Solo un uomo....solo
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Anteprima del libro
Solo un uomo....solo - Armando Palmeri
PREFAZIONE E RINGRAZIAMENTI
Io e Armando Palmeri avremmo potuto scrivere altre mille pagine in questo libro, raccontando una serie infinita di storie, di tragedie e di fatti di sangue. Abbiamo deciso invece di raccontarne una parte, forse quella che serve per scuotere le coscienze. Non è stato facile per il Collaboratore di Giustizia tornare indietro negli anni e riaprire certe ferite. Durante la stesura di questo libro, ci sono stati momenti di tensione tra noi due, nulla di personale ovviamente, ma una domanda di troppo o una interpretazione sbagliata di ciò che mi raccontava, spesso lo indisponeva. Ho imparato a interpretare i suoi stati d’animo, ma non è stato facile. Palmeri, E’ un uomosolo
e il titolo del libro lo ha scelto lui, perché è questo il suo spirito, sentirsi SOLO. Non ascoltato da chi di dovere. Ha protetto la sua famiglia, ha saputo prevenire attentati nei suoi confronti. Per dare maggiori riscontri ai fatti da lui raccontati, ha fatto indagini. Dopo mesi di confronti con lui, ad un certo punto gli ho detto che lo consideravo un infiltrato. Un uomo che da SOLO, con le sue conoscenze, con la sua saggezza, con il suo temperamento, da uomo fidato del capomafia di Alcamo, Vincenzo Milazzo, ha provato a far saltare gli schemi della mafia, quella mafia che lui stesso condanna per la sua arroganza e crudeltà. Lo ha fatto prima e lo ha fatto dopo la morte del boss di Alcamo, mettendo a repentaglio la propria vita per salvare vittime innocenti. Quando Palmeri mi ha raccontato certe vicende, avevo l’impressione che raccontasse menzogne. Poi invece mi inviava i riscontri, le prove. Ha saputo anticiparmi circostanze, mi ha dato prova delle sue capacità conoscitive del fenomeno mafioso e della mafia impropria, come spesso ripete.
Con la stesura di questo libro, ho la consapevolezza e la gratitudine di essere arrivato dove altri non sono riusciti, ovvero convincere Palmeri a raccontarsi pubblicamente. Lui stesso scriverà che giornalisti importanti ci avevano provato, ma lui ha rifiutato.
Non sono uno scrittore ma un convinto cameraman dal 1988, che ha documentato la guerra di mafia di Alcamo dei primi anni ‘90, insieme ad altri colleghi. Alcamo, da sempre roccaforte della mafia, forse ancor di più di Corleone se guardiamo gli epiloghi storici.
Il libro è diviso in due parti: le prime pagine raccontano il mio approccio con il Collaboratore di Giustizia in una breve intervista e successivamente il suo memoriale.
Voglio ringraziare Gabriella de Portillo e l’Editrice di Alpa Uno per la gentile collaborazione.
ALCAMO, in Alpa Uno TV
Panorama di Alcamo
Cu sapi e taci avi sempri paci, cu sapi e dici avi sempri nemici
è uno dei modi di dire più frequenti quando in Sicilia qualcuno ti vuole suggerire di rispettare l’omertà e di non occuparti di episodi che non ti riguardano. Chissà, forse avrei dovuto ascoltare il consiglio di qualche amico, ma in quel caso avrei dovuto cambiare lavoro. L’adrenalina che si sprigiona nella mia mente non mi frena, devo andare fino in fondo. Accadeva anche così, ogni volta durante la guerra di mafia ad Alcamo dal 1989 al 1992. Omicidio ad Alcamo
gridavano i giornalisti dalla stanza della redazione di Alpa Uno. In trenta secondi io e il mio collega di turno, eravamo già fuori dalla sede e di corsa dentro il furgoncino bianco dell’emittente televisiva. Uno sguardo all’indicatore della benzina, un riepilogo delle indicazioni sull’indirizzo e giù per le strade del paese. I fari accesi come anche le quattro frecce, il clacson spianato e l’auto a velocità molto sostenuta. Ma perché correvamo così tanto? ancora non me lo spiego. Forse l’esaltazione del lavoro, la frenesia di arrivare sul luogo del delitto il prima possibile? o forse si scappava dalla paura, la paura di ritrovarsi davanti ad una scena con un cadavere che poteva essere un tuo conoscente o ancora, la paura di incappare in minacce serie. La cornice era sempre la stessa, due o tre carabinieri o poliziotti, una decina di curiosi che aumentavano con il passare del tempo e poi le sirene della scorta del magistrato di turno. Gli uomini del dottore Taurisano, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Trapani, scendevano sempre con la pistola in mano e il primo piano con la videocamera era quasi d’obbligo. Poi scendeva il silenzio, interrotto dal suono della fastidiosa autoradio delle volanti. Infine, il gesto del carabiniere di turno, tra il dispiaciuto e il senso del dovere, ti faceva capire che era il momento di mettere giù la telecamera e fermare le riprese video. Ed era quello il momento in cui riprendevi immagini a distanza in campo largo, che coincideva con il fuggi fuggi dei curiosi accorsi in strada. Come se puntassi un fucile sulla folla, la gente iniziava a dileguarsi, tranne qualche coraggioso
che fissava lo sguardo sulla lente della vecchia Sony 3000, come se volesse sfidare il cameraman a sua volta in preda all’ansia. Già, perché ritrovarsi sulla scena di un omicidio non comporta solo un impegno e un’esperienza professionale, ma spesso ci si ritrova a fare i conti con le minacce. Come in occasione delle mie prime riprese di un omicidio, a Castellammare del Golfo, quando, avvicinatomi all’auto dove era stato ucciso l’uomo, un soggetto di circa trent’anni, approfittando della distrazione dei poliziotti mi disse senza esitare Levati di ca, picchì ti scippu la testa
tradotto spostati perchè ti stacco la testa
.
