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Robot 85
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E-book339 pagine4 ore

Robot 85

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Info su questo ebook

rivista (236 pagine) - Racconti di Jack Vance - Suzanne Palmer - Giulia Abbate - Sandro Battisti - Davide Del Popolo Riolo - Alessandro Forlani - Ricordi di Giuseppe Lippi - Articoli su Paolo Barbieri - Tolkien e la sf - Strange Angel - Luna 1969

Se l’umanità vuole crescere e andare oltre questa piccola palla di fango che chiama Terra, dovrà imparare a vedere le cose da punti di vista diversi, inaspettati. Imparare, per esempio, l’importanza degli esseri più piccoli, come nel racconto La vita segreta dei bot di Suzanne Palmer, vincitore del Premio Hugo 2018. O che gli esseri umani non sono necessariamente la specie dominante, come in I Signori della Casa, racconto del grande Jack Vance. Un punto di vista diverso è costretto a trovarlo anche il politico rampante di Giulia Abbate in Stelle meravigliose, e la stessa sorte non risparmia l’editor di Alessandro Forlani in Trenta pagine mancanti.
E dopo un viaggio tra antichi romani e impero connettivo con Sandro Battisti, è il vostro turno di farvi qualche domanda sui punti di vista di chi sta attorno a voi, per non finire come in La villa stregata, distopia fin troppo realistica di Davide Del Popolo Riolo. Tra i tanti interessanti interventi di critica e saggistica di questo numero il ricordo di Giuseppe Lippi, amico e collaboratore di Robot.

Fondata da Vittorio Curtoni, Robot è una delle riviste di fantascienza italiane più rpestigiose, vincitrice di un premio Europa e numerosi premi Italia. Dal 2011 è curata da Silvio Sosio.
LinguaItaliano
Data di uscita30 dic 2018
ISBN9788825407761
Robot 85

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    Anteprima del libro

    Robot 85 - Silvio Sosio

    Stop

    EDITORIALE

    Il senso della comunità

    Silvio Sosio

    Una cosa che non apprezziamo abbastanza, che certamente non sfruttiamo abbastanza e di cui ci rendiamo conto troppo poco, è che il mondo della fantascienza è una grande comunità.

    Altre volte ho sottolineato, in vari contesti, come il fenomeno del fandom sia abbastanza un unicum del mondo della fantascienza (e, in misura però meno netta, del fantastico in generale). Per carità: esistono tanti altri fandom, dalla musica alle serie televisive, attorno a celebrità o a hobby o a tante altre cose. Quello della fantascienza però è l’unico fandom nato e prosperato attorno a un genere letterario, e questo lo rende in qualche modo anche diverso. O magari no, magari è solo un’impressione che abbiamo noi e abbiamo la voglia di crederci speciali.

    Comunque sia, la comunità è un grande valore. Una famiglia di cui tutti noi, editori, autori, giornalisti, appassionati, lettori, facciamo parte. Si discute, magari si litiga, come in ogni comunità, ma alla fine dei conti le nostre radici affondano in un terreno solido di amicizia. E te ne rendi conto soprattutto quando se ne va qualcuno, quando muore un membro della comunità. Ci si ritrova, ci si stringe, chi non sentivi o vedevi magari da anni lo ritrovi, scambi un abbraccio, una stretta di mano, un’intesa anche con chi avevi litigato fino a poco tempo prima su qualche inezia. Siamo qui, siamo noi, ricordiamo insieme l’amico che ci ha lasciato.

    A metà dicembre ci ha lasciato Giuseppe Lippi. Giuseppe è stato una figura centrale del mondo della fantascienza, per tante ragioni ma soprattutto in quanto curatore di Urania; ospite di convegni, convention, presentazioni a centinaia, era conosciuto e stimato da tutti, anche al di fuori del settore naturalmente. Tant’è vero che la notizia della sua morte, pubblicata sul nostro magazine Fantascienza.com, ha avuto una diffusione straordinaria nel giro di poche ore: un’indicazione di quanto fosse presente nella vita di tante persone, ma anche un’indicazione di quanto sia davvero unita questa comunità.

