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La Caccia: Le inchieste giornalistiche di Dalia Lentini e Nicholas Ferrigno 2
La Caccia: Le inchieste giornalistiche di Dalia Lentini e Nicholas Ferrigno 2
La Caccia: Le inchieste giornalistiche di Dalia Lentini e Nicholas Ferrigno 2
E-book366 pagine5 ore

La Caccia: Le inchieste giornalistiche di Dalia Lentini e Nicholas Ferrigno 2

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Info su questo ebook

Il libro dal titolo La caccia appartiene al genere thriller, in particolare al giornalismo d’inchiesta, perciò, si occupa di argomenti molto delicati e attualissimi.

È la continuazione del libro Le anime vendute ed è il secondo volume di una trilogia che vede come protagonisti principali i due reporter: Dalia Lentini e Nicholas Ferrigno. Ora i due sono marito e moglie e hanno fondato un nuovo giornale d’inchiesta – Il guardiano. Vivono a Lucca e sono felici di avere realizzato questo obiettivo così importante, sia di vita sia di lavoro.

Improvvisamente però, a seguito dell’assassinio di Marc Irwine a Parigi, Dalia Lentini e Nicholas Ferrigno si ritrovano in possesso di numerose e scottanti informazioni raccolte proprio dal reporter australiano e lasciate dallo stesso in una sorta di drammatico testamento. Si parla e si ipotizza riguardo l’ingegnerizzazione di virus da parte di laboratori segreti.

Tutto ciò rappresenta davvero un pericolo per il mondo? Oppure è la solita gara occulta tra le grandi potenze economiche e militari, le quali sono sempre in corsa per il dominio del mondo e pronte a escogitare nuove armi su cui puntare per avere il predominio assoluto?

I due giornalisti si ritrovano ad affrontare un’inchiesta molto delicata e più grande di loro, forse la più difficile della loro carriera.

Il libro La caccia affronta il tema dei vaccini in generale e dei possibili esperimenti su nuovi virus fatti in laboratori segreti. Non parla di quello che è accaduto dopo il 10 marzo 2020 bensì cerca in qualche modo di basarsi su fatti antecedenti che potrebbero aver scatenato questa situazione che ormai tutti stiamo vivendo: il Coronavirus - Covid 19.

Le forti tensioni tra Stati Uniti e Cina, la gara alla supremazia sul 5G, l’ultimo livello di tecnologia ambito da parte delle due super potenze, le politiche sempre meno trasparenti dei governi collusi con le influenti case farmaceutiche per quanto riguarda l’aspetto sanitario, sono tutte realtà che non sono più nascoste sebbene le verità sul coronavirus chissà quando le sapremo.

Passerà parecchio tempo prima che qualcuno ce le svelerà. Pertanto questo libro non pretende di rivelare verità indissolubili. Si limita, con la voce dei sui personaggi (fonti reali e autorevoli) a dare una visione diversa e poco nota su alcuni temi molto vicini alla nostra società attuale e magari a far riflettere i lettori su quanto sta accadendo.

L’autore

Graziano Bortolotti scrive e affronta temi forti che toccano da vicino la società moderna. Argomenti attuali o appartenenti al passato che nei suoi romanzi e nei suoi personaggi danno vita a narrazioni fitte di intrighi e di suspense.
Cinque finora le sue pubblicazioni appartenenti al genere giallo/thriller: La guerra non è mai finita (2005) – Pista di sangue (2009) - Il richiamo del cedro (2013) – Le anime vendute (2019) – La caccia (2021).

Graziano è nato in Trentino dove vive tuttora.
LinguaItaliano
Data di uscita21 giu 2021
ISBN9791220817431
La Caccia: Le inchieste giornalistiche di Dalia Lentini e Nicholas Ferrigno 2

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    Anteprima del libro

    La Caccia - Graziano Bortolotti

    NOTA DELL’AUTORE (1)

    È stato dimostrato che la nuova arma per dominare il mondo o per difendersi, non può più essere la bomba atomica. Troppi morti e terre conquistate da decontaminare e ricostruire. Meglio lo sterminio da virus o da batteri. Fantascienza? Dubitare ciò che è impossibile è proprio l’alibi e la miglior garanzia di copertura per chi trama in questo senso.

