Il delitto di via Filodrammatici: La nuova indagine di Giorgia del Rio e Doriana Messina
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patinata e porta alla luce quel sommerso di odio e intrighi. Il sovrintendente viene trovato di prima mattina dal suo segretario particolare nel suo studio, riverso sulla scrivania, privo di vita, senza una goccia di sangue. Ma i primi rilievi tolgono subito ogni dubbio: non si tratta di morte accidentale. La scottante indagine viene affidata alla giovane e determinata capitana dei carabinieri Doriana Messina. Single per sofferta scelta in nome dell’Arma, la capitana è amata e stimata dai suoi stretti collaboratori, ma deve invece destreggiarsi tra le invidie di colleghi che la vedono come ostacolo alla loro carriera, e le avance più o meno esplicite di uomini che non vogliono perdersi l’esperienza della donna in divisa, magari con il valore aggiunto di manette e pistola. A Doriana si affianca come consulente del PM la psicologa e amica Giorgia del Rio con cui ha collaborato nel corso di una precedente indagine. Grazie a lei e ai racconti della sua anziana amica musicista che vive a Casa Verdi, si scopre che in quei giorni è avvenuto un ritrovamento di enorme valore per il mondo della musica verdiana…
Emiliano Bezzon è nato a Gallarate il 26.6.1964. Dirigente pubblico è stato Comandante della Polizia Locale di Gallarate, Vigevano, Varese e Milano e direttore dell’Accademia Regionale di Polizia, ora è Comandante della Polizia Locale a Torino; giornalista e autore di saggistica giuridica per operatori di polizia. Ha pubblicato il racconto noir La notte del boss in Delitti e canzoni, edito da Todaro nel 2007. Assieme a Cristina Preti ha pubblicato i romanzi gialli Breva di morte e Le verità di Giobbe, entrambe editi da Eclissi, nel 2015 e nel 2016. Dal 2016 scrive da solo: con i racconti Incubo di una notte di mezza estate, Lo sguardo del pesce e La mancia è gradita è risultato finalista dei concorsi “Giallolaghi” e “Garfagnana in Giallo” ed è stato pubblicato nelle relative antologie, edite da Morellini e Tra le Righe. Nel 2017 ha pubblicato il romanzo Il manoscritto scomparso di Siddharta con Robin, vincitore di diversi premi e concorsi e la raccolta di racconti I delitti della città in un giardino con Macchione. Quest’ultimo ha ottenuto il premio speciale per l’antologia di racconti al concorso “La provincia in giallo 2018”. Da dicembre 2018 fa parte del collettivo letterario “Torinoir”.
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Anteprima del libro
Il delitto di via Filodrammatici - Emiliano Bezzon
Capitolo 1
Il cadavere del sovrintendente del Teatro alla Scala era stato scoperto dal suo segretario particolare di prima mattina, quando era entrato nell’ufficio per arieggiare e far uscire il fumo dei sigari fumati il giorno precedente.
Lo aveva trovato riverso sull’enorme scrivania, piena di carte sparse, con le braccia troppo divaricate per far pensare che si fosse addormentato facendo tardi.
I carabinieri, arrivati in pochi minuti dal vicino Comando della Compagnia Duomo, dovettero allontanare solo il segretario. Nell’edificio non c’era ancora nessuno mentre i militari sigillavano la stanza del sovrintendente in attesa dei colleghi del nucleo investigazioni scientifiche per i primi rilievi e, probabilmente, del magistrato di turno, già avvisato al telefono, come da prassi.
Milano era già sveglia e dal grande edificio ovale adiacente il teatro, progettato da un’archistar elvetica in occasione del restauro dei primi anni del nuovo millennio, si sentiva nettamente lo sferragliare del tram sulla piazza, verso via Manzoni. All’interno della torre, in cui nessuno poteva entrare, il silenzio era irreale: si poteva solo percepire il fruscio dei calzari soprascarpe e il sibilo delle apparecchiature estratte dalle valigie degli investigatori tecnico scientifici che avrebbero lavorato per ore sulla scena del crimine. L’obiettivo era preservare ogni tipo di traccia utile ad arrivare a capire come potesse essere stato ucciso il sovrintendente e, possibilmente, da chi.
