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Briciole di complessità: Tra la rugosità del reale
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E-book377 pagine5 ore

Briciole di complessità: Tra la rugosità del reale

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«È da questo incontrarsi e scontrarsi con la ‘rugosità’ del reale, da questa necessità di entrare nelle pieghe della complessità della vita che Mario Castellana è stato motivato ad intraprendere la sua ricerca. Una navigazione, la sua, di singolare ampiezza, sviluppata nella continua tensione fra le molteplici dimensioni del suo interrogare se stesso ed il suo tempo: filosofica, scientifica, esistenziale, etica, spirituale. Ed è proprio grazie a questa tensione che l’unità di fondo del suo originale pensare emerge nella continua dialogica tra figure apparentemente distanti fra di loro… Dialogica, in queste pagine magistralmente testimoniata da una scrittura breve, esercitata in tanti piccoli capitoli, a loro volta suscitati da altrettanti libri, che nell’insieme formano una sapiente mappa delle molteplici vie del pensiero complesso. Il pensiero di Castellaoriana si è formato innanzitutto attraverso due fili rossi dell’epistemologia francese del Novecento: la dimensione storica della scienza e la pluralità dei livelli del reale. Ed è attraverso questi due fili rossi che ha raccolto la sfida della complessità. Le briciole di complessità di cui si compone questo suo volume, mentre lasciano intravedere in modo suggestivo nuovi percorsi, illuminano retrospettivamente la navigazione che qui lo ha condotto. Così, possiamo leggere l’intera sua opera come una profonda riflessione sulla vicenda storica attraverso cui la sfida della complessità emerge nella scienza del Novecento, e da qui deborda nell’inedita e globale condizione umana» (Dalla Prefazione di Mauro Ceruti).
LinguaItaliano
Data di uscita4 mag 2022
ISBN9788838252235
Briciole di complessità: Tra la rugosità del reale

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    Anteprima del libro

    Briciole di complessità - Mario Castellana

    AVVERTENZA

    A volte nella vita di ognuno succede che fatti e progetti nascono con uno scopo, ma poi vengono dirottati su altri binari come le pagine che seguono; esse non sono state pensate per entrare in un lavoro organico e sono solo il risultato della scelta di alcuni scritti, per loro natura brevi, apparsi con una periodicità quasi settimanale su Odysseo. Navigatori della conoscenza per quasi tutto il 2020 e alcuni mesi del 2021. Tali scritti si ispirano agli orientamenti di fondo di tale giornale online che ha visto la luce qualche anno fa in Puglia, grazie agli sforzi di Paolo Farina; e se vi hanno, infatti, trovato spazio è dovuto al fatto non secondario che si è insieme compagni di viaggio nell’esperienza di vita e di pensiero di Simone Weil, diventata un vero e proprio faro nell’indicarci la via sempre insostituibile della e con la ragione per meglio comprendere la specificità degli ultimi eventi e per non esserne travolti. Pur essendo a volte occasionali e frutto dell’incontro con alcuni significativi lavori apparsi negli ultimi anni, gli scritti qui presenti sono stati rielaborati non certo per verificare l’attualità delle coordinate teoriche forniteci da Simone Weil, ma per vedere come alcuni punti fermi del suo percorso, che ha trovato non a caso le radici nel mondo filosofico-scientifico francese degli anni ’30 e attraversato da altre non secondarie figure, possono essere d’aiuto per inoltrarci per altre strade nelle strategie messe in atto dal più recente pensiero complesso. In tal modo, pensiamo che sia stata data una unità di fondo ad un progetto nato con altre finalità e se nelle pagine che seguono si affrontano problematiche e figure che possono sembrare distanti tra di loro, esse sono state interrogate in funzione di tale obiettivo.

