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ES’Eker-et e la favola che non c’era
ES’Eker-et e la favola che non c’era
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E-book319 pagine4 ore

ES’Eker-et e la favola che non c’era

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Info su questo ebook

“ES’Eker-et, la favola che non c’era vuole rappresentare il viaggio di un’anima attraverso lo spazio e il tempo, dalle origini sulla lontana Orione, sino al momento in cui si compie il suo destino. Attraverso svariate avventure e vicende apprenderà lezioni spirituali che trasmetterà al lettore poco alla volta conducendolo alla scoperta di affascinanti meccanismi. Una “favola” dove a contare non è l’accuratezza storica, ma l’intensità delle emozioni e degli insegnamenti trasmessi, una “favola” che vuole contribuire a costruire un futuro migliore per l’umanità.”


Tiziana Crivelli è nata e risiede a Roma, da molti anni è un’operatrice olistica ayurveda e si occupa di benessere. Gli studi sulle energie sottili l’hanno avvicinata al “mondo invisibile”, si occupa di: radioestesia, radionica, cristallogia, reiky, sogni lucidi. Ama scrivere ed è autrice del personaggio dal nome Es’Eker-et attraverso il quale descrive il mondo esoterico. 
LinguaItaliano
Data di uscita7 set 2022
ISBN9788830671522
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    Anteprima del libro

    ES’Eker-et e la favola che non c’era - Tiziana Crivelli

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Premessa

    Questa storia è ispirata alla teoria di alcuni archeologi e astrobiologi secondo cui la terra, nei tempi biblici, fu abitata da esseri umani, umanoidi ed extraterrestri e che la vita umana, al suo esordio, era rappresentata inizialmente da un corpo non denso composto soprattutto da una massa eterica che si distribuiva nello spazio delineando una figura umana che si aggirava sul pianeta alla ricerca della sua evoluzione, fortemente in contatto con la parte cosmica della sua origine, poiché questo rientrava nella sua natura: aveva quindi il dialogo con il proprio sé superiore e con tutto l’universo.

    Con il passare dei secoli, la razza umana si definì nella parte densa sviluppando un corpo fisico e, nella convivenza con altri esseri venuti dallo spazio, mescolò il suo dna con razze aliene, sia di feroci conquistatori che di esseri pacifici. Insieme agli eventi che si alternarono durante i millenni, tra guerre per il predominio e cataclismi naturali, si succedettero le civiltà e di pari passo si modificarono le coscienze. Ci fu un tempo in cui la pace fu possibile e gli abitatori del pianeta godettero delle sue bellezze in armonia e condivisione, mantenendo sempre un collegamento con una parte superiore celeste e che durò (esclusi pochi eletti) fino all’Alto Medioevo.

    Da quel momento in poi la maggior parte dell’umanità cambiò ed entrò in una specie di sonno forzato che azzerò le antiche memorie e questo per una ragione ben precisa: la luce che era in guerra con l’ombra decise che durante le ore di sonno le coscienze, in modo inconsapevole, avrebbero rallentato il loro corso e nutrito nel tempo il desiderio del risveglio e del ritorno all’origine divina, con il progetto dell’amore e della condivisione.

    La data stabilita del nuovo risveglio fu concordata nel XXI° secolo. Da quel momento in poi tutto il genere umano avrebbe avuto il compito di portare la propria specie e il pianeta terra verrso un presente e un futuro migliore. Se non lo farà, si estinguerà.

    Questa è la storia, in chiave esoterica, degli esordi del mondo e delle nostre responsabilità attuali. Una favola che non c’era.

    PARTE PRIMA

    Mi chiamo ES’EKER-ET, e la mia storia ha avuto inizio nella costellazione di Orione, intorno alle magiche particelle colorate della sua nebulosa.

    La mia vita e quella della mia specie era caratterizzata da viaggi mentali: il nostro logos partecipava all’unione e al bene comune. I nostri corpi erano inizialmente gassosi, non delineati dal corpo denso che avremmo conosciuto soltanto dopo, dopo lunghi anni di trasferimenti astrali, da un pianeta all’altro.

