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Osernbruck: Tutti fuori di testa
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E-book210 pagine3 ore

Osernbruck: Tutti fuori di testa

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Info su questo ebook

Sulle alture svizzere che tracimano di vegetazione, Osernbruck diventa il palcoscenico di un mondo surreale, dove l'unico auspicio per i cittadini è scongiurare l'incontro con uno squilibrato, un augurio quanto mai audace. Le pareti di un ospedale, i reparti di un supermercato, le mura tormentose di una prigione, fino alle intime costruzioni domestiche, si rispecchiano in un labirinto di follia dove accadono i deliri più stravaganti, drammatici ed esilaranti... fino a quando tutto non si intreccia. In questa commedia dell'assurdo, l'evasione dal carcere si trasforma in una folle corsa attraverso un territorio dove la normalità è una reliquia dimenticata. I detenuti si mescolano alla popolazione, creando un tumulto di risate, sconcerto e caos. Ma la situazione prende una piega ancora più sconvolgente quando, a dare la caccia agli evasi, è quel pazzo del direttore carcerario Adolf Stipkis con la sua spietata dozzina.
 
LinguaItaliano
Data di uscita17 gen 2024
ISBN9791222497099
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    Anteprima del libro

    Osernbruck - Alessandro Brescia

    UNA CASA DA INCUBO

    Ci fu un altro giro di ingranaggi e un ultimo rintocco del batacchio sulla campanella, nell’istante in cui l’intelaiatura urtò per terra. La sveglia di Oleg spirò come una banda musicale che suona alla festa del paese e viene spazzata via da una calamità naturale, provocata da una malsana attività umana. Il secondino dormiva mummificato tra le lenzuola, fasciato nella coperta come un wurstel di toporagno arrotolato nella pasta sfoglia, dopo aver battuto la testa contro il comodino e aver fatto cadere la sua antica sveglia con doppia campana, che puntualmente alle sei del mattino lo riportava indietro dal mondo dei sogni. Da una visuale catastrofista, potrei cominciare a illustrare una lapide di marmo graffiato con su incisa l’epigrafe funebre, la data odierna e il suo nome e cognome, al posto della spalliera del letto, e al posto del materasso, una bara. Ma non vorrei esagerare con la fantasia lugubre di uno scrittore apocalittico, in quanto un cesso di casa, seppur brutta da far vomitare due piccioni con una fava, resta sempre una dimora che allarga le braccia quando un’intemperia non desiste a inghiottirti.

    In quel momento in cucina, si librava nell’aria a mo’ di uccellino brillo, un vapore saturo di una pungente fragranza: una densa voluta di caffè nero incubi. Era diventata una nuvoletta che via via avanzava con fare sinuoso e si stendeva come una patina di nebbia per tutto il corridoio, buio persino per i morti. La bruma aromatica proseguì serpeggiando fino alla porta della cameramortuaria di Oleg, ovvero la sua beneamata camera da letto. Lastanzetta dell’uomo era allegra come il Cimitero Howard Streetdi Salem, famosa città degli Stati Uniti d’America, conosciutaper la caccia alle Streghe. L’arredamento era abbastanza desueto e consisteva in un vecchio armadio logoro di colore orso bruno affamato, che si accostava a un arcaico comodino del 15000avanti Cristo, di color merda. Poi vi era un lettino in rame delCalcolitico, un tappeto di Pazyryk e uno specchio rinvenuto inuno scavo archeologico di un dimenticato recesso dellaTurchia.Unalanternamedievaleerasulcomodinoeafianco un fazzoletto di lino ricavato dalla Sacra Sindone, che serviva aOleg per soffiarsi il naso durante la notte. Il nostro uomo oltread abitare in uno speco dell’era della pietra, era antifrasticamente devoto.Abbandonatanell’angolo,c’eraunavecchiasediaa dondolo realizzata in legno massello dove sua madre si sedevaper leggergli le fiabe, quand’era ancora un fanciullo. A volte glileggeva di Ted Bundy. Lo faceva per insegnargli a riconoscere i cattivi, per fortuna, e non per farlo diventare un serial killer.

