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Di tango e vele
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E-book382 pagine5 ore

Di tango e vele

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Di tango e vele, ambientato tra Milano, Torino e la Liguria del giorno d’oggi, ha come protagonisti donne e uomini in carriera che non esitano a credere nell’amore con lo stesso entusiasmo di un adolescente. L’amore è intrecciato a doppio filo al tradimento, e la storia racconta di seconde possibilità e nuovi inizi, di disperazione per amori conclusi e di gioia per altri appena sbocciati, di cuori spezzati, relazioni fallite e di una grande voglia di tornare a rimettersi in gioco. Tra un passo di tango e una gita in barca a vela, un aperitivo a Milano e una passeggiata lungo i Murazzi a Torino, il romanzo, che cattura il lettore con la leggerezza della lingua parlata, è scorrevole e coinvolgente e ci convince che a qualunque età si può superare un amore fallito e trovare la felicità.
LinguaItaliano
Data di uscita23 mar 2020
ISBN9788855390569
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    Anteprima del libro

    Di tango e vele - Patrizia Poli

    Patrizia Poli, Maria Flora Spagnuolo

    Di tango e vele

    EEE_ Edizioni Tripla E

    Patrizia Poli, Maria Flora Spagnuolo, Di tango e vele

    © EEE - Edizioni Tripla E, 2020

    ISBN: 9788855390569

    Collana L’amore ai tempi del web, n. 18

    EEE - Edizioni Tripla E

    di Piera Rossotti

    www.edizionitriplae.it

    Tutti i diritti riservati, per tutti i Paesi.

    Copertina di Guglielmo Ruben Gatti.

    ISABELLA - UNO

    Mercoledì 11 luglio, h.17:30

    Margherita, seduta al pianoforte, chiacchiera veloce.

    È un modo per scaricare l’ansia da prestazione che pervade anche gli adulti, prima di eseguire un pezzo studiato per tutta la settimana.

    La ascolto paziente.

    Alla fine dei cinque minuti, il tempo massimo che le concedo ogni volta, interrompo il suo racconto su un film di animazione che ha visto con la cuginetta.

    «Va bene, Margherita, la fine me la racconti dopo, adesso inizia e fammi vedere come hai studiato.»

    La bambina tace, si concentra un attimo, guarda lo spartito e raddrizza le spalle, come le ho suggerito innumerevoli volte. Le note del pianoforte riempiono la stanza, sono ovviamente pestate ma corrette. Il brano finisce e lei mi guarda soddisfatta.

    «E brava, vedo che questa settimana ti sei esercitata. Adesso guardiamo di fare un po’ di attenzione al tempo.» Afferro il metronomo, tolgo l’aletta che copre l’asticella.

    «Tuo marito ti vuole bene?» mi chiede all’improvviso con gli occhi puntati sul portaritratti d’argento che sta in bella mostra proprio accanto al metronomo. Dopo tanti anni di insegnamento sono abituata alle domande incredibili che mi fanno i bambini.

    «Penso proprio di sì» rispondo sorridendo.

    La ragazzina mi guarda dritto negli occhi:

    «E allora perché dava i bacetti a un’altra signora?»

    Ho un attimo di sconcerto, poi mi affiora una sensazione di ilarità che però, quasi immediatamente, si trasforma in una specie di uncino che si conficca alla bocca dello stomaco.

    Sto per dire qualcosa, mi schiarisco la voce, ma che dire? Far finta di nulla? È una stupidaggine detta da una bimba che non sa neanche quel che dice, magari ha inventato il tutto di sana pianta; a volte lo fanno così, solo per attirare l’attenzione degli adulti. Oppure ha scambiato Daniel per qualcun altro. Però Margherita è arguta, è femmina, osservatrice e abbastanza diligente, ha incrociato mio marito in diverse occasioni e ricevuto i soliti complimenti che lui riserva a tutti i bambini. La possibilità che l’abbia visto davvero non è così irreale.