    Nei ventimila anni trascorsi tra le sfere di Orion ci accorgemmo di una nuova energia, un forte magnetismo caricava il nostro corpo sottile di una strana vibrazione che ci trascinava via, attraendoci in un vortice irrefrenabile che ci spingeva giù, verso il basso…

    Fu così che iniziò la nostra discesa. Seguimmo la corrente nel buio totale, in un moto che si fece prima suono e poi divenne luce,una luce abbagliante. Nel nostro cercare vorticosamente una linea di viaggio che non trovavamo, ci imbattemmo, nostro malgrado, di nuovo nelle tenebre. Quando la luce finalmente tornò divenne ancora più intensa, poi si fece colore, meravigliose vibrazioni distinte nel numero di sette: il rosso, l’arancio, il giallo, il verde, il blu, l’indaco e il viola.

    Fantastiche percezioni garantivano la nostra presenza, il suono, l’aria, il solido, il gassoso. I nostri movimenti circolari ed ellittici , che dapprima erano traiettorie senza meta, divennero sempre più sicuri, fino a definire un quadro completo: lo spazio e il tempo si erano incontrati e noi eravamo atterrati sul pianeta chiamato Terra. Un posto bellissimo, diverso dalla nostra vasta esperienza di conoscenze, che permeava la nostra energia donandoci in cambio qualcosa a cui non eravamo molto abituati e che soltanto con il tempo avremmo capito cosa fosse: l’appartenenza, l’attaccamento, la permanenza, l’attrazione.

    I nostri corpi gassosi divennero a poco a poco sempre meno sottili: da auree luminose di varie forme geometriche quali erano, si trasformarono, assumendo nel nostro nucleo centrale un corpo sempre più marcato e impresso nella materia. La sensazione di definito e denso si espandeva intorno al corpo intelligente: la nostra vita era materia e coscienza.

    Lo scheletro si andava definendo e dalla sua bianca luce, custodita nel midollo osseo (nostra primaria fonte di vita), si staccavano le particelle diamantine per muoversi a piccoli gruppi e dividersi in compiti diversi, funzionali al nuovo corpo e alla sopravvivenza sul pianeta.

    Le nostre figure prendevano forma e occupavano spazio, acquistando altezza e dimensione: dapprima evanescenti, quasi trasparenti, diventarono con il tempo sempre più nitide. Le forme assunsero più o meno l’aspetto che abbiamo oggi: eravamo abitatori del pianeta Terra e ci trasformavamo, volutamente, per vivere su di esso in pace e saggezza, in amore e verità, nella bontà e nella bellezza.

    Eravamo menti illuminate, trasportavamo dallo spazio tutte le nostre conoscenze, che fino ad allora non avevano avuto bisogno di un cervello materia: la nostra coscienza di esistere era connessa alla fonte di vita. Su questo pianeta ci fu il cambiamento.

    E fu così che si formò il nostro corpo denso.

    Gli elementi si suddivisero e collaborando tra loro trovarono nuovi percorsi: come in una danza divina si divisero, si aggregarono, si unirono. I liquidi formarono il sangue per nutrire e ossigenare i nostri organi e i tessuti, formarono poi i nostri umori, le nostre morbidezze, il nostro muco. Il gas aiutava ad aggregare e a dividere le particelle con forza o con delicatezza; l’aria, aiutata dal fuoco, ne determinava il colore, e l’acqua, aiutata dalla terra, la giusta compattezza.

    Il fuoco e l’aria crearono la corrente per collegare il nostro cervello al corpo: attraverso le diramazioni nervose connetteva tutti gli arti, stabilendone il contatto interno-esterno.