    Questo romanzo è la continuazione del libro Le anime vendute, uscito nel 2019 e non parla di quello che ha creato il coronavirus/covid 19: vale a dire i decessi, i contagi, gli ospedali presi d’assalto, i decreti governativi, le scuole di ogni ordine e grado chiuse, il mondo del lavoro bloccato, il lockdown, i media scatenati a bombardare gli utenti di notizie di scenari sociali, sanitari ed economico-finanziari tendenti al catastrofico, insomma un mondo letteralmente cambiato. Tenta invece di affrontare quello che potrebbe essere accaduto prima dello scoppio della pandemia e cerca di scavare dentro le ipotetiche cause che l’hanno procurata. O perlomeno, è una raccolta di informazioni parallele a quelle che si sentono ogni giorno dalle televisioni e dal mainstream convenzionale e che solo una piccola percentuale di individui le ha percepite come possibili, in quanto forse reali. Dopodiché ogni persona, in base alle proprie idee, conoscenze e sensibilità, può giustamente trarre le personali considerazioni su quanto è accaduto e sta accadendo.

    All’inizio del lockdown, quindi, dopo il fatidico 10 marzo 2020, ero concentrato e impegnato in un mio progetto letterario, ma, addentrandomi in quello che stava accadendo e cercando di comprendere le origini di questa situazione, mai, ripeto mai, accaduta prima a ognuno di noi e al mondo intero, ho cambiato idea e ho mollato tutto per un semplice motivo. Quello che stavo vivendo e soprattutto quello che lo aveva originato, si prestava perfettamente per un’inchiesta giornalistica e per due personaggi come: Dalia Lentini e Nicholas Ferrigno, i due giornalisti protagonisti del mio ultimo libro di cui ho accennato sopra.

    Una pandemia a livello mondiale e le ragioni della sua esplosione è un argomento e una circostanza che non poteva passare inosservata per i due reporter d’inchiesta reduci da un’altra indagine difficile e delicata riguardante il traffico di organi umani e il mercato clandestino che ne consegue. Detto ciò, ogni libro e quindi ogni storia è frutto di ricerche, esperienze, visioni e sensibilità personali di chi lo scrive. Forse mai come questa volta, le opinioni soggettive di ognuno di noi possono essere opposte e la paura di essere contagiati dal Covid 19 spesso fa da spartiacque e annebbia la mente.

    Personalmente non sono una persona che va contro la realtà dei fatti per principio. Cerco di farmi un’opinione e nel dubbio, se l’argomento è importante, inizio a informarmi. Ho sempre portato rispetto per le Istituzioni e ho cercato di comprendere l’importanza dei ruoli che hanno i settori economico-finanziari dei quali, in una società votata al consumismo, è impossibile farne a meno. Tuttavia, nelle mie valutazioni, ho sempre messo al centro di tutto – l’uomo – e i suoi Diritti. Nel secolo scorso vi sono state due Guerre Mondiali. Io ho avuto la fortuna di nascere e di vivere in tempi di pace quindi studiando la storia del recente passato ho capito quanto sia importante vivere senza guerre. Tant’è che nel frattempo è nata anche l’Unione Europea quindi non era mai accaduto nella vecchia Europa un periodo di pace così lungo. Però quando leggo certi articoli o sento alcune interviste, anche io ho le mie percezioni e riesco a sentire da che direzione soffia un vento che mi incanala verso delle verità. Magari non totali ma vicine, molto vicine a quello che la mia ragionevolezza o a volte la mia personale sensibilità umana mi fa trapelare in maniera convincente. Anche io come tutti costruisco la mia idea dei fatti. Ecco perché durante la stesura di questo libro, mi sono fatto qualche opinione di come si potrebbe essere creata questa situazione inimmaginabile, cioè che quasi tutto il pianeta per la prima volta, a parte ripeto per causa delle Guerre Mondiali, si sia dovuto fermare.

