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Un cadavere di troppo: Delitti di provincia 17
Un cadavere di troppo: Delitti di provincia 17
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E-book248 pagine7 ore

Un cadavere di troppo: Delitti di provincia 17

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Info su questo ebook

Il mondo degli investigatori privati gira intorno ad affari “di corna”, ma... Ma ci si può imbattere a volte in misteri insondabili ed in corpi che appaiono e disappaiono.
Niente è mai come sembra... “Un cadavere di troppo”.
E’ il diciassettesimo episodio della serie “Delitti di provincia”.

LinguaItaliano
Data di uscita14 ott 2019
ISBN9780463022290
Un cadavere di troppo: Delitti di provincia 17
Autore

Annarita Coriasco

Annarita Coriasco, italian poetress and writer.Annarita Coriasco, scrittrice, ha ricevuto due volte il premio “Courmayeur” di letteratura fantastica. Le sono stati attribuiti i premi internazionali “Jean Monnet” (patrocinato dalla Presidenza della Repubblica Italiana, dall’Università di Genova e dalle Ambasciate di Francia e Germania) e "Carrara - Hallstahammar". Ha ricevuto l'onorificenza di "Cavaliere" dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

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    Anteprima del libro

    Un cadavere di troppo - Annarita Coriasco

    Un cadavere di troppo - Delitti di provincia 17

    Annarita Coriasco

    © 2019

    Prima edizione

    Smashwords Edition,

    Licenza d’uso

    Questo ebook è concesso in uso per l’intrattenimento personale.

    Questo ebook non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone.

    Se si desidera condividere questo ebook con un’altra persona, è necessario acquistare una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Questo libro costa pochissimo, se state leggendo questo ebook e non lo avete acquistato per il vostro unico utilizzo, siete pregati di tornare a Smashwords.com per acquistare la vostra copia.

    Grazie per il rispetto al duro lavoro di questo autore.

    Il lunedì a volte, era il giorno in cui il maresciallo Pucci rimpiangeva di non essersi goduto la pensione da carabiniere ed essersi infilato in un ginepraio di appostamenti ed inseguimenti vita natural durante... A volte raggiungeva il quasar e si convinceva che era giunto il momento di chiudere l’agenzia e di partire per una lunghissima vacanza con Franca. Una di quelle avventure impossibili da un mese e più. Oppure di andare a vivere su un’isola... Mare, sole e tranquillità tutto l’anno. Un ritorno alla natura. Un Adamo ed una Eva improbabili, piuttosto stagionati.

    Poi però, dopo il caffè, già ritornava ad avvedersi del fatto che il viaggio non avrebbe potuto essere così lungo... Che la sciatica gli avrebbe impedito di volare verso il Tibet... Di remare a Cuba... Che vivere lontano gli avrebbe impedito di vedere spesso sua figlia... E che anche nel paradiso più assoluto, un serpente rompiscatole lo si poteva sempre rimediare... Ma no! Bisognava affrontare la verità: erano i soldi che lo impedivano! Altro che storie!

    Sempre sulla lama di rasoio dei conti, sempre in apprensione per il lavoro precario della figlia, sempre a combattere contro il commercialista e a infrattarsi tra alberi, cassonetti, gabinetti di bar, sognando Honolulu, attendendo di poter fotografare fedifraghi, fregoni e quant’altro.

    Non che gli dispiacesse quella vita piena di impegni... Neppure quando usciva alle sei di mattina di un novembre così freddo e umido che la sciatica gridava vendetta ad ogni passo sul selciato del cortile di casa...

    Erano le dieci ormai quando ricevette la telefonata. Stava in bilico tra un finestrino di automobile arrugginita e un albero almeno secolare. I due che stava per fotografare, erano anche loro in bilico... Tra il sedile dietro e quello davanti, del guidatore, sull’auto nella quale si stavano dando da fare.

    - Ti ho già detto che non devi telefonarmi durante gli appostamenti... azz!

