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Il Deputato: Nessun Effetto Collaterale
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E-book230 pagine3 ore

Il Deputato: Nessun Effetto Collaterale

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Info su questo ebook

In un prestigioso appartamento di Roma, due uomini stanno trattando l’acquisto di un esemplare unico di una moneta romana, un Sesterzio Illirico dell’epoca di Augusto. Nel frattempo, un giovane avvocato, viene assunto in un prestigioso Studio Legale di Roma diretto da un Deputato della Camera. La sua mansione consiste nel affiancarlo nell’attività politica con l’elettorato ed in uno strano incarico: aiutarlo nell’approvazione di una legge legata ad un misterioso farmaco. Dopo l’entusiasmo iniziale egli comincia però a ricredersi sull’onestà dell’uomo, soprattutto quando viene a conoscenza, insieme ad una collega di Studio e di un’amica esperta in informatica, dei segreti inconfessabili dell’onorevole. Sullo sfondo due strane morti che potrebbero essere collegate all’attività del Deputato.

IL DEPUTATO
LinguaItaliano
EditoreTektime
Data di uscita28 dic 2018
ISBN9788893981491

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    Anteprima del libro

    Il Deputato - Ugo Nasi

    Introduzione

    Una nevicata come quella l'avevano vista di rado a San Pietroburgo. E il bello era che i fiocchi continuavano a cadere senza sosta. Rannicchiato come un topo, nell'armadio del grande salone liberty della villa, Serghey, teneva le mani appoggiate alle ginocchia come quello scimmione che aveva visto dipinto su di un carro del circo. Così messo, in quella buffa posizione, ripensò alle sue due splendide bimbe, Katerina e Natalya che ora probabilmente dormivano al caldo, con la moglie, nell'unico letto della casa.

    Se tutto fosse andato liscio, si sarebbe portato via da quella splendida villa almeno due coperte. Di quelle fatte di lana. Non come la canapa pungente di cui erano fatti i vestiti di quei maledetti preti e le coperte del suo giaciglio. E si sarebbe portato via tutto l'argento che poteva. Era stato previdente.

    Anche se Piotr Sukotin, il suo amico, che in quella villa ci passava spesso parte delle sue giornate, l'aveva rassicurato del fatto che lì ci fossero tanti di quei contenitori e borse sufficienti a metterci dentro i mobili e le suppellettili dell'intero edificio. E comunque quando tutto fosse stato portato a termine avrebbe avuto il permesso di scegliere qualsiasi oggetto prezioso che si fosse trovato a distanza di un braccio. Che male c'era ad appropriarsi dei beni dei ricchi? Se lo chiedevano anche i giovani proletari che sempre più spesso parlavano nelle piazze delle principali città vicine alla capitale. Politici quelli. Gente che aveva studiato, e che sapeva leggere. Uomini colti insomma. E la gente colta, che conosce i segreti del mondo non può che essere onesta.

    Da qui ad un secolo, ne era certo, il mondo sarebbe stato governato dai politici. Uomini retti ed incorruttibili, che non si sarebbero più approfittati della povera gente, e che avrebbero fatto solo l'interesse del popolo. Del proletariato. Sentì uno scricchiolio sospetto provenire dall'esterno.

    Si piegò sulla schiena tanto da farsi venire male ai reni. Ma così poteva guardare dal buco della serratura dell'armadio cosa stesse succedendo là fuori. Ma niente, nella sala ora non volava una mosca. Illuminata come se fosse giorno, con quella strana energia che veniva chiamata elettricità. Un'energia fredda rispetto a quella calda del fuoco. L'elemento che permetteva a lui e a quasi tutti gli abitanti di San Pietroburgo di illuminare le loro povere abitazioni con le candele di segatura e pece cotta.

    Stupido di un Piotr! Con quella luce gli si vedevano le punte delle scarpe, nascosto dietro la spessa tenda di velluto rosso che lambiva le pareti della grande sala. Doveva in qualche modo avvertirlo.  Ma come?

    Se fossero stati scoperti... non voleva neppure prendere in considerazione questa eventualità, perché avrebbero fatto una brutta fine. O forse, perché no? Vero era che negli ultimi tempi aveva pensato più volte alla morte, come ad una liberazione. Ormai era un vecchio. Da poco aveva compiuto trentanove anni. E poi, si poteva chiamare vita la sua? L'unico vestito che possedeva era quello che aveva indosso. Un abito che il suo amico Vladislav, che faceva il becchino, aveva rubato al cadavere di un panettiere la notte successiva a quella in cui era stato sepolto. Era furbo Vladislav. Era corso da lui e gli aveva gettato la vanga sul letto. Vieni che ti faccio un regalo gli aveva detto. E tutti e due erano corsi al camposanto e avevano diseppellito la bara. Poi una volta spogliato il cadavere, lo avevano rinterrato, e nessuno si era accorto di nulla. Neppure il parroco.

