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La Vendetta del Lich (Leggende del Nano Senzanome libro 3)
La Vendetta del Lich (Leggende del Nano Senzanome libro 3)
La Vendetta del Lich (Leggende del Nano Senzanome libro 3)
E-book747 pagine10 ore

La Vendetta del Lich (Leggende del Nano Senzanome libro 3)

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Info su questo ebook

I sopravvissuti del massacro di Arx Gravis scappano dalla loro città nella gola, lasciando i suoi passaggi e canali ricoperti di sangue.

Convinti che non ci possa essere redenzione per ciò che ha fatto, il Nano Senzanome si unisce ad un ladro imberbe, un’assassina guidata dal senso di colpa, ed un mago tisico. Insieme, seguono i nani nelle terre piene di orrori che si trovano oltre le Montagne Farfall.

Ma i compagni si portano dietro i propri problemi, fra i quali c’è un antico grimorio che li conduce inesorabilmente verso una foresta di catrame, ed un male dal passato di Senzanome che minaccia la sua intera razza.

L’ultima speranza dei nani arriva dalla più improbabile delle fonti: una città mitica sotto le onde, un’ascia dell’età degli eroi, ed il Nano Senzanome, nelle cui vene scorre il sangue della leggenda.

LinguaItaliano
EditoreHomunculus
Data di uscita5 ago 2017
ISBN9781507185070
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    Anteprima del libro

    La Vendetta del Lich (Leggende del Nano Senzanome libro 3) - D.P. Prior

    I sopravvissuti del massacro di Arx Gravis scappano dalla loro città nella gola, lasciando i suoi passaggi e canali ricoperti di sangue.

    Convinto che non ci possa essere redenzione per ciò che ha fatto, il Nano Senzanome si unisce ad un ladro imberbe, un’assassina guidata dal senso di colpa, ed un mago tisico. Insieme, seguono i nani nelle terre piene di orrori che si trovano oltre le Montagne Farfall.

    Ma i compagni si portano dietro i propri problemi, fra i quali c’è un antico grimorio che li conduce inesorabilmente verso una foresta di catrame, ed un male dal passato di Senzanome che minaccia la sua intera razza.

    L’ultima speranza dei nani arriva dalla più improbabile delle fonti: una città mitica sotto le onde, un’ascia dell’età degli eroi, ed il Nano Senzanome, nelle cui vene scorre il sangue della leggenda.

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    PARTE PRIMA: L’UOMO-FORMICA DI MALFEN

    I cancelli dell’Inferno sono aperti notte e giorno; agile la discesa e facile la strada: ma, ritornare, e vedere i cieli lieti; in questo, risiedono la sfida e la grande opera

    (Virgilio, Eneide)

    NILS

    Nils Fargin si rintanò nella terrazza della taverna e si scostò i capelli fradici dalla faccia. Tremava e stringeva le braccia al petto. Come cavolo aveva potuto un cielo così terso diventare una pesante sacca di oscurità in un batter d’occhio?

    L’insegna di legno rotta emise dei cigolii di protesta mentre il vento la sbatteva avanti e indietro. Il disegno abbozzato di un teschio in fiamme, che lo guardava fisso negli occhi, gli diede il voltastomaco. Sembrava un’immagine dell’aldilà, il tipo di cosa che avrebbe dovuto seriamente fare pensare ad un uomo della corporazione di mettersi sulla retta via. Nessuna possibilità, pensò Nils.

    Batteva i denti, guardando la scritta di traverso. Da quale Abisso era arrivato quel freddo? Solo pochi minuti prima si stava sciogliendo dal caldo. Se avesse saputo che sarebbe diventato così, avrebbe infilato nello zaino la sua giacca di pelle di pecora ed il cappello lavorato a maglia. Riusciva quasi a sentire la voce insistente di Mamma provenire da New Londdyr: Cosa ti avevo detto, Nils Fargin? Sei proprio come tuo padre: non ascoltate mai, voi due.

    Aveva gli occhi umidi per lo sforzo di leggere. Riusciva a vedere Il ed era quasi sicuro che l’ultima parola fosse Sorridente. Non ci voleva un genio per capire che la parola di mezzo fosse Teschio. Il suo petto si gonfiò d’orgoglio. Visto?, non aveva deluso nessuno. Aveva svolto il suo compito, senza problemi.

    Nils diede un’occhiata veloce al suo compagno, che aspettava sotto un tasso spoglio. La faccia del nano era ricoperta da una massa fradicia di capelli e barba. Anche lui stava stringendo le proprie braccia intorno al petto per scaldarsi un po’, ma a parte quello, se ne stava lì, fermo come una roccia. Così fermo, infatti, che pareva piantato come un albero. Gli indumenti umili, tutti di color nero e marrone, erano in tinta con il cielo color carbone. Da sopra la spalla del nano, si intravedeva la testa di un’ascia avvolta in un panno. Sulla schiena portava uno zaino ingombrante. Qualunque cosa ci fosse dentro, aveva grattato e sbattuto rumorosamente durante  il cammino.

    Loschi bastardi, i nani, pensò Nils, non per la prima volta. Astuti, li definiva suo padre, e duri come le montagne. Almeno lo erano stati finché avevano lasciato Malkuth, abbandonando la loro città nella gola, Arx Gravis, a seguito della cacciata del loro tiranno sanguinario. Per quanto riguardava Nils, il suo cliente senza nome avrebbe potuto essere l’ultimo del suo genere, perché se le voci erano vere—-se i sopravvissuti di Arx Gravis se ne erano andati attraverso le Montagne Farfall verso Qlippoth—-c’erano poche se non nulle possibilità di vederli ancora. Non che a Nils fregasse qualcosa. Era così per dire.

    Lo sbattere della pioggia sul terrazzo di metallo lasciò il passo ad un violento martellamento di grandine mista a nevischio. Il rumore era assordante, ma il nano sembrava non farci caso. Se ne stava sotto l’albero come una statua di pietra, e guardava fisso la porta della taverna, un avvertimento per la feccia ed i poveracci che si trovavano dentro. Si trattava di ciò, o era stato maledetto, bandito per l’eternità, e non aveva altro desiderio se non entrare in quel posto caldo e fumoso per potersi sbronzare di birra.

    Almeno era così che Nils pensava fossero le taverne. Nei racconti sembravano così—-il tipo di posto in cui un viaggiatore esperto avrebbe potuto appendere il cappello, riposare i piedi, metter mano alla pipa e trangugiare un po’ di grog. Avrebbe potuto anche esserci del brodo caldo e qualche donzella voluttuosa con cui dimenticare le fatiche del viaggio.

    Nils non ne sapeva nulla di quelle cose. Aveva un freddo cane e voleva solo finire il suo lavoro, scaldarsi di fianco al camino ed allontanarsi il più possibile dai confini. Non importava quanto fosse fatiscente la casa dei suoi a New Londdyr, all’improvviso pareva una di quelle dimore del paradiso che quei matti dei Seguaci della Via menzionavano sempre nelle loro prediche.

    Sollevò una gamba alla volta per scrollarsi di dosso il fango secco che si era attaccato su di esse lungo il sentiero. Erano stati cinque giorni di duro cammino attraverso alcune delle terre più selvagge di Malkuth. Nessuno che non fosse un disperato sarebbe venuto nelle Terre di Confine. Oppure qualcuno che aveva dei rapporti con il proprietario dell’unica taverna nel raggio di chilometri. Il nano, pensò Nils, apparteneva alla prima categoria, mentre Nils stesso, essendo un professionista, faceva parte sicuramente dell’altra. Forse non era mai stato in una taverna prima, forse non aveva mai baciato una donna, e forse si era rasato la barba per la prima volta non più tardi di una settimana prima, ma in quel momento, Nils Fargin era un tipo importante.

