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Blu è il colore del tempo
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E-book317 pagine3 ore

Blu è il colore del tempo

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Fantascienza - romanzo (214 pagine) - Il seguito di “Errore di prospettiva” e “Irene” dall'autore vincitore del Premio Odissea. Un'avventura alla scoperta di straordinarie civiltà aliene per capire cosa vuol dire essere umani.


Tornano Roberto, Yang, Joseph e gli altri dell'equipaggio di esploratori spaziali che abbiamo conosciuto nel romanzo Errore di prospettiva. Ma questa volta la loro missione non è alla ricerca di materie prime per l'industria terrestre, ma – grazie a un ricco finanziatore – la ricerca di altre civiltà galattiche. Che non mancheranno di presentarsi ma, come già accaduto nel primo romanzo, il loro essere aliene costituirà un ostacolo non indifferente alla reciproca comprensione. Sarà l'arrivo inaspettato di un'altra forma di intelligenza a offrire l'aiuto necessario a superare barriere inaccessibili per gli esseri umani.

Da Nino Martino, autore del bestseller Errore di prospettiva e vincitore del Premio Odissea con Irene, un nuovo sguardo affascinato sul mistero della vita nell'universo.


Nino Martino è cresciuto a Genova, dove si è laureato in Fisica. Docente di matematica e fisica, ha vissuto e lavorato a Milano, Lipari e Cagliari. Negli anni Sessanta ha pubblicato racconti di fantascienza sulle riviste Oltre il cielo, Galaxy e Galassia; ha poi co-fondato e co-diretto due riviste: Il Gioco della materia e delle idee per il dipartimento di Fisica di Genova e Asterischi di Fisica a Cagliari. Ha pubblicato il saggio Educazione scientifica e curricolo verticale (2015) e dirige il sito La Natura delle Cose, dove pubblica i suoi lavori assieme a un gruppo di scienziati, filosofi e critici letterari. Attualmente in pensione, continua la sua attività di formatore per insegnanti ed è tornato a dedicarsi alla sua grande passione: la fantascienza. Nel 2017 ha pubblicato con Delos Digital il romanzo Errore di prospettiva, finalista al Premio Odissea, che poi ha vinto tre anni dopo col romanzo Irene.

LinguaItaliano
Data di uscita26 ott 2021
ISBN9788825417579
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    Blu è il colore del tempo - Nino Martino

    Parte I

    Un pianeta caldo

    1. Nuova avventura

    Eravamo di nuovo nello spazio. Non avevamo idea di cosa ci attendesse, ma sapevamo cosa avevamo alle spalle. Nel male e nel bene.

    Sulla Terra, al ritorno dalla spedizione su Mango III, nel momento della grande festa, eravamo stati molto felici e molto uniti. Ambrah era stata la grande regina del carnevale di Rio. Avevamo danzato ai lati delle strade, avevamo riso, avevamo mangiato all'aperto. Ci eravamo sentiti ancora una volta una squadra, la terza squadra, quella che aveva scoperto la nuova forma di vita, il popolo rosa su Mango III. Quella che aveva preso contatto con una struttura aliena e blu che aveva apparentemente il compito di osservare il popolo rosa.

    Eravamo stati felici, ma in quel momento non potevamo ancora sapere che la Terra avrebbe invaso Mango III per sfruttare i giacimenti di cererite, di cui si nutriva il popolo rosa. Non potevamo intuire, in quella grande gioia, che la nostra scoperta avrebbe portato alla distruzione della prima vera vita aliena incontrata.

    Avevamo camminato, allora, nel carnevale, stretti uno all'altro ai lati della grande sfilata, seguendo il carro alieno con la nostra Ambrah brasiliana, che danzava raggiante e non sapevamo. Non sapevamo ancora nulla.

    – Pensa che ci furono diversi stupidi che scrissero tempo fa che il carnevale di Rio sarebbe sparito, che la società del futuro non avrebbe conservato la tradizione del carnevale – mi aveva sussurrato nell'orecchio Yang, stretta al mio fianco nella folla.

    – E che i ristorantini italiani non ci sarebbero più stati, sostituiti da pillole sintetiche e carne d'erba…

    – Stupidi. Altrimenti come avresti potuto invitarmi in quella trattoria italiana? Ogni cosa ha il suo destino.

