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La Voce di Angelica
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E-book313 pagine4 ore

La Voce di Angelica

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La Voce di Angelica è un romanzo ispirato ad una storia familiare; la protagonista è nientemeno che la bisnonna dell'autrice da parte materna, una promettente cantante lirica che si esibiva in teatro nei primi anni del secolo scorso; l'ambientazione è la splendida città di Siracusa durante l'insediamento del fascismo.

Il romanzo è dedicato a nonno Francesco, il figlio di Rosa, la famosa artista alias Angelica, su cui si concentra la storia.

Pietro invece è una figura controversa con cui l'autrice ha giocato narrando alcuni elementi reali, ricamandoci poi sopra delle situazioni inventate, facendo ricorso ad una fervida immaginazione.

La vicenda narrata è una struggente storia d'amore in cui i protagonisti sono in preda ad emozioni contrastanti visto che per anni, nonostante tutto, riescono a mantenere una relazione clandestina, più volte osteggiata dal destino e da alcuni personaggi che si oppongono al loro amore.

Angelica principalmente è una donna forte e indipendente che per il compagno ha rinunciato a fare ciò che più desiderava, ma quando riacquisterà un minimo di amor proprio, la sua vita prenderà un'altra piega e allora niente e nessuno riuscirà più ad infrangere i suoi sogni.
LinguaItaliano
Data di uscita16 mar 2022
ISBN9791220395533
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    La Voce di Angelica - Elena Bedini

    CAPITOLO 1

    Nascita di una stella

    Anche quella sera, come ormai ogni sera, se ne stava lì, a contemplare il mare, con il suo solito sguardo malinconico, come se fosse in attesa di qualcosa che la potesse distogliere dai suoi tormenti.

    Il cielo ormai volgeva al tramonto e all'orizzonte le luci si tingevano di rosa, mentre il sole cominciava ad abbassarsi lentamente, per poi sprofondare negli abissi. I gabbiani planavano sopra l'immensa e limpida distesa d'acqua in cerca di pescato; lei se ne stava ancora lì, sulla banchina del piccolo porticciolo, ad osservare estasiata lo spettacolo che le si prospettava davanti.

    Il vento le scompigliava la fluente capigliatura dal colore del miele, il suo corpo finalmente trovava sollievo dopo il caldo afoso dei giorni precedenti.

    Le guance rosee, le labbra carnose, la pelle ambrata, baciata dal sole, lo sguardo limpido, della stessa tinta delle onde mosse dalle raffiche di maestrale.

    In lontananza un veliero cavalcava le onde spumeggianti che s'infrangevano sulla scogliera sottostante.

    Era come immobilizzata nonostante le prime stelle iniziassero ad illuminarsi nello scuro cielo di una notte di mezza estate.

    Il suo volto pensieroso lasciava intravedere dei lineamenti perfetti e il vestito rosa antico, che le scopriva le spalle, le dava un che di elegante pur nella sua semplicità.

    Erano già le ventuno e la brezza estiva le dava una piacevole sensazione a tal punto da non accorgersi di essere rimasta sola sull'immensa terrazza che si affacciava sul mare. Intanto le luci delle case circostanti si stavano mano a mano accendendo.

    All'improvviso sentì pronunciare il suo nome da una voce a lei familiare:

    «Donna Angelica, che fate là tutta sola? Non vedete che l'ora è già tarda?».

    Era la sua governante che era accompagnata dalla giovane Annuzza, la sua amica di sempre, da quando spensierate correvano allegre tra i girasoli di Tenuta Belvedere e canticchiavano le loro filastrocche preferite all'ombra della vecchia quercia intrecciata a pochi passi dalla casa padronale.

    Non vedendola rincasare per l'ora di cena si erano date premura. Angelica si voltò di scatto e si affrettò nella loro direzione e Annuzza la rimproverò con lo sguardo prendendola poi sottobraccio per ricondurla a casa.

    I lampioni sul lungomare mostravano la strada alle donne.

    Nel giro di dieci minuti finalmente giunsero alla porta della loro abitazione e non appena entrarono, le due signorine si tolsero i bei cappelli pieni di fronzoli, come conveniva alle donne di buona famiglia di quei tempi e, dopo essersi accuratamente rinfrescate, andarono in soggiorno a gustarsi la loro cena a base di pesce e patate. Dopo aver fatto le loro solite chiacchiere, si congedarono prima di andare a dormire.