    Dal momento in cui Shadrak l’Invisibile era fuggito da New Londdyr a seguito dell’assassinio del sindaco appena eletto, Mal Vatés, il padre di Nils era diventato il capo dei bassifondi. Chiunque voleva un lavoro ben fatto, veniva da Buck Fargin ed i suoi Falchi della Notte. La loro era una corporazione da temere, e Nils era giustamente fiero di ciò. Anche se, a casa, Nils era un pesce piccolo in un grande stagno. Là fuori, nei villaggi dei briganti, era un’altra storia. Pesce grande, piccolo stagno, annuì tra sé e sé. No, di più: era un dannato squalo.

    Quindi, con un ultimo sguardo verso il nano, ed un aggiustamento finale del colletto, Nils tirò in fuori il petto, fece un respiro profondo, ed aprì la porta del Teschio Sorridente.

    Il martellio proveniente dal tetto di lamiera lasciò spazio al brusio di voci, il clangore dei cucchiai nelle scodelle, il tintinnio di monete e ad un sacco di forti risate. Quel posto era pieno zeppo di gente, e di fumo. L’odore di luppolo era intenso nell’aria, mischiato al sudore ed al profumo di mele mature—-o forse era sidro.

    Nils si fece largo tra la ressa e si ritrovò la faccia schiacciata contro qualcosa di morbido e caldo. Il profumo del muschio dolce infiammò le sue narici, facendogli salire un brivido delicato lungo la schiena.

    Fermo lì, disse una voce roca.

    Tirò fuori la testa da quella scollatura enorme, appena in grado di distogliere lo sguardo dalla carne candida stretta in un corpetto di cuoio nero.

    La donna lo stava guardando con la testa inclinata ed un sopracciglio alzato.

    Nils fece finta di guardare oltre le spalle di lei, come se stesse cercando qualcuno tra la folla, ma riuscì lo stesso a notare i suoi occhi da gatta e la cicatrice che le attraversava una guancia abbronzata sotto lo zigomo sporgente. I suoi capelli erano luccicanti e neri, e le cadevano liberamente sulle spalle.

    Le passò oltre, borbottando una scusa. Le guardò il posteriore passando, notandone il tono muscolare e la maniera in cui le allargava i calzoni di cuoio. Non mancò neanche di notare un pezzo d’acciaio legato alla sua anca, né l’impugnatura d’osso di una daga infoderata sull’altro fianco.

    Nils non aveva idea della sua prossima mossa, ma era uno che imparava velocemente, così gli diceva sempre suo padre. Avrebbe trovato un modo. A New Londdyr, aveva borseggiato gli ubriachi che uscivano dai bar, e ne aveva ricavato un buon bottino. Quella era gente di città, ben vestita e frivola. Non come questi. Questa era gente dura—-banditi, ladri e assassini. Questo era il suo tipo di gente.

    Fece un altro respiro profondo ed accarezzò il pomello della sua spada mentre sbirciava attraverso quei corpi ammassati. Sapeva che Jankson Brau era una specie di apprendista mago, ma difficilmente sarebbe andato in giro con un cappello a punta e vestiti di seta. Il miglior posto dove chiedere sarebbe stato il bar, pensava, quindi passò attraverso i bevitori e si sporse oltre il bancone, incrociando le braccia in un modo e poi in un altro.

    Incrociò lo sguardo della barista ed aprì la bocca per ordinare. Non sapeva bene cosa chiedere, ma tutti sembravano trangugiare boccali straripanti di schiuma.

    Birra—-

    La parola si perse nella confusione e la barista si girò verso un tipo scuro, senza collo e con la testa che sembrava un uovo di cuoio. Nils stava per protestare ma cambiò idea quando il tipo gli fece un sorriso che aveva l’aspetto di una ferita aperta. La sua fronte era una sporgenza rugosa ed i suoi occhi stretti e duri erano freddi e scintillanti. La grande stazza dell’uomo era costituita da tanti muscoli quanto grasso. Nils fece l’occhiolino concedendogli d’essere servito per primo.

    Qualcuno lo spinse bruscamente per arrivare al bar e Nils si ritrovò in punta di piedi per provare ad attirare l’attenzione della barista.

    Posso offrirti qualcosa?

    Era ancora la donna in nero, con la bocca pressata vicino al suo orecchio. Nils non l’aveva vista arrivare. Non aveva sentito niente in quel baccano. Stava iniziando a sentirsi esposto e vulnerabile , ma non riuscì a resistere ad annusare il profumo di lei.

    Nah, sono a posto, amore Nils sollevò il suo borsello facendolo tintinnare sul bancone.

    Il silenzio cadde intorno a lui in un piccolo cerchio che velocemente si allargò come delle increspature sulla superficie di un lago. L’unico suono che rimase era il rumore di un accendino mentre una giovane ragazza sudicia provava ad accenderlo.

    Mettilo via. La donna gli prese la mano tra le sue e la spinse verso il basso.

    Diede a Nils un sorriso materno, ma lui non poté fare a meno di notare come le sue labbra luccicassero, come la punta della sua lingua uscisse bagnandole. Abbassò lo sguardo sul suo seno turgido e poi lo abbassò ancora fino ai suoi stivali. Sentì le guance bruciargli e seppe di essere diventato rosso come una fragola.

    Mina. Lei ruppe il silenzio senza alzare la voce. Birra per il mio giovane amico qui.

    Va bene, Ilesa, disse la barista scuotendo la testa.

    Nell’istante in cui azionò la pompa ed il liquido color ambra schizzò nel boccale, il chiacchiericcio ripartì, e Nils non si sentì più come se tutta la taverna lo stesse guardando male.

    Tutti quei soldi che ti porti in giro, disse Ilesa, passandogli la birra. Stai cercando di assumere qualcuno?

    Non proprio, disse Nils, traendo un sorso e cercando di fare del suo meglio per non sussultare per il gusto amaro. Vengo da New Londdyr per un lavoro.

    La guardò attentamente per cogliere la sua reazione.

    Le pupille di lei si allargarono leggermente ma rimase impassibile. Che tipo di lavoro?

    Nils si toccò un lato del naso con il dito. Oh, sai, quel genere di cose. Affari della corporazione.

    Davvero?, disse Ilesa. Beh, tu devi essere qualcuno di importante. Non come questa marmaglia, eh?

    Nils guardò intorno alla stanza, facendo finta di bere la birra.

    Sì. Si può dire così. Si avvicinò per poter sussurrare. Non tutti, eh? Tu non sembri come questa gentaglia locale. Credo che anche tu sia qualcuno di importante. Da dove vieni, Brink? Lownight?

    Portis. Un’ombra passò dietro ai suoi occhi, e per un istante, fu come se la sua attenzione si fosse diretta all’interno di sé stessa.

    Voltò lo sguardo attraverso la stanza, verso niente in particolare.

    Senti, ho delle cose da fare, disse lei. Goditi la tua bevanda, e non sventolare più tutti quei soldi in giro.

    Certo, disse Nils, sollevando il boccale. Oh, le disse ancora. Sai dove posso trovare Jankson Brau?