    Arrivarono così per noi i sensi. Noi, che eravamo stati nell’ universo coscienza pura, scoprimmo sulla Terra, attraverso il nuovo corpo, i sensi: la vista, per mezzo degli occhi, la cui iride fu colorata di un azzurro intenso come il cielo per ricordare il fuoco della stella principe, il sole; l’olfatto, con il naso, per respirare e sentire l’umore e l’odore della terra; il gusto, con la bocca, per avvertire il senso di fame e di sete, per parlare, respirare, mangiare e per stare in contatto con la luna e le sue maree; l’udito, per mezzo delle orecchie, per avvertire le onde del suono e per restare in sintonia con il resto dell’universo; il tatto, tramite la pelle, un magico mezzo per avvertire le sensazioni dell’aria che attraversa il corpo, per sentire il caldo e il freddo e, ancor prima, la tenerezza, attraverso la condivisione del tocco, dell’unione con gli altri, le mani, il calore che emanano i corpi…

    La gravità terrestre ci piaceva molto: al nostro arrivo muovere i piedi sulla terra senza volare nell’aria era una cosa straordinaria, avvertire la pesantezza del corpo, la forza che esercitava la terra su di noi e il nostro equilibrio era veramente eccitante!

    Ci abituammo subito al cambiamento e Tutti noi eravamo contenti di avere fatto un’ottima evoluzione e di aver scelto il pianeta Terra e di esserne, quasi sicuramente, i primi abitatori non terrestri. O almeno così credevamo all’inizio …

    IL NOSTRO VILLAGGIO, LA NOSTRA VITA

    Col passare degli anni costruimmo un grande villaggio: ci aiutavamo l’un l’altro e costruimmo case e strade, coltivammo la terra, organizzammo magazzini per gli alimenti e per le conce, luoghi per il culto e l’ educazione.

    Ognuno aveva un compito preciso, ma tutti sapevano fare tutto.

    Il villaggio era costituito da case di legno semicircolari al cui interno c’erano ampie camere con pochi mobili necessari.

    Le cucine erano molto luminose ed erano la parte centrale della casa dove ciascuna famiglia si riuniva per fare i due pasti principali. Bevevamo acqua fresca di sorgente e spremute di frutti dolci e succosi, nettare del cielo, un denso liquido ottenuto dalla spremitura a caldo di resina e fiori di manna, dal gusto dolcissimo e dal potere rigenerante.

    Non avevamo molti cibi cotti, se non alcune minestre d’inverno, ci nutrivamo con le radici e le verdure della terra, coi frutti degli alberi, i legumi e alcuni cereali che crescevano in particolari periodi dell’anno, come l’albero di Orione: un’alta pianta dai forti poteri energetici i cui semi venivano essiccati, macinati e impastati con l’acqua diventando, una volta cotti sotto le pietre, buonissimi panetti dalle forme piatte e circolari. Accettavamo il latte dalle mucche, dalle pecore, dalle caprette, dagli asini, ma non mangiavamo la loro carne, tantomeno il pesce o i molluschi: eravamo amici di tutti, anche degli insetti. I nostri avi sapevano parlare agli animali: c’erano dei particolari versi per ciascun tipo di bestia con cui era possibile stabilire un contatto e un equilibrio utile alla convivenza.

    Le camere da letto erano semplici e ariose: al loro centro c’era il nostro letto, una specie di amaca dove ci riposavamo e lasciavamo vivere le nostre fantasie. Ognuno di noi aveva queste doti sin dalla nascita e con l’esperienza si raffinavano diventando a volte anche doti di preveggenza: quella che mi caratterizzò personalmente e mi distinse tra la mia gente, anche se nel tempo non mi fu più permesso di accedere al futuro poiché un giorno, riferendo una mia visione al capo del villaggio, determinai in lui un forte turbamento.