    Era il suo vice, Paolo Stenti, e parlava a mitraglia. Non si capiva un accidente. Il maresciallo era al limite dell’incacchiatura più profonda e stava per chiudere la comunicazione. Si accorse che l’uomo, nudo come un verme, non si muoveva più. Eh già! Stava guardando verso di lui. Era stato scoperto. Il trambusto vestitorio dei due, gli permise di alzare i tacchi in gran fretta. Una foto forse l’aveva fatta. C’era da pregare che fosse talmente perfetta da bastare all’avvocato della moglie del fedifrago. L’incazzatura contro lo Stenti riemerse mentre guidava piuttosto energicamente la vecchia Panda fuori dallo sterrato qua e là fangoso. C’era pure da pregare che quello avesse ritardato abbastanza da non riuscire a raggiungerlo. Magari si fosse impantanato da qualche parte!

    Non era della zona quello. Il lavoro gli era stato commissionato da una tale Veronica Sampi di Torino. Gli era stato commissionato proprio perché la Sampi era sicura che il marito se la facesse con una della vallata. Era un commesso viaggiatore nel campo dell’oreficeria e spesso veniva dalle parti di Foli. Forse un po’ troppo spesso.

    Il maresciallo rallentò. Il tempo dedicato al servizio fotografico era stato poco, ma gli era parso di riconoscere un volto famigliare. Un volto che aveva già visto in paese. Ma non si ricordava chi fosse. Non riusciva a collegare quella faccia un tantino smunta, quei capelli ricci, biondo tinto e perché no, quel sedere vagamente ossuto, ad un nome.

    I due non lo inseguivano. Il SUV poteva raggiungerlo con facilità, ma non c’era proprio nello specchietto retrovisore. Forse anche la proprietaria del viso che gli pareva di ricordare lo aveva riconosciuto. Chissà...

    Giunse al nuovo studio, nella ex farmacia Pescottino e non c’era nessuno. Neppure la figlia che in quanto segretaria dell’agenzia avrebbe dovuto essere lì... Poi si ricordò che quel pomeriggio aveva appuntamento col commercialista. Ma la moglie? Perché non sostituiva Paoletta?

    E lo Stenti? Il suo vice?

    Prese il cellulare dalla tasca del gilet da cacciatore e compose il numero con un diavolo per capello e anche oltre (visto che i capelli non erano più così tanti come un tempo...)

    - Si può sapere che cacchio ti è preso? - insorse non appena sentì il pronto dello Stenti dall’altra parte.

    - Sono nel bar qui davanti. Adesso vengo e le spiego. - e con sommo imbestialimento del maresciallo aveva messo giù.

    Lo aveva atteso fumando un cigarillo dietro la scrivania. Fregandosene altamente delle proteste che sarebbero venute dalla figlia. Lo vide entrare dalla porta aperta e l’incazzatura montò nuovamente a livello stellare. Ma la rabbia non gli impedì di accorgersi dello strano modo di camminare del suo vice. Era così immerso nei suoi pensieri che quasi andava a sbattere nelle poltroncine di fronte alla scrivania. Quelle per i clienti. Lo Stenti si riscosse e si guardò brevemente d’intorno.

    Pucci spiaccicò la cicca del cigarillo senza troppa attenzione nel posacenere pulito.

    - Ma si può sapere che cavolo ti prende oggi? Ti ha seguito l’amante? Ti ha visto e ti ha seguito?- Il maresciallo si alzò dalla poltrona girevole in finta pelle e si mosse verso il vice.

    Lo Stenti per tutta risposta gli si aggrappò letteralmente alla felpa.

    - Era morto! Morto stecchito!

    - Chi era morto!? Ma che c... dici? Si può sapere? - poi il maresciallo parve riflettere un secondo, gli venne istintivo controllare alle spalle dello Stenti, anche se non vide oltre lo stipite, né si mosse di un millimetro. La situazione era di quelle dove tutto poteva accadere... Poi afferrò le mani che si aggrappavano e cercò di toglierle dal giubbetto di tela nuovo di zecca, mentre lo Stenti aggrappandosi dove capitava continuava a ripetere: - Glielo giuro maresciallo! Sono arrivato lì e l’ho trovato morto. E non c’era nessuno!

    Per fortuna la signora Franca e la figlia non c’erano. Si sarebbero prese un bello spavento a vedere lo Stenti in quello stato!

    . Il maresciallo cercando di blandire il suo vice se lo trascinò letteralmente appresso sino all’angolo dove c’era la macchina per il caffè. Lo fece sedere su una sedia in più, messa lì dalla figlia e dovette spingercelo, tanto quello si agitava e continuava ad aggrapparsi al suo bavero. Alla fine il maresciallo esplose, ma sottovoce, perché la porta era aperta e davanti al bar dall’altra parte della strada stazionavano i soliti nullafacenti e pensionati vari, curiosi come un branco di lupi famelici.

