Emozioni al lavoro
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Oggi questo è più che mai rilevante: la pandemia ha cambiato gli scenari emotivi nella nostra vita e nel mondo del lavoro, mettendoci di fronte a nuove sfide che richiedono competenze specifiche e una modalità innovativa di gestione delle emozioni.
Questa guida insegna a comunicare e controllare le proprie emozioni, con una specifica attenzione alla complessa situazione lavorativa. Con schede critiche, questionari, test per migliorare la vostra attitudine.
Per Eraclito "l'unica costante nella vita è il cambiamento":
e la pandemia ha completamente cambiato la nostra vita e, di conseguenza,
il mondo del lavoro, mettendoci di fronte a nuove sfide che richiedono competenze specifiche
e una modalità innovativa di gestione delle emozioni,
perché siamo creature emozionali sia dentro che fuori dall'ufficio.
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Anteprima del libro
Emozioni al lavoro - Francesca Romana Puggelli
Capitolo 1
La natura sociale delle emozioni
Che cosa sono le emozioni?
Immaginate la scena. State lavorando tranquilli e assorti alla vostra scrivania, quando improvvisamente il vostro capo irrompe nella stanza e si siede di fronte a voi, fissandovi dritto negli occhi per qualche secondo. Poi sfodera un grande sorriso e vi informa che la promozione che stavate aspettando vi è stata finalmente concessa. Ma alzandosi e uscendo vi lancia un avvertimento: «Da oggi in avanti mi aspetto di più da te!».
Ora provate a pensare quante e quali emozioni si sono succedute nell’arco di pochi secondi in questa semplice situazione: sorpresa, paura, gioia, aspettativa, ecc. Certamente, alcune di queste reazioni emotive saranno comuni a tutti, mentre altre potrebbero essere legate a una particolare disposizione personale (ci si può spaventare
per un’entrata improvvisa, perché si è particolarmente sensibili) o a un difficile rapporto con il proprio capo (si può provare collera
di fronte allo sguardo indagatore, se la relazione non è delle migliori).
Quello che non si può negare è che ciascuno di noi fornisce sempre e comunque una risposta emotiva agli eventi che gli accadono: anche il non sentire niente
di fronte a una deliberata provocazione è un modo di reagire attraverso una non-emozione. Quando tuttavia proviamo a riflettere su domande apparentemente semplici come: che cosa sono le emozioni?, o come funzionano?, o ancora a che cosa servono?, ci rendiamo conto di quanto le risposte siano, in realtà, piuttosto complesse.
Le emozioni sono una parte fondamentale della nostra vita, del nostro linguaggio, della nostra relazione con gli altri. E, soprattutto sul luogo di lavoro, costituiscono uno degli ambiti più importanti in cui agire per migliorare la propria performance e la propria efficacia. Ma per poter agire sulle emozioni, sia su quelle proprie, sia su quelle altrui, occorre, innanzitutto, conoscere quali siano i processi psicologici che entrano in gioco, sgombrando il campo da tutta una serie di pregiudizi che potrebbero confondere le idee, soprattutto in unmomento come quello che stiamo vivendo ora durante la pandemia, in cui tutte le emozioni sono ancora più potenti. Ma dimentichiamo per un momento il Covid e affrontiamo l’affascinante mondo dello studio delle emozioni.
I primi tentativi di spiegare le emozioni risalgono addirittura ai filosofi greci, e in particolare a Platone, cui si deve la distinzione, o meglio l’opposizione, tra ragione ed emozione, dove quest’ultima è catalogata come uno stato perturbato che va evitato a tutti i costi. Da allora questo approccio negativo
allo studio delle emozioni ha condizionato profondamente la riflessione filosofica, dando sempre al pensiero, al ragionamento logico-razionale, un ruolo predominante rispetto alle emozioni, almeno sino a quando i primi studi psicologici non hanno portato alla luce la natura non solo necessaria, ma anche totalmente positiva del processo emozionale.