    Chi avrebbe mai osato pensare prima del 10 marzo 2020 che si sarebbe arrestato il mondo nel vero senso della parola, dalle scuole ai trasporti, dai voli aerei alle industrie, compreso lo sport professionistico con i suoi lauti e intoccabili guadagni. Prima della pandemia risultava impossibile rinviare i gran premi di automobilismo, i campionati di calcio, i tornei di tennis o i grandi giri ciclistici. Nemmeno in casi di forte maltempo o per i pericoli procurati dal terrorismo internazionale erano state prese decisioni così forti. Cosa è successo? Cosa abbiamo capito? A mio parere abbiamo capito tanto e niente allo stesso tempo. Ma forse almeno una cosa l’abbiamo compresa e cioè che nulla è più indispensabile della salute. Abbiamo capito che la salute pubblica è patrimonio di tutti e non si va da nessuna parte se non ci sono le condizioni per garantirla. L’evoluzione verso una vita moderna ci ha portato a costruire un mondo globalizzato e in rete, forse fin troppo, perciò i problemi si manifestano rapidamente in ogni dove. Arginare e isolare sembra sia cosa impossibile ormai, come se non esistessero più i confini. Ancora una volta una parte dell’umanità non riesce, o meglio non vuole, individuare la famosa via di mezzo nelle cose. Intanto però i tagli alla sanità vengono fatti sistematicamente con il forte rischio di indebolire le maglie della sicurezza sociale.

    Ma perché è successo tutto ciò proprio nel 2020? Se analizziamo con attenzione è già da diversi anni che i contagi da influenza diventano sempre maggiori e più aggressivi? Ogni anno le statistiche contano migliaia e migliaia di decessi di cui però nessuno ne parlava più di tanto ma soprattutto nessuno creava allarmismi. Qualcuno, dirà: Il coronavirus è più aggressivo, ti soffoca i polmoni. Purtroppo per molti è stato così ma per molti non lo è stato, sono stati toccati dal virus con pochissimi sintomi se non quelli influenzali. Quindi tutto ciò mi fa pensare al fatto che è indubbio che dobbiamo ragionare sempre a livello soggettivo. Il paziente soffre di patologie gravi o delicate? L’età? Certo anche quella. Era vaccinato? Si, no. Vive in una zona altamente inquinata? Allora è più a rischio e bisogna stare attenti. Perché si parla raramente di prevenzione, quella seria, quella che ti aumenta le difese immunitarie oppure di uno stile di vita sano soprattutto in queste situazioni? Infatti per la prevenzione a livello conoscitivo e psicologico cosa si fa? Ci rendiamo conto che la paura di ammalarci ci abbatte le difese immunitarie? E a tal proposito, pensiamo ci possa fare bene a livello psicologico il bombardamento quotidiano dei media? E continuare giorno dopo giorno ad ascoltare notizie tragiche? Penso soprattutto agli anziani che tengono accesa la televisione tutto il tempo. Tutte queste notizie disastrose fanno aumentare la paura in ognuno di noi, ci rendono più fragili, ci disgregano, ci fanno ammalare. Purtroppo è così e non voglio dire che l’informazione non sia utile. Non sia mai, ma non approvo l’irruenza, l’eccessiva tempestività e la teatralità con cui si sottopone il cittadino alle notizie sui contagi. Tutto questo ormai accade da diversi anni e non è una novità, in ogni caso la trovo decisamente esasperata e ripeto, personalmente non è il modo giusto di comunicare. Troppe informazioni e in particolare con troppa frequenza ci fanno cadere in uno stato di confusione e depressione. Mentre, viceversa, in questi momenti, come in una famiglia, anche in una società bisognerebbe gestire il momento di crisi con buon senso ed equilibrio facendo un passo alla volta alla ricerca di una condizione che possa garantire sicurezza e risoluzione del problema. A tal proposito più di un medicinale attualmente in commercio si è rivelato valido a contrastare il Covid 19 direttamente da casa. Certo, bisogna essere rapidi nel farlo somministrare e qui entrano in gioco i medici di base che possono intervenire tempestivamente raccordandosi col sistema ospedaliero per evitare appunto che questo si ingolfi. Facile a dirsi e difficile da attuarsi? Non credo, stando ai tanti casi virtuosi che si sono verificati e continuano a verificarsi, la maggior parte delle persone può curarsi a casa grazie a medici di base coraggiosi e soprattutto coscienziosi. Il problema purtroppo è un altro. Fanno molta più notizia e scalpore i casi urgenti sottoposti a terapia intensiva, oppure le difficoltà degli ospedali rispetto alle buone notizie ed è quello che la stampa continua a perseguire per creare audience.

    Io sono solo un viaggiatore in questo mondo e non è un mio obiettivo quello di assurgere a esperto in materia, ci mancherebbe. Come del resto questo libro che non si arroga affatto il compito o il merito di scoprire verità assolute e di dichiararle ovvero spacciarle come fatti certi. Semmai, potrebbe, attraverso la voce e le rivelazioni dei suoi personaggi (fonti realmente esistenti e solo camuffate per esigenze letterarie) far scaturire qualche riflessione in ognuno di noi, che ripeto, è naturale e logico abbia la propria opinione su quello che è stata questa incredibile situazione creata dai contagi dovuti al coronavirus.