    - Ma insomma! Non sarà il primo cadavere che vedi! Caspita! Hai chiamato i carabinieri?

    - No.

    - No!? Fammi capire: sei venuto via senza avvertire le forze dell’ordine o qualcuno dei valligiani che li chiamassero?

    - No. Quando mi sono svegliato il cadavere era sparito. Anche la sua auto era sparita...

    Il maresciallo prese una sedia li vicino e la mise dinnanzi allo Stenti. Vi si sedette e questa volta fu lui ad afferrargli un braccio. Lo scosse persino.

    - Calmati! Ricapitoliamo... Anzi, no, aspetta... - e si alzò per poi precipitarsi letteralmente verso l’archivio, afferrare una bottiglia di cognac e portarla con sé verso lo Stenti. Un affare di pochi secondi, mentre il suddetto, immobile come una statua, respirava non proprio serenamente:

    - Ho già preso un cognac maresciallo. Altrimenti come ci arrivavo fino a Foli da Sant’Andrea?

    Il maresciallo prese ugualmente un bicchiere piuttosto vivacemente, da un angolo lì vicino, dove c’era lo schedario, versò un generoso quantitativo di cognac nel bicchiere da acqua e lo porse al suo vice:

    - Bevi! - disse con fare autoritario. - Altrimenti qui non ci capisco niente se non ti calmi un po’...

    - Maresciallo se bevo ancora vomito. Ho bevuto in tre bar diversi lungo il tragitto... Senza contare quello qui davanti!

    Il maresciallo lo guardò senza proferire parola. Quindi bevve lui un sorso, posò bicchiere e bottiglia e si risedette davanti al suo vice. Adesso anche lui era un poco agitato.

    - Spiegami bene ‘sta faccenda... Tu hai visto un cadavere, ma poi il cadavere non c’era quando ti sei svegliato? E perché dormivi?

    - Chissà perché, maresciallo! Qualcuno mi ha dato una botta in testa! Guardi che ficozza! - e si chinò leggermente in avanti toccandosi la testa in un punto con la mano tremante.

    Il maresciallo guardò ed effettivamente c’era un bel bozzo...

    - Quindi... - disse sorseggiando distrattamente dell’altro cognac. - Tu mi dici che Mario Sapitti era a terra stecchito, poi ti hanno dato una botta in testa e il cadavere è sparito... Dico bene o c’è dell’altro?

    - Era nella macchina. Probabilmente aspettava quella lì... La Amatrodi, Amatruco...

    - Amatrudo Angela di anni ventisei... Infatti ti stavo per chiedere se lei c’era lì intorno, o c’era un’altra auto... Avresti dovuto beccarli insieme no?

    - L’altra settimana è stato così. Non mi ricordo dove... Sarà la botta in testa...

    - A Pessinetto.

    - No. Adesso mi ricordo! L’altra volta era a Cantoira... Stavolta a Sant’Andrea. Giù in basso prima della salita che porta al Santuario. Sul piazzale.

    - Ma li vicino ci sono delle case. Persino un vecchio bar, mi pare.

    - Il bar è chiuso. Siamo a novembre. E poi... Li di questa stagione è un mortorio...

    - Già. Ma nelle case lì intorno? Ci sarà pure qualcuno che ha visto qualcosa...

    - Le case sono quattro. Tutte chiuse... Anche quella dove c’è il bar sembrava deserta. Io ci avevo un mal di testa, ma ho cercato... Ho suonato tre campanelli e non mi hanno aperto... Che potevo fare? Il cadavere dentro la macchina era sparito, la macchina anche... E avevo il telefonino che non prendeva... Da li si vede che il mio gestore ha delle difficoltà... Che ne so io!!!

    - Ma lui era vestito? Non so... Aveva i pantaloni aperti o qualcosa del genere?

    - Non mi ricordo. Ho visto solo la faccia... Mi sembra... C’era un bel po’ di sangue... Questo si... Sono arrivato un poco in ritardo sul posto per via di certe pecore...