    Pertanto, non si è trattato di una fulminea conversione sulla strada di Damasco al pensiero complesso e alle sue cogenti problematiche, ma tale percorso ha le sue radici, oltre che nel pensiero di Simone Weil che ha avuto sempre la funzione di tenere viva l’attenzione verso il concreto, nel nostro ormai lungo ‘navigare’ nelle acque dell’epistemologia francese del Novecento, dove più che in altre tradizioni di pensiero è stato assegnato un giusto peso alla intrinseca dimensione storica della scienza come struttura portante dello stesso esprit umano; questa costante ouverture sul piano teoretico alla intrinseca storicità della conoscenza scientifica può essere una delle strade maestre verso la presa di coscienza della pluralità dei livelli del reale di cui ogni scienza è espressione, condizione sine qua non per approdare ad un sano pensiero complesso. Esso più di altri percorsi ha fatto tesoro, in senso biblico, dei diversi ‘eventi di verità’ messi in atto sia pure faticosamente dalla nostra ragione, come li chiama Alain Badiou, ma soprattutto li ha inseriti in una strategia teorica per ‘ben comprenderli’ come invitava a fare negli anni Trenta Pierre Teilhard de Chardin nei confronti della teoria dell’evoluzione; ma il navigare con gli strumenti del pensiero complesso è finalizzato ad evitare il ripetersi di quella che con Jean Petitot si può chiamare ‘catastrofe razionale postkantiana’ che ha caratterizzato gran parte del pensiero ottocentesco e parte di quello del Novecento, preda di visioni riduttive sia nella variante scientista che in quella dell’anti-scienza, visioni sempre pronte ad incunearsi nella razionalità umana quando si dimentica, come dicevano quasi all’unisono Federigo Enriques e Pavel Florenskij, che è un percorso non verso ‘il vero’, ma verso ‘il più vero’ e ha che fare con l’idea di verità che in noi brucia come un fuoco divoratore.

    Gli insegnamenti di figure come Maximilien Winter, Federigo Enriques, Teilhard de Chardin, Gaston Bachelard, Hélène Metzger, Albert Lautman Simone Weil, Ferdinand Gonseth, Suzanne Bachelard, Jean Desanti, Jean Piaget, Gilles Châtelet, Michel Serres, Badiou e Petitot ci hanno fatto da guida per approdare a tale capitolo del pensiero contemporaneo, diventato sempre più strategico nel mondo di oggi; e possono spiegare anche il fatto che esso abbia potuto svilupparsi in Francia nella direzione indicata da Edgar Morin, servitoci per irrobustire il nostro percorso sin dagli anni Ottanta, per trovare poi una ulteriore fonte di Siloe del pensiero complesso a cui abbeverarci nei lavori di Mauro Ceruti che ha aperto altre e significative strade.

    E se in queste pagine che offriamo ai lettori, a volte con qualche inevitabile ripetizione, compare spesso il nome di Ceruti con l’analisi di alcuni suoi più recenti scritti, è perché, come ha scritto il compianto Giulio Giorello nella prefazione all’opera del 2014 La fine dell’onniscienza, il percorso messo in atto ci dà strumenti indispensabili per pensare ‘fuori dalla linea’, per navigare oltre e mettere con Edgar Morin le premesse della storia del nuovo Mondo; e si rivela altresì strategico per tracciare i binari di una nuova ragione enracinée nella polifonia del reale per superare quella che Paolo VI chiamava ‘l’era desertica del pensiero’. Non è un caso che figure come Simone Weil, Hélène Metzger e Pavel Florenskij, con alle spalle la tragica esperienza dei totalitarismi, ce l’hanno proposta come ‘rimedio razionale’ ritenuto indispensabile contro i vari mali del mondo col darci prima di morire però concreta testimonianza nell’aver attraversato una pluralità di descrizioni della realtà che trapassano l’una nell’altra, cercando di darne il dovuto ‘senso’.