    Angelica faceva fatica a prendere sonno poiché ultimamente, oltre al canto, il suo animo era pervaso da un amore infelice con un uomo già ammogliato e per giunta, di nobili natali.

    Chissà come sarà il suo futuro con quell'uomo e se mai riuscirà ad avere una vita felice al suo fianco, magari formando con lui una famiglia.

    A quel punto si sarebbe ritirata conducendo una vita tranquilla nella sua bella tenuta di Belvedere; in cambio di tutto questo sarebbe stata anche disposta a rinunciare alla sua promettente carriera artistica!

    Ma spesso la sua vita non era andata nella direzione che avrebbe voluto, come quando da bambina perse prematuramente la sua amata sorella gemella, a soli undici anni, a causa del tifo. All'epoca, quando avvenne l'infausto avvenimento, non avrebbe mai pensato di sopravvivere al dolore.

    Con lei faceva tutto, oltre a giocare insieme ad Annuzza andavano a scuola e a messa con la mamma tutte le domeniche e per le festività anche con il padre e con i nonni. Durante le celebrazioni Angelica e la sorellina Lucia cantavano sempre, quando un giorno un maestro di musica si accorse che Angelica era dotata di una gran bella voce, l'uomo parlò con suo padre, Antonio, esortandolo a portare la bambina a lezioni di musica per coltivare la sua bella dote.

    Anche se quelle lezioni erano costose, la famiglia faceva il possibile per risparmiare fino all'ultimo centesimo pur di fare felice Angelica, la bambina dalla voce d'angelo.

    Gli anni passarono uno dopo l'altro e quella bambina ormai stava diventando una piccola donna, le spuntarono i seni e lo sguardo mutò, divenne provocante così come le labbra che iniziò a tingere di rosso. A Belvedere non c'era ragazza più bella di Angelica Grieco, a quindici anni era già più bella di una Venere e tutti i giovanotti della provincia la ammiravano e sognavano di poterle parlare, anche solo per una volta, mentre lei, totalmente ignara del fascino che emanava, pensava solo alla sua passione per il canto, emetteva piacevoli suoni gorgheggiando le sue arie preferite, non appena ne aveva la possibilità.

    Il canto la assorbiva completamente al punto che, non appena prese il diploma, la giovane iniziò ad esibirsi al Teatro Greco di Siracusa, prima con altri promettenti giovani artisti e poi, nel giro di un anno, il suo maestro la introdusse nell'ambiente teatrale della sua città, affinché potesse iniziare a farsi un nome sperimentando il canto lirico.

    Quando saliva sul palco provava dei sentimenti contrastanti: da una parte era pervasa dall'emozione; dall'altra invece, dopo il primo brivido che le correva lungo la schiena, le arrivava da dentro un'energia improvvisa che le scuoteva l'anima fino a farle quasi squarciare il cuore, poi, quando usciva la voce, si rilassava facendo trasparire la sua vera essenza.

    Al pubblico questo suo modo di essere piaceva molto e ben presto il suo nome cominciò a circolare a Siracusa oltre che in tutta la Sicilia. Quello per lei fu un periodo molto propizio, aveva appena compiuto diciotto anni.

    Era la Sicilia dei primi del novecento e per una ragazza della sua età non era conveniente allontanarsi da casa da sola seppur per brevi periodi. Proprio per questo, con suo padre, convennero che per lei sarebbe stato meglio portarsi dietro Annuzza, la sua adorata amica d'infanzia, che era una giovane sveglia e di buon cuore.

    In quegli anni Siracusa era al centro del Mediterraneo e da lì si diramavano le rotte marittime e commerciali che conducevano all'Africa orientale, divenne anche importante centro postale e aereo che collegava l'Italia alla Libia permettendo il collegamento tra i coloni italiani e le terre africane.

    Quando il regime fascista avviò la riconquista delle terre d'Africa, Siracusa ricoprì il ruolo d'intersezione tra le due sponde del Mediterraneo.

    Oltre ai coloni, anche le truppe militari italiane partivano dal porto aretuseo. Proprio per tutti questi motivi si può dire che Siracusa degli anni Venti e Trenta, divenne un punto di riferimento importante per il Regno d'Italia sia come rotta strategica, base militare, nonché base commerciale e centro di riferimento per i coloni in Africa.