    Auguro a tutti una buona lettura ma soprattutto una buona vita, ne abbiamo bisogno.

    Graziano Bortolotti

    PARTE PRIMA

    La Caccia

    Capitolo 1

    Zurigo – febbraio 2019

    Quella mattina il responsabile di turno al caveau della Bank Hapoalim di Zurigo era una donna sulla cinquantina. L’impiegata possedeva un taglio di occhi rigoroso ed esibiva un trucco leggero, appena, appena accennato, compreso un filo di rossetto rosso sulle labbra schiuse come una fessura. Erika Knaus accolse Marc Vermaleen sulla soglia dell’ufficio del funzionario a capo dell’area depositi di sicurezza con un’aria autorevole. L’orologio della banca segnava le otto e trentuno minuti, Il cacciatore era il primo cliente della giornata. Dopo un breve cenno di saluto, la donna prese in consegna il passaporto e accompagnò il cliente verso l’ascensore. Attesero uno di fianco all’altro senza parlare come prevedeva la prassi della banca dopodiché entrarono e scesero di due piani. La signora aveva un aspetto molto formale. Se ne stava ritta e guardinga dentro il suo tailleur scuro ben intonato con il caschetto corvino che le cascava verso le spalle. Da vicino, la sua pelle emanava un profumo morbido, sobrio, una fragranza dai toni tenui. Giunti nel sotterraneo, il caveau sembrava un obitorio o una prigione, il rumore dei tacchi dell’impiegata iniziarono a echeggiare lungo lo stretto corridoio che portava alle celle di sicurezza. Vermaleen ascoltò quei tocchi rapidi e decisi senza battere ciglio, intanto lasciò scivolare uno sguardo distaccato verso i restanti locali, freddi e numerati. Era da molto tempo che non metteva piede in un caveau di una banca. Una volta, diversi anni prima, quando non c’era la tecnologia e circuiti interni di videosorveglianza, vi era una guardia giurata a vigilare. Era anche per quello che sembrava di entrare in un carcere. Ora non era più necessario. Anche la Bank Hapoalim si era adeguata. Negli anni duemila la B.H. aveva rilevato l’istituto di credito ginevrino Bank of New York, una banca privata fondata nel 1966 e presente con i suoi uffici in capitali importanti come Mosca, Hong Kong e Montevideo. Da qualche anno la Bank Hapoalim era quotata alle Borse di Londra e di Tel Aviv ed era una realtà finanziaria non eccessivamente grande per i livelli elvetici ma molto efficiente e discreta con i clienti. La donna si fermò davanti a una porta blindata, digitò un codice, aprì e con tono rigoroso disse: Questa è la sua chiave, signore. La cassetta di sicurezza è la 432. Io aspetto fuori.

    Non è necessario disse Vermaleen farò molto presto.

    La ringrazio ma queste sono le regole disse risoluta Erika Knaus allontanandosi. Rimasto solo nella cella, Vermaleen individuò la cassetta, inserì la chiave e la girò senza difficoltà. L’accesso dell’urna si spalancò. A quel punto Vermaleen guardò dentro e dopo infilò la mano. Il suo palmo venne a contatto con una grossa busta color cachi. La prese, non c’era scritto nulla, quindi la infilò nella sua valigetta da lavoro. Controllò con cura la cassetta di sicurezza, non c’era altro. Richiuse, rigirò la chiave e bussò alla porta per farsi aprire. Tornati di sopra, la donna consegnò il documento, fece firmare un modulo al cliente dopodiché sbrigate le poche burocrazie previste, Vermaleen uscì dalla banca, tutto si era svolto in modo molto veloce, nessun contrattempo. Si ritrovò su Stockerstrasse, una via di palazzi moderni dal colore cenerino. Non erano edifici molto alti, al massimo cinque piani, contornati e sfiorati da una fila di alberi ancora giovani e dalle chiome spoglie. Poco più in là il traffico scorreva liscio e preciso dando un senso ritmico e ordinato, tipico dello stile di vita svizzero. Le macchine parcheggiate erano allineate negli appositi spazi, così come gli scooter e le biciclette. Tutto era in perfetto equilibrio come i meccanismi di un orologio e nulla appariva rumoroso o fuori posto, nemmeno l’aria del mattino, ancora un po’ frizzante.

