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Non disturbate il piccolo Michael
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E-book130 pagine1 ora

Non disturbate il piccolo Michael

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Info su questo ebook

L’arte di Michael Jackson è stata alimentata o è stata ostacolata dalla traumaticità presente nel suo ambiente di crescita e nella sua vita adulta? A quali condizioni i nostri traumi possono farsi motore di trasformazione e in quali circostanze possono invece diventare un impedimento alla nostra evoluzione personale e professionale? A queste domande prova a dare risposta questo libro, in cui si ripercorre la vita del Re del Pop alla luce delle teorie psicoanalitiche attuali.
LinguaItaliano
Data di uscita29 apr 2014
ISBN9788875639709
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    Anteprima del libro

    Non disturbate il piccolo Michael - G. Cassullo E. Nelva

    Prefazione

    di Antonella Granieri e Michele Ruggiero

    Perché mai un libro su Michael Jackson in una collana dal titolo Psicologia Clinica e Storia?

    Quanto è rilevante e cosa offre al lettore occuparsi da un punto di vista psicologico della vita di un artista dotato di un eccezionale talento?

    Qual è il senso di una indagine retrospettiva sui passaggi salienti che hanno caratterizzato lo sviluppo di una persona capace di creare prodotti artistici riconosciuti a livello internazionale, sia dal largo pubblico, sia dagli specialisti del settore?

    In che modo gli Autori si discostano dai pericoli cui va incontro, nel mondo della musica e della stampa, un personaggio costantemente esposto ai riflettori e ai sentimenti del largo pubblico, come tratteggia in modo tagliente Enzo Gentile, giornalista e critico musicale, nella sua Introduzione?

    Una biografia che includa la storia psichica ed evolutiva può togliere o aggiungere qualcosa al valore dell’opera di un artista? Oppure è del tutto irrilevante sapere quali siano state le vicende che hanno contrassegnato la sua vita, e in particolare la sua evoluzione interiore?

    La psicoanalisi nasce, con Freud, proprio dall’intento di assegnare centralità alla storia psichica individuale, tanto nella normalità quanto nella patologia e nel genio. Pionieristico, in questo senso, il saggio di Freud su Leonardo da Vinci (1910), in cui l’Autore lavora per rintracciare la trama con cui taluni eventi di vita e contesti di sviluppo concorrono alla qualità dell’atto creativo. Un percorso che neppure per un istante intende offuscare il risplendente e trascinare nella polvere il sublime (Freud, 1910), ma aspira a mettere in luce, senza idealizzazioni o eccessive severità, le fonti primarie della creatività, siano esse la qualità del talento naturale, l’impegno o, in taluni casi, la capacità di trasformare in arte la sofferenza privata.

    A questo proposito ci piace ricordare il pensiero di Franco Borgogno, che in più occasioni ha sottolineato come la nostra storia, per quanto traumatica, costituisca il capitale che noi possediamo, il precipuo limite entro cui può muoversi la nostra esistenza o contro il quale essa può talvolta schiantarsi.

    Nello specifico, dunque, l’arte di Michael Jackson è stata alimentata o ostacolata dalla qualità traumatica del suo ambiente di sviluppo e di vita?

    Riflettere su tali quesiti non può prescindere da un metodo specifico, da un puntuale lavoro di ricerca psicoanalitica volta a tratteggiare le peculiarità dell’humus dal quale hanno avuto origine una particolare qualità di pensiero, declinata in opere importanti sotto il profilo artistico.

    Nel susseguirsi delle pagine si tratteggia, dunque, la necessità di un ascolto a partire dai fatti di vita. Si indaga la vita del Re del Pop servendosi degli strumenti teorico-concettuali propri della tradizione clinico-psicoanalitica. In particolare, gli snodi traumatici che hanno caratterizzato la vita di Michael Jackson sono riletti alla luce del pensiero di Sándor Ferenczi e della Scuola di Budapest da lui fondata, oltre che degli psicoanalisti Indipendenti Britannici, suoi allievi indiretti.