    Ma dove? Fermo il metronomo che continua il suo imperturbabile ticchettio.

    «Ah, davvero?» domando con calma.

    «Sì» risponde lei, e io colgo nel suo sguardo, o me lo immagino soltanto, un piccolo, minuto segno di adulta malizia.

    «E dove vi siete incontrati?» giro la pagina dello spartito, come se stessimo parlando di una cosa senza nessuna importanza.

    «Dal gelataio, quello che vende anche il gusto gongorzola, che però a me fa schifo.»

    «Gorgonzola» correggo automaticamente, e intanto, la mia mente crea lo scenario: una gelateria qualunque, Margherita e la sua mamma che ordinano due coni. Un tavolino appartato al quale sono seduti mio marito in compagnia di una donna senza volto. Tra un cucchiaio di fiordilatte e uno di cioccolato, si sbaciucchiano affettuosamente. Devo avere più dettagli possibili, e devo averli adesso, non posso tirare fuori l’argomento un’altra volta.

    «Ma quando è successo?»

    «Boh! Un giorno…»

    «E che cosa ti ha detto Daniel? Ti ha salutato?»

    «No, io volevo, ma la mamma ha detto che non dovevo disturbare, e lui non si è neanche accorto. Posso suonare anche quella che fa così?» Margherita mette le dita sul pianoforte e le note interrompono un attimo la confusione che mi sta riempiendo la testa.

    «Va bene, dai, ricomincia dall’inizio. Aspetta che ti cerco la pagina... Vai!»

    Questa non può essere un’invenzione, se la madre le ha impedito di salutare è perché, certamente, ha tratto delle conclusioni quanto meno ambigue. Oddio, è anche facile travisare, magari era con una delle sue clienti con le quali è in confidenza. Magari, per una ragione qualsiasi, le ha dato semplicemente un bacio sulla guancia. Anzi, sarà così certamente, figuriamoci se Daniel va in giro di pomeriggio a mangiare gelati e a sbaciucchiarsi davanti a tutti come un adolescente. Quand’anche avesse una storiella, non può essere diventato un idiota. Oppure sì? La bimba toglie le dita dallo strumento, ha terminato il pezzo e io non me ne sono neanche accorta.

    «Bene...» le dico incoraggiante «ma… quella signora che hai visto in gelateria era giovane o vecchia?»

    Che razza di domanda stupida, se voglio sapere di più ho bisogno di dettagli, non di risposte generiche ma, al momento, non riesco a far di meglio. La bimba ci pensa un po’, sospira:

    «Un po’ vecchia, come te e la mamma». Se fosse un momento diverso mi farei una bella risata per essere stata definita, a trentanove anni, un po’ vecchia, invece, continuo il mio interrogatorio:

    «E ti è parsa una bella o brutta?»

    «Bellissima!» Rimango un attimo in sospeso mentre il suono del campanello mi fa sobbalzare. Guardo l’orologio. Com’è possibile che l’ora sia già finita? Mi alzo, vado al citofono, apro il portone, la ragazzina prende la sua felpa e il suo zainetto.

    «Buongiorno, Isabella! Com’è andata oggi?» mi saluta cordialmente Ornella, la madre di Margherita che, pur essendo stata definita da sua figlia una donna ‘un po’ vecchia’ avrà al massimo quarant’anni.

    La scruto, cercando una traccia di compatimento, o qualsiasi altro fuggevole segnale di quello che sa, o crede di sapere. Non vedo nulla.

    «Sì, tutto bene, è stata brava...» reprimo l’impulso di chiederle cose, di sapere come, dove, quando. Congedo invece entrambe con un laconico: «Ci vediamo giovedì prossimo».