    Sulla porta c’era un quadro appeso a un chiodo secolare arrugginito. Quel pezzo di metallo conficcato nella porta, dava l’impressione di contenere tracce di sangue rappreso di uno dei ladroni crocifissi accanto a Gesù, o dello stesso Gesù. Se dei fanatici religiosi o qualche sadico ed esaltato satanista, avessero avuto modo di venirne a conoscenza, madre e figlio si sarebbero ritrovati ad ospitare, inaspettate visite. Forse le ultime della loro vita. Il quadro aveva qualcosa di anomalo: ritraeva Buster Keaton che scoppia a ridere davanti a un uccellino che beve da una pozzanghera. Dall’espressione si poteva dedurre chestesse ridendo a crepapelle fino a eruttare quasi il microbiotaintestinale in testa al canarino. L’attore comico era rinomato intutto il mondo per la sua espressione facciale come l’uomo chenon ride mai. In quella raffigurazione suscitava paura, sembrava un Buster Keaton sobillato da qualche entità malvagia. Intornoalquadroc’eranoaltriforicontornatisull’orlodiruggine.Chiodi che erano stati cavati via. Era tutto così strano. Unadonna che appendeva i quadri sulle porte e non sui muri, erauna cosa talmente grottesca e malsana che avrebbe messo a dura prova persino la fede di padre Amorth, l’esorcista più celebredelmondo,checonleoscenitàcisilustravalescarpeepure il deretano.

    La nube profumata di caffè nero incubi si era arrestata davantiallaportadellastanzadiOleg.Siinfittìecominciòavorticare suséstessainsinuandosimagicamentenellatoppa.Oltrepassò il buco della serratura dellacamera mortuaria e assunse la formadi un grosso individuo a dir poco inquietante. Era un omonepelato con il pizzetto intrecciato, aveva un codino da samuraiattaccato sopra alla cocuzza e le spalle possenti con due braccia erculee. Al posto delle gambe aveva una specie di coda sfumata e si era accomodato sulla sedia a dondolo.

    L’agente di polizia penitenziaria cominciò a muovere a destra ea manca le narici imitando un cane da tartufo super addestratoche, in un ristorante rinomato per le tagliatelle al tartufo, correin tutte le direzioni senzadio. Insieme alle narici spalancò gliocchi. La cispa tra una palpebra e l’altra aveva formato unaragnatela e lui tentò invano di portarsi le mani sulla faccia pertogliersela. Era letteralmente mummificato tra le lenzuola e non riusciva a muoversi. Quando osservò il nuvolone con la sagoma di un uomo deforme, sobbalzò come un bruco davanti a unacinciallegra. Voleva scappare ma non poteva, si sentiva unoscarafaggio incastonato in un’oliva denocciolata e cominciava arassegnarsi all’idea di essere spacciato. Lì per lì pensò che il Jinn fosse stato sfrattato da qualche lampada magica per via della sua bruttezzaesifossetrasferitoincamerasua.Nellosconcerto più profondo si dimenò come un piccolo scoiattolo indifesonellatagliola.Tuttisforzivani.Gliriaffioròallamentelagita inEgittoquandoeraancoraunostudentetimidoetimorato di Dio, e la paura che aveva provato per quelle mummie chenon era mai stato in grado di descrivere. Solo adesso si era reso conto che avrebbe potuto tranquillamente pisciare sopra i lorosarcofaghi, che tanto non si sarebbero mosse affatto. ‘La pauraalimentata dalla suggestione, ti ha già consumato prima deltempo e reso vulnerabile per sprofondare negli abissi’ gli avevadetto una volta un vecchio strambo e mezzo rimbambito, checercava l’elemosina per campare, sparando in cambio minchiate a raffica. Però forse c’aveva azzeccato, il mendicante.

    La paura lo stava sommergendo. Il Genio della lampada lofissavaconintenzioniimperscrutabilieluieraquasisulpunto di urinarsi addosso; poi, come uno spazzaneve su una coltrebianca di una strada innevata, un pensiero ardimentoso fecebreccianelsuocervello:Però,porcatroia,potreiancheapprofittarne echiederglidiesaudireimieidesideripensòeprovòistintivamente a portarsi il pollice e l’indice della mano sinistra verso il mentoper darsi un tono più riflessivo, magari un po’ più intelligente,solo che nelle sue condizioni dovette tenerseli appiccicati alculo.Consideròancheilfattoche,sequell’individuoamorfo avesse voluto fargli del male, glielo avrebbe già fatto. Oleg feceun sospiro di sollievo.

