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La città è morta
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E-book154 pagine2 ore

La città è morta

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Info su questo ebook

Silloge di racconti idealmente divisa in due parti: Dislocazioni e La città è morta.
I racconti della prima sezione si muovono attorno all’idea di confine, esplorano la terra di nessuno tra reale e irreale, tra vita e morte, passato e futuro. Che si tratti di un essere né vivo né morto, alla ricerca di sentimenti che non gli sono stati forniti, di un uomo cui è stata sottratta la capacità di sognare, di un chimico che ha perso ogni ancoraggio temporale, del passeggero di un treno la cui destinazione gli è ignota, la realtà di ciascuno di loro ha subito una dislocazione. I protagonisti sono stati espulsi dalla propria vita e proiettati in una esistenza fuor di sesto. Anche quando si muovono, il loro movimento è solo un’illusione, un viaggio verso una destinazione che non conoscono o in cui non credono, una passeggiata lungo le strade di una città che è allo stesso tempo se stessa e il proprio contrario.
Nella seconda sezione, le città conquistano il centro del palcoscenico; diventano immagini di una più ampia dissoluzione, lenti in cui si riflettono le metamorfosi dei loro abitanti. I passi dei protagonisti echeggiano nel silenzio di città semi-organiche afflitte da malattie terminali, tra la folla di città storiche in avanzato stato di decomposizione, nella desolazione di città in cui si muovono presenze non umane o da cui gli umani sono banditi. I personaggi dei racconti sono allo stesso tempo testimoni, vittime e artefici di un destino incommensurabilmente più grande di loro, la cui comprensione gli è negata a priori.
Universi distopici, di natura ibrida, al cui fascino, a volte venato di macabro, è impossibile sottrarsi.
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2021
ISBN9788832929010
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    Anteprima del libro

    La città è morta - Fabrizio Filippo Di

    Prima parte

    Dislocazioni

    Il progetto di Ariel*

    Una pressione tra le scapole. La sensazione di qualcosa che non dovrebbe trovarsi lì, che lotta per liberarsi.

    Prova ancora, dice l’uomo. Capelli bianchi, il volto scavato dalle rughe.

    Il dolore arriva improvviso. Lo segue un fremito, come un pensiero che preme contro la nuca, senza rivelarsi. I suoi ricordi sono labili, sono molte le cose che non conosce. Lui è un’assenza, un vuoto, un contenitore da riempire. Si guarda attorno. Riconosce ciò che ha un nome. Finestra, la superficie da cui entra la luce. Luce, il bagliore che anima di riflessi le sue ali nere.

    Ciò che deve ancora recuperare un nome gli è irraggiungibile.

    Apri le ali, ripete l’uomo.

    Con un fruscio le ali si spiegano. La polvere danza ubriaca tra le lame di luce. Gli ricorda i suoi pensieri, caotici, turbolenti, frammentari.

    Chi sei tu? chiede all’uomo di cui non conosce il nome.

    Sono tuo padre.

    Non sa cosa sia Padre. La parola evoca sensazioni contrastanti: freddo e sicurezza, forza e isolamento.

    Chi è questo?

    Quello sei tu. Ariel. Mio figlio.

    Figlio. Ancora una parola sconosciuta. La aggiunge a finestra, luce, polvere. E Padre. Il vuoto si riempie, una parola alla volta. Il mondo si ricostruisce dalle macerie.

    Ariel apre le ali. Le flette, le allarga attorno a sé. Il suo corpo si espande, come fosse il germoglio di qualcosa di più grande. Padre sorride. Gli afferra la mano, lo conduce all’esterno.

    Sopra cielo, sotto terra, attorno alberi ed erba.

    Batti le ali.

    Ariel percuote l’aria con forza. Sente il cielo chiamarlo. Gli pare che qualcosa sia pronto a uscire da lui. Poi la coscienza fugge via, il corpo diventa un guscio vuoto, Ariel cade a terra.

    Padre lo aiuta a rialzarsi. Lo accompagna in casa. Attraversano stanze, corridoi, ancora stanze. La luce è scomparsa. Ariel si chiede se si sia allontanata o se qualcuno l’abbia portata via.

    Stenditi sul letto.

    Ariel si sdraia. Le ali, raccolte dietro la schiena, gli provocano fitte di dolore. Si gira sul fianco, solleva le ginocchia contro la pancia, porta i gomiti in basso.

    Cosa fa ora Ariel?

    Adesso devi dormire.

    Come fa Ariel?

    Chiudi gli occhi e sogna.

    Ariel vorrebbe domandare cosa è sogna, ma Padre è uscito. Ariel chiude gli occhi. Dietro gli occhi tutto è nero.

    Forse quello è sogna.

    Righe oblique, righe verticali, tratti curvi. Segni ripetuti su una pagina, sulla successiva, su quella dopo ancora. Tutto gli ricorda qualcosa, ma è come se non si trattasse dei ricordi di Ariel.

    Impugnare la penna è faticoso. Gli artigli si sovrappongono e rendono difficile afferrare oggetti sottili.

