Chthulupunk
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Società e scienze sociali - saggio (62 pagine) - Se anche la realtà è inafferrabile e il tempo un'illusione cosa sono, allora, i nostri ricordi? Siamo cosa siamo stati e cosa saremo? Quale comportamento assumere?
Tracciando una biografia più o meno romanzata, Lukha B. Kremo spazia a cavallo tra Filosofia, analisi socioeconomica, Fisica quantistica, critica al Capitalismo, collassi di realtà indeterminati e citazioni di pensatori emersi dalla nebbia della Storia, elaborando una delle sue più ardite prove di scrittura in cui il cielo è lontano, ma ancora raggiungibile, con un misto di volontà inconscia e caos controllato.
Dopo queste pagine, coltivare il reale diventa davvero un'impresa ardua; Kremo ci mostra la non via, più stringente del vero, ontologicamente esistente come un ossimoro.
Lukha B. Kremo è autore di romanzi e racconti non solo di fantascienza. Ha diretto la rivista Avatär, vincendo tre Premi Italia. Ha pubblicato racconti su varie antologie tra le quali Supernova Express (2006, Fantanet), Frammenti di una rosa quantica (2008, Kipple) e Avanguardie Futuro Oscuro (2009, Kipple). Un suo racconto è uscito anche su Robot.
Ha pubblicato cd di musica elettronica con lo pseudonimo di Krell e organizzato il progetto Sonora Commedia.
Ha pubblicato i romanzi Il Grande Tritacarne (2005), Gli occhi dell’anti-Dio (2008), Trans-Human Express (2012). Con Pulphagus® - Fango dei cieli ha vinto il premio Urania 2016.
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Anteprima del libro
Chthulupunk - Lukha B. Kremo
Chthulupunk
ovvero, ctoniopunk:¹ paralipomeni per capitamentula,² Asperger, teratocognitivi,³ olobionti inconsci e humusità mutagena⁴ sottoforma di novelette saggistica allobiografica
Un giorno, da bambino, giurai di non dire più parolacce.
L’idea mi era nata analizzando lo strano comportamento degli adulti. Da un lato sapevano cosa faceva male e non perdevano occasione di ricordarlo, a me, bambino indifeso. Dall’altro facevano cose da adulti
, che contemplavano bere alcolici, fumare, assumere grassi e zuccheri in grandi quantità e dire un sacco di parolacce, tra cui, crème de la créme, la bestemmia. Prima t’insegnavano che esisteva un grande Padre Eterno, barbuto e invisibile, poi lo insultavano come estremo gesto di emancipazione. Cioè la trasgressione consisteva nel superare un sistema di regole completamente arbitrario che, per me bambino, era sensato come poteva essere la Befana che entra dai caminetti di tutto il mondo per darti un calzino pieno di chicchi rétro. Era una classica società tardocattolica, nonché protoconsumistica, ma questo ancora non lo avevo capito.
C’era anche chi andava oltre, si drogava⁵ e addirittura scopava, atto che a noi bambini era presentato come una cosa peggiore della prima, perché se le droghe si dividevano in leggere
e pesanti
, la scopata prevedeva molte più posizioni, gradualmente sempre più sataniche.
Insomma, queste cose le vedevo in tv e mi facevano anche paura, nonostante le intravedessi attraverso un velo di curiosità morbosa. Perché?, mi chiedevo come quando ci si chiede il motivo di un suicidio.
All’inizio degli anni Ottanta avevo già una razionalità sviluppata (oggi direi mutagena), seppure semplice e aritmetica, tipica del decenne, e così presi la decisione. Basta cazzo, figa, vaffanculo o porchiddii vari. La parola pronunciata doveva essere lo specchio della mia anima pulita. Io ero evoluto come lo erano i miei genitori. Forse.
