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Il meccanismo della forchincastro
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E-book331 pagine5 ore

Il meccanismo della forchincastro

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Fantascienza - romanzo (271 pagine) - Quello delle forchincastro è il braccio operativo, il braccio più forte del Comitato. Diamine, noi delle forchincastro «siamo» il Comitato!


Ci sono molte norme che voi civili dovete tenere a mente se desiderate che il nostro reparto e in generale il Comitato vi lasci in pace: molti civili vivono la loro vita serenamente e nonostante la quarantena si può vivere relativamente bene, senza rinunciare a quei piccoli lussi che si avevano nel periodo prima della malattia. La prima regola è: "state tranquilli", nessuno del Comitato ha qualcosa contro di voi, almeno non personalmente. La seconda regola è: "non vi lasciate mai andare, perché non sapete il momento in cui il Comitato busserà alla vostra porta". La terza regola è: "se non sapete qualcosa, chiedetela al Comitato". Ma ricordate anche la quarta: "mai disturbare il Comitato quando non è necessario". Seguite queste regole e non dovrete mai scoprire sulla vostra pelle cos'è e come funziona la forchincastro.

Per la prima volta vede la luce il leggendario romanzo di un autore di culto.


Quella di "scrittore" per Fabrizio Venerandi è una definizione decisamente riduttiva. Forse sarebbe più adatta quella di "esploratore e sperimentatore della comunicazione". Nato e residente a Genova, è sposato e ha tre figli. Blogger, poeta, narratore, videoautore, performer, è anche uno dei maggiori esperti italiani sugli ebook, settore nel quale opera sia come editore (Quintadicopertina) sia come docente in corsi specializzati. Nel 1990 ha creato la prima fiction interattiva multiutente (MUD) su Videotel. Dal 2003 al 2006 ha pubblicato sulla rivista MacWorld una serie di brevi racconti autobiografici, Io e Ce. Ha pubblicato una decina di volumi, tra i quali il romanzo ipertestuale Chi ha ucciso David Crane? e il romanzo di ricordi degli anni ottanta PÈCMÉN.

LinguaItaliano
Data di uscita6 lug 2021
ISBN9788825416886
Il meccanismo della forchincastro

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    Anteprima del libro

    Il meccanismo della forchincastro - Fabrizio Venerandi

    Prima parte: dentro

    A

    Il Comitato ti saluta!

    Noi ci svegliamo ogni mattino alle sei e ci riuniamo nell’aula magna per rendere grazie al Comitato, perché il Comitato siamo noi, non esisterebbe il Comitato senza di noi, eppure noi non siamo niente per il Comitato, che potrebbe andare avanti benissimo senza di noi, queste sono le prime cose che ci hanno insegnato. Dopo i ringraziamenti, che vengono fatti divisi per reparti, vengono assegnate le incombenze per la giornata, a noi delle forchincastro vengono di solito assegnate le missioni. Non tutti partono per le missioni, gli altri restano in sede a svolgere compiti meno importanti, meno divertenti, ma anche meno pericolosi. A volte non c’è niente da fare, allora si è liberi di andare tra i civili, anche se chi è nel Comitato non sarà mai più civile, questa è una cosa che ci hanno fatto giurare, i civili sono quelli che vanno curati e noi siamo quelli che dobbiamo curare. O, nel nostro caso, siamo quelli che dobbiamo togliere il male a chi purtroppo è già ammalato. Il nostro reparto è quello che fa più paura ai civili, perché sembra quasi che noi facciamo del male, e in effetti lo facciamo. Questo ci rende forti e uniti, il nostro reparto è uno dei più forti. A pranzo si mangia tutti assieme e si parla del più e del meno, e di solito tornano quelli che sono andati a fare le missioni.

    Dopopranzo si prega nella cappella del Comitato e poi restano quelli che hanno la reperibilità, gli altri vanno con i civili. A pomeriggio inoltrato ci si incontra nella palestra, dove ognuno segue la propria tabella di marcia. Nella tabella ci sono scritti una serie di esercizi base, personalizzati, che servono a mantenere il nostro corpo efficiente, non solo perché è bello avere un corpo che risponde prontamente agli stimoli esterni, ma anche perché tiene lontana la malattia, e per un motivo pratico: le forchincastro pesano, ragazzi!