    Il fascismo era agli albori e fu proprio Siracusa una delle culle fiorenti di questo nuovo movimento politico; il partito fascista siracusano fu fondato nel 1921 da un gruppo di nazionalisti, reduci di guerra, studenti, artigiani e intellettuali. Gran parte della città era ormai sotto l'influsso del fascio, anche se una parte della società opponeva ancora una forte resistenza.

    Ben presto il fascismo prese piede prepotentemente e la società dovette adeguarsi così come la scuola, lo sport, gli spettacoli che dovevano uniformarsi al pensiero fascista. Mussolini amava Siracusa e fu spettatore entusiasta in diverse esibizioni teatrali al Teatro Greco, fu proprio questa sua forte passione per l'arte teatrale a dare vita all'Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa, che vide la luce nel 1925.

    Così il teatro siracusano si riempì di gente che accorreva a vedere i numerosi spettacoli teatrali della tradizione greca, che si svolgevano sotto le stelle.

    Angelica fu scritturata proprio in quell'anno per cantare in uno spettacolo molto suggestivo allestito nel mese di maggio presso il famoso Castello Eurialo, antica fortificazione militare che dominava la piana di Belvedere dalla collina da cui si scorgeva il mare.

    Era una famosa tragedia: Antigone, più volte rappresentata al famoso teatro siracusano, ma stavolta sugli spalti sedeva la crème de la crème della città tra loro anche il figlio del Conte di Lentini, l'Eccellentissimo Pietro Nicosia, giovane sulla trentina, di bell'aspetto e portamento che sedeva al fianco della sua dolce metà, la Marchesa Maria Delitala, sposata pochi anni prima e da cui non aveva ancora avuto un erede.

    Angelica era emozionatissima, anche perché a circa metà dell'opera avrebbe dovuto cantare tutta sola sull'enorme palco illuminato e, come di consueto, il suo cuore cominciava a battere all'impazzata. Nella tragedia interpretava l'ancella prediletta della regina Antigone, a lei spettava il compito di aprire una delle scene centrali del dramma. Mentre emetteva i suoi primi gorgheggi, il pubblico fu ammaliato dal fascino che emanava con il suo canto e uno spettatore in particolare, di nome Pietro, ne rimase meravigliato.

    Il viso della splendida cantante era semplicemente perfetto, gli occhi chiari, luminosi, il colorito roseo sulle fresche guance di ventenne, il naso all'insù e le labbra volitive, rapivano l'attenzione di chiunque la osservasse.

    Dal momento in cui il Conte Nicosia posò lo sguardo su di lei, s'innamorò perdutamente, nonostante che accanto a sé avesse una donna bellissima e di mille qualità, a cui nessun uomo avrebbe potuto resistere.

    La serata fu un successo e Angelica, con la sua esibizione e l'innata avvenenza, conquistò diversi spettatori. I suoi genitori, che sedevano in platea, erano molto orgogliosi della loro bambina che adesso era sbocciata, proprio come un fiore di campo che si affaccia per la prima volta alla primavera.

    Passarono i giorni e il Conte di Lentini ormai aveva un solo pensiero che non lo abbandonava né di giorno né di notte, quando in silenzio si allontanava dal talamo nuziale, non appena la sua consorte prendeva sonno, per poi andare nel suo studio ad ammirare dalla finestra il paesaggio delle campagne che gli offrivano le notti di luna piena. Proprio allora, assorto nel silenzio, pensava al dolce volto di Angelica.

    Pietro era combattuto perché il suo cuore gli suggeriva che la donna che aveva al suo fianco da così tanti anni non era adatta a lui e al suo temperamento, avevano così pochi interessi in comune e anche i figli non arrivavano, nonostante i numerosi tentativi di procreazione.

    Il Conte continuava a meditare riguardo alla sua insignificante esistenza fatta soltanto di conti patrimoniali, affitti da riscuotere ai fattori di mezza Lentini e noiose cene organizzate da sua moglie per mantenere le apparenze, coltivando amicizie di comodo.

    Prese una decisione, cominciò a declinare inviti già accettati da Maria, cercando di passare la maggior parte del tempo in solitudine, con la scusa di andare a supervisionare le sue proprietà, cavalcava senza sosta nelle campagne, nella speranza di calmare quell'inquietudine che si portava dentro dal giorno in cui vide quello spettacolo, dove cantava la splendida ragazza che gli aveva turbato profondamente l'animo.