A parte lo scopritore del delitto e i primi carabinieri intervenuti, nessun altro sarebbe stato fatto avvicinare se non il medico legale. La scena criminis era particolarmente ampia e piena di arredi, libri, giornali e oggetti vari, per cui i rilievi avrebbero di sicuro richiesto tempo e grande attenzione a ogni dettaglio, anche a quello apparentemente più insignificante.
Che si trattasse di omicidio era ormai chiaro e lo confermò, dopo il primo esame sommario del cadavere, anche la dottoressa Cattagni, la famosa anatomopatologa, che pure si riservò di essere più esaustiva dopo l’esame autoptico, che sarebbe stato eseguito più tardi, presso l’istituto di medicina legale in piazzale Gorini.
L’ufficio era rimasto in perfetto ordine, persino le carte sulla scrivania sembravano non essersi mosse di un millimetro, rimanendo così come le aveva lasciate la vittima, che evidentemente ci stava lavorando, visto che occupavano l’intero tavolo. Non c’erano segni di colluttazione. Era come se il passaggio della morte fosse stato delicato, silenzioso.
Eppure, non era stata una morte dolce, perché il colpo alla nuca, sebbene probabilmente non mortale, era stato violento. Chi lo aveva inferto, però, aveva avuto l’accortezza di usare un corpo contundente che non lacerasse il cuoio capelluto, in modo da non causare la fuoriuscita di sangue, limitandosi a creare un enorme ematoma nella parte posteriore del cranio.
La prima cosa da verificare
esordì il pubblico ministero di turno appena arrivato nel cortile interno del teatro, sono i movimenti in entrata e in uscita del personale e di quanti hanno accesso agli uffici. Ci saranno dei sistemi di videosorveglianza, immagino.
Certo, dottore
ribatté pronto il maresciallo responsabile del nucleo operativo, al lavoro accanto agli uomini impegnati nei rilievi scientifici. Stiamo già acquisendo tutto dalla control room. La guardia giurata all’ingresso non ricorda di aver visto nessuno entrare o uscire dopo gli orari di chiusura degli uffici.
Meglio visionare le registrazioni: magari il nostro uomo si è distratto per un caffè o una sortita al bagno, oppure si è addormentato, o forse si è lasciato prendere dal telefonino. Sappiamo bene come vanno le cose, soprattutto in posti tutto sommato tranquilli come questo, dove il movimento è comunque limitato e le persone sono più o meno sempre le stesse, almeno in questa parte non accessibile al pubblico che frequenta il teatro.
Ha perfettamente ragione, dottore, intanto i miei uomini stanno interrogando il vigilante, anche per capire come funzionano gli ingressi e le uscite, visto che da questo edificio si può andare nei laboratori, nelle sale prova e persino in teatro.
Maresciallo, si faccia spiegare tutto per bene e poi disponga un’ispezione accurata di tutti i posti che mi ha appena citato, magari realizzando dei filmati dei diversi percorsi possibili e misurando accuratamente i tempi necessari per coprirli. Mi raccomando, che resti tutto chiuso e inaccessibile a chiunque, anche ai dipendenti. Almeno fino a che non avremo fatto le prime verifiche! Ci aggiorniamo allora; è inutile che io salga nell’ufficio della vittima, visto che stanno già facendo i rilievi e la Cattagni è tornata all’istituto di medicina legale. Buon lavoro, maresciallo, e mi faccia chiamare dalla capitana appena possibile…
La capitana, dottore? Il nostro comandante è il capitano Crivelli…
Mi faccia chiamare dalla capitana Messina
ribadì il magistrato senza nascondere un moto di stizza. Su questo caso voglio lei e i suoi uomini, senza nulla togliere al capitano Crivelli; questa è cosa da Reparto Operativo, la Compagnia Duomo collaborerà e avrà il giusto risalto al momento opportuno, ma le indagini devono essere dirette dalla Messina e dai suoi uomini. Ma guardi, lasci stare
continuò sempre più irritato. La chiamerò direttamente io, così la tolgo anche da ogni imbarazzo con i suoi superiori diretti. Intanto lei continui a coordinare i rilievi. Buon lavoro a tutti.