Sì, non ne ero così persuaso perché avevo notato che i miei avevano un problema con la società. Loro facevano parte della gente che non si drogava, probabilmente nemmeno scopavano. Io ero certamente nato in un altro modo che ancora dovevo scoprire. Del resto, fisionomia a parte, ero parecchio diverso dai miei, persino da mia sorella. Io non vedevo un vero motivo tra ciò che era buono
e ciò che non lo era. O meglio lo scorgevo, ma non era supportato da niente di razionale. A parte seguire genericamente comportamenti religiosi dati da un Dio in cui non credevano assolutamente,⁶ c’era soprattutto una cosa che era talmente evidente da essere imbarazzante: un distacco di comportamento tra la dimensione domestica e privata e quella pubblica e professionale.
Da timidi e impacciati postproletari si trasformavano in presentabilissimi e inutili microborghesi. Meglio: rovesciamo il punto di vista e consideriamolo dal mio di bambino: delle brave persone
, ligie a qualsiasi legge senza chiedersi il perché, non fumatrici, seguaci di ogni suggerimento sociale e rispettosi della sacra parola del potente di turno (Governo, Ministro, capufficio, caporeparto, capoparrocchia) che, una volta protetti da quattro pareti di mattoni forati, sfogavano la sensazione di nullità sociale sbraitando contro la tv davanti al Philadelphia e ai Sofficini bruciati, senza nemmeno tirare in ballo il comunismo, perché era il discorso da bar che serviva, l’invettiva contro i potenti che solo oggi comprendo fosse un’invettiva contro sé stessi, una volta che si erano riconosciuti gli ultimi inetti della scala sociale. Non serviva il comunismo per il loro disagio psicosociale.
La mutazione era talmente evidente che cambiavano anche il tono della voce, nascondendo quel fastidioso accento proletario toscano con un suono pulito, querulo per mia madre, bonario per mio padre, e soprattutto italianizzante. Il fascino della microborghesia si faceva recita da saggio di fine anno.
Sarebbe stato anche divertente, dal mio punto di vista di ragazzino, se non fosse che, crescendo, io stesso cominciai a rappresentare dapprima parte del problema, poi il problema scatenante, la base del loro malessere.
Finite le medie, finita l’infanzia! Ora basta giochi, basta gite. Anzi, dovresti smettere di ridere così spesso. Nonostante fossi il bambino che aveva sempre meno giocattoli fra tutti i miei amici, per loro era il momento di farsi serio e trasformarsi nei guitti che erano fuori casa. Mettere da parte le passioni che servono solo per passare il tempo, e scegliersi un ruolo sociale meglio se con rigide regole (perché mettersi in proprio è come buttarsi da un aereo col paracadute allacciato male). Il top of the pop era l’inserimento in catena di montaggio, che s’intende anche quella dei colletti bianchi. Inserimento dati, fare i conti per qualche industriale, eseguire ciò che doveva essere eseguito. Dal contabile al call center.
Vedendoli consumare i giorni in queste eroiche quanto commoventi trasformazioni, queste rinunce al piacere,⁷ questo arrovellarsi il fegato davanti al tubo catodico e poi davanti a me come radice di tutti i problemi io, da ragazzino innocentissimo, decisi di riprendere a dire parolacce. Cazzo, figa, vaffanculo e porcoddio!
¹. Chthulu con questa grafia (differente dallo Cthulhu lovecraftiano), fa riferimento (come anche il termine di Lovecraft) al greco antico khthonio (= della terra
, ctonio
).
². Letteralmente: note tralasciate per teste di cazzo
.
³. Chi ha una dissonanza cognitiva pari a quella di un mostro (mentalmente) deforme.
⁴. Ora basta suggerimenti, proseguite nella lettura!
⁵. All’epoca usava la siringozza puntata nel cavo epitrocleo – nome figo dell’interno gomito – seduti su una panchina di legno con la vernice verde scrostata, in un triste giardinetto anni Settanta coi giochi per i bambini arrugginiti, mentre passavano donne col passeggino che, non avendo un’idea precisa di questa droga, soprassedevano.
⁶. La mia