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Curvy: Il lato glamour delle rotondità
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Curvy: Il lato glamour delle rotondità
E-book217 pagine3 ore

Curvy: Il lato glamour delle rotondità

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«Gli uomini si dividono in due categorie: quelli che amano le tonde e gli altri. Il segreto sta nell’organizzare l’agenda. La cosa più difficile da fare è una, anzi tre: amarsi, perdonarsi e accettarsi come portatrici sane di rotondità. Del resto, essere sottili e longilinee per natura è un’incognita della genetica, qualcosa di raro ed ereditabile come le perle della nonna o gli occhi azzurri di papà. Eppure il glamour ruota intorno alle poche proprietarie di un metabolismo iperattivo negato a chi magro non è. Bene, la festa è finita. Dopo anni di dittatura estetica le donne gamberetto, grissino, sogliola o stecchino devono arrendersi e dividere democraticamente il trono dello stile con le donne curvy, che non è solo un modo anglochic per dire “culona”, ma una morbida e seducente realtà.»
Ma come si fa a essere tonde ed eleganti allo stesso tempo visto che il mondo della moda sembra popolato da avatar anoressiche? Daniela Fedi e Lucia Serlenga, giornaliste di moda, in questo libro prendono in esame il lato glamour delle curve. Ci svelano segreti, astuzie e indirizzi, ci raccontano aneddoti e storie di vita vissuta mantenendo sempre quel pizzico di sana ironia che alleggerisce il peso in curva.
LinguaItaliano
Data di uscita15 feb 2015
ISBN9788868991449
Curvy: Il lato glamour delle rotondità
Autore

Daniela Fedi

Daniela Fedi si occupa di moda dal 1980. Ha lavorato per 100 Cose, Panorama, Linea Italiana, Class, Harper’s Bazaar ed Elle Italia. Dal 1998 è critico di moda ed esperta di costume/società per Il Giornale: tutti i giorni in lotta con la bilancia, l’orologio e il computer. Per seguire le sfilate passa almeno 40 giorni all’anno a Parigi, due settimane a New York, un mese e mezzo tra Milano, Firenze e Roma. Perde gli inviti, le valige, il quaderno degli appunti e spesso la pazienza, ma neanche un chilo. In miniera è peggio però lì non si devono portare i tacchi.

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    Anteprima del libro

    Curvy - Daniela Fedi

    Curvanomics

    Gli uomini si dividono in due categorie: quelli che amano le tonde e gli altri. Il segreto sta nell’organizzare l’agenda. La cosa più difficile da fare è un’altra, anzi tre: amarsi, perdonarsi e accettarsi come portatrici sane di rotondità. C’è tutto un mondo che rema contro questa presa di coscienza femminile paragonabile a un vero e proprio movimento di liberazione della donna dalla più moderna delle schiavitù, la magrezza a tutti i costi. Diventare magre è un sogno alimentato dalla società delle immagini con in testa la moda. Infatti la classifica delle dieci donne più eleganti del mondo è quasi sempre una lista delle più affamate, ginnasticate, tagliuzzate dal chirurgo plastico e ricucite dalla vanità. Del resto essere sottili e longilinee per natura è un’incognita della genetica, qualcosa di raro ed ereditabile come le perle della nonna o gli occhi azzurri di papà. Sono talmente poche le privilegiate da sembrare irrilevanti dal punto di vista statistico. Eppure il glamour ruota intorno a loro, felici proprietarie di un metabolismo iperattivo negato a chi magro non è. Bene, la festa è finita. Dopo anni di dittatura estetica le donne gamberetto, grissino, sogliola o stecchino devono arrendersi e dividere democraticamente il trono dello stile con le donne curvy che non è solo un modo anglo-chic per dire culona, ma una morbida e seducente realtà. Insomma è cominciata una rivoluzione culturale che farebbe impallidire Mao.

    In America, per esempio, fa furore il concorso televisivo lanciato dall’ex top model Tyra Banks per identificare la Teen Curvy Model del momento. Schiere di giovani valchirie cui puoi togliere tutto tranne le Spanx, possono finalmente entrare nelle migliori agenzie per modelle senza sentirsi dire la fatidica frase: sei bellissima, ma devi dimagrire. Nel mondo del cinema spopola invece il burlesque, quella particolare forma di striptease in cui tutto deve essere debordante: le curve, l’ironia, il gusto di mischiare musica, lustrini, piume e paillette, una sensualità tonda e giocosa. In un anno sono usciti due film su questo tema: Tournée di Mathieu Amarlic (premio per la regia al Festival di Cannes del 2010) e il kolossal Burlesque di Steven Antin con Christina Aguilera e Cher. Da qui una serie di mode che vanno dai corsi di spogliarello per casalinghe alla lingerie contenitiva e retrò, dalla pelle candida e curata oltre misura al trucco impeccabile del viso con tanta cipria luminescente sul corpo voluttuoso come da sempre fanno le dive del burlesque tipo Dita von Teese oppure Dirty Martini. Come se questo non bastasse in un sondaggio pubblicato da Esquire risulta che Christina Hendricks, bombastica protagonista del pluripremiato serial TV Mad Men, sia di gran lunga la donna più bella e sensuale dell’universo.