    La silenziosa e organizzata Svizzera pensò fra sé Vermaleen buttando un occhio su Stockerstrasse. In quello stesso momento avvertì il bisogno di un secondo caffè perciò percorse metà marciapiede ed entrò in un bar, poi chiamò un taxi. Venti minuti più tardi era nella sua stanza all’Hotel Central Plaza, aveva finalmente davanti a sé la busta. Con un tagliacarte l’aprì. Conteneva un dossier, un biglietto aereo di andata e ritorno fissato da lì a una settimana per Hong Kong, i soldi pattuiti per le spese nonché un sostanzioso anticipo. Vermaleen rimise tutto nella busta quindi si mise a leggere il dossier. Erano quattro fogli ma il suo stupore fu catturato dalla provenienza della fonte. Chi li aveva scritti apparteneva alla più importante agenzia investigativa privata del mondo: l’Arcanum Global con sede a Zurigo ma con uffici pure a Londra, Parigi, Dubai, Hong Kong e Washington. Vermaleen si allentò il nodo della cravatta e diede un sorso generoso al succo d’arancia recuperato poco prima dal frigobar della stanza. L’Arcanum operava solo ad alti livelli. Era una notizia recente nel mondo delle investigazioni private che l’agenzia si avvalesse addirittura dell’esperienza del ex capo del Mossad per stanare gli americani che avevano portato i loro capitali nelle banche svizzere eludendo il fisco degli Stati Uniti. Il vecchio volpone del Mossad era noto per essere cinico nel dare la caccia ai terroristi, i veri nemici di Israele. Era quindi l’uomo giusto per una questione ritenuta importante come quella. Arcanum possedeva un team d’elite, uomini dall’alto profilo professionale di svariate nazionalità. Ex ufficiali, esperti in diplomazia, antiterrorismo, governance geopolitica, indagini sulla criminalità generica e soprattutto quella informatica. E qui si arrivava al nocciolo della questione nonché al suo incarico. Vermaleen fece un respiro profondo. Da una parte era onorato che un’Agenzia così prestigiosa e inarrivabile gli chiedesse di collaborare. Nel contempo, percepì un velato alone di nervosismo nello stomaco. Avrebbe potuto fidarsi di quella gente? Correva voce che erano spietati anche se all’apparenza sembravano degli innocui colletti bianchi, molto attenti ai formalismi e ai protocolli. In realtà l’Arcanum Global, nel suo piccolo, aveva lo stesso stile comportamentale della più potente e storica FBI. Continuò a leggere il dossier. Dietro a tutto vi era un hacker. Il pirata informatico era riuscito a ripulire ben cinquantotto milioni di euro da un conto del Credit Suisse di Zurigo. Si, aveva letto bene, una vera e propria montagna di denaro. Tecnicamente il piano era partito da Hong Kong attraverso una transazione richiesta da una banca locale. Per fare questo si era reso necessario servirsi di un complice, anzi, di una complice, una donna tra i trentacinque e i quarant’anni che si faceva chiamare Kathrine Wyss. Vermaleen fissò per alcuni istanti le foto riguardanti la donna. Oltre a un’identità fittizia, portava una parrucca nera e lunga, il suo volto era semi coperto da grandi occhiali scuri ed era l’unica persona fisicamente coinvolta, pertanto tutto ruotava attorno a lei. Cosa chiedeva il dossier di Arcanum? Una volta recepito le informazioni sul caso, Vermaleen doveva mettersi sulle sue tracce, doveva individuarla, farla parlare a costo di utilizzare metodi affini alle torture. Quelli erano affari suoi. Doveva farla parlare e far sì che si potesse recuperare quella cifra pazzesca. C’era in gioco il prestigio del Credit Suisse, una vera e propria istituzione nel mondo bancario svizzero, pertanto c’era da scongiurare nel modo più assoluto uno scandalo. Se fosse trapelata la notizia alla stampa sarebbe esploso un caso a livello mondiale con danni irreparabili per il settore bancario elvetico. Colpita una banca anche le altre potevano cadere in una crisi come una sorta di effetto domino. Non si poteva rischiare, era tassativo. Su quello che avrebbe fatto della donna una volta che aveva ottenuto quello che ci si aspettava non vi erano indicazioni o ordini. Sarebbe stato un problema successivo, pensò Vermaleen. Per i primi dettagli operativi sulla caccia a Kathrine Wyss doveva perciò andare a Hong Kong e incontrare un uomo di Arcanum, un certo Halimah Loong. A tal riguardo c’era un numero di telefono da chiamare appena giunto nella metropoli asiatica. Vermaleen finì di bere il succo d’arancia e iniziò a riflettere. Ripensò ad Arcanum senza capire se fosse contento di lavorare per loro oppure no. Perché avevano scelto lui? Prima di rimettere via le carte e il denaro nella valigetta, memorizzò sul suo telefono criptato un numero e un nome, l’unico contatto della sede di Arcanum a Zurigo con cui era autorizzato a parlare ma solo dopo l’incontro di Hong Kong. Si trattava di un ordine categorico. La persona si chiamava Steve Parmakoski. Il cacciatore si morse il labbro inferiore, si alzò e andò verso la finestra. Fuori il cielo era plumbeo e i tetti di Zurigo apparivano ancor più austeri. Ora che aveva finalmente le prime informazioni, Vermaleen provò un leggero e piacevole brivido lungo la schiena, la caccia era iniziata.