Non reagii, lo guardai ed ebbi timore. Ma era il 1989 e si respirava aria di mafia in Sicilia, ogni denuncia significava peggiorare le cose. Quelle immagini andarono su Rai 3 durante la trasmissione Samarcanda di Michele Santoro, in una puntata dedicata alla strage di Pizzolungo e la relativa assoluzione di alcuni uomini d’onore della famiglia di Alcamo. Ero però inconsapevole che quel giorno sarebbe stata solo la prima di una lunga serie di riprese poiché, da lì a poco, sarebbe iniziata la faida di Alcamo, che avrebbe insanguinato le strade e le campagne della città di Ciullo. Più di quaranta morti, tra omicidi e lupara bianca e diversi tentati omicidio.
Nella redazione di Alpa Uno, la TV di Alcamo, si lavorava senza sosta, giorno e notte, con i giornalisti attaccati al telefono al primo eco di sirene, per chiedere alle centrali delle forze dell’ordine se era avvenuto l’ennesimo atto di sangue. Quando la guerra tra i Corleonesi e gli Stiddari dei Greco si fece più crudele, Alcamo ogni sera dopo le 20 diventava deserta e simultaneamente cresceva l’angoscia per noi cameraman e giornalisti per ciò che poteva accadere. Frequentemente con i colleghi della tv ci chiedevamo se le famiglie mafiose di Alcamo seguivano i nostri telegiornali, se si irritavano per le immagini deiloro amici, ripresi dopo essere stati uccisi. In realtà, in piena faida, iniziammo ad evitare le immagini con i primi piani dei volti insanguinati, sia per il rispetto della vita umana, che per un senso di soggezione verso uomini invisibili e sconosciuti che sparavano senza scrupoli in pieno traffico tra la gente. C’era uno scontro armato in piena regola e ci si chiedeva spesso quando tutto ciò poteva finire. Chissà se qualche mafioso avrebbe avuto uno scrupolo di coscienza per porre fine alle ostilità e raccontare tutto agli organi competenti, che, ad onor del vero, sembravano navigare nel buio. Gli uomini d’onore di Alcamo fino a quegli anni erano reticenti alla logica del pentitismo ed era fuori da ogni contesto razionale immaginare che qualcuno tra loro potesse seguire le orme di Buscetta. Alcamo è stata sempre in una botte di ferro per le vicissitudini mafiose. Il destino volle però che anche questo mistero fosse sfatato. Sono passati quasi trent’ anni ed è durante la mia inchiesta sulla strage di Alcamo Marina e la morte dei due carabinieri Apuzzo e Falcetta, che mi imbatto su un collaboratore di giustizia di Alcamo, non uno qualunque, ma l’uomo di fiducia del boss di Alcamo, Vincenzo Milazzo.
Vincenzo Milazzo
Ascolto le sue deposizioni in tre processi, cerco di percepire se può avere qualsiasi informazione sulla strage di Alcamo. Gli chiedono delle armi ritrovate ai due carabinieri La Colla e Bertotto, che qualche scellerato teorema prova a dimostrare come il movente della strage, ma MR X, come sarò costretto a chiamarlo successivamente durante un maldestro tentativo di un produttore della BBC di intervistarlo, nulla sapeva di quelle armi, ne tantomeno della cosca di Alcamo. Buonasera signor Armando Palmeri, sono Stefano Santoro da New York, possiamo sentirci al telefono quando le è possibile? volevo farle qualche domanda specifica sulle armi della Gladio e sulla strage di Alcamo Marina
. Questo è il mio primo approccio tramite WhatsApp del 18 ottobre 2021. Palmeri lesse il messaggio ma non rispose. Pensai che il tentativo fosse andato a vuoto o peggio che lo avesse indisposto.
Mi posi tante domande, forse si stava chiedendo chi fossi e come avessi fatto ad avere il suo numero di telefono. Passarono dodici ore e arrivò il primo messaggio:"Buonasera Sig. Santoro, ammiro molto il suo coraggio e di chi le sta vicino. Purtroppo, in Italia si vuole la verità solo per i furti di polli, possibilmente congelati, in modo che i colpevoli possano ottenere grandi sconti di pena. Poi aggiunge: Gli argomenti sono molto delicati...
Capisco che devo conquistarmi la sua fiducia, conosco bene gli atteggiamenti di un personaggio come Palmeri. Ad Alcamo gioco forza, devi