    «Ho visto cavalieri coperti da vestiti d’argento impugnare lunghe lance e dare fuoco alle nostre case Gran Molburett», gli dissi, «Molti di noi correvano disperati e piangevano lacrime di sangue…»

    «Basta Es’-Eker-et!», mi rispose con determinazione, «Tu hai il dono delle visioni attraverso il tempo e lo spazio e hai una grande responsabilità verso tutti noi: quella di non giocarci! La preveggenza è un dono molto potente, può rendere oscuro il sole! È quindi mia intenzione dissuaderti dal riferire ciò che vedi e anzi invitarti a non guardare le immagini che ti arrivano: cerca di chiuderle, appena giungono, in una bolla eterea e falle salire su, nello spazio, fino a farle scomparire del tutto! La mente ha il potere di comandare sul nostro destino e tu più di tutti ne devi essere consapevole: non puoi contribuire a tali disgrazie!».

    Continuò argomentando l’importanza di perseguire una vita nella pace e nella gratitudine e fui molto colpita dalle sue parole: erano le parole del grande saggio e rifiutai con tutta me stessa di seguire le mie visioni che avvenivano naturalmente e puntualmente.

    O almeno ci provai.

    In verità, quelle immagini che avevo riferito al Gran Molburett mi avevano destabilizzata: non capivo cosa volessero dire e nella mia mente si faceva spazio il pensiero che seguendole meglio e interpretandole nel varco temporale, avrei potuto magari aiutare la mia gente ad essere pronta a qualche evento inatteso e drammatico. Ma il capo fu persuasivo e io, riconoscendone la saggezza, mi sottomisi al suo volere: anche se vedevo che non eravamo gli unici abitatori della terra. Anche qui la vita era iniziata con deboli accenni eterici di sagome umane per poi densificarsi e divenire corpi di persone di varie razze, diverse nelle caratteristiche somatiche e mentali per via del luogo di appartenenza e della specie di origine.

    * * *

    I NOSTRI COSTUMI, L’OLIO DEL CUORE

    Nella nostra città il tempo trascorreva dolcemente, senza che un solo giorno o una sola notte passassero prive di allegria, compagnia, studio, gioco, riposo, lavoro, culto.

    Eravamo tutti in piena salute, giovani e non più giovani. Quando qualcosa nel fisico non andava, c’era la Grotta della Lunga Vita, un piccolo lago dentro una cavità rocciosa dove l’acqua aveva dei poteri miracolosi: guariva qualsiasi ferita e qualsiasi malattia.

    Fu scoperta da un uomo che mentre perlustrava un sentiero di una montagna cadde accidentalmente in un piccolo fosso. Ferito malamente ad una caviglia cercò di ripararsi dal sole entrando in una cavità nelle sue vicinanze. Incuriosito dall’odore acre dei vapori che uscivano da una parete vicina, si spinse di più verso l’interno e vide un piccolo lago sotterraneo. Cercò allora di raggiungerlo trascinandosi con una gamba sola e una volta giunto al contatto dell’acqua, guarì miracolosamente dalla sua distorsione.

    Ripreso inaspettatamente vigore, scese di corsa al villaggio e ci raccontò l’esperienza. Decidemmo di chiamare quel luogo la Grotta della Lunga Vita: veniva usata con prudenza e parsimonia, era ritenuta sacra e pertanto andava rispettata e protetta. Si beveva un po’ della sua acqua, ci riunivamo in cerchio intorno al laghetto e ci lasciavamo inebriare dall’odore del vapore che entrava nelle nostre narici, lasciandoci un senso di pace e di benessere. Era il luogo dove meditare e dove si prendevano anche decisioni importanti. Era il prezioso dono che ci aveva consegnato la terra, il nostro posto magico.

    Quando era bel tempo indossavamo abiti leggeri e spesso eravamo scalzi: ci piaceva molto sentire il terreno sotto i nostri piedi nudi, le pietruzze e l’erba ci massaggiavano le piante dei piedi , il piacere risaliva lungo la schiena e ci tonificava.

    Nei periodi freddi eravamo invece ben coperti: indossavamo pellicce colorate di giallo e di arancio, portavamo cappucci che lasciavano scoperti soltanto gli occhi e sulla pelle del viso mettevamo degli oli che ci proteggevano dal grande freddo.