    Già, il parroco. Maledetti preti. Tutti vestiti di nero, come dei corvi. A predicare l'esistenza di Dio che poi bestemmiavano quando non erano sentiti dai loro fedeli. Ma Dio c'era quando Micha, il suo primo bimbo, si era ammalato nel petto di un male che chiamavano polmonite? E dov'era il loro Dio, quando il suo piccolo stava male ed era diventato giallo come la canapa.

    E perché il dottore, dopo avere visitato il bambino, si era rifiutato di somministrargli la medicina visto che lui non aveva di che pagarlo e non disponeva di mezzo rublo? Quel bastardo, si era ripreso le pillole che teneva nella sua valigetta e se n'era andato. Aveva fatto di tutto per trattenerlo. Sua moglie si era offerta persino di prostituirglisi, pur di ricevere quelle maledette medicine. Ma quel maiale l'aveva strattonata via, minacciando di chiamare le guardie. Dopo due giorni Micha, il suo piccolo pulcino era morto.

    E qualcuno l'aveva visto per caso, Dio, ventidue anni prima, quando a Minsk - la sua città natale - sei contadini avevano gettato davanti alla sua casa il corpo in fin di vita di suo padre Yuri, trafitto all'addome da dodici colpi di falce, solo perché aveva tentato di rubare sei patate per sfamare la famiglia?

    L'uomo, seppur a fatica e con le lacrime agli occhi si destò da quei ricordi dolorosi tornando alla realtà del momento.

    Piotr non poteva restare lì nascosto, con le punte delle scarpe che uscivano da sotto la tenda. Seppur la cosa in sé fosse ridicola, quel maledetto prete se ne sarebbe potuto accorgere.

    Ma tutto fu inutile. Perché da un luogo imprecisato del salone, il cui controllo era impedito dal limitato raggio di visione del buco della serratura, già si udivano provenire dei passi da lontano e delle voci di uomini che conversavano e ridevano. Sembrava che si avvicinassero proprio lì. Dove erano nascosti lui è il suo amico Piotr Sukotin. Però non fu così. Forse accortisi del suo nascondiglio maldestro gli uomini che conversavano amabilmente con lo stregone si fermarono di colpo. Finalmente riuscì a scorgere parte di un persona.

    Riconobbe il signore della villa, il Gran Duca Felix Dimitrij Pavlovič Romanov, cugino dello zar, che con un colpo discreto del piede spinse in dietro le punte delle scarpe di Piotr. Felix era l'unico nobile di cui si fidasse, era furbo lui. Ed era anche gentile. Sentì distintamente le risate degli altri due ospiti che conversavano col prete ma che non vedeva. Erano Vladimir Mitrofanovič Puriškevič, e il dottor Chusckin Lazavert. Quest'ultimo scambiò un'occhiata complice con il Gran Duca.

    Poi i tre indicarono al prete una tavola imbandita nel fondo della sala. I quattro si allontanarono nuovamente da quel grosso tavolo di forma ovale ove erano appoggiati piatti e vivande di ogni genere. L'arrivo della domestica Irina, segnò il momento dell'azione.

    I due uscirono dai rispettivi nascondigli, mentre la serva guardava in direzione dei commensali con lo sguardo di un gatto, per assicurarsi che non venissero scoperti. Estrasse dalla giacca un sacchetto di carta. Sopra c'erano scritte delle parole incomprensibili. O forse era solo che lui non sapeva leggere. Ma l'amico si.

    «Dammi il sacchetto, stupido!» disse a bassa voce Piotr.

    «E non sfiorarlo neppure con le dita, incosciente. Questo è cianuro».

    «Sbrigatevi voi due. Il prete potrebbe accorgersi della vostra presenza!» disse Irina, mantenendo il tono di voce molto basso.

    Sukotin, sembrava non decidersi sul piatto da scegliere per versarci sopra il veleno.

    «Mettiglielo lì. Sul pasticcio di piccione. Il prete ne è goloso» ordinò la donna. Poi, presa una forchetta, cominciò a impastarne le carni facendo assorbire quella polvere bluastra insieme alla salsa di arance.