    Ma se queste pagine vedono la luce in maniera più organica, lo si deve in primis allo stesso Mauro Ceruti che sin dall’inizio ha invitato a farlo nonostante le mie immanchevoli perplessità col sostenermi fraternamente in queste briciole di complessità; lo ringrazio per avere avuto la pazienza di leggerle e soprattutto di onorarmi con una sua prefazione. Colgo l’occasione anche per ringraziare Paolo Farina per avermi dato l’opportunità di condividere nel suo giornale tali riflessioni; poi un doveroso pensiero va a Domenico Maria Amalfitano di Taranto che mi ha coinvolto più volte in varie iniziative culturali incentrati sulla complessità e sul modo di interpretarla e di viverla. Inoltre, non posso non ringraziare i miei ex-studenti Daniele Chiffi, Fabio Ciracì e Demetrio Ria, ora anche colleghi, Paolo Zizzi e Pietro Console che col leggere tali scritti, mi hanno sollecitato a continuare in tal senso beneficiando dei loro commenti critici.

    E, per finire, non posso non ringraziare mia moglie Geltrude che, vivendo le sue quotidiane briciole di complessità, mi ha aiutato a dare loro voce e a vederle sotto altra luce, oltre ad essere stata ogni settimana prima instancabile lettrice di tali riflessioni per poi portarle all’attenzione di altri.

    Martina Franca, dicembre 2021.

    PREFAZIONE

    di Mauro Ceruti

    Simone Weil sapeva che chi si avventura a ‘navigare’ nelle incerte acque della conoscenza e in qualsiasi altro ambito del pensiero umano, da quello artistico a quello filosofico-scientifico, viene a incontrarsi e nello stesso tempo a scontrarsi, a volte con estrema durezza, con la ’rugosità del reale’. È da questo incontrarsi e scontrarsi con la rugosità del reale, da questa necessità di entrare nelle pieghe della complessità della vita che Mario Castellana è stato motivato a intraprendere la sua ricerca. Una navigazione, la sua, di singolare ampiezza, sviluppata nella continua tensione fra le molteplici dimensioni del suo interrogare se stesso e il suo tempo: filosofica, scientifica, esistenziale, etica, spirituale. Ed è proprio grazie a questa tensione che l’unità di fondo del suo originale pensare emerge nella continua dialogica tra figure apparentemente distanti fra di loro, come, fra molte altre, quelle di Federigo Enriques, Teilhard de Chardin, Gaston Bachelard, Hélène Metzger, Albert Lautman Simone Weil, Ferdinand Gonseth, Suzanne Bachelard, Pavel Florenskij, Jean Desanti, Jean Piaget, Michel Serres, Paul Langevin, Maximilien Winter, Edgar Morin, Papa Francesco... Dialogica, in queste pagine magistralmente testimoniata da una scrittura breve, esercitata in tanti piccoli capitoli, a loro volta suscitati da altrettanti libri, che nell’insieme formano una sapiente mappa delle molteplici vie del pensiero complesso.