    Sei bravo, dice Padre.

    Ariel sa cosa è bravo, ma non comprende come dovrebbe sentirsi quando Padre gli dice quella parola. Possibile che abbia un significato valido solo per lui?

    Padre posa un grande oggetto sul tavolo. La polvere si solleva in una nuvola.

    " Libro," dice Padre.

    " Libro," ripete Ariel.

    Padre indica i segni contenuti nel libro, parole le chiama. Le pronuncia ad alta voce, Ariel le ripete. Quando volta pagina, Ariel continua a leggere.

    Quando Ariel impara può leggerli tutti?

    Sì, Ariel. Potrai leggere tutti i libri che vuoi.

    La stanza in cui si trovano misura tre volte le ali aperte di Ariel sul lato corto, cinque volte sul lato lungo. Le pareti sono occupate da libri, ma ci sono altre cose di cui Ariel conosce il nome. Tavolo. Sedia. Mobile. Sul mobile sono disposti oggetti quadrati con piccole persone dentro.

    Ariel osserva con attenzione. Ogni cosa è nuova, il suo mondo è appena stato creato. Padre lo richiama spesso, sorride mentre lo fa.

    Quando la luce fugge, Ariel ha imparato a leggere, e a scrivere.

    C’è qualcosa dietro il collo di Ariel. Un buco, un pozzo, una porta.

    Padre afferra un cavo e lo collega a quel buco. Gli schermi si illuminano in sequenza. Quando Padre tocca la cosa chiamata tastiera, Ariel sente una parte di sé scivolare via e trasferirsi in un altro luogo.

    Vieni qui.

    Ariel si ferma alle spalle di Padre. Il cavo lo segue.

    Vedi questo?

    Padre indica uno schermo. L’immagine somiglia a quanto Ariel ha visto all’interno di una foglia raccolta nel parco. Linee che si moltiplicano e si moltiplicano ancora, diventando ogni volta più sottili.

    Questo sei tu.

    Ariel guarda l’immagine sullo schermo, poi il proprio corpo. Non è vero.

    No, Ariel. Così è come sei dentro, non fuori.

    A Ariel non è chiaro come Padre possa sapere come lui è fatto dentro. Lui stesso non sa come è fatto all’interno.

    Ho impiantato una centralina, collegata al tuo sistema nervoso. Posso accedere ai tuoi parametri vitali. Guarda.

    Ariel non riesce a concentrarsi sulle parole di Padre, il suo sguardo fugge via. Indica una cosa sulla scrivania.

    Cos’è quella?

    "Quella si chiama fotografia."

    Perché ci sono piccole persone dentro? E perché sono sempre ferme?

    Non ci sono piccole persone dentro la fotografia, Ariel. Sono immagini delle persone. Ricordi di tanto tempo fa.

    E chi sono quelle persone?

    Padre guarda Ariel in modo strano. Rimane in silenzio, i suoi occhi sono lucidi. Ariel non sa come i ricordi possano essere finiti lì dentro e non comprende perché Padre non li abbia recuperati.

    Sono mia moglie, Sonia… e mia figlia, Arianna.

    Figlia? Come Ariel?

    Sì, come Ariel.

    Dove si trovano adesso?

    Sono morte. Un incidente. In auto.

    Morte? Come le cose che stanno nel laboratorio?

    Padre lo guarda, non risponde. Ariel aspetta. Acqua scende dagli occhi di Padre.

    Sì, come le cose che stanno nel laboratorio.

    Perché esce acqua dagli occhi di Padre?

    Piccole sfere scivolano dalle palpebre di Padre, corrono veloci lungo le guance. È la prima volta che Ariel vede l’acqua uscire dagli occhi. Di solito l’acqua entra nel corpo, qualche volta esce dalla cosa che Ariel ha tra le gambe, pene l’ha chiamato Padre. Oppure dalle ferite del corpo di Ariel, ma allora è più scura e Padre ha detto che si chiama sangue.

    "Sono sentimenti."

    Sentimenti? Cosa vuol dire?

    Non ti capita mai, Ariel, di avere la sensazione che ti manchi qualcosa?

    A Ariel mancano molte cose. Molti nomi che non conosce.

    No Ariel, non sto parlando di quello. Parlo di qualcosa che ti manca dentro il petto, o che sembra fugga via senza che tu riesca a fermarla. Quelli sono i sentimenti, e nascono dal cuore.

    Padre indica il proprio petto, poi il petto di Ariel. Sul monitor compare l’immagine di una cosa grande come un pugno, che si muove a scatti. Questo è il tuo cuore.

    Quando ci sono sentimenti esce acqua dagli occhi?

    A volte, risponde Padre. Poi spegne i monitor e stacca il cavo dal collo di Ariel. Ciò che era uscito, torna dentro di lui.

    Più tardi, a letto, Ariel ascolta il cuore. Cerca di trovare i sentimenti, ma sente soltanto un rumore. Tump… Tump… Tump… Tump. Il suono si ripete, senza mai arrestarsi.