    Un corridoio, che conduceva ad un lungo tavolo di fianco al camino, si aprì immediatamente tra gli avventori.

    Tre uomini erano seduti ad un lato del tavolo, tutti vestiti di cuoio borchiato ed armati fino ai denti.

    Di fronte a loro era seduto un individuo con indosso una tunica ed un turbante, che Nils pensò fosse un mercante. Si poteva capire dalla pancia gonfia sotto il vestito di velluto e dai gioielli che gocciolavano come sudore dalle catene d’oro sotto i rotoli del mento. Al suo fianco c’erano uno scriba ricurvo ed un uomo magro con gli occhiali, le cui mani stringevano una saccoccia rigonfia, come se fosse stata il collo di una gallina.

    Tra i due gruppi, a capo tavola, era seduto un uomo in abiti color sangue. Indossava un cappello a punta e ricurvo.

    Penso che te lo stia rendendo facile disse Ilesa. Buona fortuna, lanciò un’occhiata dietro le spalle mentre si allontanava con un movimento ipnotico delle anche.

    Jankson Brau stava studiando Nils con l’intensità di un serpente a sonagli pronto a colpire. I suoi occhi erano di un blu innaturale, come zaffiro lucidato, e cerchiati da delle inquietanti corone gialle. La punta del suo naso aguzzo quasi toccava la curva del mento, e tra le due si trovava schiacciata la stretta fessura della bocca. Era una faccia antica, pallida e simile ad una maschera.

    Nils ebbe un tuffo al cuore, che si mise a battere come un uccello in trappola. La sua bocca era così secca che fece un sorso di birra, tossì, e poi cercò di incrociare lo sguardo di Brau.

    Posso pagarti da bere? disse Nils, facendo del suo meglio per imitare la sicurezza di sé che Ilesa aveva trasudato nel fargli la stessa offerta.

    Boati di risate si alzarono dalla taverna, ed il corridoio iniziò a chiudersi. Nils vi si infilò in mezzo e si avvicinò al bordo del tavolo.

    Perché dovrei avere bisogno di te per comprare quello che è già mio? La voce di Jankson Brau era sottile e blesa.

    Ricevuto, disse Nils. Si spremette le meningi, pensando a come avrebbe replicato suo padre.

    Lascia stare, disse Brau, senza cambiare espressione. Tuo padre è un’idiota che non saprebbe articolare una domanda per chiedere dove cagare.

    La mente di Nils correva veloce. Come faceva Jankson Brau a sapere cosa stava pensando? Il cappello a punta attirò il suo sguardo, come se rendesse il tutto perfettamente ovvio.

    Mio padre è il capo dei Falchi della Notte di New Londdyr. Nils sporse il mento e si guardò intorno per vedere se qualcuno stesse ascoltando. Scommetto che non glielo diresti in faccia.

    I tre ceffi ridacchiarono, ma Brau non mostrava nessuna reazione a parte tamburellare le dita sul tavolo. Lingue di fuoco scintillavano al contatto.

    Senza preavviso, Brau allargò il braccio verso il mercante grasso ed i suoi uomini. Come se fossero stati colpiti da un uragano, volarono attraverso la stanza con le sedie, cadendo addosso ad un gruppo di bevitori. Il mercante si alzò e corse di fuori in tutta fretta, seguito dal gobbo. L’uomo con gli occhiali si alzò e fece per raccogliere le monete che erano cadute dalla sua borsa, ci ripensò, fece un inchino e corse verso la porta. Nessuno si lamentò minimamente. Apparentemente, gli avventori del Teschio Sorridente ci erano abituati. Un paio di loro addirittura misero a posto le sedie al tavolo di Brau prima di annuire ed allontanarsi.

    Brau alzò i palmi delle mani per invitare Nils a sedersi.

    I piccoli uomini spesso hanno una grande opinione di sé, disse mentre Nils si sedeva di fronte agli uomini armati. Nel caso di Shadrak l’Invisibile, direi che non aveva tutti i torti; ma lui è l’eccezione piuttosto che la regola.

    Brau inclinò la testa verso Nils. I suoi occhi brillavano; le corone erano come pozzanghere di piscio.

    Per quanto sia encomiabile per un figlio stravedere per suo padre, è molto più importante che un agente che fa il tuo lavoro impari a vedere chiaramente. Tuo padre è un idiota. Sono stato chiaro?

    Nils deglutì e sentì la sua faccia arrossire ancora, solo stavolta per un’altra ragione.

    Vista chiara, continuò Brau, come se non si aspettasse veramente una risposta. Prendi l’esempio della nostra amica, Ilesa. Il tuo cervello era confuso dalla misura dei suoi seni, o sbaglio?

    Nils scosse la testa ma non riuscì a pensare a niente da dire.

    Non sei il primo. Sono sicuro che sono magnifici.

    Ci furono cenni e grugniti di approvazione dai tre ceffi.

    Ma, disse Brau, alzando un dito per enfatizzare il suo punto, non sono reali.

    Nils si fece scuro in volto, facendo fatica a capire.

    Lei è una meticcia, disse Brau. Mezza pelle, cambiaforma. Cambia il suo aspetto per avere ciò che vuole. Adesso che sa che non stai cercando qualcuno da assumere, probabilmente è piatta come te.

    Peccato, disse uno degli uomini.

    Stai zitto, Danton. Brau non degnò di uno sguardo il tipo che aveva parlato.

    Nils girò il collo per guardarsi oltre le spalle mentre qualcuno iniziò a strimpellare un banjo e cantare con una voce simile a quella di un orso che sta soffocando. La folla iniziò ad allontanarsi dal camino per sistemarsi intorno al musicista in un semicerchio approssimativo. Dei boccali furono sollevati, un coro di canti ed applausi si alzò, ed alla fine quasi tutta la taverna si mise a cantare.

    Intrattenimento, disse Brau, sbadigliando. Distrae le masse. Le tiene al loro posto. Ma credo che tu lo sappia, visto che sei un tipo importante di città. Dev’essere stato terribilmente eccitante durante l’assedio.

    Eccitante non era esattamente la parola che Nils avrebbe scelto. Aveva preso la sua roba ed era pronto a scappare con il resto della corporazione. Per fortuna, l’assedio era stato rotto, ed i nani erano stati fatti a pezzi dalle legioni.

    Nils non sapeva granché riguardo le cause della guerra, solo che aveva avuto inizio quando un dittatore appena arrivato aveva rovesciato il Consiglio dei Dodici della città nella gola, massacrato i suoi oppositori, e poi alimentato le fiamme dell’odio contro il Senato e la gente di New Londdyr.

    Nessuno aveva visto nemmeno l’ombra della gente che viveva sottoterra per secoli, finché non ne erano fuoriusciti come un esercito di formiche a cui avevano disturbato il nido. In pochi giorni, avevano conquistato le terre intorno a New Londdyr e messo i loro artificieri al lavoro sulle Mura Cyclopeane.

    Correva una diceria secondo la quale Shadrak l’Invisibile aveva contribuito ad eliminare il despota. Subito dopo, i nani erano stati visti lasciare Arx Gravis, almeno quelli che erano sopravvissuti. Quello era lo scopo della missione di Nils.

    Il mio cliente, disse con la serietà che Crapstan il Soldo riservava per negoziare i contratti della corporazione, sta cercando i sopravvissuti di Arx Gravis.

    Brau si tirò su e unì le dita davanti a lui, sul tavolo.

