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Neo Hominum
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E-book273 pagine3 ore

Neo Hominum

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Info su questo ebook

Forse vi ricordate di "Max il Magnifico”, conduttore di show stupidi che inondavano il sistema ormai più di duecento anni fa? È riapparso, ma questa volta niente più strass e paillette. Inseguito da uno scienziato misterioso che dà la caccia ai resuscitati, viaggiatori partiti secoli prima per colonizzare la galassia, Max deve affrontare un nemico ben peggiore di quello da cui scappava a bordo della Gemini II. Nel corso dei suoi incontri l’ex habitué del jet-set  riesce a riprendere in mano il proprio destino, ma non gli basterà. Vuole sapere. Perché danno la caccia ai resuscitati di nascosto? Perché valgono così tanto sul mercato nero? Cosa potrai mai farci il "dottore" con questi sfortunati? La scoperta che farà potrebbe sconvolgere l’intera galassia.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita10 dic 2021
ISBN9781667421452
Neo Hominum

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    Anteprima del libro

    Neo Hominum - Tristan Valure

    T r i s t a n V a l u r e

    *******

    Neo

    Hominum

    Copertina: Guillaume Ducos

    Indice

    Capitolo 1 – L’annuncio

    Capitolo 2 – La Gemini II

    Capitolo 3 – Il segnale

    Capitolo 4 – Mondi Estesi

    Capitolo 5 – Lothan

    Capitolo 6 – 10%

    Capitolo 7 – Primalba

    Capitolo 8 – Venus Luxuria

    Capitolo 9 – La zona rossa

    Capitolo 10 – Il frigo

    Capitolo 11 – Neo Hominum

    Dello stesso autore

    Serie Légendes de Rayhana (Fantasy)

    - L’épée et l’enclume, 2017

    - La quête de Lya, Libro 1 : Le Sanctuaire, 2017

    - Il était une foi, 2017.

    - Le peuple des étoiles, 2019

    - La quête de Lya, Libro 2 : La reine de Salinar, 2019

    Capitolo 1 – L’annuncio

    ––––––––

    «Spero per te che funzionerà, altrimenti siamo morti.»

    «Senti, Matt, ad ogni modo non abbiamo scelta. Non ci capisco nulla. Come avrei potuto saperlo? Del resto, neanche tu ci hai pensato... Ci vogliono giorni per raggiungere la zona e l’astronave arriverà solo fra una settimana. Consideriamoci fortunati per aver trovato questa ragazza!»

    «Valone, credo di avere già molto da fare con...»

    «Zitto!» lo interruppe Valone. «Sta chiamando, cerca di fare buona impressione» aggiunse prima di premere sul dispositivo di comando dell’ologramma.

    Una giovane donna dai lunghi capelli neri e lisci apparve davanti a loro, come se fosse stata seduta dall’altro lato del tavolo. Per l’occasione, Matt e Valone avevano indossato dei completi per darsi un’aria da corporate, come si era divertito a dire Valone. Anche il ponte dell’astronave aveva ricevuto una bella ripulita per l’occasione.

    «Benvenuta a bordo della Damascus» iniziò Valone sorridendo alla giovane donna che osservava discreta il luogo con i suoi occhi verde chiaro.

    «Buongiorno signori» rispose lei con una vocina quasi infantile. «Vi ringrazio per il colloquio.»

    «Molto piacere, Salila» disse Matt, «ma aspetti di avere il lavoro prima di ringraziarci» scherzò. «Ha superato con successo tutti le prove, questo però non significa che sia lei la nostra nuova ingegnera dei sistemi. Ha preso conoscenza dei contesti e delle sfide della missione?»

    «Sissignore» rispose Salila a fior di labbra. «Partenza oggi stesso, nessuna domanda, nessun contatto con l’esterno. Accetto le condizioni senza alcuna riserva. Come sapete, ho appena finito la formazione e ho bisogno di un primo lavoro per testare il mio valore sul terreno. Sono pronta a dimostrarvi la mia motivazione se me ne darete la possibilità.»

    «Un istante, signorina» la interruppe Matt. «La missione sarà informale, ha capito bene? Non si tratta di dare raccomandazioni a posteriori. Per la compagnia lei non esiste. Non vi sarà nessuna traccia nei file. Ufficialmente, lei non sarà neanche salita a bordo della Damascus.»