    – Non è bella? – mi aveva gridato a sua volta in un orecchio Carlo indicando Ambrah – eh, non è una vera regina?

    Avevamo camminato quasi danzando, Yang, Carlo, Joseph e io, e Ambrah dal carro ogni tanto ci aveva lanciato fiori e occhiate maliziose.

    Sì. Eravamo stati molto uniti e molto felici. La ricerca, l'avventura e l'amore erano la nostra vita. L'avventura dell'esplorazione spaziale e della continua scoperta di cose sconosciute e altre da noi. Avrebbero detto, poi, che eravamo dei sognatori, che la società sfrutta i sognatori e li mette poi in disparte. Può essere stato così.

    Come può essere che il magnate plurimiliardario che aveva finanziato la nostra esplorazione attuale non sia stato mosso da puri ideali, ma dalla ricaduta d'immagine, da un'operazione di marketing sulle sue società.

    Ma ora grazie a lui eravamo di nuovo nello spazio, sulle tracce di altre vite. Era questo lo scopo della nostra nuova missione. Dopo Mango III avevamo dato le dimissioni dall'esplorazione governativa. Non volevamo più andare in giro nello spazio a cercare risorse minerarie.

    La squadra ora era di nuovo riunita. Un'altra avventura era cominciata. L'amarezza rimaneva. I dubbi rimanevano. Ma la nostra vita ci si apriva davanti, incerta e bella nella sua incertezza. Tutto era ancora da scrivere. Tutto era possibile. E forse non avremmo più ripetuto gli stessi errori. Ne avremmo fatti altri, ma non gli stessi. Così pare che giri la vita.

    Yang era al mio fianco, eravamo strettamente allacciati nel piccolo letto e sentivo il suo calore fondersi con il mio.

    La nostra cabina era spaziosa, priva di oggetti come sempre, salvo il quadro con la grande onda di Hokusai e la foto di Yang sotto un albero di tè dello Yunnan.

    – So cosa stai pensando.

    E mi poggiò la testa nell'incavo della spalla e i suoi lunghi capelli neri e lisci erano seta tra le mie mani.

    – Eravamo così contenti, al carnevale di Rio – mormorai – prima che tutto precipitasse.

    – Lo siamo ancora. Quelli sono i momenti che abbiamo vissuto. Chi ce li può rubare?

    – Nessuno ci può rubare l'albero del tè dello Yunnan sotto al quale ci siamo sdraiati a guardare le stelle.

    – No.

    – Però…

    – Però Mango III non doveva finire così.

    – E adesso siamo di nuovo qui.

    – Ma senza più scopi commerciali di ricerca di cererite o altro, solo ricerca pura. Pensa positivo. Ci siamo liberati dell'aspetto commerciale. Siamo fuori dei loro giochi.

    – Ma Max Eld…

    – È quello che è. Ci ha finanziato lussuosamente e avrà il suo tornaconto nella ricaduta d'immagine. Magari venderà meglio i suoi prodotti. Ma non credo che ci metterà i bastoni tra le ruote, la missione dichiarata è la ricerca della vita e delle altre specie.

    – Tu pensi che sia, sarà, veramente così?

    – Ha messo su una bella squadra anche a Terra. I migliori linguisti e astrobiologi.

    Già, per studiare e cercare di decifrare i famosi messaggi registrati del poliedro che ci aveva lasciato la struttura blu. Quell'altra forma di vita trovata su Mango III, aliena, come noi. Gli osservatori. La loro lingua, fatta con i colori e con le posizioni spaziali in una nuvola, era incomprensibile, ma ci avevano fornito una sorta di stele di Rosetta. Nelle registrazioni che avevamo fatto c'erano diverse forme di vita aliena, astronavi di forme inusitate o quello che sembravano navi spaziali. Il poliedro era andato distrutto, per il gesto folle di un militante di Veri Umani Uniti. I Veri Umani Uniti temevano molto il confronto con altre razze e civiltà aliene che avrebbe levato alla specie umana il posto privilegiato nell'Universo. No, era certo, non eravamo più soli. E questo creava problemi a molti.

