Lost Tales: Hard Boiled n°1 - Estate 2021
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Info su questo ebook
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L'evoluzione dell'Hard Boiled nel '900
a cura di Giorgio Smojver -
Oltre il whisky della buona notte: tendenze del noir contemporaneo
a cura di Edoardo Pastorino
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Race Williams e il Segno del Klan
di Carroll John Daly (traduzione Davide Bonazzi) -
Koop Secret
di Luca Mazza/Jack Sensolini -
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di Luca Mazza/Jack Sensolini -
Ciribiribin
di Tania Dejoannon -
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di Emanuele Corsi
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Anteprima del libro
Lost Tales - Emanuele Corsi
Prefazione che puzza di guai
Era un giorno torrido di tarda primavera e io mi apprestavo a mettere la parola fine a tutta quella dannata faccenda. Il tarlo mi rodeva nella testa da ormai due anni, che avevo speso in cerca dei giusti compagni d’impresa. Nella mia vita ho spesso lavorato da solo, ma per quella missione non mi sarebbero bastati il pugno sinistro e la mia proverbiale volontà, densa come un mattone.
No, per tutti i santi! Per quell’atto di sommossa c’era bisogno di una squadra di professionisti.
E così ero partito per i sobborghi di mezza Italia per cercarli.
I primi li avevo reclutati facilmente. Sapevo di poter contare su di loro, considerato quante volte mi avessero raccolto dal pavimento appiccicoso di un bar.
La mia socia in affari, Federica Soprani, che non va mai a letto prima dell’alba. Lei avrebbe coordinato materialmente il piano. Sì, perché io invece sono la faccia da schiaffi di ogni operazione. Ci metto la mascella quando c’è da prendere sventole, ma non chiedetemi di compilare delle scartoffie o, lo giuro, qui finisce male.
Mi serviva qualcuno che traducesse la lingua del primo eroe ad aver affrontato il genere. Così ho contattato Davide Stabber
Bonazzi, che decripta slang vecchi di un secolo con la stessa facilità con la quale io perdo le password.
Ma sapevo che per i testi avrei avuto bisogno di qualcuno con l’occhio di una lince. E Daisy Franchetto fa secco un refuso da un miglio.
Un team di supporto doveva occuparsi di una parte spinosa: disegnare le mappe del piano. Io perdo anche la porta d’uscita del night, se non ce l’ho disegnata.
Per la copertina, ho contattato Vincenzo Pratticò, a cui ho proposto il piano pazzesco di illustrare non solo una copertina, ma tutto un murale pittorico che si dipana nel retro, nelle alette. Un’opera complessa come mai prima. Sei un pazzo
mi dice, quello che mi chiedi è senza senso... Facciamolo!
Poi è spuntata alle mie spalle Sabrina Scabrina
Normani che mi ha sparato in faccia due illustrazioni grevi e mortali come lame di machete.
è bastata una telefonata e Gino Carosini mi ha inviato una serie di identikit di criminali, bulli e pupe mozzafiato. Lavoro da veterano, dolce veleno per i miei occhi.
Mi han detto che era libero un outsider, conosciuto nel giro, perfetto per immortalare il degrado surreale, Andrea Milana. In quattro e quattro otto vengo perforato da un proiettile d’inchiostro digitale.
Ok, la struttura c’era, ma mancavano ancora le storie (il centro del dannato piano).
Mi sono detto Pensa, maledetto derelitto...
poi ho capito che sarebbe stato meglio basarsi sull’istinto.
Ho sondato il terreno, chiesto un po’ in giro. Alcuni si sono tirati indietro, perché quel lavoro era roba grossa, e la gente del mestiere lo sente quando la terra comincia a scottare sotto i piedi.
Ma un manipolo di pazzi ha acconsentito.
Due picchiatori maledetti mi hanno detto: basta che paghi Vez... pugnaliamo la carta finché non piange inchiostro.
Luca Mazza e Jack Sensolini, il duo di mercenari figli della strada più infami dei sobborghi. I più perversi e talentuosi. Mi piacciono.
Poi ho dovuto viaggiare parecchio perché mi serviva l’aiuto di un tizio che sa far cambiare d’aspetto qualunque stile. Se gli lasci tempo, Emanuele Corsi trasfigura I Promessi Sposi in un carnevale di bestie e sangue che parlano in dialetto.