    Quello è sentimenti? Sembra proprio qualcosa che vuole fuggire da dentro di lui.

    Quindi deve essere sentimenti.

    Scegli un libro, dice Padre.

    È difficile. La stanza in cui Ariel studia è piena di libri. Biblioteca, questo è il nome.

    Ariel si guarda attorno. I suoi occhi sono strumenti precisi, vedono ogni particolare, anche il più minuscolo. A volte sembrano andare perfino oltre.

    Il libro che Ariel vede è nero, grinzoso, pesante. Quel libro lo chiama. Ariel ne sente la voce imperiosa. Si avvicina, lo afferra. Gli artigli graffiano la rilegatura in cuoio antico. Lo posa sul tavolo davanti a Padre.

    Gli occhi di Padre si aprono e si chiudono, molte volte. Non sorride.

    Leggi, dice Padre, aprendo il libro.

    "Ne… Neco. Necro… Necronomicon. Cos’è Necronomicon, Padre?"

    Necronomicon è la legge che regola i morti. È un libro molto antico, di cui gli uomini hanno paura. Ma solo perché sono ignoranti. La magia dell’uomo incolto per l’uomo saggio è scienza, la sua superstizione conoscenza. Da questo libro ho imparato come fare Ariel.

    Ariel era dentro questo libro?

    No, figlio. In queste pagine ho imparato come crearti. Qui c’era il tuo progetto. Il progetto di Ariel.

    Ariel è confuso. Non capisce molte delle cose che Padre dice. Ha la sensazione che ci siano altre cose che dovrebbe ricordare, parole non ancora pronte a uscire da dentro di lui.

    Padre gli consegna un libro. Ariel lo apre. Le pagine sono bianche. Ariel le scorre. All’interno non c’è niente che lui possa leggere.

    Perché le pagine sono vuote?

    Perché devi riempirle tu.

    Come?

    Scrivendo i tuoi pensieri, e i ricordi.

    Ariel non è sicuro di cosa voglia dire Padre. I suoi pensieri sono semplici, i ricordi esigui. Alla fine, decide che comincerà con la prima cosa che ricorda:

    Una pressione tra le scapole. La sensazione di qualcosa che non dovrebbe trovarsi lì, che lotta per liberarsi.

    Prova ancora, dice l’uomo. Capelli bianchi, il volto scavato dalle rughe.

    A Ariel non piace il laboratorio .

    Troppi oggetti si trovano al suo interno, di molti Ariel non conosce il nome, quello di altri è così complicato da non riuscire a ricordarlo.

    Stenditi.

    Ariel si stende sul lettino metallico, ma non sul fianco, come piace a lui. Padre spinge qualcosa nel suo braccio. Prova una punta di dolore che passa subito. Il fastidio delle ali contro la schiena continua tutto il tempo.

    Devi rimanere sdraiato, fino a quando la bottiglia sulla tua testa si sarà svuotata, gli dice Padre.

    La bottiglia però non è come quella che Padre poggia sul tavolo quando mangiano, questa non finisce mai. Soltanto se non la guarda per molto tempo gli pare diminuisca un poco. Forse la bottiglia si svuota solo quando Ariel non la guarda.

    Ariel attende, Padre si muove attorno a lui. Porta con sé frammenti di tessuti e li poggia sulle ferite. Il corpo di Ariel è coperto di ferite, sono sulle ali, sulla membrana che unisce le dita dei piedi e delle mani, sulla schiena. Rigetto le chiama Padre. Con il tempo guariranno, aggiunge.

    Dopo aver curato e ricucito le ferite, Padre spalma una crema, poi passa un apparecchio che emette un profondo ronzio e provoca un formicolio nel suo corpo.

    Nel laboratorio ci sono due porte in metallo. La prima è aperta. Ariel conosce la stanza che si trova al di là. È fredda. Dentro si trovano solo cose morte. Padre ha detto a Ariel i nomi di tutte le cose morte: pipistrelli, anatre, maiali, rapaci, uomini, donne.

    Mentre cura le ferite di Ariel, Padre entra nella stanza delle cose morte e ritorna con i brandelli di pelle.

    Ariel è fatto di cose morte?

    In parte, risponde Padre.

    La seconda porta è sempre chiusa. Ariel non ci è mai entrato, ma vorrebbe sapere ciò che si trova al di là.

    Cosa c’è dietro la porta?

    Padre non risponde.

    Ariel può volare.

    Volare è più bello di scrivere ed è bello quasi quanto leggere. Quando il tempo è buono, Padre lo porta nel parco davanti a casa e rimane a osservare Ariel che si solleva da terra.

    Non allontanarti, gli dice.

    Ma Ariel non ricorda tutto. Quando si alza in cielo la testa si fa leggera. Tutto ciò che vi si trova dentro scivola via e ricade a terra.

    Ariel vola in alto, sempre più in alto. Lassù tutto si fa piccolo. La casa si riduce alle dimensioni

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