Capitale disumano: La vita in alternanza scuola lavoro
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Info su questo ebook
Roberto Ciccarelli
Roberto Ciccarelli è filosofo e giornalista. Scrive per il manifesto. Tra i suoi libri, Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale (2018), Immanenza. Filosofia, diritto e politica della vita tra il XIX e il XX secolo (2009). Con Giuseppe Allegri ha scritto La furia dei cervelli (2011) e Il quinto stato (2013).
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Anteprima del libro
Capitale disumano - Roberto Ciccarelli
Esplorazioni
Roberto Ciccarelli
Capitale disumano
La vita in alternanza scuola lavoro
Forza lavoro II
manifestolibri | Esplorazioni
© 2022 manifestolibri La talpa srl
Via della Torricella 46
00030 - Castel S. Pietro (RM)
ISBN: 979-12-8012-470-8
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Indice
Soglia
Il rovescio del capitale
Culto del capitale
Il tofu per ogni minestra
Il lavoro morale
Il sogno del padrone
Dall’essere sfruttati allo sfruttamento di se stessi
La proprietà in persona
La rimozione della forza lavoro
Il fantasma torna sulla scena
(Auto) governo della forza lavoro
La società come scuola
Apprendere ad apprendere
Il lavoro di chi cerca un lavoro
Piena occupazione precaria
Ognuno è il CEO di se stesso
Svalutati, risentiti e senza credenziali
Cosa sognano i meritocrati
Si legge populismo, si dice capitalismo
Senza casa
Come si diventa capitale umano
Né apprendistato, né lavoro
Violenza sociale
Good News, Bad News
Borghesi al tornio, proletari in biblioteca!
Non sono le 150 ore
Il lavoro dell’obbligo
A scuola di competenze
L’esperienza vera
dell’alternanza
Occupabili
Il portafoglio degli studenti
Il tutor, manager dell’anima
Docente digitale, pensiero computazionale
Cogestione
Il dilemma del lavoro gratuito
L’invenzione del fannullone
Cercasi apprendista tutto l’anno
Il lavoro del sacrificio
La morale di San Paolo
Bamboccioni e Bobò
La guerra contro i choosy
La costruzione del Neet
Tra radical chic e tute blu
Potenza degli studenti
Quinto stato
Della potenza degli studenti
Scuola come gioco
Reddito agli studenti
Conclusione
L’altro mondo
Appendice
L’odio per il Sessantotto
Agli studenti
A chi, tra le persone più care, insegna: mia sorella Delia
«Se dovessi desiderare per me qualcosa,
non vorrei ricchezza o potere,
ma la passione della possibilità,
l’occhio che dappertutto eternamente giovane,
eternamente bruciante,
vede la possibilità.
Il godimento delude, non la possibilità.
E quale vino è così frizzante,
così profumato, così inebriante!?»
Søren Kierkegaard – Timore e tremore
«[Nel 1968] ci è successo qualcosa.
Qualcosa ha cominciato a muoversi dentro di noi.
Emergendo dal nulla,
riempiendo improvvisamente le strade
e le fabbriche, muovendosi tra di noi,
diventando nostri ma cessando
di essere il rumore ovattato delle nostre solitudini,
le voci mai sentite ci
hanno cambiato.
Almeno abbiamo avuto quella sensazione.
Si è prodotto
un fatto inaudito: abbiamo iniziato a parlare.
Sembrava la prima volta. Da
ovunque sono usciti i tesori, dormienti o taciti,
di esperienze mai dette».
Michel de Certeau – La prise de parole
«Un giorno (non saprei proprio prevedere quando)
i poveri che lavorano
si stuferanno di ricevere così poco in cambio
e pretenderanno di essere
pagati per ciò che valgono.
Quel giorno, la rabbia esploderà
e assisteremo a scioperi e a distruzioni.
Ma non sarà la fine del mondo e,
dopo, staremo meglio tutti quanti».