    «Lo so» rispose Salila. «Ma, a parte la retribuzione, ho davvero bisogno di mettermi alla prova, di scoprire il mio ruolo a bordo di un’astronave.»

    «Benissimo. Riceverà la nostra risposta fra due ore» concluse Valone prima di interrompere la comunicazione.

    «Non sarà stato un po’ troppo breve?» chiese Matt.

    «Non lo so, non ho mai fatto colloqui di lavoro» rispose Valone sorridendo come uno sciocco.

    «Siamo fortunati, questa ragazzina è pronta a tutto» disse Matt alzandosi. Trovare un ingegnere dei sistemi in quel buco era un miracolo.

    «Cinque mila crediti per trenta giorni, dopo tutto. Ma è un bene che ci siamo imbattuti in una giovane gentile e ingenua, fresca di scuola. In compenso, il suo ruolo a bordo di un astronave potrebbe lasciarla sorpresa» sghignazzò Valone.

    **********

    Salila arrivò alla piattaforma d’attracco B13 della stazione Foxite-H verso la fine del pomeriggio. La piccola base spaziale era stata costruita nel sistema FX-83 quando sul terzo pianeta si scoprì la presenza massiccia di iridio. Il pianeta che ospitava il prezioso metallo era così denso che la gravità in superficie richiedeva l’utilizzo di pesi e materiali pesanti. Indispensabile nella realizzazione degli scafi delle astronavi che percorrevano i tunnel spaziali, la scoperta di un metallo raro nel sistema scatenò un tripudio di risorse per estrarlo, come era avvenuto secoli prima sulla Terra con la corsa all’oro. Tecnici e ingegneri che sembravano affluire da tutta la galassia costruirono una stazione orbitale intorno al pianeta. Purtroppo per gli investitori, dopo decenni di estrazione intensiva il giacimento si rivelò meno redditizio del previsto. Furono scoperti molti altri giacimenti, in sistemi con condizioni di estrazione molto più semplici. Il prezzo dell’iridio crollò per poi stabilizzarsi a un livello che permetteva appena di continuare l’attività su FX-83. Anche se da allora la maggior parte degli ingegneri e degli operatori avevano abbandonato i luoghi, per continuare l’estrazione la società aveva lasciato una delegazione sul sito e una squadra ridotta. Forse speculavano sui prezzi dell’iridio con la speranza che un giorno risalissero. Nel frattempo, altri metalli meno cari furono estratti su altri pianeti del sistema, permettendo a qualche anima di tornare a bordo della stazione Foxite-H. Ottava installazione della società mineraria Foxite, la stazione uscì dall’orbita del terzo pianeta per fermarsi in una zona considerata perfetta per le attività dei minatori che dovevano recarsi su tre pianeti diversi.

    Salila era figlia di una coppia di ingegneri mandati su Foxite-H, che gli abitanti chiamavano FH, con il compito di trovare nuovi giacimenti nel sistema. La vita a bordo della stazione-dormitorio era tutto tranne che esaltante per la giovane donna che sognava di esplorazioni spaziali. Dopo un lungo corso di studi universitari, la laurea in ingegneria dei sistemi alla fine le avrebbe permesso di realizzare il suo sogno: imbarcarsi a bordo di un’astronave. Quando la Damascus arrivò alla stazione, Salila non poté fare a meno di gironzolare nell’area delle piattaforme d’attracco. Gli arrivi e le partenze erano pochi, e quelli di un’astronave straniera lo erano ancor di più. Per una volta non si trattava dell’ennesima astronave cargo in sosta prima di raggiungere il tunnel spaziale, ma di un ricognitore, una di quelle astronavi costruite per affrontare qualsiasi situazione. Il tipo di bastimento che usavano i mercenari o i più fortunati. L’annuncio che l’equipaggio della Damascus cercava un ingegnere dei sistemi era stato una sorpresa per la giovane donna.

    L’interno della Damascus contrastava con la stazione. Di costruzione alquanto recente, la nave era luminosa, dotata di tecnologie avanzate e, soprattutto, era pulita! Intimidita, Salila si presentò sul ponte accompagnata da un membro dell’equipaggio che l’aveva vista vagare verso la porta di imbarco. Valone le diede il benvenuto e la fece condurre nella sua cabina, uno spazio esiguo che avrebbe condiviso con un altro membro dell’equipaggio, una donna poco loquace che si chiamava Line.