    Davvero? E chi è il tuo cliente?

    Nils era un po’ imbarazzato. In realtà non lo sapeva. Scrollò le spalle. Non so il suo nome. Ha detto di non averne uno. Ha detto solo che doveva trovare i nani.

    Gli occhi di Brau si strinsero. E adesso?

    A Nils non piacque il tono della sua voce. Sembrava che lo stesse prendendo per il culo. Ha pagato mio padre un sacco di soldi per alcune informazioni. In realtà, si trattava di attrezzi da miniera in scarolite ed idromele, che sarebbero valsi un bel po’ di denarii se uno avesse saputo dove venderli. Le nostre spie hanno detto che sono stati visti dirigersi verso Malfen.

    Nils soppresse un fremito. Malfen era l’ultimo avamposto di Malkuth, una città di confine abitata da tagliagole e governata dal noto Shent, che a detta di alcuni era il risultato degli esperimenti di Sektis Gandaw. Nils non lo sapeva e neanche gli importava. Suo padre era stato abbastanza chiaro nelle sue istruzioni: porta il nano al Teschio Sorridente tra i villaggi dei banditi fuori da Malfen, presentagli Brau e poi torna subito a casa.

    Brau sembrava di conoscere gli affari di tutti in quella zona. Era a conoscenza di tutto il traffico che passava da Malfen. Probabilmente aveva qualche tipo di accordo con Shent, forse lo avvertiva persino di imminenti visitatori. Non era un gran traffico, in ogni caso, perché quale persona rispettabile e sana di mente avrebbe intrattenuto affari in un tale posto pieno di feccia? Inoltre, non c’era niente oltre Malfen a parte le terre da incubo di Qlippoth. Nessuno ci sarebbe andato. Almeno nessuno che non desiderasse morire.

    Brau si sporse in avanti verso Nils. Allora, dov’è lui, adesso?

    Fuori. Nils indicò la porta. Ha detto che non vuole attirare l’attenzione.

    Attenzione riguardo a cosa?

    Al fatto che è un nano. In realtà Nils pensava che il nano avesse mormorato qualcosa riguardo ad evitare tentazioni, non l’attirare attenzione, ma la sua versione sembrava avere più senso. Dopo l’attacco a New Londdyr, i nani non erano veramente i benvenuti da nessuna parte a Malkuth.

    Brau si sistemò sulla sedia e fece dei motivi a spirale sul tavolo con il palmo della mano. Un nano che cerca altri nani nelle vicinanze di Malfen, scherzò ad alta voce.

    Nils annuì.

    Curioso, disse Brau al suono di approvazione dei suo ceffi. Un sacco di nani sono passati di qua non molto tempo fa. Centinaia, direi. Dissero che stavano andando a Qlippoth. Buona fortuna a voi, dissi loro, ma... Brau si spinse in avanti all’improvviso e fissò Nils con i suoi occhi bicolore. ...nessuno entra a Qlippoth senza pagare un dazio all’Uomo-Formica.

    Nils deglutì. Uomo-Formica? Vuoi dire Shent?

    Vorrà un pagamento, disse Brau. Come lo voglio io. Allungò la mano.

    Nils scosse la testa. Prego?

    I tre sgherri spinsero indietro le sedie e si alzarono.

    Nils si guardò intorno. Pensò di aver visto Ilesa tra gli spettatori raccolti intorno al musicista, ma nessuno batté ciglio verso di lui. Era come se fosse solo tra Brau ed i suoi ceffi.

    Con riluttanza, Nils aprì la borsa ed iniziò a contare qualche moneta. Quanto? chiese con una voce virile quanto possibile.

    Brau strappò la borsa dalle sue mani. Più di quello che hai lì, ragazzo.

    Ma—-

    Uno dei ceffi si sporse sul tavolo e fece alzare Nils dalla sedia, prendendolo per il colletto.

    Nils sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa, sapeva che avrebbe dovuto tirar fuori la spada, ma tutto quello che riuscì a fare fu impedire alla sua vescica di liberarsi.

    "La scelta è semplice—-’’ stava dicendo Brau nel momento in cui la porta si aprì di colpo, ed un colpo di vento li spruzzò di grandine.

    Il ceffo rilasciò la presa dal colletto di Nils, e tutta la taverna si girò per guardare la figura sulla porta.

    Il nano era lì in piedi, fradicio e mesto. Aveva la barba ed i capelli appiccicati alla faccia. I suoi occhi erano simili a pozze di fango. Non si muoveva, la pioggia gocciolava dai suoi vestiti scuri formando una pozza sul pavimento di legno. L’ascia era nella sua mano, non più avvolta, le lame doppie brillavano d’arancione nel bagliore del fuoco.

    Annusò l’aria e fece un cenno nella direzione del bar, poi appoggiò tranquillamente l’ascia di fianco ad un tavolo, si tolse lo zaino e lo buttò per terra. Sollevando un sopracciglio irsuto verso Nils, entrò nella taverna.

    Stai bene, ragazzo? la sua voce rimbombò nella stanza.

    Nils deglutì e sorrise imbarazzato all’uomo che lo stava tenendo. Uhm, fu l’unica cosa che riuscì a dire.

    Il nano sorrise e salutò la folla in stupore. Continuate, gente, continuate. Signora. Strizzò l’occhio ad Ilesa e fece un piccolo inchino. In taverna si fa festa. Continuate a suonare, signor bardo, e se lo farete in maniera appena decente, vi offrirò da bere.

    Nils scivolò indietro sulla sedia e guardò il nano che si avvicinava al bar. Non riusciva a vedere oltre il bancone ma sollevò il suo pugno massiccio e picchiò su di esso.

    Donzella del bar, disse. Un bricco di birra forte per me, e lo stesso per il mio amico.

    Il nano poi si voltò verso Jankson Brau con un grande sorriso a trentadue denti sotto i baffi. Buttala qui, ragazzo. Indicò la borsa di Nils, e diede un colpetto sulle proprie tasche per mostrare che erano vuote. A meno che questo giro non lo offra la casa.

    Sembrava che Brau volesse rimanere al suo posto, ma poi si ricompose.

    Chi cavolo pensi di essere per rivolgerti a me in quel modo? Perché, tu piccolo rachitico—-

    Il nano allungò le mani e prese i due boccali dal bar, trotterellò verso il tavolo e si stravaccò sulla sedia di fianco a Nils.

    Quelle sono un sacco di parole sprecate, ragazzo. Non faccio caso ad un insulto in una taverna, ma due sono un po’ troppi. ‘Piccolo’ e ‘rachitico’ significano più o meno la stessa cosa, quindi lo considero uno solo. ‘Cacchio’ ha un significato del tutto diverso, e quindi siamo a due. Se ti fermi qui, vai bene. Tre, però, non sarebbe una questione di poco conto.

    Brau rimase a bocca aperta mentre il nano trasse un bel sorso di birra e si pulì la bocca con il dorso della mano. Un po’ di schiuma colò dalla sua barba come la feccia che frequentava la costa del Mar Calice.

    I tre ceffi non sembravano sapere cosa fare. I loro occhi continuavano a muoversi tra Brau ed il nano. Alla fine, uno di loro parlò.

    Vuoi che ci prendiamo cura di lui, capo?

    Gli altri due scivolarono in posizione dietro la sedia del nano.

    Gli occhi di Brau si fermarono su di loro per un lungo momento, e poi spostò lo sguardo sul nano. Il tuo amico dice che stai cercando i nani di Arx Gravis.