Barbara Ehrenrich – Una paga da fame
Soglia
Siamo tutti in alternanza scuola lavoro. Non solo 1,5 milioni di studenti delle scuole superiori obbligati a partecipare a un nuovo esperimento sociale, il più grande nella storia della scuola italiana. Nella società della piena occupazione precaria siamo tutti in formazione continua perché vaghiamo nei gironi di chi cerca un lavoro e in questo ha trovato la sua occupazione. Nell’intermezzo tra un lavoro e un altro si moltiplicano le ingiunzioni a studiare, riqualificarci, inventarci, imparare un altro mestiere, creare l’impresa di noi stessi, aumentare il nostro capitale umano. La vita attiva è colonizzata dall’alternanza tra un lavoretto e un contratto a termine, dall’intermittenza permanente tra il lavoro e il non lavoro. A un giro di giostra con un contratto da apprendista non segue un’assunzione, ma un altro lavoretto che non permette di uscire dall’inoccupazione. E poi c’è sempre un’altra tappa nel mondo dell’iper-attività fine a se stessa. Siamo a caccia di un lavoro che si è smaterializzato. Siamo sulle tracce della Bestia inseguita dal franco cacciatore:
«Se non dovessi tornare/sappiate che non sono mai partito/Il mio viaggiare/è stato tutto un restare/qua, dove non fui mai»¹.
La mobilitazione totale che spinse al fronte i soldati della prima guerra mondiale oggi si svolge sul fronte del mercato del lavoro: tutta la popolazione attiva deve essere mobilitata sul mercato del lavoro 24 ore su 24, sette giorni su sette. Gli studenti non sono soli. Ci sono anche i fratelli e le sorelle maggiori, i genitori precari, i parenti, i vicini e i lontani. Ogni loro fibra, tessuto, sinapsi sono messe al lavoro attraverso le tecnologie digitali del data mining, della micro-targettizzazione pubblicitaria, della valutazione e della profilazione sulle piattaforme digitali. Che sia occupata, disoccupata, inoccupata, la forza lavoro deve essere attiva nella battaglia per la crescita del capitale umano. E, se non lo è, deve essere attivata con tecniche come l’alternanza scuola lavoro o con le politiche attive del lavoro. Studenti, lavoratori, disoccupati: siamo pensati come veicoli del capitale, non siamo soggetti di un progetto di vita, capaci di affermare un diritto all’esistenza. Ci dicono di combattere contro la stagnazione secolare e di dare il microscopico contributo alla ripresa di un’economia inchiodata a percentuali da prefisso telefonico dove vigono le leggi dell’iper-precariato, del sotto-salario e del lavoro volontario.
Partecipare è obbligatorio in un’economia dai cicli sempre più brevi e feroci dove la forza lavoro è gestita come le scorte di un magazzino ed è mobilitata quando serve. Nella società della piena occupazione precaria questa è la vita che accomuna gli adolescenti agli ultra-cinquantenni. Nessuno può smettere di lavorare, soprattutto quando nessuno ha un posto di lavoro, né un contratto, per più di tre mesi. Il nuovo lavoro consiste nell’inviare curriculum, migliorare l’auto-profilazione digitale, pagare un master: attività a cui sono formati anche gli studenti delle superiori.
Con la retorica e la persuasione incarniamo il nostro capitale umano. A costo di diventare l’opposto: disumani. Nel capitale l’umano e il disumano coesistono in un permanente rovesciamento nell’opposto. L’uno senza l’altro non esistono quando si è formati all’auto-sfruttamento di noi stessi. Il superamento di questo dispositivo è necessario, ma non può prescindere dalla contemporanea comprensione della trasformazione antropologica di cui siamo il prodotto. Il processo coinvolge ogni aspetto della vita sociale, produttiva, percettiva, affettiva e discorsiva. Usa strategicamente un linguaggio ispirato alle idee di libertà, autonomia, benessere, bene comune e lo rovescia nelle pratiche del sacrificio e della depressione generalizzata. Non sempre è compreso il problema del rovesciamento dell’autonomia nel suo opposto di auto-sfruttamento, la caratteristica della politica contemporanea. Ed è difficile che lo sia, visto che questa politica è alimentata dalla nostra soggettività, protagonista della merce che siamo: capitale umano. Su questa soglia dove gli opposti coincidono, mentre l’umano è proiettato sul suo rovescio, è possibile scegliere altrimenti. Il Capitale umano non è una soggettività postmoderna senza qualità, impero flessibile e vuoto dell’economico. È una forma reversibile del potere a partire da un uso non proprietario della nostra facoltà più importante: la forza lavoro.
L’umanità non è composta solo da capitalisti, il mercato è governato da qualcuno che cerca il profitto ai danni degli altri. Non tutti hanno accesso agli stessi capitali, non tutti possono diventare agenti efficienti del mercato. Le differenze di classe, di censo e di cittadinanza esistono. E non basta incarnare il proprio capitale umano per superarle. Bisogna attaccare il sogno di essere padroni, evacuare il Capitale dalle nostre vene e prendere congedo dall’umanità zombificata. Il sortilegio può essere interrotto.