Le ricerche psicologiche
Il primo obiettivo che la psicologia si è posta è stato quello di cercare di capire come funzionano le emozioni, ovvero di spiegare che cosa succede a livello fisico e psichico quando, di fronte a uno specifico evento, noi proviamo una certa emozione. Facciamo un piccolo esperimento di autoanalisi: a una presentazione importante un cliente critica duramente il nostro lavoro, mettendoci in imbarazzo di fronte ai nostri colleghi, sino a portarci alle lacrime.
Secondo il senso comune il processo emotivo che si innesca in un’occasione del genere sembra essere piuttosto semplice: veniamo criticati durante la presentazione (evento scatenante), proviamo tristezza/delusione/ collera (reazione psichica) e quindi piangiamo (reazione fisiologica). Questa spiegazione ingenua, però, non rende per nulla ragione del complesso processo che avviene nella nostra psiche quando proviamo un’emozione.
In realtà, nemmeno la psicologia dà una risposta definitiva sull’argomento, in quanto non esiste una teoria psicologica sulle emozioni che sia condivisa da tutti gli studiosi; proviamo però a sintetizzare le principali ricerche psicologiche che si sono succedute nell’ultimo secolo in tre grandi modelli, che ci saranno utili per inquadrare il problema e fornire un’ipotesi di spiegazione del processo emotivo che sia funzionale ai nostri obiettivi.
1. La teoria di James-Lange ribalta la spiegazione del senso comune: noi non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché stiamo piangendo. In altre parole, sono le modificazioni fisiologiche che avvengono nel nostro corpo a generare le emozioni che proviamo a livello psichico.
2. La teoria di Cannon-Bard critica la teoria precedente e ipotizza che le due dimensioni, quella psichica (il sentirsi tristi) e quella fisiologica (il piangere), siano in realtà contemporanee: di fronte all’evento esterno, un piccolo organo del nostro cervello, il talamo, informa il cervello stesso e i muscoli di quello che sta succedendo e ciascuno reagisce secondo il modo che gli è proprio.
3. La teoria di Arnold cambia completamente la prospettiva di studio del processo emotivo, introducendo il concetto, che sarà fondamentale per noi, di valutazione cognitiva
: quando ci accade qualcosa, la prima cosa che facciamo è valutare la situazione come positiva o negativa; e questa valutazione ci spinge poi a un’azione, o meglio a una reazione.
Quest’ultima teoria è alla base dell’approccio cognitivista al problema delle emozioni e costituisce un ottimo punto di partenza per il nostro lavoro: ci dice, infatti, alcune cose molto importanti sul modo in cui funziona l’apparato emozionale umano, non limitandosi a spiegare il tutto con un meccanismo stimolo/risposta, ma introducendo il concetto di valutazione (appraisal), che sarà davvero importante nel nostro percorso di conoscenza delle emozioni.
È una corrente della psicologia contemporanea in cui la mente è concepita come un elaboratore attivo, che verifica continuamente la congruenza tra il proprio progetto comportamentale e le condizioni oggettive esistenti, in opposizione alle teorie comportamentiste, che ponevano l’accento sullo schema stimolo/risposta. Il cognitivismo paragona la mente a un sistema informatico, in grado di elaborare le informazioni in entrata (input) e trasformare quelle in uscita (output).
La definizione di emozione
Prima, però, di addentrarci nel meccanismo di funzionamento delle emozioni, bisogna provare a fissare alcuni punti, cercando prima di tutto di definire che cosa sia un’emozione. Se proviamo a prendere in esame la paura, ad esempio, ci rendiamo subito conto che essa può riferirsi al sentimento che proviamo di fronte a un evento esterno che ci spaventa, ma anche al processo generato dal conflitto con una persona, o ancora alle azioni intraprese (come la fuga) per fronteggiare questa emozione.
A questo aggiungiamo che esiste un’incredibile pluralità di termini per definire questi stati oltre al termine emozione
: affetto, impressione, passione, sentimento, stato d’animo, sensazione, ecc. Tuttavia, emozione
è certamente il più adatto, in quanto è quello che, etimologicamente, rende meglio la natura attiva e non passiva di questo fenomeno: la parola deriva infatti dal latino volgare exmovere che significa smuovere
, composto da ex e da movere.