Volevo anche le armi di una donna, il suo punto di vista, uno stiletto piantato alla giugulare. Tania Dejoannon era la scelta giusta e lo sapevo ancor prima che rispondesse al telefono.
Ma per dare senso al tutto, come i tatuaggi impressi sulla pelle in Memento, era fondamentale trovare qualcuno che ripulisse la carneficina che avremmo causato.
Due che indossassero guanti asettici, lavassero il sangue e sciogliessero nell’acido il grasso rimasto attaccato alle pareti. E sulla piazza ce n’erano due che facevano al caso mio: Giorgio Smojver e Edoardo Pastorino. La vecchia e la nuova guardia. Il primo per solcare un sentiero di piombo per la nostra missione, il secondo per delineare una via di fuga.
Quello era un piano che non poteva fallire. La squadra Lost Tales: Hard Boiled era nata per raggiungere lo scopo. Inarrestabili.
Non vi mettete sulla loro strada. Non fatelo, se vi preme la salute. Quelli sono tipi duri...ma io preferisco chi dura.
Vittorio Flamingo
Cirino
Race Williams e il Segno del Klan
di Carroll John Daly
Race Williams, Investigatore Privato
è quello che dicono le lettere dorate sulla porta del mio ufficio. Non vuol dire niente, ma ultimamente gli sbirri mi hanno fatto visita così tante volte che mi serviva proprio un posto in cui riceverli. Vedete, non li voglio in casa mia; non sono schifiltoso, ma bisogna tracciare un confine da qualche parte.
Per quanto riguarda il mio lavoro, potreste definirmi un intermediario, a metà strada tra un agente e una canaglia. Oh, non c’è dubbio che sia gli sbirri che le canaglie ingaggerebbero la mia pistola, ma io non mi invischio in questi affari (non propriamente, qualche volta mi concedo una sana sparatoria). Ma la mia coscienza è pulita; non ho mai seccato un tizio che non se lo meritasse. E posso fregare le canaglie in qualunque momento. Perché? Perché le conosco più di quanto conoscano sé stesse. Già, Race Williams, Investigatore Privato, presente.
Gran parte del mio lavoro me lo vado a cercare, quindi l’ufficio non serve a molto, se non a darmi un tono di rispettabilità. Ma ogni tanto becco una telefonata, un cliente che parla di me ad un altro. Ed è quello che è successo stavolta.
Ero nel mio ufficio a raddrizzare le lettere e a godermi i messaggi minatori di un qualche moccioso senza senso dell’umorismo, quando un tale Earnest Thompson piomba dentro. E non è un modo di dire; questo tizio letteralmente mi piomba in ufficio, e ci mette cinque minuti a sbottonarsi.
Ha paura del Ku Klux Klan?
Queste sono le prime parole che spilla.
Non ho paura di niente.
Gli dico la verità, ma poi, volendo assolutamente essere onesto, preciso:
Finché c’è abbastanza grana da guadagnarci.
Molla un sospiro, come se le mie parole gli avessero tolto un peso di dosso.
Non è che appartieni a quel... a quell’ordine?
Pensavo l’avrebbe chiamato in qualche altro modo, ma dal tremare delle sue labbra capisco che ha paura di quell’ordine.
No,
gli dico. Non appartengo a nessun ordine.
Ovvio che sono come tutti gli americani: una pecora. È come un gioco, per noi: vogliamo immischiarci in tutto quello che è segreto e pieno di nomi stravaganti e strette di mano complicate. Ma con me non funzionerebbe. Mi incasinerebbe il lavoro. Dovrei fare un giuramento e non far del male a un fratello. Non che non rispetterei il patto, ma pensate che fregatura: sono lì a puntare un tizio, poi vedo il bottone dell’ordine e devo mollare la pistola. Ovvio che non sarebbe così male, ma quel tizio potrebbe non sgamare che sono uno del suo mucchio e, boom, mi scoperchierebbe il cranio. No, preferisco giocare da solo. Ed ecco perché non sono mai caduto nella trappola di diventare una pecora.
Beh, questo tale deve credere che mezzo paese è nel Ku Klux e che l’altra metà abbia paura di loro perché, quando scopre che non ne faccio parte, mi sorride a trentadue denti e non smette di stringermi la mano. Poi se ne esce con la buona notizia che un signore che avevo tirato fuori da un guaio gli ha parlato di me; infine passa alle cattive notizie. Suo figlio è stato rapito dal Ku Klux Klan.