    Lucca, una settimana dopo

    Durante il sonno il corpo di Nicholas Ferrigno fece un sobbalzo improvviso verso l’alto. Accanto a lui c’era Dalia che stava ancora dormendo. Di colpo, si ritrovò seduto sul letto con il cuore che gli pulsava a mille nel petto mentre la sua fronte era madida di sudore. Non ebbe nemmeno il tempo di comprendere il motivo di quel gesto scellerato quando udì un mormorio nella penombra, era la voce ancora addormentata di Dalia.

    Che c’è Nicholas, non stai bene? Che succede? Ferrigno, dopo aver respirato e compreso che tutti e due erano al sicuro nella loro casa, cercò di ricomporsi. Con un movimento delicato tornò a sdraiarsi e si avvicinò a lei ancora con il cuore che batteva forte. Dalia era all’inizio del terzo mese di gravidanza, la trovava bellissima quando assumeva quell’aria assopita e leggera. Mentre dormiva sembrava una bambina. Sentì il suo corpo caldo, rilassato e non riuscì a trattenersi, la strinse a sé con controllata dolcezza come se quel gesto fosse la medicina per farlo stare meglio. La stanza era avvolta nell’oscurità e vi regnava un rassicurante silenzio. Traspariva solo un sottile fascio di luce dalle persiane della finestra. Tenendola tra le braccia, Ferrigno, disse: Sto bene, non è successo niente, stai tranquilla.

    Hai avuto un incubo?

    Forse si, una cosa del genere. Ho sognato del carcere mentì. Riposiamoci ancora un po’ amore, è troppo presto per un caffè. Più tardi te lo porto io, d’accordo?