    Sempre con la forchetta ricompose il pasticcio, come se fosse stato appena preparato in cucina. Con un piccolo colpo di tosse preannunciò la prima portata. I due si nascosero nuovamente, questa volta ambedue dietro la tenda.

    Dal fondo si udirono le risate e le battute dei quattro, mentre Irina era ferma, in piedi, in attesa, in un angolo della sala. Ma l'allegria non durò molto, perché dopo pochi minuti le voci cessarono quasi di colpo.

    Nascosti dietro la parete e la tenda i due non potevano vedere la scena, ma videro distintamente tre dei quattro commensali che si alzarono da tavola e in silenzio con lo sguardo rivolto a terra abbandonarono il luogo. Si sistemarono accanto ad Irina che proprio in quel momento si portò una mano alla bocca. Era il momento tanto atteso, uscirono allo scoperto.

    I tre uomini e la donna indicarono con lo sguardo complice la vittima, seduta ancora alla tavola. Se Gesù era stato tradito da un uomo, i Giuda che avevano tradito lo stregone erano tre.

    Questi si mise a vomitare del cibo e del sangue ma non disse una parola, limitandosi a guardarli con la maledizione della morte. Vladimir Mitrofanovič ruppe gli indugi.

    «Vogliamo smetterla con questa farsa ed ammazzarlo una volta per tutte?» gridò scompostamente tenendo un revolver in mano. Lo offrì a Sukotin, che dei due sicari pareva essere il più risoluto.

          L'uomo si avvicinò timoroso al conte e gli prese l'arma dalla mano. Nel frattempo il prete si era alzato dal tavolo e pareva quasi che il cianuro non avesse fatto alcun effetto su di lui. Era un gigante, alto almeno tre braccia, con una barba e capelli assai lunghi gli uni e l'altra. E tutti e due di colore nero come la pece.

    Con il viso scarno ed emaciato, ora corrotto probabilmente dallo spasmo dovuto dai dolori causati dal veleno. Tuttavia come l’angelo della morte cominciò a camminare seppur barcollando verso il suo carnefice. Sukotin esplose due colpi diretti al cuore del prete. Ma solo un proiettile sembrò ferirlo di striscio all'addome.

    Continuò ad avvicinarsi – minaccioso - con le braccia protese verso di lui. Il complice gli strappò l'arma dalla mano, socchiuse gli occhi e premette nuovamente il grilletto. L'ultimo colpo in canna centrò in piena fronte il prete, che finalmente stramazzò al suolo esanime.

    Il duca ordinò ai due di prendere un sacco che Irina, atterrita da quella scena gli aveva portato, tremante. I due sicari erano scioccati da ciò che avevano combinato ma riuscirono ugualmente ad infilarci dentro il corpo dell'uomo e a trascinarlo fuori della sala. Anche il padrone della villa, Dimitrij Pavlovič Romanov, era visibilmente provato e respirava a fatica. Ebbe anche un urto di vomito, ma seppur con difficoltà riuscì a mantenere la calma.

    Ordinò ai due di disfarsi del cadavere. Poi avrebbero potuto tornare alla villa e chiedere gli oggetti che desideravano. La sua promessa sarebbe stata mantenuta.

    «Appesantite il sacco con delle pietre e gettatatelo nel fiume».

    Ma sembrava che i due fossero impietriti dagli eventi, come ipnotizzati.

    «Per lo zar di tutte le Russie. Volete ascoltarmi? Rimuovete immediatamente questo cadavere da qui!»

    Solo allora i due sicari sembrarono risvegliarsi da un incubo. Guardarono quella stupida serva che piangeva sommessamente mugugnando, coprendosi il viso con un fazzoletto, e quei tre dannati damerini, pallidi come cadaveri, che li imploravano con lo sguardo, muti come pupazzi inanimati, di liberarli da quell’orrore.

    ****

    La notte là fuori era gelida, con la neve che scendendo veloce come un proiettile feriva gli occhi e la bocca. Il carretto trainato dal cavallo faticò non poco per raggiungere un'ansa nascosta della Neva. Ma chi poteva trovarsi lì, alle due di notte di quel maledetto 17 Dicembre 1916, con quella bufera di neve che permetteva a fatica di respirare?

    Quella era forse l'unica nota positiva di quella giornata, la sicurezza che nel raggio di cento chilometri non ci fosse anima viva. Giunti in un piccolo bacino naturale del fiume, si sincerarono che l'acqua in quel punto non fosse ghiacciata. Poi Sukotin prese il sacco in cui si trovava il prete e lo gettò a terra con fatica ordinando all'amico: «Prendiamo delle pietre ed infiliamocele dentro»

    Ma si udì un urlo raccapricciante che attraversò l'intera vallata. Era il grido disperato dello stregone che non si decideva a morire. Sukotin e l'amico presero due badili e cominciarono a colpirlo alla testa visto che ancora si dimenava disperatamente.