    Apprezzabile lo sforzo degli Autori nel porre in rilievo le tematiche concernenti il corporeo, luogo in cui le vicende affettive e le violazioni fisiche e psichiche subite spesso rimangono inscritte. Un corpo che, anche nel caso di Michael Jackson, pare aver rappresentato un elettivo strumento di comunicazione, capace di dare voce a emozioni e affetti non trasmissibili altrimenti, laddove permeati da un dolore troppo grande per essere pensato.

    Il libro è stato pensato per essere godibile tanto dagli addetti ai lavori, quanto dal largo pubblico. Il nostro augurio è che possa dare avvio a un confronto scevro da pregiudizi e arricchito da una prospettiva che pone in rilievo come la vita creativa sia ancorata non solo alla qualità del talento, ma anche agli eventi di vita che hanno costellato la storia personale e alle loro tracce, depositate in ciascuno di noi.

    Uno, nessuno, centomila

    di Enzo Gentile

    è una buona regola, non del tutto condivisa, ma assolutamente appropriata, che nel campo delle arti performative sia giusto e doveroso tenere ben separati i comportamenti personali dalle carriere: che insomma i vizi privati non si confondano con le pubbliche virtù. E che dunque il modo di essere, di vivere, persino di pensare di un artista non si mescoli in un viluppo venefico con quelli che sono gli atti ufficiali del suo mestiere.

    Va rispettata la separazione dei ruoli, affinché non si giudichi un film, un disco, un’opera letteraria con le gesta prodotte dentro le mura domestiche. I fatti staccati dalle opinioni.

    Eppure rovistare nell’intimo, in profondità, lavorare con la cartavetrata per portare in superficie gli atteggiamenti dei personaggi più in vista resta uno sport diffusissimo: siamo in un campo del tutto diverso da quanto proposto dagli Autori di questo lavoro, ossia di pettegolezzo e scavo nell’immondizia, una disciplina che raccoglie molti seguaci ma non dovrebbe fuorviare più di tanto.

    Ne hanno avuto percezione anche tutti coloro che, trattando di Micheal Jackson come massima espressione della cronaca e della mitologia pop contemporanea, si sono scontrati molto più spesso con la macchina del fango, che non con la messa a fuoco di una attività musicale fuori dall’ordinario, con una full immersion nelle indagini di polizia e nel gossip più sordido, invece che con una analisi delle sue stupefacenti doti espressive.

    Una forma di devianza, di eccezionalità che, nel bene e nel male, Michael ha dovuto subire e conoscere fin dall’infanzia, una condizione che gli è sempre stata negata, con i risultati e le distorsioni, presso l’opinione pubblica, davanti agli occhi di tutti.

    Le decine di milioni di dischi venduti, i record di classifica e di popolarità battuti a raffica, in parallelo con una qualità spesso superiore e un appannaggio di formidabile tensione comunicativa e album oggettivamente di indiscutibile spessore, non hanno protetto il piccolo Michael dalle ingiurie dei tempi; e le sue immense ricchezze, il talento che nessun collega ha saputo raggiungere nell’amalgama tra gesto, vocalità, scrittura ed estro multimediale devono avere anzi rinfocolato le polemiche, coltivato le invidie e alimentato un esercito di malelingue. Sono i guasti tipici alimentati dal dio denaro.

    Un predestinato?

    C’è chi, studiando le stelle o chissà quale altra combinazione tra terra e cielo, ha scovato una sorta di direttrice lungo la quale Michael Jackson ha navigato per tutta la sua storia, unica e irripetibile. Che in effetti nella sua azione artistica, articolata in circa quarant’anni, ci siano state tappe e condizioni eccessive, che lo hanno reso un alieno rispetto al mondo pure eccentrico dello star system, è fuori di dubbio. Ma quel che sorprende e coglie tuttora impreparati nel ripercorrere la sua biografia allargata alle produzioni musicali, televisive, cinematografiche, in tour, resta la varietà di accenti, lo stupore che si avverte ancora nell’ascoltarlo in alcuni dischi o nello studiare le sue coreografie in quegli esemplari video piovuti da un’altra era.