    Un’ora dopo, la Damascus staccò gli ormeggi e si allontanò lenta dalla stazione FH. Seduta dietro un pannello di controllo, che si trovava in un piccolo annesso isolato dal ponte, Salila osservava con attenzione vari schermi. Alle sue spalle, un altro operatore, molto meno qualificato, passava il tempo a parlare all’interfono. Dopo aver superato la distanza di sicurezza intorno alla stazione, la Damascus mise in funzione i grandi propulsori posteriori e l’astronave si addentrò nello spazio intersiderale. In un attimo, FH non fu più visibile sugli schermi. Con il cuore gonfio, Salila si godeva questo momento in cui non era più figlia di minatori, esiliata su una stazione squallida, ma l’ingegnera dei sistemi di una ricognitore in rotta verso la sua missione. A pensarci, Salila si disse che, tra l’altro, non aveva la minima idea di ciò che stessero andando a fare. Anche se era vero che il suo ruolo si limitava soprattutto al funzionamento dell’astronave, i suoi datori di lavoro avrebbero almeno potuto avere la decenza di parlargliene.

    Passarono sei giorni. Salila aveva seri problemi a integrarsi nell’equipaggio il quale, ormai ne era certa, si componeva di mercenari. Anche se erano poco inclini a parlare con la nuova arrivata, aspettavano tutti l’imminente colpo grosso. La Damascus si dirigeva verso il punto di incontro dove avrebbe preso possesso di un carico di grande valore. L’area cargo, l’ambiente più grande della nave, era infatti stata del tutto svuotata per accogliere la preziosa mercanzia. Le speranze dell’ingegnera si affievolirono con il tempo. Il suo compito a bordo di un astronave recente si limitava a osservare schermi di controllo e a effettuare verifiche di routine. Quando aveva imboccato questa strada, Salila non aveva pensato che avrebbe avuto un’occupazione simile. Lo trovava addirittura strano. La Damascus non aveva affatto bisogno di un ingegnere dei sistemi. Poco dopo, mentre era in pausa nella sua cabina, un allarme acustico risuonò in tutto lo scafo della nave e il braccialetto multifunzioni le indicò che Valone, il secondo in comando, la stava chiamando. Le chiese di tenersi pronta con il materiale leggero. Salila andò in laboratorio. Aveva appena completato il suo kit, costituito da un multiscanner, una specie di computer portatile bardato di sensori e qualche altro attrezzo che serviva a tagliare, smontare o assemblare, quando una scossa attraversò la Damascus. Un altro messaggio di Valone le ordinava di recarsi subito in una delle camere stagne dell’astronave. Salila eseguì, affrettandosi a raggiungere il luogo indicato. Fu sorpresa di trovarvi una decina di uomini armati che aspettavano davanti al portello della camera stagna, il cui oblò lasciava intravedere un’altra porta metallica: la Damascus aveva attraccato a un’altra astronave. Valone arrivò poco tempo dopo.

    «Salila, mettiti una tuta e vai ad aprire la porta» ordinò alla giovane donna.

    «Devo solo...»

    «Non discutere gli ordini» la interruppe Valone con tono autoritario. «Mettiti una tuta e va’ ad aprire.»

    Poco dopo, con indosso una tuta ermetica dotata di riserve di ossigeno, l’ingegnera dei sistemi si addentrò nella camera stagna con la borsa. Un fischio fortissimo risuonò nello spazio ristretto per segnalare una fuga d’aria: l’aggancio tra le due navi non era perfetto e l’area si stava depressurizzando. Dopo aver attivato l’alimentazione di ossigeno della tuta, Salila prese il multiscanner dalla borsa e si avvicinò all’altra nave. Bloccò le sue cose che iniziavano a fluttuare per l’assenza di gravità, poi cominciò a tamburellare su un dispositivo di comando prima di irrigidirsi esprimendo sorpresa.

    «Che succede?» chiese Valone nell’interfono.

    «Non è... Insomma, voglio dire... Non c’è nulla di normale. La nave non reagisce al protocollo e non vedo nessuna interfaccia di connessione. Non ho mai visto nulla di simile prima.»

    «Trova un modo per aprire!» ordinò Valone.

    Salila ruotò verso il basso, lasciò il multiscanner a fluttuare accanto a sé, e prese un avvitatore per estrarre una piccola placca in metallo che si trovava vicino alla porta. Selezionò poi alcuni cavi di connessione che collegò a una scheda elettronica incastrata nel piccolo rinforzo che aveva appena aperto. Dopodiché collegò il multiscanner servendosene per cercare di capire come funzionasse il sistema.  Dopo alcuni minuti di tentativi infruttuosi, Salila iniziava a dubitare di riuscire ad aprire la porta. La cosa la esasperava. Avrebbe fallito al primo compito fuori dall’ordinario.