    Mhm mugugnò Dalia ancora piena di sonno. Aveva gli occhi chiusi e il suo respiro tornò leggero e regolare. Ferrigno invece, tenne gli occhi spalancati verso il soffitto. Le immagini dentro la sua mente scorrevano ancora nitide e veloci. Erano due uomini, ma non riusciva a vedere i loro volti, erano mascherati. Quello che contava è che davano la caccia a Dalia e lei era in pericolo. Erano in una casa piena di stanze e di scale, lei scappava terrorizzata e urlava. Nicholas la vedeva davanti a sé ma era legato e seduto su una sedia. Impotente. Non poteva fare nulla contro i due loschi figuri. In quegl’istanti pensò alla creatura che viveva dentro il corpo di Dalia e ancora più terribile era vedere Dalia indifesa in preda al panico. Poi il nulla, si era svegliato di soprassalto. Cercò di calmarsi e di realizzare che era solo un maledetto sogno, dopotutto, appena qualche mese prima, avevano entrambi passato momenti molto difficili e carichi di tensione. Ora era tutto finito, stavano bene e vivevano felici ma forse era il prezzo da pagare per quella incredibile esperienza vissuta in Cina ma anche successivamente. Pensò per quanto tempo ancora il sistema nervoso avrebbe rilasciato le inquietudini accumulate in quei mesi dove a entrambi la vita era cambiata radicalmente. Sperò non troppo a lungo, intanto, un poco alla volta si sentì meglio. Decise di pensare ad altro, perciò si concentrò sulla giornata che lo aspettava. Doveva passare insieme a Dalia all’agenzia immobiliare per pagare la prima rata dell’affitto e fare le firme definitive del contratto dei locali della sede del nuovo giornale, Il Guardiano. Già, ce l’avevano fatta a realizzare il loro grande sogno: un giornale d’inchiesta, un magazine che si occupasse di un giornalismo di approfondimento, rivolto e attento in particolare ai grandi temi vicini alla società. Un giornale che trattasse argomenti importanti per il futuro della collettività. L’esperienza maturata e provata in Cina, legata al traffico degli organi umani, era stato il trampolino di lancio verso una simile scelta, verso una nuova sfida da vivere questa volta insieme. Il loro obiettivo non era quello di giocare al complottismo e di aprire anche in Italia un giornale anticonformista con lo scopo di dare battaglia a tutto e a tutti. No, non era quello il senso e la volontà. L’idea di fondo era quella di far nascere un giornale libero e indipendente dalla politica e dai poteri economici che portasse avanti la verità, nel bene e nel male. Non era certamente il primo tentativo italiano. Ce n’erano stati diversi di casi in precedenza. Tutte iniziative partorite dalle menti fulgide e dal grande senso di onestà e responsabilità di ottimi giornalisti che credevano nel valore assoluto della verità. In rari casi ce l’avevano fatta. Veramente pochi. Problemi e difficoltà di ogni genere, li avevano dissuasi dal continuare o meglio costretti a chiudere dopo poco tempo. I debiti e i problemi economici erano di solito le motivazioni più evidenti poiché il mondo dell’editoria non è solo concorrenziale, è di più, è spietato. Ma non solo, vi erano stati casi in cui la verità dava troppo fastidio pertanto minacce e delitti avevano macchiato la storia del giornalismo d’inchiesta, quello nascosto, quello dove ci si deve sporcare le mani, rischiare la pelle senza arricchirsi. Recentemente, grazie alla tecnologia e alla rete, i giornalisti più tenaci e visionari, quelli fuori dal giro del mainstream, la corrente dei maggiori media nazionali, avevano abbandonato velleità editoriali classiche lanciandosi sul web aprendo dei blog, dei forum e successivamente utilizzando dei brevi video, delle vere e proprie interviste filmate sullo stile televisivo con tanto di studio, in realtà una stanza attrezzata e arredata. In pratica a costi molto bassi questo era diventato l’unico modo per riuscire a dire la verità giornalistica, fintanto che non si cadesse nel meccanismo dell’oscurazione dei siti, ipotesi non del tutto da escludere.

    Si trattava quindi di una sfida difficile e coraggiosa per Dalia, Nicholas e il loro socio nonché giornalista, Federico Berasi, detto Birillo. Tutti e tre se ne rendevano conto, tuttavia era il loro lavoro, la loro vocazione, quello che avevano scelto di fare con passione, ma soprattutto era un ideale in cui credevano fortemente. Con loro c’era pure la neo assunta Carlotta Taddei, una giovane e promettente blogger, competente anche nella parte di marketing. Sotto l’aspetto finanziario, Il Guardiano, aveva una solida copertura da parte dei notevoli fondi a disposizione della fondazione di cui Dalia era presidente, la Princess Leila Foundation, ma per non dare nell’occhio avevano chiesto un sostanzioso prestito in banca. Inoltre, il giornale si sarebbe autofinanziato in parte con i lettori e in parte con un piano pubblicitario che prevedeva la promozione esclusivamente di prodotti italiani nonché del turismo italiano. Nessuna multinazionale o cose similari ma un’attenta osservazione del territorio nazionale e della sostenibilità dei prodotti e dei progetti. Nel pomeriggio ci sarebbe stata la prima riunione del comitato di redazione con il solo Birillo in collegamento via Skype. Il primo punto all’ordine del giorno era decidere l’argomento con cui fare il lancio del giornale. C’erano due o tre temi importanti da dibattere ma solo uno avrebbe rappresentato il focus per il debutto del nuovo giornale d’inchiesta: Il Guardiano. Lui e Dalia stavano vivendo un bel periodo, pensò Ferrigno ascoltando il respiro regolare della sua compagna distesa accanto a lui. Dalia aspettava un bambino, era serena e felice. Sprizzava energia da ogni dove e da remoto riusciva a gestire la sua fondazione che operava in Nepal. Sicuramente, salute permettendo, avrebbe voluto andare a Katmandu di tanto in tanto per controllare di persona e soprattutto per non lasciare troppo a lungo soli i suoi due bravi e giovani collaboratori, l’australiana Helene Duck e il nepalese Lhaos Khadka. Nonostante il respiro fosse tornato regolare, Nicholas non riuscì più ad addormentarsi.