Questo libro è un esercizio etico per prendere le distanze da ciò che siamo, aprendoci alle possibilità non ancora determinate dalle verità di qualcuno e imposte alla vita degli altri, ma presenti nel nostro vivere insieme. Pubblicato a mezzo secolo dal Sessantotto – l’anno della rivolta degli studenti e degli operai – il libro racconta la storia di un conflitto e la sua attualità. E mi chiedo: chi è, e cosa può diventare, lo studente: il gorilla ammaestrato al servizio di una piattaforma digitale; il cacciatore del lavoro, questa Bestia fantasma; il venditore di visibilità; il coscritto obbligato al lavoro di chi cerca lavori. Oppure?
Capitale disumano è parte di una filosofia della forza lavoro esposta nelle sue linee fondamentali in Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale². La scuola, l’università, il mercato del lavoro, il capitalismo digitale: questi sono alcuni campi nei quali è possibile creare una genealogia e comprendere la nostra attualità, partendo dai problemi di cui noi stessi siamo l’espressione. I libri possono essere letti insieme, in maniera intrecciata e sincopata, prima l’uno poi l’altro, e contemporaneamente.
Altri ne potranno seguire, altri li hanno preceduti³. Da una lettura combinata emerge la continuità tra il punto di vista dello studente e del docente con quello della forza lavoro in generale, una forza oscura ma vivente dentro e fuori di noi che l’abitiamo
¹
G. Caproni
, Biglietto lasciato prima di non andar via, in Il franco cacciatore, ora in Tutte le poesie, Garzanti, Milano (1983) 1999, p. 445.
²
R. Ciccarelli
, Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale, DeriveApprodi, Roma 2018.
³
R. Ciccarelli
e
G. Allegri
, La furia dei cervelli, Manifestolibri, Roma 2011; Id., Il quinto stato. Perché il lavoro indipendente è il nostro futuro, Ponte Alle Grazie, Milano 2013.
Il rovescio del Capitale
Culto del capitale
Il Capitale umano parla con la nostra bocca, ascolta con le nostre orecchie, cammina sulle nostre gambe. È un animale fantastico come il Minotauro, la Fenice, lo hidebehind dei taglialegna del Wisconsin e del Minnesota, la Scimmia dell’Inchiostro che attende la fine della scrittura per berlo¹. Nell’enciclopedia cinese inventata da Borges non sfigura accanto agli animali imbalsamati disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello. Ma il nostro personaggio non è una chimera estranea all’esperienza, né prospetta spazi meravigliosi. È anfibio: da un lato, è un umano in carne ed ossa; dall’altro lato, è un’astrazione reale installata nel corpo e nella mente. Il Capitale umano è una creatura fantastica che si comporta in maniera reale perché è connessa a tutto ciò che siamo e a ciò che dovremmo essere. Non è dotato di ala artigliata, faccia polimorfa, pelle squamosa o cresta acuminata. Siamo noi i prodotti e i produttori di una sconcertante coincidenza degli estremi che non hanno rapporto.
Il Capitale umano abita in una regione mediana tra il linguaggio, la percezione e la prassi. È un fantasma percepito come la misura dei modi di essere. Concetti e azioni devono rivolgersi alla sua maestosa astrazione incarnata per esistere. La loro dignità dipende dalla prossimità al sole che illumina il conoscibile e il possibile. Senza l’ordine e la legge generale del capitale umano non esistono le vite né le opere. In sé il capitale umano non ha bisogno di essere spiegato: è auto-esplicativo, splende nelle nostre esistenze e colonizza il loro sviluppo. Incarna un altro mondo a condizione che sia identico a quello che imprigiona oggi la vita.
L’importanza del capitale umano nella cultura contemporanea è pari all’invenzione della categoria di uomo
in quella moderna². L’uomo
possiede uno statuto contraddittorio: da un lato, è un individuo empirico; dall’altro lato, è il soggetto che conosce l’empiria in cui l’individuo è sprofondato. L’uomo
è sia la condizione di una rappresentazione, sia l’oggetto della rappresentazione. È la piega antropologica del sapere
che ha permesso alle scienze umane, alla politica e all’economia di pensare l’umano come finalità ultima della loro azione. In questa costruzione l’umanità si afferma nella dimensione ambigua di una realtà che appartiene, allo stesso tempo, all’esperienza concreta e ai principi che dovrebbero regolarla. Questa doppia collocazione ha creato una confusione inestricabile tra l’empirico e il trascendentale. All’origine, come alla fine, il risultato è lo stesso: gli eventi rispettano le leggi del già dato, le potenzialità della vita sono annullate, la loro carica etica è vincolata alla ripetizione dell’Identico.