    Poi un giorno decise di fare qualcosa per cercare di uscire da quell'apatia spirituale da cui non riusciva a sottrarsi per mancanza di coraggio. Si mise a fare delle ricerche, anche attraverso le sue conoscenze, per avere qualche informazione su quella giovane cantante dal viso angelico e dalla voce d'usignolo. Purtroppo la sua ricerca non dette gli esiti sperati e così decise di andare a vedere tutti gli spettacoli organizzati a Siracusa e dintorni.

    Finalmente una sera sul palco gli parve d'intravedere colei per cui sospirava e pensò di escogitare uno stratagemma per avvicinare la sua preda alla fine della rappresentazione. Nonostante i suoi buoni propositi, lo assalì il timore di essere deriso, magari rifiutato, ed era vicino a desistere dall'impresa, ma non appena lo spettacolo terminò, trovò il coraggio e fece di tutto pur di avvicinarsi il più possibile all'uscita del retropalco fingendo di volere un autografo. Il Conte tentava di farsi spazio nel bel mezzo della folla di ammiratori che si erano radunati proprio nel punto da dove uscivano gli artisti, improvvisamente la porta si aprì e riuscì ad intravedere due o tre persone, ma purtroppo nessuna di loro era la donna che cercava.

    Pietro iniziava a spazientirsi, ma proprio quando aveva quasi perso ogni barlume di speranza, vide qualcuno che stava parlando con una donna voltata di spalle, con i capelli raccolti, un vestito color porpora e un cappello coordinato su cui sfoggiava un fiocco di raso nero, il suo cuore ebbe un sussulto, il Conte rimase come inebetito riconoscendola, tutti gli stratagemmi immaginati per avvicinarsi alla donna erano spariti dalla sua mente, ma la provvidenza gli tese la mano.

    Durante la concitata conversazione alla donna cadde il candido fazzoletto di lino su cui era ricamato il suo nome; così Pietro trovò il pretesto per avvicinarsi porgendole con signorilità l'amato feticcio che la cantante portava con sé alla prima di ogni spettacolo.

    Allora Pietro si fece coraggio e prese la parola:

    «Signora, perdonate il disturbo, vi è caduto questo».

    La giovane si voltò sorpresa dalla presenza dell'uomo accanto a sé.

    Fu la prima volta che i loro sguardi si incontrarono, lei ne rimase colpita e con una sola occhiata lanciò un timido messaggio di approvazione a quel gentiluomo che si era chinato davanti a lei per recuperare il suo cimelio dal pavimento.

    Pietro arrossì e anche Angelica si sentì smarrita, non sapeva come comportarsi, in quanto nonostante non fosse più una bambina, mancava totalmente di esperienza con il genere maschile.

    Erano lì, ammutoliti, uno davanti all'altro, poi Pietro fece un lungo sospiro e quindi si presentò alla giovane prendendole d'istinto la mano per sfiorarla con le labbra, in segno di riverenza. «Signora, sono il Conte Pietro Nicosia, un vostro grande estimatore e oggi finalmente ho il piacere di fare la vostra conoscenza».

    «Il piacere è tutto mio caro Conte Nicosia, sono Angelica Grieco e sono profondamente onorata di fare la vostra conoscenza!».

    Mentre rispondeva, Angelica sentì un brivido che la pervase nel profondo, proprio come quando cantava sul palcoscenico. Sul momento non ne capì il motivo.

    CAPITOLO 2

    Primo incontro

    Il giovane aristocratico non poteva farsi sfuggire quell'occasione tanto cercata, quindi, visto che la fanciulla aveva accolto di buon grado la sua presenza, si buttò sperando che la cantante accettasse la sua proposta di uscire dall'edificio e di andare al Caffè Dei Pupi, un locale che si trovava proprio nelle vicinanze del Teatro Comunale, per rifocillarsi con una bella cioccolata calda, visto che era fine ottobre e che la sera cominciava a fare freddo.

    Da principio Angelica trovò l'invito un po' troppo azzardato e stava quasi per inventarsi una scusa per rifiutarlo, ma poi, guardandolo dritto negli occhi, qualcosa le disse che quell'uomo che stava proprio davanti a lei era sincero e degno di fiducia, quindi per la prima volta nella sua vita, si fece trasportare dal suo istinto.