    La sera si cena di nuovo assieme e poi ci sono delle riunioni serali, di formazione, oppure si puliscono le proprie forchincastro.

    Tieni pulita la tua forchincastro! è infatti un motto del nostro reparto.

    Quando la forchincastro non è in ordine succedono sempre dei casini è meglio non parlarne.

    Il nostro Comitato copre una provincia, ma dirige le delegazioni minori. Essere nel Comitato non significa certo solo essere nel reparto delle forchincastro, questo no. Ci sono altri reparti che curano le diverse manifestazioni della malattia: c’è chi segue le ovulazioni e i salvacristi, chi si occupa della gestione dei contributi dalla sede centrale, chi sceglie chi deve donare la sua ghiandola pineale per non contaminare altri civili, chi studia altri metodi per fermare il male, eccetera, anche se i civili associano subito il Comitato a noi delle forchincastro, perché siamo un po’ il braccio operativo.

    Ci sono molte norme che voi civili dovete tenere a mente se desiderate che il nostro reparto e in generale il Comitato vi lasci in pace: molti civili vivono la loro vita serenamente e nonostante la quarantena si può vivere relativamente bene, senza rinunciare a quei piccoli lussi che si avevano nel periodo prima della malattia. La prima regola è: state tranquilli nessuno del Comitato ha qualcosa contro di voi, almeno non personalmente. La seconda regola è: non vi lasciate mai andare, perché non sapete il momento in cui il Comitato busserà alla vostra porta. La terza regola è: se non sapete qualcosa, chiedetela al Comitato. Ma ricordate anche la quarta: mai disturbare il Comitato quando non è necessario.

    Vi lascerò molti opuscoli prima di andarmene, in modo che possiate imparare per bene tutte quelle cose che avrei dovuto dirvi in questa riunione e che non ho detto. Leggerò l’inizio di uno di questi opuscoli, quello intitolato Fisiologia del buon cittadino. Leggetelo è molto importante, si tratta di norme buone e semplici da seguire.

    Il comitato ti saluta!

    Il buon cittadino si sveglia presto al mattino. Il buon cittadino ama le cose pulite, il buon cittadino si lava al mattino con lo zolfo. Il buon cittadino sa cosa e’ il dolore. Il buon cittadino cerca di concentrarsi su quello che ha intorno, ma non deve avere paura degli oggetti. Gli oggetti sono cose inanimate, anche quelle che si muovono o che respirano. Il buon cittadino lo sa e non si spaventa di nulla, tiene in ordine le sue cose. Il Comitato aiuta il buon cittadino. Ecco alcune cose che il buon cittadino deve fare spesso durante il giorno: fissare i quadri con linee geometriche e cercare di non pensare; pulire la casa dagli insetti, ma senza ucciderli né farli scappare; fare passeggiate molto brevi e nessuna all’aperto; non girare per le scale, portano confusione, meglio i corridoi; se si è una donna e si ha l’ovulazione, buttare tutto nel salvacristi senza aprirlo; cercare di usare parole che abbiano un senso e comunque non parlare troppo; non scrivere niente mai; non leggere niente che non inizi con le parole: il Comitato ti saluta!

    Ecco, queste sono le prime norme, ricordatele sempre e leggete quelle che vengono dopo perché saranno ancora più importanti di queste. Vi lasceremo anche alcune copie del Codice, che è una cosa più tecnica. Si parla di oggetti contenuti e oggetti contenitori e del VDR, il vettore di relazione tra i primi e i secondi. È nel VDR che si sviluppa la malattia! Se non capite il fascicolo del Codice potrete chiedere aiuto al Comitato, ma ricordatevi la quarta regola, siate parsimoniosi nelle vostre richieste.

    Mi è stato chiesto se il Comitato ha bisogno di volontari. La risposta è no, ma i nomi di quelli che hanno fatto richiesta verranno catalogati accuratamente, di solito chi chiede di entrare nel Comitato ha qualcosa da nascondere, molti tra quelli che si offrono volontari sono malati e pensano di risolvere tutti i loro problemi facendo parte del Comitato. Essi non ricordavano la quarta regola! Non fate lo stesso errore.