    Parigi

    Era tardo pomeriggio, la metropolitana era affollata di gente che tornava a casa dopo una giornata di lavoro e Parigi si preparava per una nuova affascinante serata. Mark Irwine era giunto in città il giorno precedente proveniente da Sidney con un volo della Quantas. Adorava Parigi fin dai tempi in cui era stato uno studente giramondo. Aveva ragione Honoré de Balzac quando diceva: - Parigi è come un oceano. Gettateci una sonda e non ne conoscerete mai la profondità -. Era vero, anche se Irwine amava ancora di più il pensiero di Victor Hugo al riguardo: - Respirare Parigi, conserva l’anima -. Irwine fissò per un istante il proprio orologio, erano passate da poco le diciotto. L’appuntamento con il professor Vincent Boisson era fissato per le diciotto e trenta davanti all’università della Sorbona, al termine delle sue lezioni. L’ultimo strattone lo avvisò che era arrivato a destinazione. Irwine scese dalla metropolitana e attorniato da altre persone si diresse verso l’uscita Luxembourg. Quando uscì all’aperto vide sull’altro lato della strada gli splendidi giardini di Luxembourg con il verde degli alberi che si stagliava verso il cielo dietro le imponenti cancellate che delimitavano il parco. Lungo le passeggiate immerse nel verde si intravvedevano diverse persone; mamme con bambini e i cani al guinzaglio, anziani che si muovevano con passi stanchi oppure dei runner che correvano. Irwine si lasciò alle spalle i giardini, girò l’angolo e iniziò a camminare su Boulevard Saint-Michel, la strada principale del quartiere Latino, dove si trovava la più antica e famosa università di Francia: la Sorbona. Boisson insegnava lì, aveva una cattedra in virologia. La Sorbona era nata nel 1257 come collegio per l’insegnamento della teologia agli studenti poveri. Fu Napoleone nel 1806 a riorganizzare il sistema didattico francese dando particolare lustro alla Sorbona, rendendola famosa in tutto il mondo. Irwine era in anticipo sull’orario previsto quando giunse davanti all’ingresso principale dell’università. Ciò nonostante scorse un uomo oltre la sessantina, portava un abito grigio chiaro, teneva per mano una valigetta ventiquattrore e aveva gli occhiali con la montatura in metallo. Era il professore Vincent Boisson. Sopra di loro, sul muro giallognolo del palazzo storico che ospitava la celebre università, Irwine, dopo aver alzato lo sguardò, lesse le tre parole scolpite nel marmo: LIBERTÉ – EGALITÉ – FRATERNITÉ. Provò uno strano brivido pensando al senso di quelle tre parole e al motivo del suo viaggio nonché di quell’incontro. Ormai era di fronte a Boisson, perciò si presentò dopodiché i due attraversarono a piedi Place du Pantheon. Passarono fianco a fianco davanti al mausoleo che ospitava le tombe di francesi famosi come Voltaire, Rousseau, Dumas e altri quindi raggiunsero Place de la Contrescarpe, una caratteristica piazzetta di ciottoli in puro stile quartiere Latino. Poco dopo presero posto al Cafè Delmas.

    Allora, Irwine disse Boisson appena seduto dopo una lunga serie di rinvii e di e-mail, ce l’abbiamo fatta finalmente a incontrarci. Il giornalista australiano sorrise mentre tirava fuori il suo tablet dalla sacca.

    Si, non è stato semplice riuscire a incontrarci visti i numerosi impegni di entrambi disse Irwine. Professore, le sono grato per la sua disponibilità e poi venire qui a Parigi per me ha sempre un fascino particolare.

    Oh, questo mi fa piacere ma non mi ringrazi Irwine, le chiedo solamente di tenere l’anonimato per quanto riguarda la mia persona. Come vede, devo ancora lavorare qualche anno per guadagnarmi la pensione, quindi devo prendere delle precauzioni, lei mi capisce, vero? Ordinarono due Heineken quindi Boisson iniziò a parlare. Era stato lapidario nella sua ultima e-mail. Avrebbe parlato solo di persona di alcuni fatti e di altrettante informazioni di sua conoscenza. Ora erano lì, uno di fronte all’altro, avvolti nella dolce aria serale di Parigi, quella che faceva così bene all’anima, come diceva Victor Hugo.

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