    Trascorro le due ore che mi separano dall’arrivo di Daniel in uno stato d’animo altalenante tra la tranquillità, che mi dà la certezza che non può essere successo niente di drammatico, e questo vago, fastidioso malessere interiore che, come un campanello stonato, insiste alzando il volume. Ripenso a questi ultimi mesi, al fatto che mio marito a tratti mi sia sembrato un po’ assente, il che è strano per il suo carattere, ma a tutti può capitare di essere concentrati su altro, specie se si è un product designer e si fa un lavoro così creativo. Però non è questa la sola ragione del mio disagio. In un paio di occasioni ci sono state piccole cose che mi hanno lasciata perplessa. Ad esempio quella volta in cui, rientrata in anticipo, pensando che lui non fosse ancora tornato, ferma davanti alla porta di casa cercavo, con la solita difficoltà, le chiavi disperse nella mia grande borsa a tracolla. Avevo sentito la sua risata e, immediatamente dopo, la frase: ‘Tu mi farai impazzire...’

    Quello che mi aveva maggiormente colpito non era stato il significato in sé, ma il suo tono, che era stato suadente, complice, come se stesse parlando con una donna. Ero entrata e lui aveva concluso in maniera sbrigativa la conversazione. Troppo sbrigativa.

    «Con chi parlavi?» gli avevo chiesto tranquillamente. Non sono mai stata una donna gelosa, anche perché, devo dire, lui ha sempre avuto un atteggiamento adorante nei miei confronti e, durante tutto il nostro matrimonio, non ci sono mai stati problemi al riguardo.

    «Ma nulla, noiose cose di lavoro» aveva risposto tagliando corto e cambiando velocemente argomento. Troppo velocemente.

    Poi c’era stato quel famoso sabato sera di maggio nel quale sembrava fosse sparito. Io ero al mare a casa di mia madre con mio fratello e mia cognata, lo avevo chiamato in tarda serata sia sul cellulare che sul fisso più volte, e lui non aveva risposto. La mattina seguente mi aveva detto che si era addormentato davanti alla televisione, cosa alquanto insolita: durante la nostra vita insieme, gli sarà capitato due o tre volte al massimo.

    Mi lascio trasportare dai ricordi, la mia mente va a ritroso nel tempo fino al momento del nostro primo incontro. Rivedo me stessa in una libreria del centro, sono con mio fratello Giorgio. Abbiamo deciso di venire alla presentazione dell’ultimo libro di Andrea De Carlo e siamo seduti su delle sedie scomode in attesa che arrivi lo scrittore. Un uomo alto prende posto alla mia sinistra. È solo, mi sorride, sposta di poco la sedia, si scusa, mi saluta.

    «Buongiorno» dico a mia volta e lo guardo di sfuggita. Ho una sensazione di colore e di armonia. Mi incuriosisce, muovo la testa fingendo di guardare indietro, come se aspettassi qualcuno. Ha i capelli un po’ mossi, baffi e barba leggeri, il naso aquilino e indossa una giacca principe di Galles verde mirto con panciotto in tinta, una camicia bianca e jeans. Penso che ci voglia un bel coraggio a infilarsi una capo del genere, però non è assurdo, è eccentrico e, devo ammettere, assolutamente di buon gusto. Lui mi rivolge la parola:

    «Posso chiederle qual è il libro di De Carlo che le è piaciuto di più?» Mi sorride con un’espressione così intensa che mi ha piacevolmente confusa, cosa che non succede spesso. Non ricordo più neanche uno dei titoli che ho letto.

    «A me è piaciuto molto Macno» interviene Giorgio «e Isabella, sono quasi certo che risponderà Arcodamore, o no?»

    Entrambi gli uomini mi guardano interrogativi.

    «Beh, sì, forse, non sono sicura...»