    Vero,vero, disse il nano, bevendo un’altro sorso di birra ed alzando il boccale vuoto.

    Ancora! tuonò attraverso la stanza.

    Cosa è successo? chiese Brau con un ghigno. Ti hanno lasciato indietro?

    Lo sguardo del nano diventò torvo, e tutto il suo buon umore sembrò dissiparsi. Non esattamente, borbottò tra la sua barba. È più come se loro stessero scappando ed io li stessi seguendo.

    Gli occhi di Brau si allargarono. Sei tu, disse alla fine. Tu sei quello che li ha fatti marciare su New Londdyr. Tu sei quello che li ha massacrati in caso si rifiutassero.

    Un groppo si formò improvvisamente nello stomaco di Nils. La sua mente stava scorrendo il pensiero di quello che sarebbe potuto succedere in precedenza nel cammino da New Londdyr—-quello che sarebbe potuto ancora succedere. Il Macellaio della Gola! Qui. Di fianco a lui.

    Nils spostò la sedia indietro ma si fermò di colpo quando strisciò contro il pavimento. Digrignò i denti e rabbrividì mentre un formicolio gli strisciava sulla pelle. Era la stessa sensazione che provava quando Magistra Archyr passava le unghie sulla lavagna per zittire la classe.

    Il nano fissò il suo boccale vuoto. Quindi sai che devo trovarli.

    Brau rise e fece come un applauso con le mani. Perché? Così puoi finire quello che hai iniziato? Non mi stupisce che siano disposti a rischiare gli orrori di Qlippoth.

    No. Il nano guardò verso l’alto, aggrottando la fronte. Devo mostrar loro che non c’è più niente da temere. Parlò quasi con sé stesso. Devo farli tornare da Qlippoth prima che sia troppo tardi; prima che si perdano per sempre.

    La barista si avvicinò al tavolo e mise un boccale pieno di fronte al nano. Lui strinse il manico ed osservò la schiuma.

    Brau diede uno sguardo ai suoi uomini e, con il più leggero dei movimenti, li mandò al bar.

    Si sedettero su degli sgabelli e fecero finta di guardare il musicista, ma Nils capì che stavano ancora controllando il tavolo.

    Il nano tirò indietro la testa e svuotò il boccale con un lungo sorso. Ruttò rumorosamente, si pulì la bocca ed agitò il boccale verso la barista per farselo riempire ancora.

    Ti ho detto, ragazzo, facendo un rutto rancido in faccia a Nils, che sarebbe stata una tentazione troppo grande venire qui.

    Nils fece una smorfia e ricacciò un colpo di tosse in fondo alla gola. Stava iniziando a capire cosa volesse dire. Era anche preoccupato del fatto che il nano stesse giocando un po’ troppo con Brau. Il mago lo stava osservando bere con uno sguardo leggermente divertito ma pieno di autocompiacimento. Notò lo sguardo di Nils, ed il suo sorriso diventò un ghigno.

    Dimmi, Brau disse al nano, come mai non hai un nome? Capirei se la vergogna per le tue recenti attività ti avesse portato a toglierlo, ma ho sentito che già non lo avevi quando usurpasti il potere del Consiglio dei Dodici.

    Non c’è niente di sbagliato in quello che hai sentito. Il nano accettò un’altra bevanda dalla barista, che ebbe l’intuizione di portare un bricco enorme al tavolo. Guardò Brau, e lui annuì.

    Hai sentito della Pax Nanorum? disse il nano.

    L’Ascia dei Signori dei Nani? Brau fece toccare le punte delle dita tra loro, come in preghiera. Ho sentito che quella era la fonte del tuo potere. Curioso, però, ho sempre pensato che ciò fosse solo una parte del mito sulla fondazione di Arx Gravis.

    Lo è e non lo è. Il nano trasferì ancora un po’ di birra dal bricco al boccale. I suoi occhi luccicavano e stava iniziando a biascicare. C’era un’ascia di certo, ma non era la Pax Nanorum. Era nera. Forgiata dalle ombre. Fu mio fratello a scoprirla in Gehenna. Dei maledetti lo uccisero, lo bollirono vivo. Io trovai l’ascia. Non era quello che sembrava.

    Nils stava iniziando a perdere interesse. O il nano stava dicendo fesserie perché era ubriaco, o era pazzo. Sospettava che fosse un po’ entrambe le cose. Brau, invece, stava ascoltando attentamente. Forse lo stava solo prendendo in giro.

    Il nano trangugiò la birra dal boccale. Un tale potere, disse come se stesse parlando di un amante perduta. Tale forza. Avrebbe potuto portare una nuova era di gloria per la mia gente, se fosse stata veramente la Pax Nanorum.

    Brau si sporse in avanti, tenendo la voce bassa. Ma te la presero; non si fidarono di te con tutto quel potere. La volevano per loro, ho ragione?

    Il nano continuò a guardare nelle profondità del suo boccale. No. Non la volevano affatto. Ma la portai tra loro. Pensavo fossero demoni. Guardò Brau, come se lui potesse capire. E li ho uccisi a centinaia.

    Indicò il suo zaino vicino alla porta con un gesto del pollice. Un dannato filosofo ebbe un piano per fermarmi. È nello zaino: l’elmo di mia madre. Ruppe il collegamento con l’ascia. Rubò il mio nome. Lo strappò via dal tempo.

    Il nano tornò alla sua bevanda e trasse un altro sorso.

    Non riuscii a togliere l’elmo, e quel maledetto dovette darmi da mangiare con la magia. Mi disse che ci sarebbe stato un modo per liberarmi dalla maledizione dell’ascia nera. Quello stupido idiota si sbagliava. Diventai troppo forte. Feci...alcune cose. Cose terribili. Alzò lo sguardo, e c’erano lacrime nei suoi occhi.

    Per questo stanno scappando, la mia gente. Talmente pochi, ne sono rimasti. Talmente pochi.

    Jankson Brau gli versò ancora un po’ da bere dal bricco. Quindi, l’elmo rubò il tuo nome, eh? Questo ti renderebbe una maledizione tra i nani, o no?

    Il nano annuì, un rivolo di bava scivolava dal suo mento. Esatto. Senza nome non sei nessuno. Non puoi essere un nano senza nome.

    Quindi, come ti possiamo chiamare? disse Brau.

    Shadrak mi chiamava Senzanome. Un buon amico. Buon, buon amico. La sua testa colpì il tavolo.

    Nils ebbe un sussulto. Doveva far male. O almeno avrebbe dovuto quando il nano si sarebbe ripreso. Ma Shadrak....quello era un nome da far venire i brividi. Shadrak l’Invisibile, un tempo signore delle corporazioni unificate di New Londdyr. Finché decise di assassinare il nuovo eletto Primo Senatore, Mal Vatés, e poi fuggire dalla città, lasciando il padre di Nils al comando.

    Brau si strofinò le mani con gioia. Ho sentito di questo elmo, disse, schioccando le dita e indicando lo zaino del nano. Una reliquia dell’età dei Fondatori, così mi dicono i miei contatti ad Arx Gravis. Stavo per mandare una squadra per acquistarlo ma non ho fatto in tempo ad organizzarmi. Troppe dita in troppe torte. Ma sono contento di non averlo fatto. È molto più facile farselo consegnare a casa.