    Il pensiero di Castellana si è formato innanzitutto attraverso due fili rossi dell’epistemologia francese del Novecento: la dimensione storica della scienza e la pluralità dei livelli del reale. Ed è attraverso questi due fili rossi che ha raccolto la sfida della complessità. Le briciole di complessità di cui si compone questo suo volume, mentre lasciano intravedere in modo suggestivo nuovi percorsi, illuminano retrospettivamente la navigazione che qui lo ha condotto. Così, possiamo leggere l’intera sua opera come una profonda riflessione sulla vicenda storica attraverso cui la sfida della complessità emerge nella scienza del Novecento, e da qui deborda nell’inedita e globale condizione umana. Complessità, che dalla scienza e dalla filosofia è stata per lungo tempo prevalentemente percepita come apparenza superficiale del reale, non ancora compreso nelle sue leggi nascoste e semplici. L’universo stesso era stato immaginato come un assemblaggio di oggetti identificabili ed elementari, che interagiscono in base a leggi deterministiche, intelligibili al calcolo. Un demone ideale, come quello immaginato alla fine del Settecento da Pierre Simon de Laplace, avrebbe potuto dedurre ogni stato passato, presente o futuro di questo universo. Questo ideale di onniscienza ha orientato la scienza classica e il sistema dei valori prevalente della modernità. E la semplificazione è stata la via regia per corrispondere a questo ideale, nella prospettiva di rendere il mondo sempre più sicu­ro, dominabile, prevedibile. Ma tale principio di semplificazione nel novecento avrebbe condotto le scienze a scoperte che richiedevano principi di spiegazione nuovi e una struttura di pensiero diversa. Di colpo, lo sviluppo delle conoscenze scientifiche, come per esempio nella fisica subatomica, nella biologia evoluzionista, nella cosmologia, hanno messo in crisi i criteri della scientificità che avevano promosso quello stesso sviluppo. In altre parole, si scopre la complessità. E che il complesso non è semplificabile. Nell’universo, in natura (ma lo stesso vale ancora di più per i sistemi sociali), non c’è un assemblaggio, un montaggio di pezzi prefabbricati da un grande orologiaio. Il tutto non è la somma delle sue parti. È nello stesso tempo più, meno e diverso rispetto alla somma delle sue parti. Emerge attraverso la storia delle interazioni fra le parti, in modi spesso imprevedibili. Obbliga a collegare nozioni che nel paradigma della scienza classica si escludono a vicenda: l’unità e la molteplicità, il tutto e le parti, il continuo e il discontinuo, l’ordine e il disordine, l’osservatore e la realtà osservata…

    Attraverso questa affascinante storia, Castellana riflette sull’urgenza di un mutamento di paradigma, a tutto campo. Le rivoluzioni scientifiche del novecento hanno preparato il terreno a questo mutamento. Si è sviluppata una «scienza con coscienza della complessità». E ci vorrebbe ora, argomenta con tanti suggestivi esempi qui trattati in brevi racconti, «un salto nella coscienza generale, per sentire empatia con la complessità, al di là del campo scientifico». Salto peraltro che, già in quegli stessi formidabili anni del primo novecento, nei quali Simone Weil richiamava alla rugosità del reale, era stato sollecitato da Marcel Proust, che notava: La vita, e le circostanze stesse, sono un po’ più complicate di quanto non si dica. C’è una pressante necessità di mostrare questa complessità. E oggi, di questa complessità e di questa rugosità, siamo, e ci sentiamo, addirittura circondati, assediati, senza avere ancora pienamente preso coscienza della necessità di apprendere ad abitarla. L’insostenibile complessità della condizione umana e del mondo provocano smarrimento, inquietudine, angoscia, che inducono alla ricerca di nicchie protettive e di slogan rassicuranti. La crisi planetaria innescata dalla pandemia ha rivelato la complessità nella sua ineludibilità, persino nella vita quotidiana di ogni abitante della Terra. Viviamo il passaggio a un’epoca storica in cui gli sviluppi scientifici, tecnologici, economici, sociali sono sempre più entrati in molteplici interazioni e retroazioni, e in cui la mondializzazione ha aperto lo scenario propizio di eventi complessi e aleatori. Così, scrive Mario Castellana, oggi da più parti, di fronte all’emergenza di eventi che investono l’intero pianeta col mettere sistemicamente in ginocchio le vecchie ricette di impronta cartesiana ritenute granitiche, più o meno si sta facendo strada la coscienza della presa d’atto, a dirla con uno dei protagonisti della genetica medica Victor A. McKusick (1921-2008), che quanto più si conosce, più aumenta il peso dell’ignoto.

    Tuttavia, viviamo un paradosso. Lo ha, anche questo, drammaticamente rivelato la crisi globale innescata dalla pandemia. Più aumenta la complessità del nostro mondo, più si rafforza la tentazione della semplificazione. Ci siamo trovati sprovvisti dell’intelligenza della complessità, necessaria per affrontare le crisi della nuova condizione umana globale. E l’idolo della semplificazione ha ribadito la sua anacronistica egemonia, diventando non solo foriero di cecità nella conoscenza, ma anche alla base della ricerca di capri espiatori nella società, di nuove chiusure identitarie e di quel risentimento che sta avvelenando le democrazie.