    Usavamo molto gli oli, soprattutto quelli essenziali che avevano il principio di nutrire e curare non solo la pelle, ma anche gli organi interni e gli stati più sottili del nostro corpo. Gli oli venivano estratti dalla spremitura di particolari piante aromatiche, altri da radici di alcuni alberi e altri ancora da fiori che nascevano nell’acqua.

    Il Gran-be-nat, ad esempio, era l’olio del cuore: veniva prodotto dalla macerazione di un’erba che nasceva sotto l’albero del Quebunat, sui pendii del monte Atmour. Questa pianta aveva delle foglioline cuoriformi con un piccolo fiore bianco sulla cima, di consistenza grassa e dal profumo dolce e stucchevole.

    L’olio ottenuto si bruciava nella notte di luna piena, come ringraziamento alla madre luna. Si respirava la sua fragranza che si spargeva nella notte chiara, ogni donna e bambino ornavano i capelli dei fiori di Gran-be-nat e tutti battevano con le mani secondo un ritmo e un canto si componeva così: «Ampi specchi di luna ci girano attorno, senza farci vedere qual è il vero volto, ma quando l’eclissi supera il buio, lei apre i cancelli all’amore: dimora è di luce che accende il ricordo e dono di vita nell’oscuro fluire».

    Il Gran-be-nat e la melodia si diffondevano nell’aria e come d’incanto appariva davanti a noi il grande prisma di avventurina. I raggi d’argento facevano risplendere le sue pareti, un arcobaleno di luce lunare invitava la nostra gente ad avvicinarsi. Ci riunivamo allora alla base del monolite e guardavamo attraverso la parete di vetro trasparente dove si formavano delle luci verticali: il blu, il rosso, il viola. Le tre luci si distribuivano obliquamente mentre al centro si formava una ulteriore luce più densa di colore bianco, da cui uscivano delle fluorescenze che formavano delle immagini geometriche.

    Ogni geometria emanava una sua vita e, nella vita, il mistero della creazione: noi sapevamo di essere i custodi della memoria cosmica e che il nostro compito era quello di proseguire il cammino evolutivo della nostra nuova razza e natura, attraverso la coscienza e la sapienza. Nel rispetto e nella cooperazione il nostro intento avrebbe giovato anche alla terra.

    Eravamo gli antichi nativi di Orione, oltre lo spazio e oltre ogni immaginazione. Respiro cosciente in un corpo che era stato evanescente, dove il comune denominatore era l’amore. La nostra discesa sul nuovo pianeta era originata dalla mutabilità della vita, dalla possibilità di trasferire in materia la nostra esperienza di luce nel buio dell’universo. Forme geometriche nel suo vuoto infinito, capaci di creare uno spazio: la consapevolezza dell’essere, lo spazio del tempo nel suo divenire.

    LA SCUOLA, I CAPPELLINI

    Andavamo a scuola ed era un fantastico gioco, una specie di rito a cui tutti i bambini venivano invitati a partecipare. I maestri avevano un metodo di insegnamento ricavato da anni e anni di ricerche.

    Indossavamo dei cappellini bianchi, con delle falde larghe che scendevano ricurve coprendoci in parte il viso e ai cui margini erano appesi dei campanellini: quando si iniziava la pratica venivamo invitati a cantare una nota. Non appena tutte le voci corrispondevano ad un determinato suono e vibrazione, allora come per magia, i cappellini cominciavano a girare su se stessi e tutti i campanellini suonavano la stessa melodia che intonavano i bambini e il loro suono era simile a quello di un’arpa, delicato ma amplificato dall’aria. Il suono dei campanellini allora sostituiva completamente la voce dei bambini che a quel punto rimanevano in silenzio, composti e sereni in una concentrazione di presenza. In quel preciso istante, il colore dei cappellini variava, cosicché ognuno aveva un colore diverso, un suono diverso, una vibrazione diversa: ci stavano insegnando le leggi dell’universo. La fonte primaria ci istruiva con varie informazioni di diverse culture e luoghi e ciascuno interagiva con la sua particolare indole e dote.