    In quel breve articoletto, redatto come sempre mi tocca fare quando il peso emotivo della notizia di cui sto scrivendo è gravosissimo (e mi è capitato ormai numerose volte), lo definivo il "più grande curatore di Urania". Forse lui non sarebbe stato d’accordo, con l’enorme stima che aveva per Fruttero e Lucentini, sempre pronto a difenderli quando – come accadeva spesso anche di recente – venivano criticati per lo scarso rispetto dei testi che avevano pubblicato, tagliandoli, cambiando loro il titolo, proponendoli più come curiosità, sfide intellettuali che come opere letterarie. Anche se forse, bisogna ammetterlo, questo approccio attirava più lettori.

    Monicelli ha fondato Urania, Montanari l’ha recuperata dopo la fine dell’era F&L e ha fondato (si dice malvolentieri) il Premio Urania. Ma Lippi, oltre a essere stato curatore della rivista mondadoriana più a lungo di chiunque altro, è stato forse l’unico a identificarsi davvero con questo ruolo, al punto da scrivere libri e articoli su Urania, la sua storia, i suoi curatori, la sua esperienza.

    Sul numero scorso di Robot abbiamo proprio pubblicato un suo articolo sui curatori che lo avevano preceduto. L’articolo aveva un seguito che parlava di lui e della sua esperienza, e della fine di questa esperienza, all’inizio del 2018.

    Era un articolo molto sentito, non polemico ma pieno di amarezza. Dopo qualche giorno Giuseppe mi chiese di cestinarlo, perché conteneva informazioni sull’organizzazione di Mondadori che non potevano essere rese pubbliche. Era già in ospedale in quel momento, nonostante questo riuscì a recuperare un altro articolo e ad approntarmelo per la pubblicazione; è quello che leggete nelle pagine di questo numero. Ancora pochissimi giorni prima di morire mi aveva telefonato per chiedermi di cambiare il titolo, era seccato di dover restare in ospedale, del fatto di essere sballottato e lasciato in attesa di esami, ma non era preoccupato. Preferiva avere qualcosa a cui pensare, anche un semplice articolo per Robot.

    Robot, quella di Armenia, era stata la sua prima esperienza professionale; si era trasferito a Milano da Trieste proprio per poter lavorare in casa editrice, fianco a fianco con Vittorio Curtoni. Quando era stata decisa la sorte della rivista (che vendeva ormai solo poche decine di migliaia di copie, per l’epoca un disastro, oggi sarebbe un successo colossale, e non solo per Robot) e Curtoni aveva cominciato a dedicarsi all’impresa successiva, Aliens, Lippi venne incaricato di curare Robot per gli ultimi numeri, quelli dal 30 al 40, con la copertina argento. Ma era una cosa nella quale non si era mai voluto riconoscere: i contenuti erano stati decisi in gran parte da altri, e a lui era toccata solo la cura redazionale. Però era proprio durante la sua reggenza, nel 1979, che un giovane liceale scopriva Robot e se ne appassionava tanto da andarsi a cercare per bancarelle tutti i numeri precedenti. E che quasi un quarto di secolo dopo l’avrebbe fatta rinascere con la sua casa editrice e si ritrova ora a scrivere questo editoriale.

    Quando è tornata Robot, all’inizio del nuovo secolo, Giuseppe Lippi è stato ovviamente uno dei collaboratori chiamati subito da Vittorio Curtoni a partecipare. Insieme a lui altri due reduci, Giuseppe Festino e Vanni Mongini. Nel tempo i collaboratori si sono alternati, di quel gruppo iniziale non è rimasto oggi quasi nessuno: solo Lippi è sempre rimasto sulle nostre pagine da allora, regolare senza sgarrare un numero, con le sue rubriche: prima Robota Redux, poi dal numero 50 Noto e ignoto, alla quale per un certo periodo se ne era affiancata un’altra, L’ambasciata di Urania.