    Uno degli uomini glielo portò. Brau slacciò le cinghie e tirò fuori un pezzo di metallo nero concavo. Nils si avvicinò. Era la metà di un grande elmo integrale. Il metallo nero era venato di verde, che scintillava persino nella luce opaca della taverna.

    Scarolite, disse Brau mentre tirava fuori dallo zaino l’altra metà. Il minerale possente degli homunculi. Vale una dannata fortuna. Signori... Alzò le due metà dell’elmo in modo che i suoi scagnozzi potessero vederlo. Abbiamo fatto tombola.

    La folla intorno al musicista si sparpagliò per guardare l’elmo, mormorando uno con l’altro, annuendo e indicandolo.

    Nils si alzò e si sistemò il davanti della camicia. Bene, disse. Credo che il nostro affare si sia concluso. Ci siamo presentati e tutto il resto. Quindi, me ne vado.

    Due grosse mani lo afferrarono per le spalle. Non aveva neanche visto i ceffi muoversi, talmente era concentrato sul nano—-Senzanome—-ed il suo elmo.

    C’è ancora la piccola questione della mia tariffa per la consulenza, disse Brau.

    Tutto quello che ho è in quella borsa, disse Nils. Puoi tenertelo.

    Brau tirò fuori il labbro inferiore ed apparve genuinamente triste. Non abbastanza. Per niente.

    Giusto, capo, uno dei ceffi rimarcò. Credo che dovremmo venderlo all’Uomo-Formica.

    Nils provò a liberarsi ma entrambi i suoi polsi erano bloccati in un’abile presa. Il tipo alla sua destra girò il dorso della sua mano, facendogli sentire dolori lancinanti fino alla spalla. Nils lanciò un gemito e si piegò in due dal dolore, con le braccia in alto dietro di lui, i gomiti estesi quasi al punto di rottura.

    Di solito, disse Brau, Chiederei un riscatto, ma sapendo che tipo di feccia sia tuo padre, penso che sarebbe uno spreco di tempo. Tony ha ragione, potrei venderti a Shent, ma lui non paga bene ultimamente. Sarebbe più facile se ti facessimo a fettine noi, almeno che tu non abbia un’idea migliore. Guardò Nils con un’aria di attesa.

    Mio padre pagherà, insistette Nils. So che lo farà.

    Mio caro ragazzo, disse Brau, devi realmente fare i conti con questo tuo pensare emotivo. Tuo padre mi riderebbe in faccia se gli chiedessi un riscatto. Credi davvero che ti consideri più importante dei soldi? Pensare chiaro è quello che ci serve qui, non voli di fantasia. Cosa pensi, Danton? Si girò verso il terzo ceffo che stava osservando il nano svenuto. Vale la pena portarlo a Malfen per una manciata di dupondii?

    Danton si lisciò il mento e poi i suoi occhi brillarono. Loro sono due, disse. Raddoppiamo i guadagni.

    No, no, no, disse Brau. Il nano è troppo pericoloso. Se alcune delle storie su di lui fossero vere, non possiamo rischiare che sfugga a Shent e torni qui per vendicarsi. Portatelo fuori e uccidetelo. No, ripensandoci, portateli fuori entrambi. Non voglio proprio pensare più a questa faccenda.

    Nils provò a colpire gli stinchi degli uomini che lo stavano trattenendo, ma con le mani bloccate dietro la schiena, tutto quello che riuscì a fare fu rimanere in punta di piedi. Con coordinazione studiata, i ceffi piegarono i suoi gomiti e girarono i suoi polsi verso la parte anteriore del suo corpo, stringendogli i pollici. Poi lo spinsero dalle spalle e lo trascinarono a passo di rana verso la porta.

    No, urlò Nils. Posso procurarti i soldi!

    Brau non stava ascoltando. Stava ricomponendo le due metà dell’elmo e parlando tra sé e sé. Nils incrociò lo sguardo di Ilesa per un attimo, ma lei gli mandò solo un bacio. I suoi aguzzini lo girarono verso il tavolo ancora una volta.

    E lui? chiese uno di loro, indicando il nano.

    Ce l’ho io, disse Danton, afferrando un pezzo di barba e tirando via il nano dalla sedia.

    Senzanome colpì il pavimento come un sacco di patate, e Danton iniziò a trascinarselo dietro. Gli altri tipi stavano iniziando a girare di nuovo Nils, quando la mano di Senzanome saltò fuori e prese Danton per la caviglia. Con un impeto di forza incredibile, il nano rigirò Danton sulla schiena e si tirò su in piedi. Prima che Danton potesse riprendersi, lo stivale del nano scese sul suo collo con uno schiocco raccapricciante.

    I due ceffi che tenevano Nils lo buttarono a terra e sfoderarono le loro daghe.

    Senzanome afferrò una sedia e sorrise. Nils rimase scioccato nel vedere una scintilla nei suoi occhi scuri—-si stava chiaramente divertendo e non mostrava nessun segno di ubriachezza. Infatti, sembrava più fresco e più all’erta rispetto a quando aveva iniziato a bere. Era come se l’euforia della violenza avesse asciugato l’alcol nel suo sangue.

    L’uomo che Brau aveva chiamato Tony balzò su Senzanome, che scaltramente si spostò di lato e gli spaccò la sedia sulla testa. Tony si accasciò, dritto in direzione del ginocchio del nano. Ci fu uno schizzo di sangue quando il suo naso si ruppe come un frutto maturo, e poi Senzanome si mosse per colpirgli il torso coi pugni, come se stesse ammorbidendo uno stinco di montone.

    Forse il nano era ancora un po’ ubriaco. Almeno sembrava che lo fosse, visto che non prestò nessuna attenzione all’altro uomo che si stava avvicinando più cautamente. Senzanome sembrava perso nel suo mondo, intento a colpire ritmicamente la cassa toracica di Tony. Incredibilmente, Tony rimase in piedi, ma barcollò e vacillò fino a che Senzanome gli diede un destro potente sotto il mento e andò giù pesantemente.

    Quello fu il momento in cui l’altro ceffo balzò su di lui. Senzanome si girò e gli afferrò il polso, fermando il coltello ad un pelo dalla sua faccia. Il nano colpì con l’altro pugno ma lo scagnozzo prese il suo avambraccio e i due si ritrovarono bloccati in una presa. Le vene del collo del ceffo uscivano come vermi, e la sua faccia diventò blu dallo sforzo. Le braccia di Senzanome erano nodose e gonfie, ma la sua faccia era stranamente calma. L’uomo commise l’errore di guardarlo dritto negli occhi, chiaramente cercando di innervosirlo nel modo in cui i pugili facevano nei combattimenti a cui il padre di Nils lo aveva portato. Fu un errore. L’uomo notò la scioltezza senza sforzo con cui il nano lo tratteneva e capì che lo stava prendendo in giro.

    Nils intravide un riflesso arancione dalla coda dell’occhio e girandosi vide Brau, ancora seduto, dall’estremità delle dita del quale si stava formando un fuoco. Provò ad urlare un avvertimento, ma la sua bocca era secca, e non ne uscì alcun suono. Senza pensarci, sguainò la spada e diede un fendente alla schiena del ceffo. L’uomo cadde sulle ginocchia e rotolò di lato sul pavimento. Senzanome storse la bocca, come se il suo giocattolo preferito si fosse rotto.