    «Allora?» si spazientì Valone nell’interfono.

    «Mi dispiace. I sistemi di bordi della nave sono incompatibili, non ho mai visto nulla del genere.»

    «Lo sappiamo, lo hai già detto. Fai l’ingegnera di sistema o la cuoca? Apri questa maledetta porta!» esclamò Valone con tono adirato e autoritario.

    «La camera stagna non è pressurizzata, ci deve essere un protocollo di sicurezza che in questi casi impedisce alla porta di funzionare» affermò Salila con tono disperato.

    «Va bene, ho capito. Esci da lì!»

    Salila uscì dalla camera stagna sotto lo sguardo sprezzante dei mercenari che aspettavano di salire a bordo dell’altra nave. Valone non le rivolse nessuno sguardo particolare. Ordinò di cercare qualcosa per sigillare in via provvisoria la camera stagna e una segatrice al plasma per smantellare lo scafo dell’astronave. 

    Salila osservava in disparte l’uomo che tagliava la carlinga. Avevano spruzzato schiuma espansa lungo tutto il perimetro della camera stagna e il fischio si interruppe. Poco dopo, avevano del tutto fatto a pezzi la porta recalcitrante. Con i bordi ancora roventi per la segatrice al plasma, volteggiava lenta su se stessa nella camera stagna dell’altra astronave. Gli uomini vi entrarono subito. Si aggrappavano ai corrimano per avanzare nell’ambiente privo di gravità.

    Prima di raggiungere agli altri, Valone si fermò vicino a Salila, rimasta immobile. La fissò negli occhi con sguardo severo.

    «Devi fare ancora una cosa, solo una: non deludermi più. Coraggio, togliti la tuta, ci imbarchiamo.»

    Salila penetrò all’interno della nave, contorcendosi per evitare la spessa porta che fluttuava al centro della camera stagna. A bordo dell’altra astronave regnava un buio pesto. Valone accese una torcia. La temperatura, anche se più bassa che sulla Damascus, era sopportabile. Superarono la camera stagna e arrivarono in un corridoio. Solo alcuni diodi disposti qui e là indicavano che l’astronave era ancora attiva. Valone afferrò il braccio di Salila per ordinarle di avanzare. Arrivarono in una saletta da cui si diramavano altri tre corridoi. In due di questi, le luci dei mercenari che li precedevano roteavano in lontananza. L’aria aveva un odore strano, risultato di una miscela indescrivibile.

    «Lì!» esclamò all’improvviso Valone tirando Salila per il braccio mentre passavano davanti a quello che sembrava un pannello di controllo. «Accendi le luci.»

    Salila si avvicinò a un rinforzo nella struttura, il quale conteneva uno schermo grande che sovrastava una tastiera di comando. Ancora una volta si trovava davanti a un sistema che non conosceva. Nulla di ciò che aveva imparato durante la lunga formazione le permetteva di comprendere l’interfaccia di cui iniziava a intuire la provenienza. La disposizione dei comandi, i connettori presenti, o ancora i componenti usati per costruire il materiale, la facevano pensare a un tuffo nel passato: aveva davanti un pannello vecchio più di un secolo. Sotto gli occhi impazienti di Valone, Salila riuscì a collegare il multiscanner al pannello. Dopo alcune manovre, si ritrovò davanti alla schermata iniziale della Gemini II, una nave di coloni costruita ormai quasi duecento anni prima. Salila iniziava a capire perché Matt e Valone avevano avuto bisogno di lei per la missione, ma allora, che cosa ci facevano i mercenari a bordo? Faceva parte di una squadra di saccheggiatori di relitti senza saperlo?

    «Ci siamo?» chiese Valone, più impaziente che mai.

    «Sì, ecco fatto» rispose Salila mentre attivava un comando.

    L’intera Gemini II si illuminò. Qua e là, pannelli di controllo o dispositivi necessari alla vita quotidiana si riavviarono dopo quasi due secoli di sonno.

    «Perfetto. Su, vieni! Non abbiamo ancora finito» disse Valone con voce quasi sollevata.