    Sapevo che la squadra collegata a noi sulla Terra stava lavorando per decifrare la stele di Rosetta. Una nuova disciplina, l'esolinguistica, era ai primi passi. Ambrah e Carlo erano in stretto contatto con ciascuno dei componenti e ci aggiornavano continuamente.

    La nostra nave a bolla era spaziosa, moderna. Le cabine erano grandi, la sala plancia era fornita di una IA di ultima generazione. Una grande novità. E la nostra destinazione era …

    La porta della nostra cabina emise uno squillo dolce, modulato.

    – Sì? – e Yang e io ci sciogliemmo a malincuore dal nostro abbraccio.

    Entrò Carlo.

    – Stiamo per emergere dalla bolla. Siamo arrivati. Pensavamo che voleste vedere.

    Tutti in plancia, ora, per il grande momento. Ambrah come sempre collegata alle comunicazioni. Joseph, felice come non mai, collegato alla nuova IA e ai flussi di dati. Lo guardai con grande affetto, nella sua apparente demenza. Joseph soffriva di un grave disturbo simil-autistico che però lo rendeva preziosissimo per analizzare il grande flusso di dati. Selezionava basi di dati che passava a Carlo per l'interpretazione finale. Anche se ora c'era una IA a bordo, che prima non avevamo, la funzione di Joseph era rimasta inalterata e lavorava in perfetta simbiosi con la IA, come noi non avremmo mai potuto fare. A ognuno il suo destino.

    Emergemmo dalla nostra bolla con un lieve capogiro. E il sole giallo-verde era lì e noi eravamo vicini al secondo pianeta, che ci apparve rossastro nei visori.

    Yang guardò il flusso di dati passati da Joseph a Carlo sugli schermi: – Quello sarebbe il primo pianeta nel database del poliedro? Quello associato all'astronave che sembrava un grillo cresciuto?

    Ambrah si voltò scrollando i suoi capelli ricci.

    – Sorpresa?

    – Non c'è acqua, vedo dai dati, né altri liquidi sostituivi.

    – Ma è deliziosamente caldo. – Carlo non aveva mai amato troppo i pianeti freddi, quelli su cui era possibile trovare la cererite.

    – Vedo – dissi io – nella fascia equatoriale la temperatura è di 30° centigradi. E ai poli 10°C.

    – Niente metano liquido – sussurrò Joseph estatico – niente metano liquido.

    Mango III era stato invece un pianeta ghiacciato. Distese di metano liquido, nuvole di metano e metano idrato. E il popolo rosa, un insieme di entità pluricellulari, senza corpo, senza particolari forme, sfruttava la preziosa (per noi) cererite, con uno strano metabolismo. E cantava nello spettro elettromagnetico al sorgere della notte.

    – Sembra un deserto – indicò Carlo.

    Monti rossi senza picchi aguzzi ma dolcemente arrotondati, vallate spoglie cosparse di piccoli sassi. Pianure aride. I sensori rivelavano vento in superficie. Vento abbastanza forte. Nuvole di polvere rossastra si levavano a tratti. L'atmosfera era ricca di azoto e anidride carbonica, poche tracce di ossigeno. E c'era un forte campo magnetico. Dal flusso di dati sembrava proprio un deserto.

    Deserto rosso – annuii.

    Yang mi diede un buffetto sulla guancia.

    – Tu e i tuoi amori per gli archivi di film di trecento anni fa…

    – Ma quello che non capisco è perché le indicazioni del poliedro ci abbiano portato qui – continuai. – C'era l'immagine di quella strana astronave, collegata ai simboli del pianeta. Quindi avrebbe dovuto esserci una specie evoluta al punto di arrivare al volo spaziale.

    – Errore di interpretazione da parte nostra? – chiese Carlo.

    – Non credo, era uno dei pochi messaggi apparentemente chiari – affermò Ambrah e scrollò nuovamente la testa. Ora non era più la regina del carnevale, vestita di sole piume rosa e azzurre, e la sua pelle ambrata e morbidamente lucida era nascosta sotto alla tuta d'ordinanza.

    – In attesa di ordini – emerse dal nulla la voce della IA di bordo. Il suo timbro era complesso, femminile o forse no.