    L’idea di chiedere al Jinn un paio di desideri, si concretizzò inmenchenonsidicanellasuamente.Ripensandoalleparole del vecchio barbone rincitrullito, si fece coraggio ed esordì:Senti, amico, credo che tu non sia cattivo e immagino che siavenuto da me in pace. Devo ammettere che a primo impatto ho avutopaura,maadessomisentosicuroperchéhoschiacciato lasuggestioneconlaforzadelpensiero.Nonsicapivaesattamente da dove avesse attinto tanta sicurezza, ma di certoqualche bisca clandestina di neuroni gli stava giocando nellascatola cranica un brutto scherzo.

    Il Jinn non gli rispose e continuò a fissarlo più torvo di prima.Oleg era diventato nel corso degli anni, un avido opportunista e un perfido arrivista. La parola umiltà nel suo vocabolario, l’aveva fattascartavetraredauncarrozzieredecoratoalvaloreperla maestria.Avevaleccatoilculoaldirettoredelcarcere,Adolf Stipkis,perun’interavitasenzaottenereincambiomainulla. Lavoravaperunmiserostipendioeaspettavaunapromozione che non arrivava mai. Adesso poteva finalmente cogliere questa opportunità per cambiare le cose. Poteva chiedere qualcosa che glifacessescalarelavettaperilsuccessoepotevafarlosubito. Erainlimbotraduedesideri,aparersuorisolutivi:unoeradi diventareall’istanteunplurimiliardariodispotico,conilpotere di fare zappare persino Gesù Cristo, e l’altro era di rapire il capo deglialieniperbarattarloconildominiodituttiicorpicelesti. In età adolescenziale sarà caduto in un volo di una quarantina di metri,sbattendolatestasuqualchedossostradaledicemento armato... altrimenti non si spiegava diversamente.

    Allora, amico mio, me lo faresti un piccolo piacere? Vorreiesprimere un paio di desideri. Ormai Oleg usava un linguaggio confidenziale. Si era ripromesso che, appena gli avrebbe esaudito i suoi desideri, sarebbero andati insieme a rimpinzarsi di paninie poi al luna park per fare un giro sulla giostra del trenino.

    Il Jinn non lo cagò nemmeno di striscio e torse il collo palesando unacertairritazione,poisialzòdallasediaevolòbassofino ai piedi del letto. Adesso si stagliava ritto e a braccia conserte.La guardia carceraria provò ad accennare qualcosa riguardo lesue richieste aberranti e il genio della lampada assunse un tonomille volte più minaccioso: gli erano spuntati un folto numerodicapellisullatestaeiconnotatisieranodeformaticomein unfilmhorror.Inquestomomentoilsuovisoeraquellodi un Rottweiler con la capigliatura di un Komondor. Spaventosoera un eufemismo. La cosa che fece preoccupare quell’imbecille di Oleg, era che il Genio della lampada non spiccicava parola,non abbaiava, non ragliava, non squittiva, non friniva, insomma nonarticolavaalcunsuonovocaleetetramentesiinarcava inavanticonilcorpo.Ilmostrod’improvvisoruotòlatesta di trecentosessanta gradi e fece un rutto roboante che fecetremare l’edificio.

    Santiddio! esclamò esterrefatto Oleg, in preda al terrore. Con le ali tarpate tra le coperte, cercava di dimenarsi nel letto comeuno squilibrato posseduto dal demonio. Un involtino saltellante sul materasso che gridava mamma a squarciagola. Mammaaa!

    La signora Siska era davanti alla cucina. Il fornello elargivafiamma a gogò sotto la moka del caffè e la faceva fischiare come un arbitro infuriato in un campo di calcio. Il caffè nero killeradessostavaeruttando.Nel79dopoCristoilVesuvioraseal suolo la città di Pompei, oggi Osernbruck stava per fare la stessa fine.Primadicausareunasciagura,ladonnaspenseilfornello e la caffettiera si zittì. Sentì lo strillo assordante di suo figlioprovenire dalla cameretta in fondo al corridoio. Ancora conquesti incubi? mormorò senza allarmarsi. Alzati, presto, oarriverai in ritardo al lavoro. Su! Lo sai che il direttore Stipkis tisculaccerà il sederino. Il caffè è pronto, sbrigati! parlò a vocealta per farsi sentire, poi prese dello zucchero e lo versò in dueantiche tazzine di metallo, lavorate a mano da suo zio, Efesto,soprannominato il dio del fuoco.