    Le fiamme si ingrossarono intorno alle mani di Brau, l’aria intorno ad esse si increspò. Senzanome si girò, rovesciò il tavolo e gli saltò addosso. Prima che il mago potesse reagire, Senzanome l’aveva preso per i polsi e gli aveva messo le sue stesse mani in fiamme sulla faccia. Brau urlò mentre la sua carne scoppiettava e sfrigolava, e quando Senzanome lo ebbe lasciato andare, la sua faccia era ustionata e gli occhi pieni di lacrime.

    Dell’acciaio freddo toccò la gola di Nils, che ebbe un brivido.

    Ne ho abbastanza, disse Ilesa. Stai indietro o dissanguo il ragazzo.

    Senzanome prese Brau per i capelli e sbatté la sua testa contro il muro. Il mago scivolò sul pavimento.

    C’è un tocco di magia in te, ragazza, disse il nano, avanzando verso di lei.

    Gli occhi del nano ardevano e, attorno a lui Nils riuscì a vedere un’aura che lo faceva sembrare duro come la pietra. In quel momento, Nils non avrebbe voluto essere Ilesa per tutto l’oro di Malkuth.

    Ultimo avvertimento, nanerottolo, disse lei, pressando la lama di più e lacerandogli la pelle.

    Nils sentì un rivolo di sangue scendergli sul collo. Adesso stava tremando, e la pressione nella sua vescica stava diventando incontrollabile. E se al nano non fosse interessato? E se Ilesa gli avesse tagliato la gola qualsiasi cosa Senzanome avesse o non avesse fatto, solo per essere sicura di farsi capire? Non era una bella situazione. Non era bella per niente.

    Senzanome li guardò in cagnesco e si avvicinò a grandi passi. Ilesa indietreggiò, tirando Nils per i capelli, usandolo come scudo. All’improvviso, strillò e inciampò sull’ascia di Senzanome. Nils si liberò e corse via mettendosi dietro al nano.

    Ilesa aveva ancora la daga in mano e si rotolò a terra. Si ritirò attraverso la porta e andò sul terrazzo, sguainando la spada con l’altra mano e socchiudendo gli occhi. Nils notò l’assenza di scollatura. Chiaramente preferiva la forma a seno piatto per combattere.

    Senzanome continuò ad avanzare indisturbato e raccolse l’ascia. Sbatté l’impugnatura nel suo palmo ed emise un ruggito soddisfatto. Ilesa arretrò, poi si girò e tagliò la corda.

    Hmm, disse Senzanome vedendola andare via. Belle chiappe, per un umano.

    Non provarci, disse Nils. Lei può cambiare forma per avere ciò che vuole.

    Interessante. Senzanome strizzò via un po’ di umidità dalla barba. Pensi che possa perdere un po’ di altezza e farsi crescere i peli in faccia?

    Nils lo guardò serio, ma Senzanome si stava già dirigendo verso il tavolo rovesciato. Tirò su i due pezzi del grande elmo e li guardò un momento prima di rimetterli dentro lo zaino. Diede a Jankson Brau un colpetto con il piede, ma il mago fece solo un gemito.

    Cacchio, disse Senzanome. Stavo per chiedergli se avesse visto dei nani passare di qui.

    Nils gonfiò il petto. Sì. Me l’ha detto prima che tu entrassi. Stavo proprio uscendo per dirtelo quando ti sei intromesso ed hai quasi rovinato il mio dannato buon lavoro. È quello per cui mi hai pagato. Professionalità, la chiamano.

    Senzanome sbuffò ed i suoi occhi si socchiusero sotto le sopracciglia squadrate.

    Nils sentì un nodo ghiacciato nello stomaco, e si leccò le labbra per continuare a parlare.

    Ha detto che un sacco di nani sono passati di qui, diretti a Qlippoth. Questo significa che devono essere andati a Malfen. È l’ultima città di confine, e non esiste nessun posto per cibo e rifornimenti nell’arco di centinaia di chilometri. In più, fa da guardia all’unico passo attraverso le Montagne Farfall.

    Bene, disse Senzanome, masticando la punta dei suoi baffi. Bene, bene, eccellente. Vieni? Si incamminò verso la porta e scrutò le nuvole torbide oltre la terrazza. È una bella giornata per fare una passeggiata.

    Nils zampettò dietro di lui. Questo non faceva parte dell’accordo, ricordi? Il mio compito era portarti da Brau, niente di più.

    Vero, vero, disse Senzanome. E ti ringrazio per il tuo servizio. Bene. Molto bene. Ben fatto.

    Con ciò, si allontanò sotto la pioggia, canticchiando con voce profonda una canzone senza melodia. Nils non riuscì a comprenderne le parole, ma era sicuro che fosse qualcosa riguardo ad una ragazza con un grosso didietro ed un boccale di birra.

    Nils vide il nano sparire nel temporale e poi andò a riprendere le sue monete e la borsa. Jankson Brau si girò e mugugnò qualcosa. Temendo fosse un incantesimo, Nils scappò via.

    Pensò per un attimo di seguire il nano, ma poi il buon senso ebbe la meglio su di lui, e si diresse verso est per il lungo cammino verso casa a New Londdyr.

    SENZANOME

    Le nuvole di pioggia si sparpagliarono a causa di un vento furioso proveniente da nord. Nel momento in cui i soli gemelli di Aethir scesero sotto l’orizzonte, il buon umore di Senzanome era già scivolato dietro ad un pesante sipario di oscurità.

    Gli umori cupi non erano mai lontani dalla superficie in quei giorni. Era sempre stato prono ad episodi di malinconia, ma erano diventati più frequenti e laceranti in seguito alle atrocità di Arx Gravis; da quando aveva rinvenuto l’ascia nera.

    Anche ora, benché fosse stata distrutta, il mero pensiero della falsa Pax Nanorum gli faceva scorrere l’acido ardore del desiderio attraverso le vene. Senzanome era ancora in grado di gustare la sua promessa di potere, era ancora eccitato dalla chiarezza e dalla lucidità che gli aveva dato—-la suprema sicurezza di essere dalla parte del giusto.

    Era così facile ingannarlo? L’ascia aveva fatto leva sulle sue debolezze, come il didietro della donna dai capelli corvini? A dispetto di tutta la sua forza, il suo allenamento e la durezza da battaglia, Senzanome—-o in qualsiasi modo l’avessero chiamato prima che il suo nome gli fosse stato tolto—-aveva fallito al primo ostacolo. Sotto l’incantesimo dell’ascia, non aveva portato a termine niente se non una distruzione insensata. Se non fosse stato fermato, sarebbe diventato senza dubbio l’ultimo dei nani.

    In quale luogo sarebbe terminato tutto ciò? Avrebbe massacrato tutti a Malkuth? Avrebbe smosso le terre pazze di Qlippoth?

    Senzanome ebbe un sussulto, fece un respiro profondo ed osservò la scarpata scoscesa. Una fila di alberi spuntava dal limite del cratere ad ovest. Era un posto buono come un altro per accamparsi per la notte; vi si diresse con il cupo proposito di scacciare tutti i pensieri dalla mente, prima di spappolarsi le sue stesse cervella con una pietra.

    La mezza luce grigia del tramonto aveva lasciato il passo alla notte quando riuscì ad accendere un fuoco. Non aveva portato un sacco a pelo; non ci aveva nemmeno pensato quando aveva lasciato New Londdyr, ed aveva passato le ultime notti al freddo e avvilito.

    Senzanome trovò della carne essiccata in fondo allo zaino e la tenne sollevata davanti alla faccia. Avrebbe preferito non mangiare, ma qualcosa da qualche parte nella sua mente lo spingeva a farlo.