    Ci guardammo. Alzai le spalle.

    – Portaci giù. Atterriamo.

    L'atterraggio fu delicato. Come una piuma. Le IA di nuova generazione sapevano il fatto loro. Una nuvola di polvere si sollevò e ricadde lentamente. La gravità era di un terzo inferiore a quella terrestre. Mi sentivo leggero e mi scordai l'amarezza di prima.

    Un'altra avventura stava per iniziare.

    2. Deserto rosso

    Carlo mandò in esplorazione un nugolo di droni. L'atmosfera era sottile ma i droni riuscivano comunque a volare. Ambrah curava la rete di comunicazione con i droni e passava il flusso di dati alla IA e a Joseph e poi la selezione delle basi dati significative arrivava a Carlo attraverso di lui.

    Carlo fece un gesto strano con la mano.

    – È veramente un deserto.

    Mostrò gli ologrammi dei dati, filtrati, e anche alcune immagini. Polvere rossastra, turbini di vento creati dallo scompenso tra giorno e notte su un pianeta privo di liquidi. Senz’acqua o qualche altro tipo di liquido il terreno si scaldava velocemente e la notte si raffreddava molto. Il vento era una costante, dalla zona fredda alla zona calda, con le giravolte dovute alla rotazione del pianeta. Se non ci fosse stato il vento il pianeta di giorno sarebbe stato un forno.

    Ambrah indicò un’immagine olografica.

    – Una volta dovevano esserci mari o corsi d'acqua. Guardate le tracce.

    – Sembra simile, in peggio, al nostro Marte – disse Yang.

    – È possibile sbarcare a terra?

    Carlo osservò una serie di basi di dati.

    – Certo. Leggera atmosfera, non velenosa e non aggressiva. Forte campo magnetico e quindi assenza di bombardamento di particelle d'alta energia da parte del sole e dallo spazio. Sì, potremmo scendere a sgranchirci le gambe. Ma non ci sono pareti da climbing. Non ne vedo da nessuna parte.

    Carlo ci aveva mostrato, in quello che era una volta il Brasile, la sua passione di scalatore a mani nude, antica arte sempre in voga. Lui era alto, asciutto, con barbetta a pizzo curata, capelli ricci come quelli di Ambrah.

    – Ma dai – Ambrah gli lanciò un'occhiata morbida – come fai a pensare al climbing anche qua?

    – Beh …

    Yang osservò scorrere i flussi di dati. Lo Yunnan e l'albero del tè di sua madre erano lontani, anni luce lontani. Lei era ormai la più quotata astrobiologa.

    – Non c'è niente che potrebbe essere scambiato per una qualsiasi forma di vita, qualunque sia la definizione che volessimo darne.

    – La polvere rossa – scherzai. – La polvere rossa si muove e quindi è vita.

    Yang increspò una guancia in quello che è il suo tipico sorriso.

    – Non riesci mai ad essere serio, vero?

    – Mi sa che il primo pianeta si stia rivelando un nulla di fatto. Eppure l’immagine del poliedro, l'astronave-grillo, come l'ha definita Ambrah…

    – Il deserto è caldo. Il tempo è passato e il deserto è caldo – mormorò Joseph.

    Sorse apparentemente dal nulla la voce dallo strano timbro della nostra IA e istintivamente sobbalzai, non ne avevamo ancora l'abitudine.

    – Joseph vuol dire che forse le immagini del poliedro si riferiscono a un altro tempo.

    – Non credo sia possibile – disse Carlo. – Non c'è alcuna traccia di una civiltà a livello di macchine, a livello di volo spaziale. Dove sarebbero finiti tutti? Ci vorrebbero milioni di anni per …

    La voce della IA affermò paziente: – Il pianeta nella mappa è questo. Non appaiono probabili altre spiegazioni.

    – Senti – incominciai e poi mi fermai. – Aspetta, hai un nome? Come ti possiamo chiamare quando ci rivolgiamo a te?

    – Io sono Sitran. Il mio nome è Sitran.

    Ambrah si fece curiosa: – Chi ti ha dato questo nome? Che significa?

    – Sitran è un nome curdo e i curdi erano un'antica popolazione. Significa Canzone nella loro lingua.