    A votare l’attrice rossa e pettoruta come Jessica Rabbit, non sono stati i soliti maschi attratti dalle tettone da pin up, ma diecimila signore che leggono la celebre rivista americana. Anche la parlamentare inglese Lynne Featherstone, sottosegretario al Ministero degli Interni con delega alle pari opportunità, ha elogiato la bellezza della Hendricks dicendo che il suo fisico a clessidra dovrebbe essere un punto d’arrivo da proporre nella lotta contro l’anoressia. Su questo non ci piove visto che la ragazza pesa 70 chili abbondanti per un metro e 73 centimetri d’altezza, eppure piace a tutti, perfino agli addetti ai lavori della moda che fanno a gara per vestirla (Vivienne Westwood l’ha addirittura scelta come testimonial della sua linea di gioielli) pur essendo nemici giurati delle rotondità.

    Esemplare in questo senso la storia della stylist inglese che si è licenziata perché il giovane designer Mark Fast ha deciso di far sfilare sulle passerelle di Londra delle modelle plus size con gli stessi abiti in maglia, aderenti come una seconda pelle, sfoggiati di solito dalle top più filiformi. A dir la verità le curvy stanno malissimo vestite così, perfino una super modella come Crystal Renn faceva pensare a un insaccato con la ciccia che deborda dai buchi della rete. Ma lo stilista anglo-canadese ha tenuto fede al suo progetto ottenendo fama, successo e visibilità internazionale. Più eclatante il caso di Prada che ha scelto per una sfilata le modelle di Victoria’s Secrets, un sogno erotico in carne (soprattutto questa) e ossa (molto lunghe a dire la verità) molto lontano dalla sua visione estetica. Per la grande signora del made in Italy le donne devono essere in tutti i sensi sottili: poco tonde e per niente tonte direbbe Miuccia se avesse il dono della simpatia oltre a quello di un cervello che va come un treno. Intanto Robert Duffy, storico partner commerciale di Marc Jacobs e presidente del suo brand, sta seriamente pensando di allargare la produzione ai capi che superano la taglia 14 americana, la 48-50 italiana. Lo ha raccontato lui stesso su Twitter postando un messaggio in cui chiedeva a tutte le fashionistas in ascolto di aiutarlo a trovare una definizione più elegante di plus size.

    Dunque anche nel mondo della moda qualcuno tenta di uscire dall’abituale demonizzazione delle curve? Sembrerebbe proprio di sì. Nessuno si mette a urlare grasso è bello, me ne mandi due da un quintale perché la grassezza sconfina facilmente nell’obesità, ma di sicuro sta cambiando la percezione sociale del corpo. Lo spiega molto bene il sociologo Enrico Finzi che ha condotto indagini di mercato per colossi della corsetteria tipo Triumph, per industrie cosmetiche e per marchi di abbigliamento d’ogni tipo. "I grassi godono di un pregiudizio positivo – sostiene – a loro si attribuiscono caratteristiche di estroversione, edonismo polisensuale e capacità relazionale che in genere non vengono riconosciute ai medi o ai magri. Esiste una profondissima identificazione collettiva tra un certo grado d’abbondanza corporea e la simpatia. Dipende dalla grande importanza che ha il cibo nella nostra cultura: più si mangia e più s’ingrassa, pertanto si pensa che la ciccia distingua chi sa carpire i piaceri della vita dagli altri. In più c’è la connessione con il sesso. Chi mangia tanto ha una corporeità più vigorosa non pesata a chili ma in termini di personalità affettuose e goduriose per natura.

    Attenzione, però, a questi stereotipi comunque innegabili si sono aggiunte altre valenze. È finito il ciclo delle mode che vedeva le donne magre dominanti negli anni di maggior affluenza e le altre vincenti in quelli di crisi. Oggi i modelli sono meno rigidi: abbiamo diversi stili d’abbigliamento, di trucco e di pettinatura oltre che di corpi. Si arriva addirittura a scegliere di essere più o meno tondi per motivi culturali: l’aspetto fisico viene visto come qualcosa che può essere progettato, modellato e costruito a piacere. Insomma il modello culturale dominante si chiama pluralismo e questa è la chiave di lettura sociologica delle curve.