    L'ora era già tarda, i lampioni illuminavano il corso principale, creando delle strane sagome sui muri degli edifici che costeggiavano la strada, lentamente avanzavano due figure longilinee una accanto all'altra che parlavano con trasporto di spettacoli ed eventi che suscitavano il loro interesse artistico.

    La luna in cielo era piena e il suo bagliore si rifletteva sul mare creando sulle acque un argenteo scintillio. Pietro non riusciva a distogliere lo sguardo da quel viso così perfetto che stava al suo fianco, ogni molecola, ogni movimento del suo corpo, il suo profumo delicato, erano per lui fonte d'ispirazione.

    Pietro ritrovò la sua consueta prontezza, quando sulla loro destra vide il famoso locale in cui voleva portare la sua accompagnatrice, quindi, si voltò verso Angelica e le fece cenno di seguirlo entrando per primo per accertarsi di persona se il locale fosse adatto alla sua accompagnatrice e quindi le aprì la porta facilitandole l'entrata.

    Al suo gesto lei gli sorrise: «Vi ringrazio Vossia, siete molto gentile!».

    Dopodiché, il Conte chinò il capo in segno di ringraziamento.

    In quel momento giunse un cameriere che li fece accomodare in un salottino appartato. L'arredamento era molto curato, con delle comode poltroncine di broccato ricamate di rosso su fondo dorato e dei tavolini tondi su cui erano dipinti i famosi Pupi Siciliani, dal soffitto pendevano dei lampadari di cristallo, che infondevano all'ambiente una luce soffusa.

    Pietro scostò la sedia ad Angelica e lei quasi arrossì, visto che nessuno, prima di allora, aveva mai avuto tutte queste attenzioni nei suoi confronti.

    Anche il Conte si accomodò e finalmente erano pronti per ordinare due cioccolate calde e qualche dolcetto tipico. Dopo alcuni minuti, arrivò il cameriere con un vassoio su cui erano disposte due belle tazze fumanti di fine ceramica inglese, bianca con i bordi dorati, accompagnate da alcuni pasticcini, cassatine¹ e cannoli siciliani² mignon.

    I due commensali iniziarono a sorseggiare la cioccolata calda, si sentirono rinfrancati, poiché quella passeggiata notturna, seppur breve, li aveva fatti infreddolire.

    Mentre Angelica si stava gustando il lauto banchetto, il suo sguardo cadde su alcuni burattini appesi alla parete posta alla sua sinistra, erano Orlando e Rinaldo, con l'armatura, lo scudo e la spada sguainata in segno di sfida, poco più in là, c'era una splendida fanciulla di porcellana chiamata Angelica, che era l'eroina della storia. Grazie a questa corrispondenza tra il suo nome e quello della ben più famosa Angelica, la ragazza vide un chiaro segno del destino.

    Ogni tanto gli sguardi di Pietro e Angelica si incrociavano e quando questo avveniva, la pudica fanciulla abbassava gli occhi dall'imbarazzo causato dal gentiluomo che la fissava imbambolato. Pietro, che era un uomo perspicace, accorgendosi di aver messo a disagio Angelica, iniziò a parlarle della sua vita monotona di campagna, passata ogni giorno a visitare le sue terre, a fare i conti con i mezzadri, le sementi, oltre ai vari investimenti che i suoi possedimenti richiedevano quotidianamente. Sua moglie gli aveva aperto un pastificio che gli portava via parecchio tempo, ma sorvolò volutamente sul particolare della moglie, visto che si era anche tolto la fede.

    La giovane donna, che era una buona ascoltatrice, seguiva i suoi discorsi rapita dal fascino delle storie che il Conte le raccontava e lui ne fu soddisfatto perché in cuor suo sapeva di non esserle indifferente.

    L'orologio del campanile della Chiesa di Santa Lucia segnava il rintocco della mezzanotte, la donna stava iniziando a mostrare un po' d'insofferenza e anche se tentava di nasconderla, a Pietro questo non sfuggì affatto. L'uomo si rivolse al cameriere per portargli il conto e, dopo pochi minuti, furono di nuovo fuori dal locale e continuarono a parlare di quanto fosse bella la loro città, ricca di storia e di bellezze naturali sospese tra terra e mare.