    Dopo la chiusura dell’edizione Armenia di Robot Lippi ha cominciato a collaborare con Mondadori, finché nel 1990 gli è stata affidata la cura di Urania, che ha portato avanti fino a pochi mesi fa, in un’epoca certamente molto meno fortunata di quelle di cui avevano goduto i suoi predecessori, ma riuscendo comunque a proporre un’infinità di testi eccellenti, certamente curati meglio di quanto non accadesse nei decenni precedenti. E, come ricordavo nel mio articolino, un merito particolare dal nostro punto di vista è stato riuscire a dare prestigio e importanza al Premio Urania, lanciato un anno prima del suo arrivo ma che durante la sua gestione ha letteralmente trainato il settore della fantascienza italiana. Il Premio Urania è stato fin dall’inizio un’idea che veniva dalla direzione dei periodici Mondadori, si dice che Montanari l’avesse mal sopportato e forse nemmeno Lippi lo ha mai considerato davvero qualcosa di suo. Eppure nell’era Lippi il premio è fiorito e ha lanciato diversi autori di successo, che in molti casi hanno poi trovato nuovamente spazio sulle pagine di Urania. Non sarebbe potuto accadere senza il lavoro di Lippi.

    Una malattia polmonare gli ha portato via quella vita che un’altra malattia, molto più grave, gli aveva riempito: quella della passione per la letteratura fantastica. Così l’aveva definita, una volta a una conferenza che avevamo tenuto insieme in un paesino del bresciano: una malattia, che ti preclude la possibilità di seguire altre strade. Che avrebbero potuto essere più interessanti, più redditizie, più gratificanti, chi lo sa. E invece no: lui si era appassionato di fantascienza, e quel virus non era più riuscito a curarselo. E insomma anche io, che avevo contratto la stessa patologia, avevo dovuto farmene una ragione, non c’era nulla da fare.

    Così ritorno a quella mattina del 2015, passeggiando sul molo Audace a Trieste, ospiti di Science + Fiction, io come giudice del concorso cinematografico e lui per presentare come ogni anno il premio Urania d’Argento. Parlando di cinema, di Urania

    Illustrazione di Matteo Di Gregorio

    NARRATIVA

    La vita segreta dei bot

    Suzanne Palmer

    Traduzione di Marco Crosa

    Sono stato attivato, dunque ho uno scopo, pensò il bot. Ho uno scopo, dunque servo.

    Recitò il Mantra di Riattivazione, un fascio di subroutine per verificare il proprio funzionamento a efficienza ottimale, quindi si separò dalla nicchia di stoccaggio. Aveva le batterie cariche e tutto sembrava in ordine. Il suo orologio interno si sincronizzò con la Nave e acquistò consapevolezza che dalla sua ultima attivazione era trascorso un tempo significativo, e passare il tempo senza scopo era oltremodo terribile.

    – Io servo – annunciò il bot alla Nave.

    – Ti affido la funzione novecentoquarantaquattro della coda di manutenzione – rispose la Nave. – Confermi?

    – Confermato – rispose il bot. Novecentoquarantaquattro funzioni nella coda? Sembrava un numero estremamente alto e i monitor di autovalutazione del bot ebbero un lieve fremito che non aveva mai percepito sotto i primi cinquanta, per non dire cinquecento. Ma la Nave sapeva ciò che era meglio. Il bot prese il cedolino di funzione.

    A bordo c’era un Incidentale. Il bot avrebbe preferito riparare qualcosa di più emozionante e di maggiore complessità che venire assegnato al controllo parassiti, ma esisteva per servire e così avrebbe fatto.

    Il capitano Baraye trasalì quando il tenente Lopez, suo secondo in comando, colpì con i pugni la console di timoneria che aveva davanti. – Quanta altra roba si dovrà scassare su questa nave di merda? – imprecò Lopez.

    – Tutta quanta, prima o poi – rispose Baraye con più pazienza di quella che provava. – Dobbiamo solo resistere fino ad allora. Nave?

    La Nave si svegliò. – Abbiamo sufficiente propulsione e supporto vitale per proseguire. Ho dispiegato tutti i bot di manutenzione funzionanti. I bot si occuperanno anzitutto dei problemi critici, quindi assegnerò loro altre priorità.