    Leparoledisuamadreriecheggiarononelcorridoioeattraversarono la porta della stanzetta. Il Jinn sobbalzò e Oleg lo vide dissolversi nel nulla come una voluta di fumo spazzata viadal vento. L’agente di polizia penitenziaria stava sognando adocchi aperti. Era rimasto sbigottito e adesso doveva sdipanarequel gomitolo di tessuto che lo teneva in ostaggio. Con qualche tecnica di Krav Maga ci riuscì e si alzò in piedi. Nella stanzac’era una calma funerea e il secondino tirò un sospiro di sollievo misto a rammarico, si asciugò la fronte con il dorso delle mani e poi distese le braccia. Si sgranchì le gambe, si massaggiò il collo delicatamente e infine per controllare se fossero tutti e due alloro posto, si palpò i testicoli. Tutto bene. Cominciò a svestirsidel pigiamino color orina disegnato con personaggi della WaltDisney. Nell’armadio c’era l’uniforme blu da guardia carcerariacheindossavaognimattina,trannequandoavevailgiorno libero.Calzòglianfibimilitari.Ficcòlarivoltellanellafondina e il manganello nel porta tonfa, infilato alla cintura. Spense lalanterna medievale e prima di uscire dalla camera mortuaria, siguardòindietro.Inunistanteripercorsearitrosoimeandridel cervello fino ad approdare su un molo immaginario dove adattenderlo c’era di nuovo il Jinn; lo guardò per un ultima voltacon gli occhi languidi e le mani giunte, e lo implorò affinchéesaudissealmenounodeisuoiumilidesideri.Inrispostail Genio della lampada gli fece un dito medio e sparì vorticandosuséstessocomeunturbine,volandoviaamo’dipalloncino. Il secondino aveva il cuore infranto, aveva visto i suoi sognidileguarsi come mosche che non trovano una merda putrida su cui soggiornare (la sua raffinata e poetica immaginazione avevapartorito una scena toccante). Purtroppo, adesso, gli toccavafare un bel respiro profondo e sbrigarsi ad andare a lavorare.A volte non capisco quale sia la differenza tra un detenuto e una guardia carceraria... quando passi ogni fottuto giorno nella stessa prigione si disse. Sirichiuselaportacigolanteallespallees’incamminònelcorridoio che sembrava il loculo di un defunto, protendendo lemani in avanti per non sbattere contro qualche mobile a forma di bara verticale. Sotto i tacchetti degli anfibi, sentiva lo scricchiolio di ossa che si frantumavano, un rumore sinistro nelle tenebreche dava l’idea di un rullo compattatore che passeggia tra i resti di una fossa comune. Fortunatamente a crepitare non erano iresti di esseri umani massacrati, ma gli zinzini dei crackers cheaveva spiluccato la sera prima, quando mezzo addormentatoaveva zigzagato in corridoio per andare a dormire. Man manoche proseguiva gli sembrava di addentrarsi in un’industria conotto milioni di operai addetti alla torrefazione del caffè. Poiincontrò sua madre.

    Buongiorno mamma, ogni mattina sei sempre più bella! Oleg fin da piccolo si era sempre rifiutato di fare un’accurata visitaoculistica, inoltre appena sveglio, per tergersi la cispa dagli occhi doveva usare lo spazzolino da denti. Coraggiosamente abbracciò sua madre e con ardimento le diede un bacio sulla guancia,sapendo che al tocco delle gote si generava tutte le mattine lasolita scintilla di un accendigas, seguita da uno scoppiettio. Sistaccavano sempre in tempo prima di morire folgorati.

    Siska tutte le mattine aveva la sana abitudine di ingurgitare astomaco vuoto tre caffettiere stracolme di caffè nero incubi.Questo leprocurava nell’immediatounasferzatadienergia.Per non cadere in depressione, dopo la morte del marito, sisvegliava presto la mattina e correva ai fornelli per il rito. Nonfaceva in tempo a toccare con l’alluce del piede, le piastrelledella sua stanza matrimoniale arredata in stile obitorio, chepartiva diretta in cucina come un missile. Suo marito era morto in camera, nel sonno, si era uniformato all’arredamento. Nelletazzinedimetallo,adesso,avevaversatoilcontenutodella quarta caffettiera. Se prima era scoccata una piccola scintilladalla sua guancia, figuriamoci cosa le sarebbe partito al prossimo sorso di caffè nero incubi, sicuramente un fulmine che avrebbe preannunciato l’arrivo di Zeus.