    - Torniamo là che voglio ben vedere se non c’è proprio nessuno che possa aver visto qualcosa... E non c’erano altre macchine sul piazzale o lì intorno?

    - No maresciallo... Glie l’ho detto! E mi è pure andata bene! Potevano far fuori anche me!

    - Quindi gli hanno sparato...

    La porta dell’agenzia si spalancò di colpo e apparve la signora Franca con due sporte colme fino all’orlo.

    - Sono qui per sostituire Paola. Ho fatto più presto che potevo. Ma c’era ‘na vecchia che ci ha messo due ore a scegliere il prosciutto e poi ne ha preso cinquanta grammi! Per carità! Non aiutatemi che vi viene l’ernia...

    I due la fissavano e il maresciallo aveva il bicchiere quasi vuoto di cognac in mano.

    - Ma che fate qui a quest’ora? Dio come sei pallido Paolo! Ma che hai ? Ti senti male? - alcuni sacchetti erano già stati posati sulla scrivania. Altri due o tre caddero per terra mentre lo stupore della signora Franca si stava trasformando in livore a causa del bicchiere con il cognac che finalmente aveva inquadrato col suo sguardo indagatore.

    - Ma che fate? Bevete? È successo qualcosa? Oh Dio! Paola! La zia Rosa!

    Pucci dovette calmarla e spiegarle la situazione brevemente. Quindi dovette fare del caffè sul fornelletto per il mal di testa di Stenti e dare un poco di cognac a sua moglie. Alla fine disse:

    - Ora tu la pianti di preoccuparti Franca e vai a mangiare da tua zia! Io porto Paolo al pronto soccorso e vado dal maresciallo Bentivoglio... No. Vado a Sant’Andrea. Ma prima telefono a Paola e sento quando torna qui in agenzia...

    - Ma è mica presto, Giacomo! Se porti lui al pronto soccorso ne avrai per minimo tre ore, visto che non è un codice grave. Mi sa che a Sant’Andrea ci vai un altro giorno. Posso portarcelo io Paolo al...

    - Non ho bisogno di nessun pronto soccorso! Vado a casa e mi stendo un po’ sul letto. Non è niente di grave...

    - I colpi in testa possono essere pericolosi. Meglio fare una lastra. - si premurò immediatamente la consorte di Pucci che aveva un debole per lo Stenti, quasi fosse stato il figlio maschio che non aveva avuto.

    Alla fine la spuntò la signora Franca. Fu lei ad accompagnare lo Stenti al pronto soccorso di Lanzo, perché per quello di Ciriè, come diceva lei, tra il serio e il faceto, bisognava attrezzarsi di tenda da campeggio.

    E così Pucci si lasciò convincere, anche perché già moriva dalla voglia di indagare sul posto. La figlia tornò proprio appena dopo che la madre era partita con l’auto dello Stenti e lo stesso Stenti, ancora stravolto. Pucci le spiegò più che brevemente la situazione, che per telefono non aveva potuto dilungarsi.

    Uscì dall’agenzia che il suo cervello già formulava un piano d’azione. Chiamare i carabinieri era fuori questione, almeno per ora. Bisognava vedere se c’era qualche traccia di ciò che si ipotizzava fosse avvenuto... Se qualcuno aveva visto qualcosa. Che lo Stenti si fosse sbagliato si sentiva di escluderlo? Era indeciso... Magari era l’amante che, non essendo per niente morto gli aveva dato una botta in testa... Partì con la Panda che erano già le undici di mattina. Mangiò un panino mentre guidava, fermandosi vicino ad un negozio di articoli mortuari senza neanche avvedersene, in uno dei tanti paesini che lo separavano dalla salita per il Santuario. Ci arrivò alle tre di pomeriggio. La salita era durissima, piena di tornanti e viscida di pioggia notturna. Gli alberi erano quasi sempre gli unici compagni del suo tragitto. Alberi e strapiombi dai quali si poteva ammirare la vallata. Magari nei giorni di bel tempo. Ma mentre lui saliva era sul punto di piovere. Quando giunse al parcheggio in quel prato rasato con due o tre panchine ai limiti del rettangolo, pioveva a dirotto. Una fontana pubblica emetteva acqua a tutto spiano. il muretto era alto e il cancello che delimitava il resto della salita fino al solitario eremo dei monaci con Santuario, era chiuso. Scese dalla Panda lasciata prudentemente sul limitare della strada asfaltata e corse verso il luogo che gli aveva più volte indicato lo Stenti prima di partire verso l’ospedale con sua moglie. Ma ormai... Anche se ci fossero stati degli indizi... Buonasera!