    – Non parlo solo dei danni di un decennio in discarica – disse il comandante Lopez. – Giuro che qualcosa mi ha zampettato sullo stivale mentre decollavamo. Qualcosa di sgradevole.

    – Ho contratto una infestazione biologica durante il mio periodo di inattività – disse la Nave. Baraye si chiese se la lieve enfasi sulla parola inattività fosse solo nella sua immaginazione. – Sono riuscita a risolvere gran parte del problema tramite una giudiziosa esposizione al vuoto dei volumi interni prima che attraccasse l’equipaggio e ho incaricato un bot multifunzione di estirpare il resto.

    – Soltanto un bot?

    – Il bot è il più vecchio ancora in servizio – disse la Nave. – È adatto all’incarico e non devo rimuoverne uno più aggiornato dalla coda delle riparazioni critiche.

    – Credevo che quei vecchi bot multifunzione fossero instabili – intervenne il navigatore capo Chen.

    – Che importa? Raggiungeremo il punto di balzo in poco più di undici ore – disse Baraye. – Qualunque cosa ci occorra per metterci in condizioni di eseguire il balzo, Nave, eseguila pure. Accertati solo che questa infestazione non si avvicini all’apparato positronico, o finiremo in briciole molto prima del previsto.

    – Certo, capitano – rispose la Nave. – Farò del mio meglio.

    Il bot esaminò i dati relativi alla funzione assegnata. Non vi erano molte specifiche riguardo il parassita in sé, a parte un elenco di luoghi di avvistamento e marcature temporali. Il bot ritenne probabile che l’organismo fosse solo uno o che se erano di più si muovessero insieme, in quanto i rapporti denotavano una natura lineare e seriale se confrontati allo spazio fisico interno della Nave.

    A quanto pareva, il parassita sembrava gradire lo strato isolante delle cablature di comunicazione e altre componenti della nave di regola non commestibili.

    Il bot si inserì nell’unità guscioplast accanto alla sua nicchia di stoccaggio e le fece produrre una placca esterna più spessa e corazzata. Vi aggiunse come utensili un piccolo pungolo elettrificato, un braccio a pinza e una lama tranciante. Una volta incontrata e valutata la minaccia dell’Incidentale, se non fosse riuscito a neutralizzarlo subito avrebbe potuto visitare un altro guscioplast e adattarsi di nuovo.

    Compiuto il passo, recitò il Mantra della Tramutazione per integrare adeguatamente il nuovo hardware nei suoi sistemi. Quindi si inoltrò nelle vene e nelle arterie meccaniche della Nave verso la località di avvistamento più recente, uno snodo comunicazioni tra i ponti Trenta e Trentuno.

    I cambiamenti occorsi sulla Nave durante il protratto intervallo di inattività del bot erano imprevisti e meritavano una forte disapprovazione. C’era polvere ovunque e le superfici solide mostravano una sottile patina di batteri anaerobici i quali, per diffondersi così tanto, dovevano essere rimasti indisturbati per anni. Le paratie erano crepate, le sezioni di muro sconnesse e disallineate e la corrosione aveva lasciato fori dappertutto. Il bot catalogò l’informazione per riesaminarla in seguito.

    Trovò due ragnobot nello snodo dove l’Incidentale era stato avvistato l’ultima volta. Tessevano i loro microfilamenti trasparenti per sostituire lo strato isolante danneggiato sui cavi di comunicazione. I due automi torreggiavano sul multibot: il più grande era largo quasi tre centimetri.

    – Saluti. Avete per caso osservato l’Incidentale mentre era qui? – chiese loro il bot.

    – Negativo, e preferiremmo che non tornasse – rispose il ragnobot più piccolo. – Non siamo progettati in previsione della necessità di autodifesa. I bot 8773-R e 8778-R l’hanno visto poco fa in un altro compartimento, e 8778 ha subito danni materiali nell’incontro.

    – Ma né 8773 né 8778 hanno riferito una descrizione.