    In un mondo sempre più minacciato da problemi comuni e globali, ma ancora diviso e frammentato nei saperi come nelle relazioni politiche, l’intelligenza della complessità diventa una necessità vitale per le persone, per le culture, per le società, per le nazioni, per la cooperazione internazionale. La coscienza della complessità, come acutamente mostrano le pagine di questo libro, ci orienta non solo in direzione di una conoscenza più vera, ma ci incoraggia verso la ricerca di un’etica e di una politica che sappiano concepire l’unità nella diversità e la diversità nell’unità, all’interno dell’orizzonte di un nuovo umanesimo planetario. Sta emergendo la soglia di un’età nuova. Per poter attraversare questa soglia, siamo costretti a farci carico di quanto nell’età moderna si è cercato di dilazionare, siamo spinti ad affrontare e a vivere gli eventi in tutta la loro crudezza e in tutta la loro potenza, creatrice e dsitruttrice, senza confidare nel fatto che qualche ordine semplice nascosto o qualche senso prestabilito li possa in qualche modo disinnescare. Oggi più che mai, la sfida della complessità ci trascina nella rugosità del reale, per avviare una nuova metamorfosi della condizione umana, in un tempo in cui tutto è connesso, complesso appunto, per abitare in un modo nuovo e non (auto)distruttivo il nostro pianeta, e per riconoscersi in un destino comune. Dobbiamo essere grati a Mario Castellana per la sapienza con cui delinea l’orizzonte di questo inedito universalismo attraverso queste briciole di complessità.

    1. TRA LA RUGOSITÀ DEL REALE

    Oggi da più parti, di fronte all’emergenza di eventi che investono l’intero pianeta col mettere sistemicamente in ginocchio le vecchie ricette di impronta cartesiana ritenute granitiche, più o meno si sta facendo strada la coscienza della presa d’atto, a dirla con uno dei protagonisti della genetica medica Victor A. McKusick (1921-2008), che quanto più si conosce, più aumenta il peso dell’ignoto; e per evitare ulteriori illusioni ed umiliazioni a cui inevitabilmente conducono tali avventure insieme di natura cognitiva ed esistenziali, sta emergendo con tutta la sua forza evocativa l’omerica figura di Ulisse, il cui mito ha trovato le sue radici nelle acque del Mediterraneo non a caso, a dirla con Paul Valery, diventato ‘il mare del possibile’ per i numerosi e diversi eventi in esso messi in moto. Come è successo spesso nel passato, anche in questi ultimi tempi a tale figura si ispirano diversi percorsi che significativamente si presentano come umili ‘navigatori della conoscenza’ [1] nelle inquiete acque della vita ma con una maggiore coscienza critica del fatto che ad ogni livello bisogna respingere definitivamente le pulsioni essenzialiste sempre in agguato. Ma tra le figure del Nocecento che hanno saputo interpretare, non solo a livello teorico, tale stato di cose è da tenere presente Simone Weil (1909-1943), straordinaria figura di donna-pensatrice che non a caso si è costantemente confrontata colle diverse potenzialità del mondo greco col farle interagire criticamente con le problematiche tipiche della modernità; da tale incontro-scontro, arricchito da un non comune bagaglio di esperienze non solo politico-culturali, è scaturita l’idea della ‘rugosità del reale’ con tutto il suo vasto corredo, concettuale ed esistenziale, proprio per indicarne l’intrinseca poliedricità non riducibile a punti di vista unilaterali.