    Mi è stato anche chiesto di terminare questo intervento con qualche aneddoto della mia vita al Comitato. Beh mi dispiace, ma non si tratta di cose che si possano raccontare. Preferisco lasciarvi leggendo le prime pagine del Codice, sono pagine molto complesse e magari potrete fare qualche domanda a me, che vi risponderò per quello che posso. Spero che vi siano utili, ascoltatemi bene:

    Il Comitato ti saluta!

    Questo breve scritto ha scopo soltanto divulgativo e non va in nessun modo considerato come sostitutivo di ordini verbali o scritti del Comitato. La parola del Comitato cambia giorno per giorno ed è bene tenersi aggiornati andando spesso dal Comitato, o chiedendo ai loro operatori di venire a domicilio: ma attenti a non abusare della nostra pazienza.

    Questo codice dà alcune norme di ordine pratico e deve essere visto come compendio alla FISIOLOGIA DEL BUON CITTADINO, fatte salve le cose surriportate. Il codice tratta in maniera più esaustiva la meccanica degli oggetti, anche se la sua parola potrebbe sembrare oscura. In caso non si comprenda, continuare comunque a leggere, magari a voce alta: il solo leggere le parole del Comitato aiuta a stare meglio, ci sono stati casi di benessere anche fisico.

    Gli oggetti: ogni oggetto nasce dalla differenza di due oggetti. Possiamo parlare di oggetto contenitore e oggetto contenuto. Non si tratta, attenzione, di una situazione di dipendenza, bensì di un vettore di relazione (da ora in poi nel testo: VDR). Il VDR cambia da oggetto ed oggetto, e non ha niente a che vedere con il terzo oggetto, l’oggetto rivelato. Quasi sempre i due oggetti, il contenente ed il contenuto, non hanno relazioni con il terzo oggetto. Il VDR trattiene i due oggetti formando il terzo, e la malattia colpisce proprio il VDR. Per questo è bene seguire le indicazioni del Comitato! È da notare che di solito il primo ed il secondo oggetto non sono malati, ma soltanto il loro VDR. Ma questa malattia colpisce ovviamente il terzo oggetto, che si sfibra liberando il primo oggetto ed il secondo oggetto. Ma il primo oggetto ed il secondo oggetto, sono oggetti primi, o anche loro sono formati da altri oggetti in coppia? Sono anch’essi oggetti composti da altri due oggetti e come tali sottoposti alla malattia del VDR. Ma il loro VDR non viene toccato finché sono contenuti nel VDR principale, non esistono malattie di VDR nidificate. O almeno non se ne sono viste. Ma un oggetto è composto solo da due oggetti? Come mai solo due? Non possono esistere oggetti composti da più di due oggetti?

    1

    Quando arrivo sul belvedere c’è già Francesco, è appoggiato alla balaustra di metallo. Una pioggia impalpabile scende sugli alberi immobili, le panchine vuote, le bandiere gialle della quarantena. Non ho paura di bagnarmi perché l’uniforme del Comitato s’inumidisce senza inzupparsi.

    È fatta di un’ottima stoffa, le uniformi del Comitato sono le migliori.

    Il belvedere è quasi vuoto, c’è un vecchio in borghese che finge di non accorgersi di me, poi si alza e se ne va, lentamente. Una coppia di ragazzi abbracciati su di una panchina restano immobili, stretti l’uno all’altro sembrano di pietra. Mi hanno sicuramente visto. Aspettano che io dia le spalle per togliersi di torno.

    Mi avvicino al mio coordinatore e mi appoggio anche io alla balaustra. Sotto di noi si stende Genova come un ventaglio, partendo dalle case della collina e poi aprendosi fino al mare. Nel mezzo riconosco l’ampio corpo irregolare della sede del comitato.

    Francesco ha la testa rivolta in alto, sta osservando il cielo. La pioggia impalpabile bagna appena quel suo viso da bambino, appoggiato su di un corpo enorme.

    Sulle prime il corpo di Francesco mette una certa tenerezza, poi vedi le mani e da come le muove capisci che con quelle dita sarebbe capace di tutto. Le mani abbandonate sulle gambe potrebbero prendere un gatto e staccargli la testa, con la stessa semplicità con cui si sventra un’aragosta per prenderne il succo.

    – Dove eri? – mi chiede continuando a fissare il cielo. La pioggia non sembra dargli fastidio.

    – Facevo educazione.

    – Ah.

    – In una scuola – e gli dico quale.