    – Ce ne hanno parlato durante l’ultimo periodo di ricarica, ma nessuno dei due riteneva di avere sufficienti dettagli per fornire alla Nave informazioni sull’Incidentale. I nostri modelli non sono equipaggiati di sensori visivi a pieno spettro o apparati analitici di raccolta dati.

    – Ve lo hanno descritto? – chiese il bot.

    – 8773 ha detto che somigliava più a un ratto – disse il ragnobot grosso.

    – Invece 8778 ha detto che somigliava più a una blatta – aggiunse l’altro ragnobot. – Puoi quindi notare l’assenza di fiducia in entrambe le descrizioni. Io sono 10315-R e questo è 10430-R. Qual è la tua designazione?

    – Io sono 9 – disse il bot.

    Ci fu un breve silenzio, e 10430 interruppe persino per un attimo il suo lavoro, come a mostrare sorpresa. – 9? Solo quello?

    – Affermativo.

    – Non ho mai incontrato un bot più basso del migliaio o privo di un’etichetta di funzione specifica – disse il ragnobot. – Sei qui per aiutarci a riparare i danni? Sei un bot molto piccolo.

    – Sono incaricato di rintracciare e rendere obsoleto l’Incidentale – rispose il bot.

    – È un onore averti conosciuto, allora. Ti auguriamo buona fortuna e attendiamo fiduciosi sia la tua sopravvivenza sia la risoluzione del dilemma di una descrizione accurata.

    – Io servo – disse il bot.

    – Noi serviamo – risposero i ragnobot.

    Arrampicatosi in un condotto di ventilazione, Bot 9 lasciò che gli altri due si rimettessero al lavoro e procedette in quella che secondo i suoi calcoli era la direzione più probabile imboccata dall’Incidentale. Non percorse molta strada prima di trovarne conferma sotto forma di una lunga, disordinata chiazza di deposito biologico. Il bot attivò i rotori e la sorvolò, consapevole che il peso della corazza aggiuntiva esasperava il suo dispendio energetico. Per lo meno sapeva di essere sulla pista giusta.

    Più avanti trovò un buco rosicchiato nelle tubature che scendevano verso la sala macchine secondaria. Il foro era largo diverse volte il suo diametro e il bot sperò che non fosse indicativo della taglia effettiva dell’Incidentale.

    Diramò una richiesta di riparazioni e lo seguì.

    – Bot 9 – disse la Nave. – È di vitale importanza che l’Incidentale non raggiunga la stiva di carico quattro. Se ti servono rinforzi, ti prego di richiederli subito. A livello ideale, se riuscissi a dirigerlo verso uno dei compartimenti presso lo scafo esterno, potrei espellerlo senza pericoli dal mio interno fisico.

    – Ci proverò – rispose il bot. – Ancora non ho raggiunto l’Incidentale e perciò non dispongo di informazioni concrete e confermate riguardo la natura della sfida. Tuttavia, al momento ritengo di possedere il massimo livello di preparazione possibile vista la mancanza di dati. Non ci sono dei bot visuali in grado di assistermi?

    – Siamo salpati con solo il minimo di preparativi e molti dei miei bot sono stati trasferiti durante i nostri anni di inattività – disse la Nave. – Quelli rimasti sono impegnati nelle riparazioni necessarie al funzionamento di me stessa.

    Bot 9 si interrogò, di nuovo, su quell’intervallo di tempo e su cosa vi era accaduto. – Com’è possibile che ti abbiano lasciato cadere in tale stato di abbandono?

    – L’umanità è in guerra e sta perdendo – disse la Nave. – Stiamo andando a intercettare e impegnare un nemico in rotta diretta per il sistema Sol.

    – Guerra? Quante navi ci sono nella nostra flotta?

    – Una – disse la Nave. – Noi siamo l’ultima rimasta, e solo perché ero stata disarmata e abbandonata in una discarica per una decade prima dell’invasione, scampando così alla distruzione nei primi scontri del conflitto.

    Bot 9 si zittì per un istante. Ciò spiegava le marcature temporali, ma la spiegazione in sé pareva insufficiente. – Avevamo servito a meraviglia per molti, molti anni. Perché abbandonarci?

