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La stirpe prediletta
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E-book81 pagine1 ora

La stirpe prediletta

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Info su questo ebook

Pubblicata per la prima volta nel 1940, "La stirpe prediletta" è una raccolta poetica per i più giovani, caratterizzata da dieci storie narrate in versi che hanno per protagonisti grandi e piccoli eroi. L'autore Renzo Pezzani rientra nella rosa dei "poeti educatori", scrittori che si rivolgevano direttamente al pubblico dell'infanzia, spaziando tra vari temi - come la scuola, la natura e la famiglia - e valori, quali rispetto, genuinità e umiltà. Nella produzione di Pezzani, la poesia non è mai un esercizio di retorica fine a se stesso, ma un mezzo per guidare i ragazzi a divenire adulti pur incoraggiandoli a preservare la purezza, la dolcezza e l'innocenza che caratterizzano l'essere bambini. -
LinguaItaliano
Data di uscita1 ago 2022
ISBN9788728327678
La stirpe prediletta

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    Anteprima del libro

    La stirpe prediletta - Renzo Pezzani

    La stirpe prediletta

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1940, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728327678

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Q uesti dieci racconti sono destinati ai giovani italiani che nelle tregue del lavoro e dello studio chiedono ai libri esempi di vita animosa.

    Per essi io li ho scritti cercando i miei eroi tra la piccola gente, nella folla di coloro che più umilmente vivono e più intensamente amano.

    Il sacrificio m’è parso più bello quanto più lo vidi oscuro e lontano dal premio degli uomini, preso nell’intenso sguardo di Dio.

    Non altro ho ambito che di narrare ai giovani e a giovani confidare la mia ostinata certezza in una sopravvivente nobiltà umana.

    il sentiero dette valanghe

    M onte Trefoi, coperto di neve e assediato dai silenzi, raccoglieva sulla cima il primo e l’ultimo sole del giorno. Solo l’ombra e la luce, d’inverno, osavano salire e scendere per i suoi irti fianchi. La montagna gelosa della sua solitudine e della sua maestà ammoniva gli uomini col tuono delle valanghe. Da lontani rifugi la gente dell’alpe vedeva sollevarsi il piccolo nembo che la valanga lasciava sulla scia del precipite passo: un fiocco bianco che il vento disperdeva lentamente mentre un rombo colmava la vallata. Più che l’asprezza del colle sublime, più che la vertigine della cima, l’uomo temeva il ruinare delle nevi; e al sentiero che ne valicava la groppa, qua e là segnata di croci con nomi di vittime e date, aveva posto il nome di « sentiero delle valanghe ».

    Montagna di confine, il Trefoi non era guardato dalle milizie, tanto ostile appariva ad ogni tentativo umano di valicarlo nella stagione delle nevi. Ma se da lungi uno sguardo esperto ed acuto ne tentava il profilo e, risalendo dal torrentaccio che gli mugghiava ai piedi si fermava a mezza costa, là dove la montagna pareva ritrarsi sgomenta del vuoto per riposarsi in un breve pianoro protetto da un dente di roccia nuda, poteva scoprire in quel punto, da novembre ad aprile, un filo di fumo levarsi nel cielo come un segno di vita e di conquista umana.

    Là, soli signori della montagna, i vecchi Flavi avevano costruito la loro casa ed ora Pavlò, ultimo di quella dinastia di guide alpine, ci viveva con la madre; di là scendeva di quando in quando al villaggio, col lungo passo alato degli sci, silenzioso e impetuoso come un’apparizione. Allora cento cose aveva da comprare di bottega in bottega, cento saluti da recare ma poche parole da dire, che la gente di montagna mette tutto il cuore negli occhi e poco ne affida alla lingua.

    A nche in quella chiara giornata di dicembre, Pavlò era sceso al villaggio per le compere di Natale. Il sacco gli si era gonfiato sulle spalle ma il giovane non mostrava di sentirne il peso se volentieri indugiava a conversare con certi ragazzotti della sua leva che vedendolo si sentivano presi dal fascino dei pericoli ch’egli aveva attraversati. Ragionando l’avevano trascinato nell’osteria e, in sette che erano, s’erano messi intorno a una pinta di vino rosso per cantare i cori che i giovani delle valli portano con sè quando vanno soldati. Fra canzone e canzone gli chiedevano notizia delle nevi e dei passi.

    — L’ultima nevicata — diceva Pavlò — non s’attaca al gelo che c’è sotto. Cammina sorniona come una gatta, dà spallate, s’azzuffa, si rovescia giù in un finimondo. Ma è bella la montagna che brontola. Con me non ha rancori e mi lascia passare. Sa che le voglio bene. Nessun altro potrebbe fidarsene, ora. Nessuno. Essa ha teso le sue trappole e aspetta l’uomo. Vede di lontano la sua ombra nera assalirla; e la guata come fa il cacciatore con la lepre: l’aspetta ai passi difficili. Dove sembra più mite e innocente, più vendicativa si scopre.

    Due forestieri che fino allora avevano voltata la faccia al fuoco e la schiena ai bevitori, parvero a un tratto prendere interesse a quel che tra sorso e stornello Pavlò andava dicendo.

    Ora studiavano il giovane valutandone la forza dalla linea della persona e dai gesti: grandi e gagliarde le spalle; un tronco di quercia, il collo; due serene luci gli occhi abituati a contemplare spazi ed altezze; brune e nodose come corde di appigli le dita della mano che reggeva il bicchiere vuotato d’un fiato. E quella sua voce, adoprata a magnificare una montagna, pareva uscire dalla sua anima più che dalla sua bocca tanto risuonava del timbro dell’innocenza e della poesia.

    I due forestieri chiamarono l’oste e gli parlarono all’orecchio. L’oste ascoltandoli teneva gli occhi su Pavlò e dava segno di dissentire.

    — Non è possibile — diceva —. Nessuno ha mai osato passare di là.

    I forestieri parvero insistere in un linguaggio che l’oste stentava a comprendere interamente. Ma ad una parola gettatagli nell’orecchio con più astuzia si lasciò convincere e disse:

    — Lasciate fare a me.

    Quando i giovani si alzarono per andarsene e vollero pagare, l’oste non raccolse il danaro sul tavolo.

    — Saluta gli amici — disse, rivolgendosi a Pavlò, senza guardarlo negli occhi — e rimani un momento. Ho da parlarti.

    — Fate presto Gigio che mi si fa l’ora d’andare.

    Usciti i giovani, l’oste portò un’altra misura di

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