliel’abbiamo fatto. Ci aggiunse un’altra arruffatina, poi si alzò e si rivolse ai genitori. Spero vogliate sporgere denuncia.

    I due adulti si guardarono. Non so se ci possiamo permettere l’avvocato. Disse la mamma, con un accento marcatamente francofono.

    Carolina ci pensò su. Se passate in Questura, fate denuncia e lasciate il vostro numero. Se non vi spiace, me lo faccio dare, ma solo se non avete obiezioni. Ho un paio di amici che fanno gli avvocati e spesso lavorano pro bono. Sono davvero bravi. Purtroppo, hanno già fatto parecchia esperienza con questo tipo di situazioni. Vi faccio avere i nominativi, se avete piacere e avete intenzione di andare avanti. E se non vi disturbo, mi piacerebbe anche sapere tra qualche giorno come sta Leonardo.

    La donna, sulla trentina, con una vistosa cicatrice sulla guancia sinistra, che scendeva fino alla clavicola, guardò il marito – un uomo alto, esilissimo e con un viso spaurito – poi si voltò di nuovo verso Carolina. Sì, Dottoressa, la ringraziamo per il suo aiuto. E valuteremo cosa fare. Ma ci piacerebbe avere i numeri.

    Carolina le mise una mano sulla guancia segnata, in un gesto di tenerezza, mentre entravano dalla porta i paramedici. Quindi l’ambulanza qualcuno l’aveva chiamata davvero.

    Dovere, signora. Disse dolcemente. Poi, a voce più alta, aggiunse, guardandosi intorno: Visto che qui nessun baldo giovane si è mosso, qualcuno doveva pur fare qualcosa.

    Un sacco di teste si girarono dall’altra parte con le gote rosse di vergogna. Almeno quello.

    I paramedici si avvicinarono a Leonardo. Matteo iniziò a raccontare cosa fosse successo, forse sperando che dessero precedenza all’amico

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