    Salila ebbe appena il tempo di riunire le sue cose. Attraverso l’interfono, Valone aveva appena ricevuto la conferma che i suoi uomini avevano trovato il carico tanto agognato. Corsero attraverso un lungo corridoio che si apriva su un’ampia stanza dal soffitto pieno di oblò. Da dove si trovava, alla fine Salila riuscì a scorgere una parte dell’astronave in cui si muovevano. Disposta in lunghezza, girava piano su se stessa, come tutti i bastimenti dotati di questa generazione di generatori di gravità. Dall’altro lato della stanza, un’apertura nel muro permetteva di accedere alla seconda parte della Gemini II attraverso un lungo passaggio.

    — Passiamo dal tubo, disse Valone. Tieniti forte e seguimi.

    Valone prese uno dei moschettoni presenti sul lato di un lungo tubo in metallo male illuminato. Schiacciò un tasto e un sistema meccanico collegato al moschettone lo tirò su. Salila fece la stessa cosa e, a sua volta, si ritrovò trainata nel lungo tunnel in assenza di gravità. Si dirigevano verso la parte anteriore della navicella, un’area forse meno esposta alle radiazioni del reattore a fusione. Infatti, la maggior parte delle grandi astronavi di quel periodo si sviluppavano in lunghezza per allontanare la zona di vita dal sistema a propulsione. Dall’altra parte del tubo, un pannello indicava il ripristino della gravità quando il sistema di traino del moschettone rallentava. Mentre avanzava verso l'estremità, Salila osservava la sala che girava lenta su se stessa. Valone posizionò le gambe verso il basso e quando uscì dal tunnel cadde in modo brusco sul pavimento metallico. Salila lo imitò prima di darsi un’occhiata intorno. Si trovavano in una specie di spogliatoio; lungo il perimetro della stanza erano installati armadietti in materiale composito. Salila non ebbe il tempo di andare a dare uno sguardo. Senza dire nulla, Valone l’afferrò di nuovo per il braccio e la trascinò lungo la navicella. Percorsero un corridoio, superarono un’altra sala dotata di schermi multipli e console, e alla fine arrivarono in una grande stanza male illuminata, in cui si trovavano decine di capsule criogeniche. Disposte le une accanto alle altre, su due file separate da un corridoio, le macchine permettevano ai loro occupanti di entrare in uno stato di letargia, durante il quale il corpo non era quasi più soggetto al passare del tempo. I sarcofagi in plastica e metallo non permettevano di guardare all’interno, l’unica cosa visibile era un piccolo schermo di controllo posizionato ai piedi di ciascuno di essi, che visualizzava l’identità della persona e i parametri vitali. Tutti i mercenari si erano riuniti nella sala. Alcuni controllavano le capsule, altri parlavano, forse in attesa dell’arrivo di Valone. Uno di loro, piccolo e asciutto, si avvicinò a Valone con passo sicuro.

    — Ce ne sono cinquantacinque. Sei sono danneggiate, ma le altre quarantanove sono valide.

    — Perfetto, esclamò Valone con grande soddisfazione.

    — Non è finita. Ci sono altre tre sale identiche distribuite sugli altri ponti. In totale, ce ne sono centonovantasei in vita. Come previsto, sono sigillate. Per quanto ci riguarda, noi siamo pronti.

    — Grazie, avete fatto un buon lavoro, rispose Valone prima di voltarsi verso Salila.

    — Salila, stammi bene a sentire, iniziò con tono serio e di nuovo autoritario. Centonovantasei persone sono in stasi criogenica su questa astronave. Sono partiti due secoli fa e il sistema li sveglierà solo quando saranno arrivati a destinazione. Il problema è che nel frattempo la loro destinazione è stata colonizzata e, di fatto, il loro viaggio adesso è inutile. Devi forzare il sistema per avviare la procedura di risveglio. Una sala dopo l’altra.

    — D’accordo, ma perché...

    — Ricorda, Salila: niente domande. Prenditi il tempo che ti serve per assicurarti di non far correre alcun rischio a questa gente, e quando sei pronta, avvisami. Svegliamo una sala poi, quando ci saremo occupati dei resuscitati, svegliamo la seconda sala, e così via. È chiaro?

    Salila annuì. Sotto lo sguardo dei mercenari, si avvicinò a una capsula criogenica: tutta arrotondata, sembrava un bozzolo. Si inginocchiò davanti alla console del primo dispositivo e iniziò a usare i comandi della macchina. All’interni vi era una giovane donna,

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