    Essa è frutto di un ‘cuore pensante’, come è stata definita l’esperienza della Weil, ma di un ‘cuore pensante’ il reale e le sue ragioni per le quali è ritenuto sempre più necessario battersi anche a costo di mettere da parte tutto ciò che sembra eterno ed inamovibile sino alle strutture del linguaggio stesso spesso non in grado di dare il giusto senso a ciò che di per sé sfugge alle normali configurazioni concettuali; è una metafora proprio per indicare, fra le altre cose, che chi si avventura a ‘navigare’ nelle incerte acque della conoscenza e in qualsiasi altro ambito del pensiero umano, da quello artistico a quello filosofico-scientifico, viene ad incontrarsi e nello stesso tempo a scontrarsi, a volte con estrema durezza, con la ’rugosità del reale’ o con le sue ‘asperità’ per usare un termine simile di un altro pensatore francese Jean Cavaillès (1904-1944), morto combattendo con le armi anche della ragione contro il nazifascismo. Ma la scelta trova la sua ragione nel fatto che l’uomo pur divorato, come diceva l’ingegnere, filosofo e teologo russo Pavel Florenskij (1882-1937), dal ‘sacro fuoco della verità’, ancora non è stato in grado di percepirsi come un ‘divenire umano’, come Mauro Ceruti in diversi suoi lavori ha chiaramente indicato; il pensarsi come ‘essere umano’, fisso e chiuso nella sua intangibilità, spesso lo ha portato ad imporre il suo punto di vista parziale, ma ritenuto assoluto sulle cose del mondo e sul reale più in generale che per loro natura sfuggono a qualsiasi imposizione aprioristica. In tal modo, sempre per seguire Simone Weil, si arriva a ‘mentire sul reale’, a vederlo in funzione della propria immaginazione e dei propri interessi e a non permettere che esso emerga in tutto il suo spessore di senso e anche valoriale.

    Quella intrinseca pluralità di significati che ha il reale viene ricondotta alla nostra percezione immediata che si trasforma in una prospettiva su di esso ma ritenuta il mondo stesso e a nostra misura; in tal modo non solo viene meno lo sforzo veritativo, si arriva deliberatamente a mentire sulle cose del mondo e a perdere il contatto con la realtà fino a imporre visioni riduttive e fuorvianti, le quali per legittimarsi hanno bisogno del consenso degli altri. Ma tale consenso trova il suo formidabile strumento nei processi di semplificazione dei fatti reali, costruiti ad arte, sino a diventare opinione che si regge sistematicamente su un meccanismo menzognero dove ognuno si sente sicuro delle ‘sue’ verità con l’attribuzione di un ‘senso’ fatto su misura.

    Tutto questo ci porta a costruire dei recinti prima mentali nei dintorni immediati e poi sociali e collettivi sino a rimanere in balìa della nostra immaginazione che porta a mistificare la realtà, a considerarla ad uso e consumo dei nostri desiderata ed in base, poi, a questo ci sentiamo autorizzati a mettere in atto un certo potere; per liberarsi da questo soggettivismo cieco sia individualmente che collettivamente, è necessario risvegliare in noi un pensiero che nello scontrarsi con il reale e le sue nervature-asperità lo prenda come punto di riferimento sine qua non, non infierisca sul suo corpo aggredito con strumenti inadeguati anche perché se non compreso nella sua specificità e immanenza, sempre come diceva Simone Weil, prima o poi si vendica, come sta succedendo in questi ultimi tempi a proposito della terra, del clima e dell’ambiente da pensare come ‘totalità viventi’ nel senso indicatoci da Michel Serres. Oggi che a più livelli si è impegnati nel ripensare il pensiero, a ripensare il posto dell’uomo nel mondo e la struttura di tali totalità viventi, può forse essere ancora utile quell’atteggiamento di Tommaso D’Aquino, atteggiamento del resto presente chiaramente con diverse sfumature in figure che vanno da Galileo e Newton a Darwin ed Einstein, meravigliati in senso aristotelico della ricchezza intrinseca dei rispettivi reali e impegnati nelle comuni ‘filosofiche militie’, a dirla con il primo linceo Federico Cesi, a scardinare le loro false e semplicistiche immagini e a ripristinarne una visione d’insieme; nell’iniziare i suoi corsi di Filosofia, l’aquinate metteva, infatti, davanti agli occhi dei suoi studenti sempre una mela proprio per ricordare che qualsiasi prodotto conoscitivo non è il frutto della propria immaginazione, ma il risultato dell’incontro-scontro con un reale pieno di diverse risorse e articolazioni e dotato di un corpo da rispettare nella sua specificità con i propri sapori che nutrono e saziano di contenuti senza la pretesa di uniformarlo e schiacciarlo su esigenze esterne.