    I numeri del fenomeno

    Il 33/35 per cento della popolazione femminile italiana è oltre la taglia 46 (fonte Eurisko). Stiamo quindi parlando di circa 10 milioni di donne solo in Italia dove almeno sul fronte ciccia siamo messi un po’ meglio del resto d’Europa. Per esempio in Gran Bretagna, Germania e Grecia una persona su due è sovrappeso e quasi sette bambini su dieci nati nel 2011 in questi Paesi, rischiano di dover lottare con la bilancia per tutta la vita. Del resto l’Organizzazione Mondiale della Sanità spiega che già oggi due europei su tre non raggiungono i trenta minuti d’attività fisica quotidiana, il minimo per mantenersi in forma secondo le linee-guida internazionali della medicina preventiva. In mezzo a tutto le nuove generazioni tendono ad amplificare invece che ridurre il fenomeno.

    Le proiezioni Eurostat dicono che nel 2056 il 45 per cento delle persone nate in Europa nel 2011, all’alba dei 45 anni saranno sovrappeso: un bel 5 per cento in più del dato attuale di per sé poco edificante. In America la situazione è già oltre ogni funesta previsione: il 64 per cento delle persone d’ambo i sessi è sovrappeso mentre il 27 per cento dell’intera popolazione è obeso. L’obesità causa negli Stati Uniti 325 mila decessi all’anno, ma senza arrivare a tanto, 20 milioni di americani soffrono di diabete alimentare, la forma più comune della grave disfunzione metabolica. Inevitabile a questo punto pensare che vestirsi sia l’ultimo dei problemi. Non è così, anzi, le statistiche dicono proprio il contrario.

    Torniamo per un attimo in Italia dove la moda ha un’importanza cruciale e non solo perché da anni paga il saldo della bolletta petrolifera nazionale. Nella moltitudine delle curvy italiane abbiamo un venti per cento di rassegnate, ovvero due milioni di signore con taglie estreme, oltre la 60. Degli otto milioni che restano c’è un core target tra i 30 e i 50 anni di tonde attente alla moda. Praticamente ci sono tre milioni di potenziali clienti che, nelle classiche boutique d’abbigliamento femminile, trovano poco o niente. Il perché è presto detto: tra la donna reale e quella ideale c’è un abisso che gli stilisti non si decidono a colmare. I campionari vengono ancora fatti sulla cosiddetta taglia perfetta: una 42 che veste a malapena la 40. Ecco perché hanno sempre più successo le collezioni pensate e prodotte per corpi fuori scala. Dicono proprio così quelli che giudicano le donne un tanto al chilo per dividerle tra magre e grasse, l’eterna contrapposizione con cui dobbiamo misurarci fin dalla più tenera età. Si comincia all’asilo con nomignoli crudeli tipo cicciona oppure acciughina per poi finire l’una contro l’altra armate nel grande gioco della seduzione. Qui ognuna ha il suo momento di gloria perché aveva davvero ragione Mae West nel dire Agli uomini piacciono le cose più strane.

    Maestra di stile e di cattivi pensieri, la diva americana fu tra l’altro amante del designer francese Marcel Rochas che molti anni dopo la fine della loro storia si sarebbe sposato con una giovane e filiforme modella per cui avrebbe creato il celeberrimo profumo Femme contenuto in un magnifico flacone pieno di curve. L’ha disegnato pensando al corpo di Mae West, non certo al mio dichiarò in seguito Hélène Rochas con la forza tranquilla di chi non scende sul terreno della competizione perché si ama e si sente amato. Le donne dovrebbero far tesoro di questa storia singolare. Basterebbe evitare l’invidia che è il sentimento più distruttivo del mondo per poi fare un fronte comune contro chi si permette di dire a una di dimagrire e all’altra d’ingrassare. Ci sono moltissimi soldi da guadagnare facendo sentire la gente uno schifo nel proprio corpo: in America l’industria delle diete vale 100 milioni di dollari sostiene la psicanalista inglese Susie Orbach, esperta di disfunzioni alimentari cui si era rivolta a suo tempo Lady Diana per guarire dalla bulimia. A più di trent’anni dalla pubblicazione di Noi e il nostro grasso, livre de chevet della defunta principessa, la Orbach ha scritto Corpi, un libro in cui denuncia i mercanti di odio del corpo, ovvero le persone che nel mondo dei media, del marketing, dell’alimentazione e della moda, propagandano un modello di bellezza praticamente irraggiungibile. Infatti il corpo non è un luogo geografico cui si possono cambiare impunemente i confini.

    Siamo quel che mangiamo, d’accordo, ma abbiamo anche un destino genetico scritto nel nostro DNA. Dobbiamo dunque giocare la partita con le carte che ci vengono servite alla nascita, perché barare in questo caso è più pericoloso che disonesto.