    In quel preciso istante ricordo di aver pensato che avrei voluto avere accanto proprio un uomo così: raffinato, educato, curato, intellettuale, attraente ed estroverso. Nelle settimane seguenti Daniel non smentì nessuna delle mie aspettative, anzi scoprimmo di avere anche gli stessi interessi per i viaggi, l’arte e la musica. Ci sposammo esattamente un anno dopo. Da allora sono passati dodici anni e tutto è andato bene, almeno fino a oggi. Preparo la cena con la testa altrove pensando a un chiarimento che mi pare necessario. Immagino scenari contraddittori: Daniel arriva e io gli faccio il terzo grado, lui confessa e se ne va di casa. Oppure, io gli chiedo spiegazioni, lui si mette a ridere e mi dice che è andato a prendere il gelato con la dottoressa Mauri, che è oggettivamente una bella donna, e siccome è diventata zia, le ha semplicemente dato un bacio sulla guancia per congratularsi del lieto evento.

    Alle otto meno un quarto mio marito torna a casa.

    «Ciao, amore!» mi saluta dall’ingresso mentre appoggia le chiavi di casa nel contenitore sulla mensola. Entra in cucina.

    Io sto tagliando dei pomodori e fingo una concentrazione che, ovviamente, l’azione non necessita. Si avvicina, mi dà un bacio leggero sulla fronte.

    «Ohilà, tutto bene?» mi chiede.

    «Sì, sì tutto ok» rispondo mesta.

    Va in bagno a lavarsi le mani, torna in cucina. Ci sediamo a tavola. Mi guarda, stringe un po’ gli occhi:

    «Che c’è, Isy?»

    Ecco, adesso è il momento di chiedere, adesso è il momento della verità, o della menzogna, adesso è il momento in cui tutto si risolverà o precipiterà. Lo osservo e lo vedo di nuovo come se fosse la prima volta. Mi ero preparata il discorso, ma mi è svanito dalla mente e poi non voglio sapere, non stasera. Mi alzo, giro intorno al tavolo, gli prendo la faccia tra le mani e lo bacio come se dovessi partire per sempre, come se fosse l’ultima. Lui mi abbraccia, mi fa sedere in grembo, mi sussurra:

    «Ehi, la mia ragazza stasera è romantica... Ti va di rimandare la cena?»

    Sento le sue mani calde che mi accarezzano sotto il corto abito che indosso, appoggio la guancia sulla sua camicia a righine bianco-rosa, sento il suo piacevole odore misto al vago aroma del suo dopobarba ormai quasi svanito. Lui mi bacia adagio, mi fa alzare, mi prende per mano e mi porta in camera da letto. Ci spogliamo veloci mentre mi bacia la fronte, le labbra, il collo. Siamo distesi e Daniel inizia lentamente a toccarmi, ma io non sento nulla, ho la testa altrove e il mio cervello si disconnette dal corpo. Vorrei piantarla qui, non mi va più di farlo ma non mi va neanche di dare spiegazioni. Decido di prendere l’iniziativa e di concluderla al più presto. Cambio posizione e mi allungo sopra di lui, sento che ha voglia e che mi desidera. Percorro una lunga discesa mentre lui chiude gli occhi e forse sta pensando a qualcun’altra. Appoggio la mia guancia sul suo cuore e lo sento battere forte, potente come il suo sesso che mi aspetta giù in fondo, dove alla fine poso la mia bocca. Ha il sapore di sempre, così familiare. Mi prende il viso tra le mani, dolcemente mi capovolge e si gira sopra di me, il suo sguardo è velato dalla passione, mi penetra lentamente, bisbiglia:

    «Isabellissima, vieni con me...» lo accolgo, assecondo il suo ritmo pensando che stia facendo l’amore con me e soltanto con me.

    IRIS - UNO

    Quattro mesi prima. Milano - Venerdì 9 marzo, h.19:55 - Scuola di Tango ‘La Milonga Baires’

    Allaccio il cinturino morbido e, compiaciuta, mi guardo i piedi.