    Segni di ruote non si potevano certo più distinguere anche se ce ne fossero state, ed era difficile perché l’auto del presunto cadavere era stata parcheggiata sull’erba folta, anche se giallognola a causa dei mesi invernali. Il terreno più in là, era battuto da anni e anni di parcheggio. Cercò a lungo per terra lì intorno alla ricerca di chissà cosa, mentre l’acqua scendeva copiosa sul piccolo ombrello che gli riparava la testa. I mocassini erano già pieni di fango e lui continuava a cercare. Quando la visibilità divenne quasi zero, si decise ad andare a suonare al campanello della casa più vicina allo spiazzo. Suonò a lungo, più volte. Niente. Suonò poi alla casa seguente, al limite della salita dopo la curva. Nessuno gli aprì, nessuno gli rispose e le tapparelle erano tutte serrate. Giunse dall’altra parte della strada dove troneggiava una grande casa, tipo dimora colonica, che conteneva diversi appartamenti, un negozio di alimentari che non si capiva se era aperto o chiuso, dato che la porta era senza vetri e l’insegna dipinta a mano chissà quando. L’unica finestra su quel lato era piccola, con le tendine, come se si fosse trattato di un appartamento privato. Era al limite del parcheggio. Niente vetrina, neppure una parvenza. Si spinse più in là dove c’era una porta e una pubblicità di gelati appiccicata di fianco. La porta era chiusa a chiave. La casa, color aragosta, immersa tra i pini, aveva un aspetto quasi sinistro. Ormai erano più gli appezzamenti di vestiario del maresciallo bagnati che quelli asciutti. Le scarpe del resto, erano così fangose che gli pesavano come degli scarponi da sci.

    Finalmente, dopo che ebbe urlato quattro o cinque volte il tipico e usuale C’è nessuno?, dal balcone provenne un segno di vita. Si aprì un’anta e comparve una faccia lontana, oscurata dalla scarsa luce e dalla pioggia battente.

    - Che vuole? Siamo chiusi!!!

    La voce era femminile e robusta.

    - Vorrei parlarle un attimo. Stamattina qui è successo un incidente ad un mio amico.

    - Qui? Ma se non c’era nessuno stamattina...

    - Quindi lei era qui. Voglio dire...

    - Senta. Di questa stagione l’unico incidente che si può fare è con un albero. Non c’è quasi mai anima viva...

    - Neanche stamattina?

    La conversazione avveniva in modo proibitivo. Pucci scostava l’ombrello di quel tanto che bastava a farsi vedere dalla donna lassù sul balcone, e già riusciva a bagnarsi la faccia come sotto la doccia. Quella se ne stava rannicchiata sotto lo stipite della porta e urlava come se stesse reclamizzando qualcosa al mercato.

    - Forse una macchina... Mi sembra di aver sentito dei motori. Ogni tanto arrivano dei prelati. Sa, il Santuario...

    - E il mangiare? Li rifornisce lei?

    - Scherza? Quelli sono estranei al paese. Non si sa neanche quanti siano... - Poi finalmente alla donna venne in mente di scendere e di farlo entrare nel bar. - Aspetti che scendo...

    Dopo due minuti lui entrò dentro un non ampio locale scuro che sapeva vagamente di muffa. Lei aveva acceso una lampada quasi mortuaria per non aprire gli scuri della finestra.

    - Guardi, come le ho già detto, qualche volta passa qualche macchina. Stamattina ho sentito un rumore di una macchina o due... Forse tre...

    Pucci aveva già mostrato interesse per delle scatole di biscotti li sul bancone. Erano un poco impolverate, ma non in scadenza. Depose gli occhiali nella tasca, si asciugò la faccia alla meglio con un fazzolettino di carta e disse:

    - Me le vende queste due?

    - Non potrei che sono chiusa... Ma... - e la donna alta e formosa sorrise. I capelli corti le stavano come un cimiero sulla testa larga e gli occhi erano piccoli e acuti. La faccia rubizza aveva però un sorriso dolce,

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