    Amore della mamma, bevi il caffè, su! Ieri sera, quando tu seiandato a dormire, mi sono preso la briga di preparartene unthermos da portare a lavoro. Era mentalmente fissata come un chiodo nel cemento.

    Vuotarono il magma nell’intestino refrattario e appoggiarono le tazzine su un tagliere di pietra lavica, dopodiché Oleg corse algabinetto per farsi una cacata senza precedenti. Dopo una serie di rumori assordanti, tipici dei temporali apocalittici, scappò dal cesso per via dell’odore nauseabondo di salme riesumate cheaveva effuso nell’aria; rinunciò persino a lavarsi i denti e ritornò in cameretta a ripiegare il pigiama disegnato di personaggi dellaWalt Disney nel cassetto. Lasciò il letto disfatto per tenereimpegnata sua madre non appena la caffeina le avrebbe generato i superpoteri... di solito alla quarta moka diventava un ibrido tra Spider-Man e L’incredibile Hulk. Tornò in cucina, quando vide ilthermosrasentareilsoffittoecaderglidipesotralemani; sua madre gliel’aveva lanciato come un giocatore di rugby eaveva esultato.

    Questo ti fornirà l’energia necessaria per affrontare la dura giornata di lavoro. Ne avrai bisogno per mantenere gli occhi vigili. Quei bastardi nelle celle, sono lì perché non hanno ubbidito alla loro mamma. Delinquenti, mascalzoni, adulatori dei soldi e della fica... Siska cominciava a dare segni di incontinenza cronica di scemenza particolare.

    Oleg troncò immediatamente quel commento impudico che sua madre serbava per i detenuti, mettendole una mano sulla bocca e rischiando di morire fulminato. Era divenuto paonazzo, era imbarazzato come un amish in un addio al celibato di un pornodivo transgender. Si voltò verso la porta d’ingresso e con fare spedito cominciò ad avviarsi. A poca distanza dall’uscio, ebbe come un momento di esitazione e si girò preoccupato: Mamma, mi raccomando, per qualsiasi cosa telefona al centralino del penitenziario. Ci metto un attimo ad arrivare. 

    Siska lo guardò languidamente negli occhi sprizzando scintille da tutti i pori. La bobina di Tesla in confronto era la dinamo della bici che avevano parcheggiata in garage. Ti voglio bene, figlio mio.

    Anche io, mamma rispose teneramente Oleg. Evitò di abbracciarla per non prendere una scarica elettrica di proporzioni bibliche. Poi uscì.

    C’era una Mercedes Benz berlina nera del 1990, parcheggiata dietro il cantone di un edificio distante cento metri circa. All’interno dell’abitacolo c’erano tre uomini, uno di questi era seduto sui sedili posteriori dove vi erano i finestrini oscurati. I due seduti sui sedili anteriori erano vestiti completamente di nero. Non erano l’agente Kappa e l’agente Jay, che andavano a caccia di marziani, ma mafiosi mandati da mammasantissima per un incarico ben preciso. Erano appostati lì da più di un’ora e attendevano pazientemente che Oleg uscisse di casa.

    Quando il secondino raggiunse la sua auto, una Renault 5 del 1980 di color merda, tirò fuori un mazzetto di chiavi e infilò quella apposita nella serratura dello sportello per disinserire la sicura. Aprì e appoggiò il thermos sul sedile del passeggero. Prima di sedersi nell’abitacolo si guardò attorno pensieroso, come se palpasse nell’aria una leggera cortina di sventura. Non notò niente di particolare, tutto era al suo posto, così partì per il penitenziario senza lasciarsi sopraffare da brutti presentimenti. Sua madre richiuse la porta con energia, tanta energia, e prima di richiamare sulla Terra qualche razza di alieni biforcuti, mollò la maniglia. Fece giusto in tempo a non trasformare la porta di casa in uno Stargate.

    Si aprì lo sportello posteriore con il vetro oscurato della Mercedes e scese un uomo vestito in giacca e cravatta. Indossava un completo gessato con un cappello Borsalino come copricapo. In pratica l’uomo era un gangster. Con quell’abbigliamento per non farsi notare doveva appostare qualcuno su Marte. Difatti una signora che annaffiava le

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