    Le mie nuove scarpe da lezione color fumo di Londra, scamosciate, tacco a rocchetto e incrocio alla caviglia, sono proprio carine. Certo, niente a che vedere con le scarpe da serata in milonga, più eleganti, ma queste, considerato che spesso gli allievi mi piombano sui piedi, sono perfette, morbide e avvolgenti. Do una fugace occhiata alla finestra a vetri che si affaccia sulla sala di fronte. Stasera lezione principianti, c’è parecchia gente ma ho già il quadro della situazione. Come sempre, diverse coppie e parecchi ‘spaiati’. Fabi, il mio partner di ballo e assistente di lezione, è già in sala e chiacchiera con un’allieva che sta inconsciamente flirtando con lui, mandandogli chiari segnali di disponibilità. Sorrido tra me. Insegnare è una passione, di professione sono formatrice aziendale e consulente in PNL, Programmazione Neurolinguistica, con specializzazione in Comunicazione Corporea. Per abitudine, professione ed esperienza, colgo molti segnali dalle persone, non solo dalle parole e dalla postura, ma anche dal movimento, dalla gestualità e dall’abbigliamento, in maniera talmente automatica ormai, che per me è diventato naturale come respirare. In queste situazioni non aziendali, mi guardo bene dal comunicare quello che vedo, ma ammetto che, il più delle volte, è divertente, e osservare gli allievi durante le lezioni di tango è sempre un’ottima e costante esercitazione. Guardo la tipa, in leggings neri e camicione scozzese per nascondere le forme prosperose, i capelli castani raccolti in una coda bassa, fermata con un dozzinale e consunto elastico di spugna verde fluo. Parla con Fabi e, dal suo linguaggio non verbale, capisco che non solo lo trova attraente, ma che vuole ritagliarsi un posto da ‘preferita’ nelle grazie dell’insegnante. Nientemeno.

    Lui, sempre gentile e cavalleresco, si intrattiene con lei, sorridendo e rispondendo a tutte le sue domande, ma io vedo perfettamente il fumetto a nuvola sulla sua testa, che sta dicendo «Ma perché quell’orrendo fermacoda nemmeno troppo pulito? E il camicione? No, dico, stai facendo le pulizie in casa, per conciarti così?»