    – Ma chi te l'ha dato? Te lo sei scelta tu?

    – Me l'ha dato Joseph.

    Guardammo Joseph sbalorditi. E Joseph ridacchiò raggiante.

    – L’ho scelto perché è una canzone. È una canzone continua. I dati sono canzoni.

    A noi piaceva che Joseph fosse così. Sembrava un po' folle, ma avevamo imparato a conoscerlo bene. Nell'altra missione, quella su Mango III, ci aveva salvato la vita. Le cose che diceva avevano sempre un senso, anche se sul momento spesso ci sfuggiva.

    – Sitran – chiedo – quanta area hai coperto del pianeta?

    – Circa un terzo.

    – Puoi andare a scandagliare sotto la superficie?

    – Lo sto facendo in questo momento. Posso avere un'iniziativa autonoma? Non vi dispiace?

    – Certo, fai pure.

    – Sto mandando dei droni con sonde radar e soniche. Li sto facendo atterrare in punti diversi per ottenere triangolazioni in profondità. Ci vuole tempo.

    – E se intanto ci sgranchissimo le gambe? – insistette Carlo.

    – Sitran, puoi allestire tute apposta per una nostra esplorazione a terra?

    – Sono già pronte. L'avevo previsto. Era probabile che voleste fare una cosa del genere.

    Carlo mi guardò.

    – Va bene, Carlo, puoi scendere ma non da solo.

    – Non volevo scendere da solo.

    Ambrah si alzò e si stirò.

    – Ne approfitterò per comporre una musica per il deserto rosso…

    Ambrah era anche una compositrice di musica. La sua capacità di comporre musica meravigliosa era collegata alla sua struttura cerebrale, unica. Infatti solo lei era in grado di tenere contemporaneamente aperti i canali di comunicazione con la rete su Terra. I flussi di comunicazione farebbero uscire di testa chiunque di noi. Non è come seguire semplicemente un solo canale. Il problema è averli presenti tutti insieme.

    – Ok, ma fate i bravi. Non allontanatevi troppo…

    Mi risero in faccia e si avviarono alla camera di uscita.

    Li vedemmo scendere e poggiare i piedi sul suolo rossastro, coperto da una ragnatela di rughe.

    Ambrah si voltò verso i visori della nave e fece un gesto: tutto andava bene. Carlo spiccò un balzo.

    – Fare climbing qui sarebbe facile facile. Troppo facile.

    Camminavano e si sollevava polvere. Ambrah si chinò e ne prese un pugno e la fece scivolare fra le dita. Poi ne raccolse una manciata.

    – La metto in un campione? I droni ne hanno raccolta?

    – I droni atterrati stanno facendo anche questo – ci informò Sitran. – Procederò ad analizzarla in laboratorio seguendo i protocolli standard.

    Ambrah aprì le dita e una cascata di polvere si formò, più lenta che sulla Terra. Nel sole radente alcuni granelli luccicarono brevemente.

    Intervenne ancora Sitran: – Rientrate, si avvicina una leggera tempesta di polvere. La sabbia potrebbe avere un effetto abrasivo.

    Vedemmo Carlo fare spallucce. Prese per mano Ambrah e insieme ritornarono a bordo.

    – Niente di che – disse Carlo. – Un mondo di polvere. E niente possibilità di arrampicate.

    – E comunque ho composto una musica – e Ambrah fece risuonare la sua musica collegandosi alla strumentazione della nave.

    Yang corrugò la fronte: – È di una profonda malinconia.

    – Mi è venuta così.

    Cessarono le ultime note. Ambrah aveva un suo modo di interpretare la vita e il mondo. Coglieva sempre nel segno.

    Si era alzato il vento e la nostra nave venne avvolta da nuvole di polvere rossa. Il sole già alto sparì alla vista.

    Ma Joseph si agitò improvvisamente.

    – Carlo, Carlo…

    Carlo si collegò e prese le nuove basi di dati che gli dava Joseph. E ce le mostrò, come al solito, sugli schermi olografici.

    – Ci sono delle caverne nel sottosuolo – intervenne anche Sitran – e alcune sono artificiali, con la presenza di metalli.