    Un ventaglio di sensazioni forti che Michael Jackson ha cavalcato sapientemente, rendendo però il tutto omogeneo e declinabile con il suo universo artistico, laddove invece stampa e televisioni hanno adattato un impasto nella migliore delle ipotesi malizioso, e persino un artificioso disegno da ricondurre all’esistenza anomala, commendevole e tragica di Micheal, viziata sempre dall’onda delle denunce, dei processi, delle dicerie più immonde sul suo conto.

    Peraltro Michael Jackson, se gli si può fare una colpa, non si è mai scelto partner, assistenti, compagni di strada (persino i famigliari verrebbe da dire!) degni di nota e di rispetto.

    Lasciato solo, a sbagliare, a gestire la confusione solenne di essere umano allo sbaraglio, Michael è sempre rimasto un bambino sostanzialmente indifeso, privo di schermi di protezione: un pezzo raro, quanto delicato, in balia del Mercato, del business e dei suoi tanti Erode.

    Dicono in molti che, per parte sua, anche Michael qualcuno dei suoi detrattori lo abbia aiutato e stimolato, con una vita spesso da cartoon, su e giù dall’ottovolante di una vita a tratti paradossale, la vocazione per lo stravagante a tutti i costi, come se per essere lodato e venerato non bastassero le sue movenze da folletto, il moonwalk, i clip fantasmagorici e un pugno di canzoni dalla sapienza pop senza confini, disperatamente oltre tutti i suoi colleghi e concorrenti.

    Certe scelte larger than life, circensi, come l’affollato zoo privato e il luna park eretti a Neverland, una vertigine tra l’esistenza terrena e l’indomito bisogno di volteggiare sospesi al trapezio, segnalavano, in diversi stadi della sua vita in vetrina, l’impossibilità per Michael di negarsi qualcosa: nella volontà a ipernutrire sempre e comunque il Peter Pan che alloggiava in lui.

    E se non fossero bastate le bizzarrie, gli attriti, le gelosie, le invidie incrociate con quel piccolo esercito di fratelli e manager, portaborse, consiglieri famelici, ecco aggiungersi ad un certo punto i dossier della vergogna, l’ignominia di accuse orrende come la pedofilia, gli abusi sessuali sui ragazzini, cucinate insieme alle dicerie propalate ad arte: il tutto quando forse la luce intorno a Michael Jackson iniziava a farsi meno brillante e i nemici, o gli antipatizzanti, potevano serenamente crescere di numero.

    Da quella giostra intossicante, e intossicata, di cattiverie e gusto per i colpi bassi non ci si risolleva facilmente: ci sono macchie che non se ne vanno, ferite e cicatrici che non si rimarginano, dolori che non si leniscono con il successo e i trionfi in hit parade, eppure Michael anche destreggiandosi tra slalom angusti, da tutte quelle trappole vischiose in qualche modo era uscito. E, proprio prima di soccombere sotto l’ultimo decisivo colpo, stava preparandosi per un ritorno in scena da Mille e una notte, con una serie di sold out già garantiti, sulla piazza di Londra.

    Doveva essere la sua rivincita più chiara e netta: poteva trattarsi di una consacrazione ulteriore, di un’investitura nuova, uno squillo di tromba all’alba dei cinquant’anni. Con il senno di poi, perché non ne avrebbe avuto il tempo.

    Amico fragile

    In una biografia che, come ben sappiamo, è stata tempestata di problemi e complicazioni di ordine famigliare a non finire – tutt’altro che appianatisi o risoltisi post mortem (e c’è chi osserva che il patrimonio sia aumentato di centinaia di milioni di dollari, nel frattempo, grazie alla vendita di dischi, al film This is it,

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