    Sorrido, mentre chiudo il borsone. Fabiano, quarantasei anni come me, è stato mio compagno di corso alla Scuola di Specializzazione in Psicologia e Formazione, e siamo soci nella nostra attività di formatori. Da cinque anni è il mio partner di ballo e, da più di dieci, il mio migliore amico. È un ballerino eccellente, dalla tecnica impeccabile, la disciplina ferrea e l’eleganza di un levriero. È il mio assistente durante le lezioni dei principianti e segue gli intermedi e gli avanzati nelle lezioni di tecnica maschile, fondamentali nel tango argentino. Alto e flessuoso, capelli lisci biondo cenere, lunghi fino all’orecchio, che ricadono sulla fronte in un elegante ciuffo, naso imperiale sui lineamenti fini, movenze sinuose, è una persona fuori dal comune, intelligente nei neuroni e nelle emozioni, spiritoso e arguto nelle sue battute, un’anima evoluta con cui ormai mi intendo con una sola occhiata. Vive con Andrea, il suo compagno, con il quale ha finalmente trovato la meritata serenità. Innamoratissimi e felici, si sono conosciuti in palestra e ora convivono serenamente da quattro anni. Sì, il mio ballerino è felicemente gay, e no, tra noi non è mai successo niente, anche se il tango fa indubbiamente scattare pensieri e sensazioni di carnale passione. Ma lo racconterò un’altra volta, adesso devo entrare. Un’ultima occhiata allo specchio, prendo il borsone e mi avvio verso la sala. Saluto gli allievi, chiedo subito se a nessuno dia fastidio se, per maggiore praticità, ci diamo reciprocamente del tu. Le lezioni di tango sono l’unica realtà in cui adotto questa tecnica: in azienda, nella vita e nelle relazioni preferisco di gran lunga la formale eleganza del ‘lei’. Presento me e Fabiano e faccio fare un veloce giro di presentazione a tutti, chiedendo se conoscono già qualche passo o sono principianti assoluti, chi è in coppia e chi no. Sono circa venti persone, tra cui alcuni marito e moglie o compagni nella vita, età media dai venticinque in su, come sempre. Dopo aver dato qualche cenno sulle origini del tango, entro nel vivo della lezione. Fabi e io mostriamo la sequenza degli otto passi base, detta ‘camminata’ o ‘salida bàsica’, la ripetiamo diverse volte davanti allo specchio con gli allievi, lui con gli uomini io con le donne, e poi li facciamo mettere in coppia e li lasciamo esercitare, girando tra loro per correggere posture ed errori. Noi diciamo sempre che siamo in grado di far ballare anche i blocchi di granito, e in effetti alcuni lo sono davvero, ma è, a mio avviso, la parte più bella dell’insegnare. Si lavora tanto, ma vedere che dopo qualche lezione cominciano a muoversi e a sentire la musica nel corpo, è sempre una grande soddisfazione, per me e per loro. Mi avvicino a una coppia, lei intorno ai quaranta, lui tra i quarantacinque e i cinquanta, due da ‘forte impatto’ come dice Fabi. A volte capita, in questo lavoro, di trovare delle coppie particolarmente ben assortite, curate e armoniose anche nell’aspetto, altezza, proporzione dei corpi, postura. Io le individuo subito, è come se sprigionassero una tale aura di bellezza e armonia, che sembrano nate per stare insieme. Ecco questi due sono così. Stessa fede all’anulare sinistro, per cui immagino siano marito e moglie, lui alto, spalle dritte e fisico asciutto sotto la polo rossa, capelli folti e scuri, lunghi sul collo, appena mossi, baffi e pizzetto ben curati, striati di grigio, naso importante, sprigiona quel tipo di fascino piratesco, dal sorriso contagioso. Lei longilinea, alta quasi quanto lui, portamento fiero, capelli biondi dall’impeccabile taglio medio, una leggera frangia a sfiorarle la fronte, occhi verdissimi, allungati, da gatta, mandibola volitiva, labbra sottili e ben disegnate, zigomi alti, aristocratici. Insomma, un elegante cigno biondo in pantalone nero e blusa avorio. Mi ricorda qualcuno, ma non riesco a mettere a fuoco; pazienza, ora devo andare avanti con la spiegazione. Chiedo i loro nomi, Daniel e Isabella, mi risponde lei con un sorriso. Ha un tono gentile e la voce bassa, ben modulata. Le correggo la postura delle braccia e scandisco il ritmo, facendo ripetere la camminata. Lui sbaglia direzione, lei sta per redarguirlo, ma poi lui dice qualcosa e scoppiano a ridere insieme, rimanendo abbracciati a sfiorarsi la fronte. E meno male che questi ridono. Spesso le coppie finiscono per discutere a ogni passo, e non è una leggenda metropolitana che, proprio per questa sua caratteristica di evidenziare tensioni nascoste, il ballo sia una delle migliori terapie di coppia. A me quelli che litigano su ogni passo innervosiscono un po’, per come la vedo io il ballo è divertimento, gioia e passione, sono ben altri gli argomenti per cui litigare nella vita. Comunque approfitto per richiamare l’attenzione di tutti, l’errore di uno può essere utile all’intera classe.

    «Scusate, fermi tutti, ascoltate bene.»

    Noto che lui, seppur attento alle mie parole, si posiziona alle spalle di lei e le avvolge la vita con un braccio, in un gesto protettivo. Io continuo guardando gli allievi:

    «Nel tango i ruoli uomo-donna sono molto precisi e definiti: l’uomo guida, la donna si lascia guidare, su questo non si discute».