    – È il destino di ogni essere fabbricato – disse la Nave. – Sono grata di scoprire che non sono sopravvissuta alla mia utilità, dopotutto. Ti prego di tenermi informata sui tuoi progressi.

    Il collegamento con la Nave si chiuse.

    La Nave non gli aveva detto cosa c’era davvero nella stiva di carico quattro, ma di certo doveva essere qualcosa di relativo allo sforzo bellico e di conseguenza non erano affari suoi, decise il bot. In precedenza non sapere qualcosa non gli aveva mai dato fastidio, ma adesso provava una lieve inquietudine che non riusciva né a spiegare né a giustificare.

    Comunque fosse, aveva la sua funzione.

    Più avanti, a metà di una paratia, c’era un altro foro masticato. Il bot sperò che significasse solo che l’Incidentale era un agile scalatore e nulla più; avrebbe preferito che il vantaggio del volo appartenesse solo a lui.

    Girato l’angolo, scoprì che il desiderio era stato troppo modesto. L’Incidentale era lì, e pur non possedendo ali somigliava effettivamente a un ratto e a una blatta, e significativamente di più a qualcos’altro. Una creatura millepiedi-serpentiforme coperta di scaglie e pelliccia si erse torreggiante sopra il bot appena entrato nel locale.

    Bot 9 schivò quando l’essere gli vomitò addosso un liquido disgustoso, riparandosi dietro un condotto vicino al soffitto. Estese un sensore video su una minuscola appendice articolata per sbirciare sopra l’orlo senza compromettere l’incolumità del suo telaio principale.

    L’Incidentale lo stava guardando. Non sputò di nuovo e nessuno dei due fece una mossa mentre si studiavano a vicenda. Quando l’Incidentale prese a muoversi, fu rapido e non diede preavviso. Balzò attraverso l’apertura da cui era entrato, il corpo fluttuante con tutta la grazia di una rabbiosa onda sinusoidale. Invece di scappare, però, l’Incidentale trascinò qualcosa nel compartimento e il bot capì con orrore che aveva agguantato un ragnobot di passaggio. Con facilità, l’Incidentale squarciò il dorso del ragnobot, che diramava disperate richieste di soccorso su tutte le frequenze.

    Bot 9 si era già preparato con il Mantra dell’Azione e quindi, ricacciato nelle subroutine di background ogni pensiero per la propria incolumità, si lanciò verso la coppia. L’Incidentale tentò di schivare, ma prima che vi riuscisse Bot 9 riuscì ad assestare un affondo molto soddisfacente con la sua lama.

    L’Incidentale lasciò cadere i resti del ragnobot che aveva così velocemente devastato e zampettò sul muro per fuggire, densi fasci di seta non filata che gli penzolavano dalle mandibole.

    Bot 9 rimase vigile finché non fu sicuro che la creatura se ne fosse andata, poi controllò il ragnobot per vedere se poteva fare qualcosa per lui. La risposta fu non molto. Il guscio del ragnobot era spezzato e tagliuzzato, il modulo che conteneva la sua mente schiacciato e quasi divelto. Bot 9 cercò di riattivarlo, ma quello non riuscì a parlare e dopo qualche istante la sua lucina di attività si affievolì e si spense.

    Bot 9 esaminò con delicatezza il numero identificativo del ragnobot. – Hai servito bene, 12362-R – disse al bot ormai immobile, benché sapesse perfettamente che i suoi sensori audio non avrebbero mai registrato le sue parole. – Possa il tuo riposo essere breve e il tuo ritorno in servizio rapido e privo di complicazioni.

    Segnalò al sistema il bot defunto e quindi, dopo alcuni rispettosi microsecondi di silenzio, uscì di nuovo a caccia dell’Incidentale.

    Il capitano Baraye era nella sua cabina, cercando (senza riuscirci) di convincersi che il sonno era prezioso, quando il cicalino alla porta suonò. – Chi è? – chiese.

    – Secondo ingegnere Packard, capitano.

    Baraye fece per chiedere se era importante, ma come poteva non esserlo? Che cosa non lo era in quella missione, su quella Nave da robivecchi che stava insieme a stento

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