    Certo, l’espressione ‘rugosità del reale’ trova diverse declinazioni nei vari ambiti, ma è innanzitutto un modo di essere ‘tra’ le sue asperità e soprattutto di viverle, di ‘abitarne le contraddizioni’ e di attraversarle per intero, come ripete spesso la Weil nei suoi numerosi scritti, senza tralasciarne qualcuna o magari sovrapporre l’una sull’altra; si vuole mettere in evidenza un fatto ormai incontrovertibile che a volte un certo modo di praticare il pensiero filosofico-scientifico ha dimenticato pur essendo esso stesso partito, come ogni forma storica di conoscenza, da questo fatto e cioè la presa d’atto che il reale è inesauribile, è ‘un testo a più significati’ e ha ‘mille ragioni’ per essere tale, come affermano quasi all’unisono prima Leonardo Da Vinci e poi la stessa Weil che tra le altre cose, non contenta del disinteresse del fratello matematico André per il reale fisico, ha fatto suo il motto di due scienziati con i quali si è confrontata, come Paul Langevin e Louis De Broglie: prima o poi il concreto fa esplodere il quadro dell’astratto. Lo sforzo veritativo dell’uomo in quanto teso pur con tutti i suoi limiti a tale obiettivo, se tutto va bene, riesce ad individuare del reale un aspetto, un significato, una ragione, una nervatura, uno strato, una piega, una nuance o sfumatura, a dirla con Gaston Bachelard; ma soprattutto l’idea di essere ‘tra la rugosità del reale’ e di ‘navigare tra’ le sue onde, a volte minacciose e senza la sicurezza di approdi certi, come diceva Otto Neurath quasi negli stessi anni, allontana la pretesa di averne esaurito le potenzialità intrinseche e di appianarlo in un determinato recinto i cui argini prima o poi crolleranno, fatto denunciato da più figure sia del primo che del secondo Novecento, ma venuto a maturazione nel pensiero complesso anche se ancora non del tutto metabolizzato come tale nelle sue diverse articolazioni.


    [1] Facciamo riferimento in particolar modo a recenti giornali e riviste online come Odysseo. Navigatori della conoscenza ed Ithaca, iniziative che hanno preso piede in Puglia, terra di approdo di alcuni eroi omerici, non a caso uno dei territori della Magna Grecia e una sede tra l’altro, cosa che spesso si dimentica, del ‘miracolo greco’ dell’invenzione della matematica a dirla con Michel Serres.

    2. VECCHIE E NUOVE CORAZZATE

    Scriveva un giovane filosofo della matematica francese Albert Lautman (1908-1944), impegnato come tanti altri nel cercare di capire le cause dell’avvento del nazismo e poi morto combattendo nelle fila della Resistenza pur da convinto pacifista: «Volendo sopprimere i legami fra il pensiero e il reale e rifiutando di dare alla scienza il valore di una esperienza spirituale, si rischia di avere solo un’ombra della scienza e di rigettare lo spirito teso alla conquista del reale verso attitudini violente con cui la ragione non ha nulla a che fare». Questa affermazione è la testimonianza di un uomo che, per pochi anni di vita da ricercatore, ha rivolto i suoi interessi nel cercare di comprendere gli stretti legami fra il pensiero matematico ed il reale a volte espliciti ed il più delle volte impliciti, meccanismo che è alla base di ogni impresa cognitiva che per sua natura è spirituale nel senso più esteso del termine; e nello stesso tempo capì che a base di molti eventi umani, e di quelli più tragici, c’è proprio il deliberato obiettivo di ‘sopprimerli’ tali legami, ritenuti costitutivi dello spirito umano. Una volta venuti meno o fatti venire meno, anche il pensiero, la scienza, la tecnica, l’arte e la stessa religione si offuscano, diventano ‘ombre’ di se stesse e, come diceva negli stessi anni Simone Weil, ‘si babilonizzano’, cioè diventano puri strumenti di potere sino a spingere l’uomo ‘verso attitudini violente’; da essere percorsi di verità in quanto l’obiettivo è la conoscenza del reale attraverso il continuo scontro con esso, si trasformano loro malgrado in armi grazie alle quali si impongono false visioni del mondo, si costruiscono quelle che il gesuita e biopaleontologo Teilhard de Chardin negli stessi anni chiamava vere e proprie ‘corazzate’ (i diversi totalitarismi), abili nel veicolare pseudo-teorie come quelle razziali facilmente poi innestabili su delle menti fatte diventare abilmente orfane di adeguate ancore al reale.