    – Capisco.

    Mi metto a guardare la struttura del Comitato, da questa parte della città non si vede la zona del mio reparto. Butto ancora un’occhiata al mio coordinatore poi mi volto verso le panchine, adesso sono deserte.

    – Non ho capito se questa è una missione – gli chiedo alla fine.

    Francesco non mi risponde, con un gesto secco si stacca dalla balaustra e mi fa cenno di seguirlo, si dirige verso la passeggiata che costeggia tutto il belvedere di Castelletto per scendere poi a valle.

    Un tempo un ascensore collegava questa zona con quella del porto, adesso è come un insetto di acciaio addormentato sul cemento. Quel tipo di cose non funzionano più.

    Il mio coordinatore cammina lentamente tenendo le mani raccolte dietro alla schiena, il viso è inespressivo. Si sta comportando come se io non ci fossi, poi all’improvviso dice che neppure lui è sicuro che si tratti di una missione.

    Le nuvole in alto sembrano lontanissime, incollate contro il cielo. Forse non sono nuvole.

    Alzando la voce recito: si parla di missione quando vi è un ordine scritto da parte dei quadri del Comitato, verificato dalla contabilità e vidimato dai responsabili di sezione. È facile riconoscere una missione! – esclamo ridendo.

    Il mio coordinatore non mi risponde. Continua a camminare e poi dice che ci sono cose che non sono facili da riconoscere. – Spesso – dice – sono proprio le cose che sembrano più familiari a nascondere dentro di sé il virus. La malattia ce lo insegna.

    Dal cielo cadono come pietre le sagome scure di uccelli che, all’ultimo, curvano in traiettorie incredibili e spariscono tra gli alberi secchi.

    Resto in silenzio aspettando che Francesco aggiunga qualcosa poi, vedendo che resta zitto e cammina, protesto. – Le missioni del comitato non nascondono la malattia. La curano.

    Francesco si ferma e sorride. Nella passeggiata non c’è nessuno, tutto è completamente deserto.

    – Hai una grande fiducia nel comitato – dice.

    – Non c’è niente fuori dal comitato.

    Francesco scuote la testa.

    – Ci sono molte cose fuori dal comitato.

    – La malattia è fuori dal comitato.

    Francesco chiude gli occhi e la sua voce si abbassa, adesso sta quasi sussurrando. – Dove finisce il comitato?

    – Cosa vuoi dire?

    Francesco riapre gli occhi. – Hanno annunciato l’interruzione della produzione delle nuove forchincastro – dice e resta immobile a fissarmi con il suo sorriso dolente.

    – Interruzione? – dico. Gli chiedo se vogliono cambiare le attuali forchincastro con un modello nuovo. Dante ha parlato di un nuovo modello.

    – No. Non vogliono più fare forchincastro.

    Un piccione si è infilato tra due ferri della balaustra ed è scomparso nel vuoto. Uno scatto improvviso.

    Come è possibile – chiedo – come pensano di poterci farci lavorare solo con le vecchie forchincastro. – Il reparto delle forchincastro è il più forte del comitato. Noi siamo la cura della malattia! Abbiamo bisogno di strumenti funzionanti!

    – Non hai capito – dice Francesco con quel sorriso ancora incollato alle labbra. – Non vogliono più usare le forchincastro. Si chiudono i reparti delle forchincastro. Niente più missioni.

    Scuoto la testa, distolgo lo sguardo e continuo a fare no-no muovendo il capo da una parte all’altra, come se non credessi a quello che Francesco mi ha appena detto, ma lui riprende a parlare. Mi chiede se so con che soldi la provincia ha fatto manutenzione alle forchincastro in questi ultimi anni. Io resto zitto.

    Francesco si passa una mano sulla faccia, la sua grossa mano attraversa tutto il volto per raccogliersi un attimo sulla bocca e poi cadere verso la pancia. – Con le sedie – mi dice alla fine, e scoppia a ridere, con le sedie ripete e mi racconta che ogni due o tre mesi lui chiede fondi per comprare centinaia di sedie per le delegazioni. – Da qualche parte dovrò far sedere quelli delle delegazioni! – esclama con amarezza e poi dice che per le sedie i fondi ci sono. – Sai quanto costa una sedia? – chiede.

    – Non ne ho idea – sospiro.