    Io, Es’Eker-et, oltre che vedere il futuro, leggevo l’inizio di ogni forma e seguivo la sua dinamica di movimento che si formava nella materia per poi proseguire fino a caratterizzarne l’unicità. Leggevo l’invisibile: i miei occhi oltrepassavano la materia e vedevo le cellule, ne ascoltavo il suono, il movimento, il colore, la vibrazione sottile. Vedevo l’aura intorno ai corpi che appartenevano alla nostra razza, osservavo le mutazioni che avvenivano col trascorrere degli anni e sapevo come ristabilire l’equilibrio. Comprendevo il significato dei numeri e delle lettere dell’alfabeto, il loro suono, la loro forma e la loro origine divina.

    Conoscevo lo strumento della voce nella sua potenza curativa e persuasiva.

    LA MIA AMICA GHE-SE-NAR, IL TORRENTE DI ACQUE FREDDE

    La mia vita era serena: amavo la mia famiglia, la mia terra, la mia gente e la mia amica-sorella Ghe-Se-nar. Io e Ghe quasi ogni mattina andavamo lungo il torrente di acque fredde, ci bagnavamo, parlavamo, come tutte le ragazze del villaggio, dei nostri sogni e delle nostre scoperte.

    «Ghe-se-nar, lascia perdere quell’ampolla sempre in mano!».

    «No Es’Eker-et, lo sai che non posso…».

    «Dai, vieni qui, lascia l’ampolla e tuffati!».

    Ghe-se-nar mi guardava, sorrideva e io, immersa nell’acqua, cercavo da lì i suoi profondi occhi azzurri e sorridevo con lei: non c’era modo di convincerla di raggiungermi, quel giorno non voleva. Aveva il compito della previsione del tempo e aveva sempre con sé l’ampolla di vetro, al cui interno c’era un liquido rosa che sobbolliva, congelava e si liquefaceva.

    «Ma come fai a interpretarla?», le chiedevo io.

    «Devi guardare dentro l’ampolla», mi rispondeva, «la forma e il colore che assume il liquido e capire quello che dice sul tempo e sui suoi cambiamenti».

    «Ma non puoi semplicemente guardare il cielo, che già ti dice tanto?».

    «Certo che no! Es’Eker-et, il liquido è una sostanza che ho trovato nella cava del monte Atmour, interagisce con la temperatura che è fuori, modificando il suo stato. Tu la devi solo interpretare, ecco!».

    «E’ come se fosse un’ampolla telepatica solo con te?».

    «Non lo so Es’Eker-et. È diventata per me come un amica e con lei ho modo di aiutare gli altri prevedendo i cambiamenti del cielo, del mare o della terra…».

    «E tu Ghe-se-nar, sei la mia amica migliore… e ti voglio bene».

    Un vero amico è quello che ti dà la fiducia e a cui deponi la tua, È colui che ti tiene nascosto il tesoro delle tue debolezze, senza farti paura. Dei tuoi desideri più grandi custodisce la verità e te la rammenta, con discrezione, nel caso tu possa cedere alla vanità. Un amico stabilisce con te un patto d’alleanza, cosicché un’identità si definisca e, finalmente, una stella possa illuminarsi nel suo spazio che da lei stessa è stato riconosciuto…

    * * *

    «Oggi non ho voglia di bagnarmi nel torrente, Es’Eker-et, la mia ampolla ha una strano colore».

    «Dai Ghe, non ha importanza la tua ampolla: può anche sbagliare! guarda il sole, il cielo… fa tanto caldo…tuffati!», dissi io.

    ‘Ghe era particolarmente strana e silenziosa quel giorno, non volle bagnarsi neanche i piedi, mentre io ero già completamente immersa. La chiamavo e lei mi guardava nuotare, si spostava da un albero all’altro lungo la costa, non mi

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