    Strappò una striscia di carne con i denti e masticò. Il gusto salato aumentò la sua sete, ma non aveva da bere. Sputò il pezzo di carne semi masticato e guardò fisso nel fuoco. Il legno che aveva trovato era umido ed emanava più fumo che fiamme. Ribolliva e fischiava, scoppiettava e crepitava, e il poco calore lo raggiungeva debolmente.

    La sua testa aveva iniziato a pulsare a causa della birra. Chiuse gli occhi e si strinse la cima del naso. Finiva sempre così. Beveva fino a svenire, poi al primo segnale di guai diventava sobrio in un istante. Sfortunatamente ciò non gli aveva risparmiato i postumi della sbronza. Notò anche che sebbene bere gli tirasse su il morale, specialmente in buona compagnia, subito dopo veniva trascinato in uno stato di depressione profonda. Il suo corpo era pesante, e le sue ossa sembravano fatte di ghiaccio. La faccia si era ristretta, come se fosse una maschera di argilla che seccava rapidamente. Sembrava come se qualche stregone malvagio lo avesse maledetto, facendo in modo che il suo corpo si pietrificasse lentamente.

    Un gracchio distante stridette attraverso l’aria della notte. Senzanome alzò un sopracciglio ma vide solo la pesante oscurità del cielo, cosparsa di puntine d’argento.

    Le lune di Aethir sarebbero apparse presto. Erano sempre in ritardo sulla scia dei soli che tramontavano. Prima, Raphoe si sarebbe arrampicata sopra l’orizzonte così vicino che uno avrebbe potuto allungarsi e toccarla. Il brillare d’avorio di Raphoe emanava tanta luce quanto l’alba, in una notte chiara. Poi sarebbe sorta Charos la butterata, e poi il piccolo disco di Enoi, la più piccola delle tre.

    Il gracchio doveva essere giunto dal confine. Malfen era solo pochi chilometri ad ovest, annidato tra le Montagne Farfall e a guardia del passo verso Qlippoth. Gli abitanti di Qlippoth raramente attraversavano le montagne, e se lo facevano, c’erano Maresman a caccia in attesa di farli fuori.

    Ma Qlippoth era il luogo dove i nani si stavano dirigendo, tale era la loro paura di quello che era accaduto ad Arx Gravis, la paura di quello che Senzanome aveva fatto loro.

    Immagini di sangue comparvero nella sua mente. Immagini di massacro.

    Senzanome gemette e provò a distogliere i pensieri dalle atrocità che aveva commesso con l’ascia. Il disgustoso ricordo della testa spaccata di Thumil era uno spettro dietro le sue palpebre, che silenziosamente gli urlava accuse.

    Rimosse dallo zaino il grande elmo spezzato e tirò fuori un libro pesante rilegato in cuoio. Era appartenuto a Thumil.

    Raphoe ora era mezza visibile sopra l’orizzonte, e lui riuscì a leggere grazie alla sua luce. Aprì il Liber Via a caso, sperando di trovare qualche perla di ispirazione. Nonostante tutto, Cordy gli aveva dato le preziose scritture di Thumil, e poi se ne era andata da Arx Gravis, insieme al resto dei nani.

    Fino ad ora, il libro non aveva rappresentato  niente di più che una vaga speranza—-una speranza che non era mai durata oltre l’apertura delle sue prime pagine.

    Analizzò le parole in Nanico Antico, cercando qualche tipo di indicazione. Aristodeus le aveva chiamate Latino, la stessa lingua che il Senato usava in New Londdyr. Il Nanico Antico di Senzanome era arrugginito, come minimo. Ne aveva imparato la maggior parte da suo fratello Lucius.

    Sfogliò le pagine a casaccio ma non trovò niente su cui appigliarsi. Nello stato in cui si trovava il suo umore, era un’attività senza speranza. Chiuse il libro con cura e lo mise via. Stava per rimettere a posto i pezzi dell’elmo, ma li riprese e li studiò alla luce del fuoco.

    L’elmo era stato una mossa disperata. Lo aveva isolato dall’ascia, aveva rubato il suo nome. Ma al momento opportuno, quando aveva seguito alla lettera il piano di Aristodeus e trovato gli altri tre artefatti—-i guanti del gigante di fuoco, l’armatura del signore lich, e lo scudo da difesa—-si era dimostrato quasi inutile.

    Fece cadere le due metà nelle fiamme. Sapeva che non sarebbero bruciate, ma non gli importava granché.

    Ma è l’elmo di tua madre, suo padre Droom disse in fondo alla sua mente. L’elmo di un Signore dei Nani.

    Senzanome si ricordò la visione di Yyalla che usciva dalla cornice del dipinto di Durgish Duffin in seguito al primo massacro. Lui era nella cella, in attesa di cadere in un lungo ed innaturale sonno. Lei lo aveva guardato con approvazione, con orgoglio. Ma per come lo vedeva adesso, lo sguardo di lei era stata una bugia, non meglio degli inganni che lo avevano guidato a quasi massacrare la sua gente.

    Alcuni peccati non si possono mai espiare. Adesso lo sapeva, con certezza. Però doveva ancora trovare i superstiti di Arx Gravis. Era una spinta ancora più forte del bisogno che aveva avuto dell’ascia nera. Il meglio che potesse fare era dire alla sua gente che sarebbe stata al sicuro tornando a casa. Avrebbe dovuto perire lui a Qlippoth.

    Senzanome provò a tirarsi fuori dai propri pensieri, ma il suo corpo si rifiutò di muoversi. Rimase lì seduto, come una pietra, condannato a passare l’eternità a crogiolarsi nella miseria e nel rimpianto.

    Contrasse  le dita e le strinse lentamente intorno al manico del coltello che aveva preso a New Londdyr, quando aveva comprato la sua nuova ascia. Con l’altra mano tremante aprì il davanti della camicia e passò la lama sul  petto, lasciando un solco bagnato e profondo.

    Ci voleva azione.

    Senzanome lasciò cadere la lama.

    Risolutezza. Un corso da seguire.

    Si distese sul terreno duro mentre un nuovo calore strisciava nelle sue vene. Quando si fosse sentito riposato, ed il mattino fosse giunto, si sarebbe diretto a Malfen. C’era qualcosa che avrebbe dovuto fare prima di continuare la sua ricerca: un marchio che bisognava imprimere, una dichiarazione che non era più degno di farsi chiamare nano.

    Sbadigliò e studiò la faccia pallida di Raphoe. Un altro gracchio risuonò distante, e qualcosa sbattè le ali passando davanti alla luna. Probabilmente soltanto un uccello, pensò, mentre la preoccupazione rese insensibile la sua mente ed il sonno lo colse.

    NILS

    Il disco latteo di Raphoe incombeva sopra l’orizzonte frastagliato come uno specchio congelato. La faccia butterata di Charos brillava dal lato opposto, sdegnata e vendicativa. La piccola Enoi se ne stava sola sola, appesa nell’oscurità in mezzo a loro.

    Nils rabbrividì e avvolse il mantello umido attorno alle spalle. Per i suoi occhi stanchi, la più grande delle lune, Raphoe, sembrava che stesse vacillando, andando quasi in frantumi sopra le Montagne Farfall.

    Si accovacciò vicino ai tizzoni del fuoco morente. La pioggerella si era esaurita, ma il danno era

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