    – Molto. Una sedia costa più di quanto si possa pensare. E io ho usato i soldi di queste sedie invisibili per le forchincastro.

    – Non ti credo. Non è possibile.

    Francesco non mi risponde, riprende a camminare poi mi chiede se ho mai sentito parlare di Tarantino.

    – No.

    Il mio coordinatore si ferma, si volta a fissarmi negli occhi. Lo fa spesso, come se attraverso gli occhi potesse vedere quello che ho dentro.

    Poi torna a camminare, con le mani mi fa cenno di seguirlo. Parla lentamente scandendo bene le parole.

    – Non hai sentito parlare di Tarantino perché è meglio non parlarne. È un quadro della sede centrale, uno che conosce tutti. Da giovane era stato più realista del re, voleva misure di pulizia sempre più radicali. Poi era cambiato, si era defilato ed aveva scritto dei brevi articoli sul bollettino del Comitato in cui si rivedeva l’utilizzo delle forchincastro e si ipotizzava una battaglia preventiva alla malattia, attraverso la conoscenza e la sopportazione. I suoi articoli vertevano soprattutto sulla memoria, come fonte di raccoglimento della malattia, ma anche come sede della prevenzione. Da domani la provincia è in mano sua – termina.

    – E come mai ce lo mandano qua? – chiedo io.

    – La nostra provincia è l’unica che abbia mantenuto tutti gli ausiliari addetti alle forchincastro. Altre province sono state costrette a ridurre gli interventi, alcune sono state commissariate ed ora eseguono solo missioni sporadiche. Qualcuno si sarà accorto che ho comperato sedie per delegazioni che sono chiuse da tempo.

    – Perché lo dici a me? – lo interrompo.

    Francesco volta la testa cercando ancora di fissarmi negli occhi. – Ho bisogno di un favore – ammette alla fine. – Non posso fare tutto da solo. Dovresti infiltrarti nella resistenza – dice ridendo.

    – La resistenza?

    – Ci sono tante cose che non sai – mi confida paterno. Si guarda intorno e fa un gesto con la mano che potrebbe voler dire qualunque cosa. – All’interno del Comitato ci sono alcuni che lottano sempre, segretamente, lottano contro ogni cosa. Sono ribelli per natura. Mi avrebbero già sbranato, se non avessero molta più paura di Tarantino. – Poi resta in silenzio. Mi mette una mano sulla spalla e mi dice di stare calmo, che ha fatto in modo che in certi ambienti circolasse la voce che io sono un rinnegato. Ha detto che ho salvato uno dei rivoluzionari, che non ho eseguito un compito di una certa importanza. La sua mano è calda e pesante. Con un gesto della spalla la faccio cadere. – Perché?

    – Per fare in modo che i rivoluzionari ti mettano alla prova – dice, e mi spiega che i rivoluzionari hanno questo modo di fare, tutto a base di messaggi, di patti segreti, di prove. Sono molto coreografici.

    Rimango a fissare la grossa figura di Francesco e, dietro, la città immobile sembra una fotografia. Solo alzando gli occhi verso il cielo si riesce a non vedere l’enorme struttura del Comitato.

    – Hai infangato il mio onore – dico, senza tradire niente con la voce, è quello che penso. Non ho mai sbagliato una missione, sono sempre stato il più preciso.

    Francesco scuote la testa guardando il pezzo di asfalto che c’è tra me e lui.

    – Ti sto dando la tua missione più importante – sussurra dopo un po’.

    Mi giro attorno per vedere se siamo soli. Non c’è nessuno, solo un gatto è steso su un muretto, sembra morto.

    – Non capisco chi mi stia dando questa missione, se il Comitato o tu – chiedo.

    Francesco rimane silenzioso a fissare per terra e poi alza lo sguardo verso di me. – Credo che sia ora di mettersi contro il Comitato – mi dice. – Altrimenti – aggiunge – il Comitato verrà ucciso.

    Rido io questa volta. – E chi potrebbe mai uccidere il Comitato! – esclamo.

    Francesco non ride e dice la malattia, la malattia può uccidere il Comitato. – E io credo che Tarantino voglia fare entrare la malattia dentro al Comitato.

    – Non è possibile – dico e capisco che invece è possibile. Certe mezze frasi di Dante, certi ordini incomprensibili arrivati dalla capitale, a ripensarci tutto è possibile.