Ma ha ancora senso, allora, parlare di qualcosa come le emozioni di fronte a questa pluralità di significati? Certamente, perché in realtà il processo che avviene a livello fisico e psichico è unico, anche di fronte a reazioni emotive diverse. L’emozione è, infatti, un fenomeno multidimensionale, in grado di rendere ragione di tutte le sue componenti. Vediamo quindi quali sono i punti fermi in questa definizione.
•Quella che noi chiamiamo ingenuamente emozione è in realtà solo una sorta di etichetta
a un processo più complesso che investe tutto il nostro corpo e la nostra psiche; ad esempio, noi chiamiamo collera tutto il processo psicologico che si compie di fronte alla scorrettezza di un collega.
•L’emozione è la reazione a un evento, sia esso esterno o interno; ad esempio, una telefonata sgradevole del proprio capo (evento esterno) o il ricordarsi improvvisamente di non aver spedito una e-mail importante (evento interno).
•La natura di questo evento è eminentemente sociale, in quanto avviene in relazione agli altri e all’interno di una società; come vedremo in dettaglio più avanti, le regole con cui possiamo o dobbiamo mettere in mostra le nostre emozioni sono definite a livello sociale e spesso lasciano poca libertà di movimento.
Arriviamo così a un primo tentativo compiuto di definizione dell’emozione, prendendo a prestito le parole di uno dei più importanti psicologi che si sono dedicati specificamente allo studio delle emozioni, Plutchik:
Un’emozione è una sequenza complessa di reazioni a una situazione attivante e include valutazioni cognitive, cambiamenti soggettivi, attivazione del sistema nervoso centrale, modificazioni autonomico-viscerali, una spinta all’azione, nonché una risposta comportamentale designata ad avere effetto sullo stimolo che ha originato la sequenza complessa (1984, p. 7).
Occorre distinguere in modo preciso tra termini che hanno significati simili, e in particolare tra emozioni e stati d’animo: le prime hanno infatti sempre un oggetto (sono arrabbiato con un mio collega; mi sento colpevole per avere mentito al mio capo), mentre i secondi sono più che altro uno stato affettivo di fondo (oggi mi sento giù di morale, ma senza una ragione precisa).
Come funzionano le emozioni?
Sapere che cosa sia un’emozione non è ancora abbastanza. Molto più importante è sapere come funziona il processo emotivo, scendendo nel dettaglio delle componenti e dei meccanismi che lo formano: solo in questo modo, infatti, è possibile capire dove e come si può agire consapevolmente per migliorare la propria performance emozionale.
L’antecedente emozionale
L’esperienza emotiva, come abbiamo visto, parte sempre da una componente che preesiste all’emozione stessa, ovvero dall’evento che genera l’emozione, chiamato antecedente emozionale
: se, ad esempio, ci troviamo sul tavolo una busta chiusa, potremo provare aspettativa, sorpresa, perfino paura, ma, in ogni caso, l’antecedente emozionale sarà costituito dalla busta.
Le emozioni, in altre parole, hanno sempre un oggetto: possono essere suscitate da ogni genere di evento, da quelli più microscopici (lo sguardo storto
della segretaria) a quelli più macroscopici (la morte di un collega). È chiaro che certi eventi sono prototipici di emozioni specifiche: l’esempio più forte è quello che segue la morte che, nella quasi assoluta totalità dei casi, provoca dolore. Questi eventi ci aiutano a rendere prevedibili alcune nostre reazioni e quelle altrui: siamo abbastanza certi che un aumento di stipendio renderà felice un nostro dipendente, così come un licenziamento provocherà dolore o un regalo gioia.
Facciamo un altro esempio: un pesante insulto potrebbe generare un’intensa rabbia ma provocare solo una debole protesta, o una rabbia che viene provata ma non espressa a voce. L’evento emozionale dell’insulto potrebbe anche suscitare non rabbia ma ansia, vergogna o semplice infelicità. Al fine di comprendere questa varietà di risposte a uno specifico evento emozionale, è necessario fare ricorso a meccanismi aggiuntivi (Zammuner, 2002).