    La partita doppia del fascino

    Tonde o secche per noi pari sono nella partita doppia del fascino. In questo libro vogliamo appunto dimostrare che il glamour non si misura dalla taglia del corpo, semmai da quella del cervello. Una gestione intelligente della propria immagine deve comunque fare i conti con uno stile di vita sano e consapevole perché nessuno è perfetto, ma tutti siamo perfettibili. Prima di dirvi come vi raccontiamo chi ce l’ha fatta o ce la sta facendo a perfezionarsi senza lasciarci la pelle. Abbiamo quindi raccolto storie di donne magnifiche pur essendo, come diceva la poetessa Marina Cvetaeva: Imponderabili in un mondo di pesi e smisurate in universo di misure.

    Poi ci siamo chieste perché vestire queste benedette curve che indubbiamente stanno meglio svestite come dimostra la storia dell’arte dalla Venere di Milo in poi. A risponderci è stato Tom Ford. Un vestito – dice il texano dagli occhi di velluto – deve rendere così attraente la donna che lo indossa da scatenare in chi la guarda il desiderio di strapparglielo via. Insomma l’abito può diventare un’arma di seduzione di massa, ma deve essere habitat dell’anima oltre che del corpo. Gli psicologi dicono che alle curve di solito si accompagna una personalità generosa, tendenzialmente espansiva, convinta che il rapporto con gli altri sia anche di tipo quantitativo. La linea asciutta, vagamente androgina, sarebbe invece tipica di chi organizza ogni comunicazione sull’intensità dei rapporti e delle presenze. In una parola nelle tonde ci sarebbe l’immagine del dare energia a sé e al mondo, nelle magre quella della ricerca di approfondimento. Difficile dire chi piace di più agli uomini. Ogni uomo è portatore di un modello di desiderio diverso, suscettibile comunque d’improvvise rettifiche. Oggi i desideri prefabbricati vengono rifiutati a priori: da una parte ci sono i fantasmi dell’ideale rappresentati dalle modelle; dall’altra sembra che gli esseri umani cerchino un rapporto diretto con la loro e l’altrui corporeità.

    Certo su Internet si è aperta la strada del sesso virtuale, ma per trovare un’estetica erotica maschile rigida bisogna risalire alle corti medioevali raccontate nei romanzi del ciclo di Re Artù. Allora l’amore perfetto, simile o assimilabile con l’idea del divino, era diretto verso l’altro da sé: donne piccole, morbide, femminili e con la pelle splendente. Se si desiderava un corpo flessuoso bisognava rivolgersi ai paggi che erano lì per questo. Inutile dire che i secoli non sono passati invano portandoci però a definire le donne secondo la classificazione scientifica della fisicità: brevilinea, longilinea, normolinea. Inevitabile a questo punto chiedersi cosa sia più normale per il terzo millennio. Bisogna intendersi sul concetto di normalità – spiega Silvana Sanchioni Pirovano, psicoterapeuta di scuola freudiana – si tratta di una verità oggettiva che è anche una percezione soggettiva. Nessuno nega che l’immagine proposta dai media sia di un certo tipo, ma di sicuro esiste per ciascuno la libertà di valutare tutto sul metro della realtà. Insomma siamo noi ad accettare o a respingere il nostro corpo indipendentemente dalle sue misure. Purtroppo non è uno sforzo da poco perché viviamo in un’epoca fortemente connotata dal narcisismo, dalla scarsa capacità di accettare i limiti e dall’illusione dell’onnipotenza. Mi sembra però che la pressione sociale sia più forte su altri fronti: rispetto all’invecchiamento la ciccia conserva tutto sommato delle valenze positive.

    Conclusione? Se il problema sono gli uomini l’abbiamo detto in partenza che per risolverlo basta organizzare l’agenda. Se il problema siamo noi, care ragazze, non ci resta che ridere con un libro molto serio.

    Prima parte

    Storie di peso

    La taglia che non c’è

    Sulle taglie c’è una specie di soglia del disonore che nel mondo occidentale sta tra la 46 italiana e la 10 americana: la mitica M di Medium. A Los Angeles, come a Roma e nei dintorni di Mumbai ci sono però ambienti in cui da qualche tempo a questa parte viene imposta la cosiddetta zero size, un non luogo corporeo ancor più piccolo della taglia XXS: extrasmall. Per stare sotto i riflettori di Hollywood, Bollywood e Cinecittà non bisogna essere tanto magre quanto scheletriche perché cineprese e telecamere ingrassano più dei dolci farciti con la panna. In realtà le riprese c’entrano fino a un certo punto, il grosso del problema si ha con lo schermo perché tecnicamente le immagini vengono codificate su righe orizzontali per la televisione e verticali per il cinema. Insomma la tivù ti aggiunge otticamente dai cinque agli otto chili e una 42 diventa come ridere una 46.

    Al cinema le cose vanno leggermente meglio perché tre chili in più non provocano lo scatto di taglia, però oggi le

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