Il discorso che ci governa è fondato sul medesimo equivo co dell’umanesimo
. Il Capitale umano è l’intensificazione del tratto trascendentale dell’uomo
e il suo rovesciamento in una concezione che porta all’antropizzazione del capitale e alla capitalizzazione dell’umano. Nell’inglobamento dell’uomo nel capitale è stata cancellata ogni possibile forma di critica che permette di distinguere il trascendentale dall’empirico, la condizione dal suo condizionato. Nell’attuale configurazione dei saperi e dei poteri la finitezza umana è vincolata all’organizzazione di un’impresa. L’umano è una qualifica dell’essere che si conquista sulla base della capacità di un individuo, di uno Stato o di un’economia di gestire il capitale. Il Capitale umano coincide con la razionalità corporea, emotiva, intellettuale dell’uomo
. L’uomo
in carne e ossa è, a sua volta, considerato il veicolo che trasporta la vita del capitale, non è la causa che lo genera. Il corpo è un tabernacolo del Puro Spirito Capitale, prodotto di un’unità ontologico-antropologica dove la sostanza prima è il capitale, l’unico essere soggetto solo a se stesso. Le forme di vita sono i suoi attributi. In questa gerarchia l’umano è un accessorio del capitale. La realtà si forma nel capitale, mentre l’uomo è la sua incarnazione e ne esprime l’essenza infinita. Il risultato è una divinizzazione del capitale. Nella sua eternità non esiste nulla di contingente perché le cose sono determinate da una divinità oscura che coincide con noi stessi.
Il capitalista umano è il primo uomo che comincia consapevolmente a realizzare la religione capitalista
³. Il Capitale è natura naturans, mentre l’uomo è natura naturata⁴. Come Dio crea tutte le cose, il capitale è la natura che crea se stessa: natura naturante. Ma il capitale è anche il prodotto storico di un uomo
: è la natura prodotta, ovvero natura naturata. Il Capitale umano afferma l’unità tra creatore e creato: lo stesso soggetto è causa ed effetto di se stesso. La confusione tra la causa materiale e causa divina è ricorrente nelle teologie immanentiste. In quella del capitale umano è la regola. Il Capitale è l’Uno generato per partenogenesi.
Noi siamo il prodotto di un incontro mistico tra umano, capitale e impresa⁵. Il Capitale umano ha eletto a proprio fondamento un principio astratto e universale, ma il suo riferimento è una parzialità storica, psicologica e individuale. È, allo stesso tempo, un’idea eterna e una condizione sensibile, un artificio storico e un principio che pre-esiste all’azione. Occupa una posizione archi-originaria dell’essere e si sottrae alla storia. È il fondamento di una storia, ma rifugge da essa. Al suo principio è conferito il ruolo di causa di un processo e di effetto dello stesso processo. Ma il principio non si risolve mai nel processo e si sottrae a ciò in cui dovrebbe realizzarsi. La vita è un tentativo di realizzare qualcosa che si sottrae alla sua realizzazione e si presenta come un doppio in cui la realtà è parte di una concreta finzione.
Il tofu per ogni minestra
Il Capitale umano è il riferimento di una cultura manageriale, fondamento della politica contemporanea, oggetto del governo della popolazione, caposaldo di una filosofia morale basata sulla capacità di autogestione finanziaria del soggetto inteso come imprenditore di se stesso. Il protagonista del nostro racconto non è un agente razionale prodotto di una meccanica impersonale. È un individuo prodotto dai rapporti sociali e una creazione mitologica forgiata nello scambio, nell’acquisto e nel consumo delle merci⁶. In questa cornice il lavoro è considerato un capitale-competenza
. Da partner dello scambio
il lavoratore è diventato il produttore del proprio reddito/capitale
⁷.
Questa storia è iniziata quando lo Stato moderno ha preso il potere sul corpo e ha trasformato la sua esistenza biologica in un bene di interesse pubblico: una tendenza che condurrà verso quella che potrebbe essere chiamata una statalizzazione del biologico
⁸. Siamo arrivati a un altro passaggio: l’imprenditorializzazione del vivente. Ogni aspetto biologico e intellettuale, le virtù etiche e dianoetiche dell’essere umano, sono state trasformate in parti di un capitale concepito come soggetto solo a se stesso e, per di più, umano. Metà indicatore economico, metà proprietà indivisibile della persona, il capitale umano è la risposta al problema politico ed economico più importante della nostra epoca: la soggettività. La sua estrema adattabilità non è solo il segno dell’indeterminatezza che ne ha fatto la fortuna trasformandolo nel tofu buono per ogni minestra. Il Capitale umano è uno strumento di governo dell’uomo sull’uomo, legittimato dal valore più alto della morale e dall’intimità dell’identità, destinato alla trasformazione del soggetto in unità produttiva.