Tuttavia il legame tra evento ed emozione è solo probabilistico, in quanto quello che conta non è l’evento in sé, ma piuttosto come l’evento viene percepito dall’individuo. Così, un aumento di stipendio potrebbe significare maggiori responsabilità ed essere vissuto con ansia; un licenziamento essere liberatorio per un dipendente che già voleva cambiare lavoro, ma non ne trovava la forza; un regalo suscitare sospetto e apprensione. In altre parole, molto più spesso uno stesso evento genera emozioni diverse, sia in funzione della categoria sociale a cui appartiene la persona (occidentale o orientale; maschio o femmina; giovane o anziano) sia, soprattutto, in funzione del valore che l’evento assume per la persona. Quello che entra in gioco sono gli interessi dell’individuo, in quel processo di appraisal di cui abbiamo parlato prima: di fronte a un evento, ogni persona valuta quale sia l’effetto principale dell’evento stesso rispetto alla sua vita. Un elemento conflittuale forte, infatti, è dato dal mancato riconoscimento reciproco: una persona può essere arrabbiata e invece essere considerata solamente nervosa, oppure sentirsi triste mentre gli altri la vedono stanca. Non essere riconosciuti nei propri sentimenti ed emozioni spesso ci provoca rabbia e frustrazione che possono sfociare in aggressione e conflitto (Malaguti, 2007).
Questa valutazione degli antecedenti emozionali avviene secondo alcune variabili (Scherer, 1984), che influenzano fortemente la percezione dell’evento, creando reazioni profondamente diverse da individuo a individuo.
•Novità ed estraneità dello stimolo rispetto alla norma: è qualcosa che succede spesso o è qualcosa che non ho mai visto?
•Piacevolezza o spiacevolezza dello stimolo: che sensazione mi trasmette l’evento?
•Rilevanza dello stimolo per i bisogni o gli scopi del soggetto: quello che sta accadendo mi è in qualche modo utile o mi è di svantaggio?
•Capacità di far fronte allo stimolo: sono in grado di reagire a quello che sta succedendo?
•Confronto con le norme sociali e l’immagine di sé: quello che accade può migliorare o peggiorare la mia immagine presso gli altri?
Queste variabili possono modificare la nostra percezione di un singolo evento. Proviamo a vederle in azione con un esempio: il direttore generale entra nel nostro ufficio (antecedente emozionale).
•Se la cosa non è mai accaduta, la prima emozione sarà di aspettativa: che cosa ci fa qui?
•Se ho un buon rapporto con lui, la prima sensazione sarà di piacevolezza.
•Se penso che sia qui per controllare il mio lavoro, la paura entrerà nella valutazione dell’evento.
•Se mi rendo conto che è finalmente l’occasione per fargli vedere quello che valgo, l’ottimismo prenderà il posto della paura.
•Se noto, però, che anche i colleghi hanno le mie stesse intenzioni, l’aggressività verso di loro si attiverà immediatamente.
Si è abituati a pensare che il genere femminile sia più emotivo rispetto a quello maschile: questo significa che riteniamo normale che una donna pianga di più; che si commuova più facilmente; che sia più sensibile di fronte a particolari avvenimenti; che sia maggiormente empatica con le persone. Ma è davvero così? Le più recenti ricerche psicologiche hanno messo in luce che quando sono le persone ad autovalutarsi, ossia a parlare delle emozioni che provano, le donne riportano emozioni più intense degli uomini e una maggior volontà di condividerle. Quando invece si analizza il grado di emotività che emerge da ricerche indirette o sperimentali, non appaiono esserci grandi differenze tra i due sessi, anche se vi sono due eccezioni: le donne hanno un’espressività facciale maggiore degli uomini (ad esempio, sorridono di più, cercano maggior contatto e intimità con l’interlocutore); viceversa negli uomini si osserva una maggior reattività fisiologica (ad esempio, una maggior attività cardiaca). Si può quindi affermare che uomini e donne sono emotivamente uguali, anche se esistono certamente differenze dovute al contesto storico, sociale e culturale in cui viviamo, che incidono anche profondamente sulle reazioni e sulle manifestazioni emotive.