    3. Un'estinzione di massa

    Avevamo imparato a non comunicare subito sulla Terra quello che scoprivamo nelle nostre esplorazioni. La Terra era ormai tecnologicamente molto avanzata. La rete era pervasiva. Migliaia di canali fiorivano e morivano magari nell'arco di un mese, di una settimana. La scienza ci aveva portato quassù e il livello di specializzazione in ogni campo era altissimo.

    Eppure, come pare accada sempre, accanto allo sviluppo scientifico fiorivano sette e gruppi di opinioni che si opponevano a vario titolo e in varia misura. Il motivo era sempre lo stesso: catturare un certo numero di persone con argomenti anti-scientifici, oppure pseudo-scientifici, per creare strutture di potere, per arricchirsi alle spalle degli ingenui. La scienza è difficile, bisogna studiare, capire, ragionare. I luoghi comuni, le parole d'ordine, le stupidaggini sono sempre molto riposanti. Non turbano, non destabilizzano. E all'interno di una setta c'è la risposta a ogni cosa, ogni cosa ha la sua spiegazione. Non come per la scienza, così aperta, sempre in costruzione, destabilizzante.

    Ambrah chiuse diversi canali e lasciò aperti solo quelli verso l'équipe rimasta sulla Terra, nell'organizzazione voluta da Max Eld.

    Rosealba, l'astrobiologa che affiancava Yang, e i due esolinguisti, Agueda e Adelino, erano stati allertati e ci seguivano in tempo quasi reale. Cosa avremmo trovato?

    – Abbiamo una mappa completa – disse Sitran. La sua voce morbida e un po’ asessuata pervase la sala di comando.

    – Mostrala – dissi.

    Apparvero a mezz'aria diverse immagini tridimensionali. C'erano cunicoli, caverne sicuramente artificiali ingombre di oggetti incomprensibili.

    – Immagini confuse – intervenne Yang.

    – La risoluzione non può essere migliore. Nessun movimento o attività – aggiunse Sitran.

    Il vento spazzava la pianura davanti a noi. Nuvole rosse si alzavano e turbinavano. I nostri droni andavano avanti e indietro.

    – Organizziamo una squadra e andiamo a vedere.

    – Il rover è già pronto – comunicò Sitran.

    – Efficiente.

    – Grazie. Non posso che esserlo.

    Era strano avere a bordo un'intelligenza artificiale. Non ci eravamo abituati. Certo, la rete di computer, la potenza di calcolo, tutto ciò per noi era normale da tempo. Ma una IA era una cosa molto differente. Sembrava viva. Sapevamo che da qualche parte nella nave c'era tutto l'hardware che la supportava, ma ci impressionava la sua quasi-presenza.

    Uscimmo in tre: Yang, Joseph e io. Fermammo il rover in prossimità della posizione presunta delle caverne sotterranee e scendemmo.

    Le nostre tute erano leggere e camminare non era faticoso. Yang era assorta. La vedevo pensosa, dietro il suo casco, con le sopracciglia stranamente aggrottate. Camminava al mio fianco e guardava il deserto rosso che avevamo davanti. Joseph sembrava felice, quasi saltellava ed era in collegamento diretto con Sitran e attraverso lei con Carlo, pronto a registrare le basi di dati significative.

    Arrivammo al punto indicato dai droni, ma niente era diverso, nella pianura riarsa. Ciottoli, polvere rossa che si alzava in refoli di vento improvviso. Non c'era niente che potesse sembrare un'apertura, una porta.

    – Sono passati secoli, magari millenni – sussurrò Yang.

    Nei nostri caschi risuonò la voce di Carlo.

    – Siete sul punto in cui i droni hanno rilevato un affioramento. Sotto ci sono le caverne.

    – La canzone dei dati è più forte – sussurrò a sua volta Joseph.

    – Tutto è rosso – continuò – tutto è rosso.

    – Sto modificando il rover per scavare – annunciò Sitran. E arrivarono altri droni.

    Osservammo per più di un'ora il rover e i droni lavorare, spostando delicatamente cumuli di sabbia e terriccio. Il sole era alto nel cielo. Talvolta il vento rinforzava per poi improvvisamente cadere.

    – Sento

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