Questa invenzione risale all’alba della storia dell’economia politica nel XVII secolo e si è realizzata nella teoria economica neoliberale della Scuola di Chicago
tra la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta del XX secolo⁹. Oggi i suoi campi di applicazione sono numerosi: l’istruzione, la formazione professionale, la salute, la morale, la genetica, le politiche di contrasto della povertà e di sviluppo, il micro-credito, la macro-economia. Duplice è il carattere di questo capitale: quantitativo e qualitativo. La distinzione è presente a tutti i livelli: la scorta [stock] delle conoscenze, delle abilità, delle competenze, della salute e delle altre caratteristiche che servono alla creazione del benessere personale, sociale ed economico è una qualità del capitale umano¹⁰. Sullo stesso piano si trova la somma delle proprietà innate dell’essere umano: il cervello, gli organi, i tessuti, le facoltà riproduttive e la sessualità, le caratteristiche biologiche e intellettuali che rendono umano un corpo.
La stessa distinzione tra quantità e qualità va fatta rispetto al concetto di capitale fisico che consiste nello stock di impianti, attrezzature, macchine e strumenti. Le dotazioni sono i mezzi di produzione che in un’economia capitalistica appartengono al proprietario – il capitalista – distinto dal lavoratore che vende la forza lavoro di cui dispone. Il Capitale umano, invece, appartiene al lavoratore: è una proprietà personale che viene liberamente venduta sul mercato. Non solo: è il mezzo di produzione del suo proprietario e produce ricchezza, beni, servizi. Il Capitale umano è un investimento che può essere calcolato attraverso i costi diretti – nel caso del capitale fisico – e il costo-opportunità per il tempo individuale investito – nel caso del capitale umano.
L’economia politica tradizionale si è concentrata sulle macchine, la terra, il capitale fisico o fisso
, la popolazione e, in generale, sul lavoro astratto. Il Capitale umano si concentra invece sull’elemento soggettivo, sulla produzione della conoscenza, l’istruzione e la cura della salute, la formazione sul lavoro e la qualificazione dello studente in quanto forza lavoro potenziale capace di acquisire informazioni, conoscenze e abilità. Il Capitale umano, in quanto bene storico, è tanto variabile quanto deperibile¹¹. Cambia di persona in persona, e diverge in base all’età e all’appartenenza nazionale. Un migrante proveniente da un paese a capitalismo arretrato non avrà lo stesso capitale di un autoctono cresciuto in una società a capitalismo avanzato. Chi abita in una periferia, e proviene da una classe sociale povera, non possiede le stesse opportunità di accumulazione di chi vive in un quartiere centrale e appartiene alle classi medio-alte. Lo stesso capitale ha conosciuto stagioni di vertiginosa accumulazione, com’è accaduto in Europa dopo la Seconda Guerra mondiale; oppure lunghe fasi di accumulazione negli Stati Uniti che, nel corso del XX secolo, hanno creato un sistema scolastico e universitario capace di garantire un vantaggio durante la Guerra Fredda¹².
Il Capitale umano è una produzione basata sui costi reali netti derivati da una stima del reddito futuro. L’essere umano è considerato un bene prodotto da un’autonoma capacità di investimento in educazione, formazione e mobilità. Tale capacità accresce la sua produttività sul mercato. Valutarla in termini di denaro è un’operazione politica che
– definisce il suo apporto alla produzione della ricchezza.
– determina i costi e gli effetti economici dell’educazione, degli investimenti nella salute o delle migrazioni;
– stabilisce il potere di una nazione;
– fissa il costo umano di una guerra;
– risveglia il bisogno di una conservazione della vita e il significato della vita economica di un individuo nella sua famiglia e nel paese in cui vive;
– aiuta i tribunali a prendere decisioni giuste nei casi di risarcimento per danni o incidenti mortali¹³.
Il Capitale umano influenza l’industria delle assicurazioni fondata sul calcolo del valore della vita in caso di incidente, morte o processo per definire l’entità economica del danno per un assistito. Sulla stessa