Comandi, dottore
rispose il sottufficiale senza nascondere il disappunto per il fatto che l’indagine gli sarebbe stata tolta di lì a poco. Sempre di colleghi dell’Arma si trattava, ed era già qualcosa, anche se era convinto di potersene pienamente occupare lui…
E così, senza nemmeno avvicinarsi all’ufficio della vittima, il magistrato si allontanò rapidamente.
Nonostante la sicurezza ostentata, il sostituto procuratore Giovanni Loffredo fino a quel momento non si era mai occupato di omicidi. Come se non bastasse, questo caso aveva tutta l’aria di trasformarsi in una gran rottura di scatole, con personaggi famosi di mezzo e la stampa a stargli di sicuro con il fiato sul collo. Per non parlare del procuratore capo e magari pure di qualche ministro, certamente interessati a una soluzione rapida.
Di Doriana Messina aveva letto sui giornali e ne aveva anche sentito parlare dai colleghi a Palazzo di Giustizia. Di sicuro era un’ottima investigatrice e si era circondata di una squadra di validi collaboratori, e poi si diceva che fosse anche una gran bella donna, il che non guastava.
Doriana Messina ricevette la telefonata del magistrato mentre si trovava ancora nel suo alloggio di servizio. Preallertata da un messaggio del suo colonnello, aveva sperato di poter intervenire a rilievi finiti e dopo i primi risultati dell’autopsia. Per l’ennesima volta si chiese come facessero a gestire le comunicazioni urgenti fino a qualche anno prima, quando i cellulari ancora non c’erano. Nell’alloggio di servizio lei non aveva nemmeno il telefono fisso, perché quando vi si era trasferita quel coso le era sembrato un oggetto troppo antico e ingombrante.
In quel momento, invece, desiderò poter sentire il suono squillante e rassicurante di un bel telefono in bachelite nera, come quello che ricordava a casa della nonna materna, con l’enorme e pesante cornetta e il disco per comporre i numeri, e con quel rumore meccanico che aveva sentito pochissime volte ma che le era rimasto impresso.
Altro che il suo smartphone di ultima generazione, sempre acceso e sempre a portata di mano, anche in bagno perché non si sa mai…
Una volta pronta per uscire, si infilò il telefonino in tasca con un gesto ormai automatico, come aveva fatto qualche istante prima con la sua Beretta semiautomatica nella fondina ascellare.
Non restava che prendere una delle auto civili parcheggiate sotto gli uffici del Reparto Operativo e partire per la Procura; senza autista, come ormai faceva da tempo, per non sprecare minuti preziosi e risorse umane sempre più scarse anche nell’Arma. Colpa dell’invecchiamento degli uomini e della mancata sostituzione di quanti andavano in congedo. Anche se, a suo parere, c’erano ancora troppe persone imboscate nei vari uffici delle diverse articolazioni gerarchiche. Ogni volta che ne incontrava uno, soprattutto se giovane e senza apparenti problemi fisici, non riusciva a trattenere sguardi di disapprovazione per quei colleghi
che evidentemente non avevano alcuna passione per il loro lavoro e vestivano l’uniforme come un abito qualsiasi. Per lei non era così, anche se ormai operava quasi sempre in borghese.
Era ormai nei pressi del Palazzo di Giustizia quando sul cellulare arrivò un nuovo messaggio.
Ci vediamo anche questa volta? Ciao, Cristina.
Doriana sorrise mentre considerava che l’amica anatomopatologa sembrava invitarla a una festa o a un aperitivo. Quando invece si trattava di un appuntamento con un cadavere e, probabilmente, con un caso di omicidio.