    Suonò anche il tocco della mezzanotte e mezza e, anche se a malincuore, il Conte si offrì di accompagnare Angelica fin sotto casa, visto che non erano molto lontani dall'edificio in cui soggiornava ormai da qualche mese, infatti, da quando la sua attività artistica si era fatta più intensa, la cantante, in accordo con la famiglia, aveva deciso di trasferirsi in città lasciando la sua bella tenuta di Belvedere.

    Angelica poi svoltò in una stradina laterale al corso principale e ringraziando il suo ammiratore si congedò da lui.

    «Caro Conte, vi ringrazio di cuore per la bella serata che mi avete fatto trascorrere, ma purtroppo sembra che sia arrivato il momento di salutarci! Buonanotte e buon rientro a Lentini».

    Pietro, che in realtà non avrebbe mai voluto che arrivasse quel triste congedo, fece un timido cenno d'inchino e, prendendole dolcemente la candida mano per baciarla, la fissò negli occhi. «Signora, impazzisco già al pensiero di non potervi rivedere».

    «Conte, così mi fate arrossire, vi prego di lasciarmi andare, è molto tardi e domattina ho un impegno importante! Ormai sapete dove abito, lasciamo che sia il destino a farci rincontrare».

    Dopo quest'ultima frase, i due si salutarono augurandosi la buonanotte.

    Angelica spalancò il portone del palazzo, entrò e non appena la porta si chiuse si accorse di avere il batticuore, quell'incontro l'aveva sicuramente confusa, provava un misto di piacere e vergogna, non era abituata a trovarsi da sola con un uomo al di fuori del lavoro e neppure a ricevere tutte quelle attenzioni. Prese fiato e lentamente salì le scale che la conducevano alla sua abitazione.

    Pietro, invece, piano piano s'incamminò in quella strada solitaria e si diresse nel luogo in cui aveva fatto parcheggiare la sua auto per far rientro a Lentini.

    Quando arrivò nella piazzetta adiacente al teatro, trovò l'autista che lo stava aspettando e che per occupare il suo tempo stava fumando un sigaro.

    Fece segno al conducente, salì in macchina e partirono per le campagne siracusane.

    Angelica, invece, era incredula di aver passato un paio d'ore da sola con il suo corteggiatore, per lei era la prima volta che si intratteneva in piacevole compagnia. Si rinfrescò, mise la sua bianca camicia da notte e andò a letto ma non riuscì a prendere sonno, un po' per l'adrenalina che aveva ancora addosso a causa dello spettacolo, ma soprattutto perché pensava al Conte e al giorno in cui lo avrebbe rivisto.

    Erano le tre del mattino, la giovane continuava a girarsi nel letto, e quando finalmente l'abbracciò Morfeo si abbandonò al riposo, la sua mente ora era libera di dare sfogo alle sue più intime fantasie (...)

    Il giorno successivo Annuzza si alzò alla solita ora e poiché anche Angelica in genere si alzava sempre alle nove, quando non la vide arrivare in soggiorno, per la colazione, sul momento ne rimase sorpresa, ma poi pensò che forse la sua amica tardasse ad alzarsi visto che la sera precedente aveva fatto tardi a causa dello spettacolo a teatro.

    Arrivarono le dieci e dopo anche le undici, ma di Angelica non vi era traccia.

    Iniziando a preoccuparsi, Annuzza mandò la governante nelle stanze della padrona di casa, per vedere se fosse tutto apposto, ma questa, nell'avvicinarsi cautamente alla porta della camera da letto di Angelica e non riuscendo a percepire alcun rumore, andò a riferirlo ad Annuzza.

    Solo il rintocco delle dodici del campanile del Duomo, ridestò la bella addormentata dal suo sonno profondo.

    Angelica aprì gli occhi e vide che tra le tende entrava una luce accecante che andava a riflettersi sulla specchiera, creando nella stanza un fastidioso bagliore. A fatica si alzò e si mise le pantofole, quando aprì la porta percepì un buon sapore di brodo provenire dalla cucina.

    In casa non c'era nessuno a parte la governante, che stava spolverando con il suo efficiente spolverino di piume d'oca, quando la vide arrivare la donna salutò, cercando di scorgere nel viso della sua padrona qualcosa che potesse giustificare il suo tardo risveglio.

    Accorgendosi che ormai era quasi l'ora di pranzo, la ragazza si vestì velocemente per essersi

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