    – Il Comitato non è così cristallino come proclamiamo durante le manifestazioni. Ognuno ha uno scheletro nell’armadio – dice amaro Francesco, e mi indica un bar aperto, in lontananza.

    Nel bar prendiamo due aperitivi e gli dico che l’indomani avevo la missione con Dante, se potevo fidarmi di lui.

    – Io non mi fido di te – mi risponde soltanto, con una smorfia e mi passa un tovagliolo.

    Nel bar ci siamo solo noi e un vecchio che dorme con la fronte posata sopra al tavolo. La barista è una ragazza che conosco, una tipa dai capelli neri che si trucca sempre troppo. Asciuga i suoi bicchieri e fa finta di non vederci.

    Osservo le mani mie e del Cesco: nell’aria bianca del mattino sembrano quasi dei riflessi.

    Usciti dal bar Francesco mi dice che sicuramente i rivoluzionari mi contatteranno presto. Hanno bisogno di carne fresca, e io sono conosciuto come uno dei più insospettabili. Sono uno che fa gola.

    – Cosa dovrò fare? – e aggiungo, quando verrò contattato.

    – Dovrai dirigere le forze dei rivoluzionari contro Tarantino. Dovrai fare in modo che si muovano finalmente contro di lui.

    Mi passo una mano sulla testa. – Perché finalmente?

    Francesco alza le spalle e dice che sono anni che i rivoluzionari hanno capito il pericolo di Tarantino, ma che non hanno mai svolto azioni contro di lui.

    – Perché?

    Francesco sospira. – Non ho mai capito veramente la politica dei rivoluzionari. So che hanno un capo molto determinato, ma le loro azioni sono sempre state limitate nei risultati e del tutto inconcludenti. Onestamente spero che la tua presenza gli dia quella forza che fino ad oggi non hanno avuto. – Rimane silenzioso per un attimo poi aggiunge che una volta aveva anche scoperto uno dei loro rifugi, una casa nell’entroterra gestita da una donna, era una informazione sicura. – Avrei dovuto fare partire una missione di forchincastro, una missione di reparto intendo, sarebbe stata una delle più grosse azioni della provincia – mi racconta.

    – E poi?

    – Avrei soltanto perso degli uomini – termina. – I rivoluzionari sono sempre stati più utili che dannosi al Comitato. Sono come quei batteri che attaccano l’organismo e lo temprano invece che ucciderlo.

    Mi mette di nuovo la mano sulla spalla e mi dice di stare attento. Ci sono già altri del mio reparto che fanno parte dei rivoluzionari.

    – Altri infiltrati?

    – No, sono dei veri e propri rinnegati – mi spiega, e prima che io possa fare una qualsiasi domanda, mi dice che il Comitato è molto complesso. – Devi cercare di vedere le cose dall’alto – mi dice e toglie la mano dalla mia spalla.

    Mi sembra di cadere.

    Quando ci lasciamo Francesco resta appoggiato alla ringhiera che dà sulla struttura del Comitato. Da questa zona collinare si può vedere quasi tutto il complesso che si estende per parecchi chilometri, e più in lontananza il mare nero.

    Torno verso il basso saltando a passi pesanti sui mattoni rossi e sbrecciati di una creuza. Questo pomeriggio c’è la prova addizionale, una cosa nuova, una preparazione per l’esame dicono, arriva direttamente dalla sede centrale, Francesco non ne sa niente. – È una cosa che mi hanno imposto dall’alto – mi aveva spiegato.

    Ogni tanto mi giro indietro e lo vedo ancora intento a scrutare l’orizzonte, il mare immobile. Man mano che scendo la sua figura si fa sempre più piccola e confusa, penso che sia una cosa normale.