    Con tali ‘corazzate’, frutto di una deformazione del pensiero che ha perduto i legami col reale, ‘la ragione umana non ha nulla a che fare’, e ha come unico dovere quello di chiarire e ripristinare il valore veritativo ed insieme ‘spirituale’ delle sue acquisizioni dalle scienze all’arte, dalla tecnica alla religione che a volte, come diceva sempre negli anni Trenta Karl Jaspers da autentico kantiano, possono diventare ‘totalizzanti’ e assolute in quanto lontane da quella continua ‘tensione tra sapere ed esistenza’, tra ‘pensiero e reale’. La ragione, pur essendo fragile e ‘vagabonda’ come già dicevano prima Blaise Pascal e poi Merleau-Ponty, va innestata continuamente sulle radici del reale; non deve abdicare alla sua funzione critica che è quella di individuare e neutralizzare i processi di babilonizzazione presenti anche quando, ad esempio, a problemi complessi si danno volutamente risposte semplicistiche di facile presa o nel considerare le tecnologie, soprattutto quelle massmediali e della comunicazione in genere, ‘neutrali’ quando non lo sono in quanto comunque veicolano delle visioni del mondo. Queste che sono le nuove ’corazzate’, pur frutto del pensiero e delle azioni umane, devono la loro forza alla capacità di offrire visioni ‘idilliache’ del reale giocando sulla pigrizia di certa ragione; anzi, per parafrasare una affermazione del più celebre dei massmediologi, il canadese Herbert M. McLuhan, sono corazzate che non fanno più scorrere del sangue, ma semplicemente si limitano a ‘svuotare le teste’, cioè a non far prendere atto dei legami fra pensiero e reale, della rugosità del reale la cui conoscenza comporta fatica, una continua ristrutturazione e riconfigurazione delle sue intrinseche ragioni. Se oggi da più parti si parla di ‘post-verità’, questo è dovuto proprio al fatto che essa si nutre in maniera strutturale del distacco dei legami del pensiero dal reale sino a mettere in serio dubbio le capacità dell’uomo di raggiungere un pur minimo contenuto di verità su di esso.

    Le figure sopra citate, da Lautman e Weil a Teilhard de Chardin e Jaspers, pur provenendo da esperienze personali e concettuali diverse, hanno vissuto sulla loro pelle uno dei periodi più tragici del Novecento e lo hanno interrogato per lasciare una testimonianza di un pensiero che, nel vivere sino in fondo le contraddizioni del reale, è in grado di guardare al futuro con rinnovate capacità critiche con una ragione fattasi più forte nel contrastare vecchie e nuove corazzate sempre pronte a incunearsi nei momenti e nei punti deboli dello spirito umano; per questo esso va continuamente rafforzato da diversi eventi di verità, per usare un’espressione di Alain Badiou ma presente negli scritti di Simone Weil, che si manifestano come tali se in maniera sistemica ci si ‘spinge sempre più indietro, oltre la superficie dei fenomeni’, come già i nostri maestri greci avevano ben compreso e del resto idea suffragata dall’avvento della scienza moderna. Tale risultato non secondario

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