Avrebbe voluto rispondere subito ma tutte le sue energie erano impegnate a cercare un buco dove infilare l’auto e soprattutto a maledire il suo vezzo di non farsi accompagnare dall’autista, come facevano tutti gli altri.
Alla fine lasciò la Punto praticamente contro la recinzione dell’Umanitaria ed entrò dall’ingresso di via Manara senza nemmeno peritarsi di estrarre il tesserino.
Il vigilante reagì prontamente intercettandola e bloccandola. Bastò tuttavia uno sguardo della capitana perché il poveretto desistesse dal suo intento e portasse la mano alla visiera del berretto che non indossava per un impacciato saluto all’ufficiale dell’Arma che aveva riconosciuto troppo tardi per evitare una figuraccia, ma in tempo per risparmiarsi un cazziatone memorabile.
Doriana Messina era nota per la sua indiscutibile bravura investigativa ma anche per la sua proverbiale permalosità, che diventava intolleranza quando era nervosa o in ritardo. E in quel momento era nervosa per il parcheggio maldestro e maledettamente in ritardo, sempre per il tempo perso a cercare di parcheggiare decorosamente, cosa peraltro non riuscitale. L’idea che uscendo avrebbe potuto trovare una contravvenzione sotto il tergicristallo le risultava quasi insopportabile, anche perché si sarebbe pagata la multa di tasca propria, come già era accaduto altre volte.
Quando aveva conosciuto il comandante della Polizia Municipale ci aveva messo parecchio a vincere l’istintiva avversione provocata dalla montagna di soldi che spendeva per pagare le multe per divieto di sosta. Pur essendo una donna di legge, c’erano delle regole che non riusciva a non trasgredire: il divieto di sosta era in cima alla lista e ormai le stava costando una buona parte dello stipendio, che avrebbe preferito investire in vestiti e scarpe. Forse anche per questo ogni volta che incrociava un vigile urbano non poteva evitare, magari solo per un istante, di pensare al vestito non comprato per colpa della solerzia dei ghisa.
L’ufficio del sostituto procuratore si trovava al quarto piano del Palazzo, nel lungo corridoio dove si incontravano le stanze di almeno una ventina di magistrati della Procura milanese, alcuni dei quali avevano gli uomini di scorta o di protezione pigramente spiaggiati in attesa di muoversi alla bisogna del loro protetto.
A Doriana bastarono pochi colpi alla porta per ottenere risposta.
Venga avanti, capitana, la aspettavo. Scendiamo a prenderci un caffè?
Volentieri, dottore.
Avrebbe avuto bisogno di una camomilla, ma non poteva certo rifiutare l’invito del sostituto procuratore.
Mentre scendevano le scale, dopo aver inutilmente aspettato per una decina di minuti l’ascensore che nessuno aveva ancora capito dove si nascondesse ogni volta, cominciarono a parlare di quello che, di lì a poco, sarebbe stato per tutti i giornali Il delitto della Scala.
Per tutto il tragitto dal tribunale al bar, Giovanni Loffredo faticò a tenersi concentrato sul caso. Doriana Messina era ancora meglio di come gliel’avevano descritta e in lei non c’era nulla che non gli piacesse. I capelli castano scuro scendevano morbidi fino alle spalle, proteggendo il collo diritto, sempre nella posizione di chi è abituato a tenere la testa alta. L’abbigliamento sportivo – così come l’uniforme che talvolta indossava – non riuscivano minimamente ad attenuare la naturale sensualità prodotta dalla piacevolezza delle forme mediterranee esaltate dalla tonicità del fisico allenato e curato. Pensò che in altre circostanze quel piglio deciso l’avrebbe fatto impazzire.
E così, quando alla fine tornarono nel suo ufficio, Loffredo non aveva fatto molto più che fantasticare su quella donna, immaginandosela in tutt’altri ambiti e posizioni.
Dottore, mi sta seguendo?
lo scosse Doriana, che si era perfettamente accorta dell’effetto che aveva sull’uomo che ora le sedeva davanti.
Certo, capitana, certo, continui pure
mentì lui spudoratamente. "Mi sembra che le