    Non era la prima volta che Serghey provava un'esperienza simile. In primavera aveva già ucciso alla stessa maniera e con la stessa violenza dei pesci siluro e uno storione, alcuni delle dimensioni di un uomo, pescati nel Volga. Ma quelli erano animali, non uomini. Picchiò forte, e ancora più forte, perché voleva far cessare l’esistenza del prete e quell'incubo il prima possibile. La vittima non diede più segni di vita.

    «Maledetto diavolo di uno stregone. Finalmente lo abbiamo ammazzato» gridò Sukotin visibilmente fuori di sé, all'amico. Poi ci ripensò, e gli ordinò di estrarlo dal sacco in cui era stato inserito per un ultima incombenza.

    «Guarda nelle tasche di questo porco! Se ci trovi del denaro è tuo. Te lo sei guadagnato»

    L'altro frugò velocemente nel pastrano del cadavere, ma non trovò niente. Poi però, tastando furtivamente il petto sentì una piccola protuberanza dura, all'altezza del cuore. Cercò con le mani fino a scoprire una tasca interna. Dentro c'era una moneta, con diverse ammaccature, forse dovute ai colpi di rivoltella.

    «Bravo amico mio. Sai cos'è questo?» Serghey fece cenno di no.

    «Questo è un rublo. Un meraviglioso rublo. Con questo ci sfamerai la famiglia per un mese intero» disse rigirando tra i polpastrelli delle dita la moneta. Poi la passò all’amico che prese in mano quel circoletto di metallo brunito.

    Era la prima volta che ne vedeva uno.

    «E questi segni, Piotr? Cosa sono questi segni?» gli chiese, visto che lui non sapeva leggere.

    «Passami il lume zoticone»

    Serghey gli passò il lume a petrolio che faticava a restare acceso per il freddo. I fiocchi di neve a contatto con il vetro incandescente della lanterna diventavano gocce che colavano sul terreno ghiacciato.

    Sukotin prese la moneta e la illuminò al flebile bagliore del lume, scrutandola come fosse una reliquia benedetta, mentre le orecchie gli si gelavano per la tormenta.

    «Stupido di un villano. Questi non sono segni. Questa è la data in cui è stata coniata questa moneta, Vedi? Il Millenovecentodiciassette».

    «Millenovecentodiciassette? Ma non siamo nel millenovecentosedici?».

    1

    Roma, 3 Ottobre - sera

    Se in quella stanza di un prestigioso appartamento del centro storico di Roma ci fossero state almeno altre due persone, il luogo avrebbe facilmente potuto essere scambiato per una bisca clandestina. Il fumo azzurrognolo, dolciastro, di un sigaro Havana appena acceso, gravitava - magicamente sospeso – su di tavolo di in legno di noce posto al centro del locale. Come una nuvola di smog visto dalla cima di un grattacielo di una metropoli orientale.

    Vi fosse stato un drone, avrebbe comodamente ripreso, dall’alto, la testa di un uomo con un folta capigliatura brizzolata e di un altro, invece parzialmente calvo, concentrati nell’esame di uno strano contenitore con la forma di album, in pelle, di colore verde.

    L’uomo brizzolato vestito con un ricercato completo di uno stilista italiano, mosse le labbra in un impercettibile sorriso che però non sfuggì all’altro, seduto vicino a lui, che gli propose, ammiccante: «Ne può scegliere una se crede, per fare uno di quei suoi buffi esperimenti»

    L’altro sollevò lentamente lo sguardo verso il quadro di fattura lombarda del XVI secolo appeso alla parete di fronte, che raffigurava un notaio, o comunque un uomo di legge, che con lo sguardo severo reggeva mollemente tra le dita un documento.

    Dietro a quel dipinto di medie dimensioni era ricavato nella parete un incavo in cui aveva depositato una valigetta ricolma di dollari. Dopo il veloce passaggio sul quadro, il suo sguardo si rivolse nuovamente su chi gli stava seduto davanti, tirando un’altra boccata del sigaro.

    «Posso?»

    «Certamente, amico mio. Ormai ci conosciamo da quanto? Quindici anni? Forse anche venti... Giusto?»

    L’altro annuì.

    «Le ho mai negato una prova?»

    L’interlocutore fece di no col capo.

    «Anche se non ce ne

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