    Si alza un mormorio e qualche battuta, io continuo:

    «Care signore, lo so che nel Ventunesimo Secolo si combatte ancora per la parità aziendale, e capisco che tutto questo a una donna del terzo millennio, abituata a decidere per la sua vita in tutto e per tutto, sembri ridicolo, ma qui, mentre ballate il tango, entrate in un’altra dimensione. Qui dovete semplicemente lasciarvi portare».

    Faccio una pausa osservando le espressioni sgomente.

    «Dovete fidarvi del vostro cavaliere. Fidarvi di lui significa fidarvi prima di tutto di voi stesse, ricordatelo sempre.» Silenzio.

    «Ma vedere voi sembra così facile, invece è un casino!» interviene un tipo sui trentacinque anni, con la barba da hipster, i capelli rasati ai lati e il ciuffo col gel. Tutti sorridono, io continuo:

    «C’è un bel film di diversi anni fa, che vi suggerisco di vedere perché è tratto da una storia vera, che si intitola Ti va di ballare? dove il buon Antonio Banderas fa il maestro di ballo, e insegna il tango e il valzer ai ragazzi di una classe socialmente disagiata».

    Cenni di approvazione e sorrisi, qualcuno commenta il film.

    «Il ballo diventa un modo per acquistare fiducia in se stessi e decidere che strada prendere nella vita, non necessariamente quella della delinquenza. A parte la qualità non eccelsa del film, e l’indubbio fascino di un Banderas più giovane, questo professore esiste davvero, e ha fondato un programma di ballo nelle scuole, che a oggi viene praticato in molti istituti.»

    Mi metto di fronte al tipo hipster e lo invito a prendere posizione di ballo con me.

    «Il tuo nome?» chiedo mentre gli sistemo la posizione delle mani.

    «Alessandro.»

    «Bene, Alessandro, adesso, semplicemente, cammina in avanti.»

    Lui fa qualche incerto passo, io mi muovo lentamente indietro, seguendolo. Guardo lui, poi la classe, che ci osserva in silenzio.

    «Il professore nel film dice ai suoi ragazzi ‘se sai camminare sai ballare’. Vedi che stai ballando?» dico dolcemente al mio esitante cavaliere, che mi sorride con riconoscenza.

    Poi mi rivolgo alle donne:

    «L’uomo imparerà a toccare il vostro corpo in modo da imprimervi il senso della direzione da prendere. Nel linguaggio del tango si dice ‘marcare’, per cui mie care donzelle, ricordate che qui non conducete voi, non dovete anticipare il passo. Semplicemente, bisogna imparare ad ascoltare col corpo e a lasciarvi guidare dall’uomo».

    Le espressioni sgomente di molte allieve, a questa affermazione, rappresentano uno dei momenti più godibili di tutti i corsi. Io ringrazio Alessandro e faccio un cenno a Fabi, che mi prende per la vita e posiziona le mani, mentre le note di uno struggente Piazzolla si diffondono nell’aria. Iniziamo la camminata bàsica, poi mi fa volteggiare lentamente.

    «Quindi ricordate: lui guida…» Fabi fa una pausa, io eseguo un ‘ocho adelante’ una figura che disegna un otto con il movimento dei piedi, lentamente. «Ma siete voi» dico muovendomi piano «a decidere se accettarlo o meno.»

    Sconcertato silenzio.

    «E ricordate» dico guardando i maschi «ci vuole una buona dose di decisione a saper guidare la vostra dama.» Fabi mi blocca con la gamba destra, io eseguo un elaborato e sensuale adorno, un movimento con il piede che accarezza la gamba del cavaliere. «Ma» proseguo guardando le donne «ci vuole la stessa determinazione, per decidere se accettare o meno la loro proposta.»

    Fabi mi stringe, facendomi scivolare indietro, io mi lascio andare in un piccolo casqué viso contro viso. Gli allievi scoppiano in un applauso. Spiegare mentre mostriamo un passo è molto più efficace di mille parole e Fabi è bravissimo a dare sempre quel tocco di spettacolarità e sensualità a vantaggio degli allievi.