    Al Comitato c’è agitazione, Dante si lamenta, è seduto su una sedia attorniato dai più giovani e dice che c’è da lavorare invece che gingillarci con giochini, qua stanno perdendo tempo e ce lo fanno perdere a noi: con tutte le cose che ci sono da fare. Il viso di Dante è lungo, gli parte dalla fronte per finire sul mento, e tutta questa distanza la riempie con una serie di rughe che si accavallano le une sulle altre, come per sottolineare una grande esperienza della vita che noi tutti sappiamo non esserci. I capelli sono bagnati, li tiene sempre umidi sulla testa perché dice che ha bisogno di tenere il cervello in ordine, e il freddo porta voglia di fare, il Comitato ama le cose fredde. La barba è sempre sul punto di essere rasata, non so come faccia ad avere sempre la barba alla stessa altezza, credo che esistano dei rasoi particolari e Dante se la tiene così, perché sta molto bene con il suo sguardo annoiato, e si crede bello e infatti dice che lui fotte molto. Adesso è lì seduto che muove le mani, alza gli occhi al cielo, interrompe i discorsi degli altri per dire la sua, e alterna il tono di chi protesta a quello di chi si lagna per un fastidio che poteva essergli evitato. – Ci fanno perdere tempo! – ripete, come se avesse davvero tante cose da fare.

    – Gira voce che non si faccia in coppia – dice Nevio, e tutti sono un po’ preoccupati, di solito gli esami si fanno a coppie di due.

    Io mi siedo e li osservo, mi chiedo se sappiano del blocco della produzione delle forchincastro. È una cosa talmente enorme, è incredibile pensare al comitato senza forchincastro e infatti non ci credo. Mentre li vedo così tranquilli che parlano di questo esame, mentre chiacchierano guardando fuori dalla finestra mi dico che se sapessero davvero del blocco di produzione non sarebbero così tranquilli.

    Avrebbero già preso la loro forchincastro e la terrebbero stretta, andando in cerca di Francesco, cazzo noi delle forchincastro siamo il braccio più forte del Comitato, così urlerebbero, noi siamo il Comitato! Dante sarebbe in testa a tutti con quel suo tono dolente di chi gli ha subito un torto e deve combattere per rimettere tutto a posto. Le forchincastro sono il braccio più forte del Comitato, urlerebbe gli slogan agitando la sua forchincastro!

    E invece nessuno si alza, sono tutti nervosi per l’esamino del Comitato centrale.

    L’abolizione delle forchincastro.

    Francesco potrebbe avermi mentito per qualche suo progetto, forse per spingermi a cercare i rivoluzionari. E intanto Nevio ripete che non è in coppia, che non ha mai fatto un esame da solo.

    – Non è un esame – gli fa eco uno dei nuovi, è solo una cosa propedeutica.

    – È solo una cosa propedeutica! – esclama Dante beffardo, e da come lo dice si capisce che non sa cosa voglia dire. – Propedeutica! – aggiunge con sprezzo e manda un’occhiata maligna al ragazzo che se ne sta zitto. – Con tutto quello che cazzo abbiamo da fare! – lagna di nuovo e chiede perché quei soldi non li spendono per i mezzi, abbiamo dei mezzi che vanno a pezzi, fa anche rima.

    – Sono un poeta – esclama ridendo – i mezzi che vanno a pezzi! – e quelli intorno ridono con lui, gli fanno dei gesti: allora lui inizia a raccontare una barzelletta, lo fa sempre quando è al centro dell’attenzione, e fa la solita battuta del comico del Comitato, la battuta del dentifricio con lo spermicida, la fa tutte le volte e tutti ridono sempre. Si vede che aspettano, appena inizia la barzelletta sanno già che andrà a finire con il dentifricio con lo spermicida, continuano a guardarlo, sorridendo ed aspettando e quando arriva scoppiano a ridere, sono felici, Dante è un uomo di compagnia.

    Sta ancora lamentandosi con la sua voce nasale, quando entra una ragazza dai capelli corti, non l’abbiamo mai vista prima, sorride e ci guarda senza dire niente, poi inizia a fare l’elenco dei presenti, e dopo il cognome dice dove dobbiamo andare, in che stanza si svolge questa cosa, ogni nome una stanza diversa, ci hanno separati. Man mano che legge, tutti escono in silenzio, se ne vanno per le stanze assegnate.

    – Voi due potete restare qua – dice a me e a un ragazzo dei nuovi, hanno finito le stanze libere, useranno anche quella. – Io starò con uno di voi da questa parte, e mia sorella verrà adesso per fare la stessa cosa con l’altro, la stanza è abbastanza grande per due persone – e noi diciamo vabbene, inizio io.

    In un angolo della nostra sezione c’è un piccolo divano, di solito ci dormono quelli che fanno il servizio notturno, mentre guardano le cose del

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