Le componenti delle emozioni
Possiamo ora passare ad analizzare il processo emotivo vero e proprio, distinguendo, innanzitutto, quali sono le componenti del processo, prima di analizzarne i meccanismi. Da quanto è stato detto finora, le emozioni sono stati di reazione coordinati e complessi, in cui si possono distinguere i fattori che seguono.
•Risposte fisiologiche: sono generalmente inconsce e incontrollabili, e riguardano l’attivazione del sistema nervoso autonomo, endocrino e immunitario, che produce alterazioni della frequenza cardiaca e respiratoria o della pressione sanguigna; solo alcune di queste variazioni sono percepibili (tremito della voce, rossore, sensazioni di calore o di freddo, ecc.).
•Risposte tonico-posturali: sono movimenti inconsci o istintivi, ma possono essere controllati, come la tensione o il rilassamento del corpo, lo scattare in piedi o il rilassare i muscoli lasciandosi andare, ecc.
•Risposte motorie strumentali: sono movimenti consci e volontari, come colpire qualcuno, scappare, urlare, ecc.
•Risposte motorie espressive: hanno il ruolo di esprimere agli altri le proprie emozioni e riguardano alterazioni della mimica facciale, i gesti, la postura, il tono di voce, ecc.
•Componente esperienziale soggettiva, cioè il vissuto ( feeling ), che non può essere descritto se non rimandando direttamente alla sensazione che l’emozione genera a livello intrapsichico.
Queste componenti formano il nucleo centrale del processo emotivo: l’individuo valuta come rilevante per il proprio ruolo e per i propri interessi un certo evento, e questa valutazione, insieme ad altre valutazioni più specifiche, induce un cambiamento nello stato di tendenza all’azione
. L’obiettivo di tutto questo processo è, infatti, sempre un cambiamento, un’azione, una reazione dell’individuo all’evento. Un celebre psicologo, Frijda, spiega:
Gli eventi emotivi suscitano cambiamenti nella modalità di tendenza all’azione e questa tendenza all’azione può essere accompagnata o no da reazioni espressive e fisiologiche, ed è relazionale, in quanto l’individuo vuole stabilire, mantenere o rompere una certa relazione con un individuo, oggetto o aspetto dell’ambiente, a seconda dello scopo finale che è determinato dalle motivazioni dell’individuo stesso: può quindi tradursi o no in comportamenti e azioni manifeste, atti a mantenere o modificare il rapporto transazionale individuo/ambiente (1986, p. 606).
Frijda considera le emozioni come una delle modalità a disposizione degli individui per relazionarsi con il proprio ambiente fisico e sociale; le emozioni sono, cioè, in grado di mediare continuamente il rapporto fra il flusso degli eventi che accadono intorno a noi e le risposte che forniamo. Questo è certamente il punto più importante da capire, prima di affrontare i meccanismi del processo emozionale.
Il processo emozionale
Una volta comprese quali siano le componenti che entrano in gioco nel processo emozionale, occorre ora analizzare quali sono i meccanismi di funzionamento del processo stesso. Nella figura della pagina seguente, viene rappresentato il processo emozionale attraverso il diagramma elaborato dallo stesso Frijda (1986).
Questo modello, apparentemente complesso, ci consente però di evidenziare le operazioni e i momenti principali del processo che approfondiremo ora, cercando di fornire adeguati esempi per ciascuno dei momenti. Il bisogno di regolazione nasce dalle caratteristiche funzionali di base delle emozioni. Una delle principali caratteristiche strutturali delle emozioni è il potere di appropriarsi delle risorse e assumere il controllo dello sforzo e dell’azione: le emozioni manifestano la precedenza di controllo
, dando priorità all’urgenza dell’emozione e lasciando che faccia il suo corso,