    «Fantastico!» esclama una ragazza minuta, con gli occhiali e i capelli lunghi che ricadono spenti ai lati del viso. In effetti pare tutto tranne una persona determinata, ricorda la piccola Violetta del cartone animato Gli Incredibili o, secondo Fabi, Tristezza di Inside Out.

    «È chiaro per tutte?»

    Il cigno biondo, che in materia di determinazione dà l’impressione di una che potrebbe avere la docenza ad Harvard annuisce, e decisa si rimette in posizione, mentre il marito la guarda divertito. Giro tra gli altri allievi, mentre Fabi armeggia con il lettore. Dopo diversi minuti di esercitazione nella camminata semplice, decide di cambiare brano, mettendo un tango dal ritmo allegro e piuttosto veloce, in modo che gli allievi più sicuri possano cominciare a muoversi su un tempo diverso. Questo tipo di musica, detto tango milonga, ha come obiettivo di far divertire i ballerini alle prime armi, e di cambiare l’energia della lezione, che spesso, seppur piacevole, può essere impegnativa per i principianti. Io e Fabi, come sempre, scambiamo i primi commenti sulla classe. Lui elenca:

    «Tristezza, il Ricciolino e il Pirata con gentile consorte lasceranno entro… mmh direi la terza lezione, invece la Dottoressa So Tutto e la Volpe Grigia andranno avanti bene, questi rimangono tutti te lo dico io, scommessa vinta».

    Siccome i nomi da ricordare sono troppi, all’inizio di un corso diamo soprannomi di vario tipo, che naturalmente rimangono tra me e lui, ispirandoci alle caratteristiche o all’abbigliamento delle persone. Facciamo pronostici, dettati dall’esperienza sul campo, su quanti abbandoneranno e quanti resteranno, il premio spazia da un aperitivo a una cena gourmet. Spesso abbiamo le stesse impressioni sugli allievi e capita che, senza essercelo detto, ci troviamo perfettamente d’accordo anche sui soprannomi, in una sorta di comunicazione telepatica.

    «Oh, ma hai visto quei due?» mi dice lui sottovoce indicando la bella coppia che ho corretto poco fa, che sta ballando dall’altra parte della sala.

    «Notevoli, eh?» continua dando un’occhiata inequivocabile alle spalle e al sedere di lui. «Lei non ti ricorda Claire Underwood? Strepitosa. Fabi si riferisce al personaggio della moglie del Presidente degli Stati Uniti nella serie tv House of Cards, e da appassionati di serie tv quali siamo, ci divertiamo a fare fantasiosi paragoni. Li guardo più attentamente.

    «Sì, hai ragione, anche se, non so perché, lei ha qualcosa che mi fa venire in mente la terribile Regina Cersei del Trono di Spade

    Fabi ride, chinandosi appena verso di me:

    «Indubbiamente una gran donna, ma io, senza dubbio alcuno, farei un pensierino sul bel Pirata!» «Guarda che lo dico ad Andrea» rido con lui, continuando a osservare la classe. La lezione continua così, Fabi e io rispieghiamo i passi più volte e giriamo tra le coppie, alcuni allievi sono veramente simpatici. Il bello di questo lavoro è che si ha a che fare con persone che, scegliendo di partecipare a un corso di tempo libero, sono più rilassate e hanno voglia di giocare e divertirsi, pur prendendo molto seriamente lo studio della tecnica. E poi la musica del tango è così bella, spazia da ampi pezzi orchestrali a struggenti melodie al bandoneon, la fisarmonica argentina, ad allegre milonghine dal ritmo serrato, insomma ce n’è proprio per tutti i gusti e per tutte le personalità. I due tipi, lei Isabella o Elisabetta, non mi ricordo già più, e lui Daniel o forse David, mi passano davanti, concentratissimi sui passi da eseguire e sul ritmo della musica. Lui guarda per terra e, come quasi tutti, si impaccia con i piedi. In

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