Il suo ragazzo, Willie Thompson, diciassette anni appena, va a caccia nei boschi appena fuori dal paese in cui vivono. Clinton è il nome della cittadina e si trova a ovest, e questo è tutto quello che ho la libertà di dire, oltre al fatto che è un capoluogo di contea. Beh, Willie si imbatte in un raduno del Klan intento a incatramare una donna e riempirla di piume. Per di più, riconosce alcuni del Klan: il ragazzo ha buon occhio per i tipacci e buon orecchio per le voci basse.
A quanto pare, quella donna avrebbe venduto liquore a uno del Klan, che le aveva detto che suo padre stava morendo; sapete, il marito di lei gestisce una drogheria. Ora ditemi: non è un gesto carino, da parte loro? Ovviamente hanno trovato diverse altre cose sul suo conto, e le hanno intimato di lasciare la città entro ventiquattro ore. Già, le hanno proprio dimostrato tutte quelle piccole cortesie che spetterebbero a una signora. Ma il vero segreto in questa storia è questo: uno di questi tizi in camicia da notte è innamorato della donna e voleva vendicarsi, perché lei non vuole vederlo neanche da lontano.
Ora, questa è la versione di Earnest Thompson, non la mia. In ogni caso, la cittadina di Clinton è sicuramente incasinata, e alcuni del Klan sono addirittura finiti in galera per ben
dieci minuti. Ma alla fine del processo Willie Thompson viene rapito. Il padre era giustamente preoccupato, ma pensava che il ragazzo sarebbe tornato a processo finito. Questo è successo due settimane fa; il processo è saltato, e del ragazzo non si è più sentito niente.
Perché tutta la faccenda sembra incredibile? Pensateci: ho qui davanti un uomo con un sospetto fondato, se non la certezza, su chi potrebbe avere suo figlio, e lui scarpina fino in città per cercarmi. Immaginate se fosse stato mio figlio, boom, avrei fatto fuori quella banda una, due, tre volte di fila. Ma questo tizio è terrorizzato; se avesse spifferato alle autorità, si sarebbe beccato una lettera minatoria e, beh, eccolo qui.
Ma ha reso la sua offerta molto allettante: un assegno bello grasso, perché questo Thompson è un coltivatore con la grana. Quindi, ho accettato il caso, e avreste dovuto vedere come si è illuminata la sua faccia.
Non avrei mai creduto di trovare qualcuno pronto a sfidare il Klan,
mi prende la mano un’altra volta. Spero che lei... che lei non mollerà appena capisce con chi ha a che fare.
Questa uscita mi ha fatto quasi ridere.
Non preoccuparti per me,
gli dico. E non preoccuparti del ragazzo. Se è vivo e ce l’ha il Klan, beh, te lo riporterò in men che non si dica. Non c’è dubbio.
L’ho sparata un po’ troppo grossa? Boh, non lo so. Avevo già detto cose del genere in passato e, beh, me la sono sempre cavata.
Quindi si alza il sipario. Lui sarebbe tornato a Clinton quella notte stessa, mentre io l’avrei seguito uno o due giorni dopo.
Quella notte, vado giù per lo stradone alla ricerca di qualche soffiata su questi del Ku Klux Klan. Ho letto molto su di loro nei quotidiani, ma non c’ho mai dato troppo peso: tutte chiacchiere da giornale!
Decido di cercare informazioni nella bettola di Mike Clancy, perché Mike ha fatto parte di tutti gli ordini del mondo.
Ma Mike scuote la testa:
Allora hai abboccato anche tu?
mi dice con amarezza. Tutti i ragazzi stanno attraversando il fiume o andando a sud per entrare nel Klan. C’è un sacco di soldi lì, senza dubbio.
Sei un membro?
gli chiedo di nuovo.
Non io,
scuote la testa. "Quando si è fatto vivo in città per la prima volta, ne ho parlato con il sergente Kelly. Brr! Non è un ordine per irlandesi. È l’APA, se non peggio. Ma se vuoi saperne di più, vai a chiedere a Rogers il Muto laggiù."
E indica col pollice un sempliciotto che se ne sta seduto da solo a un tavolo nell’angolo.
E vi assicuro che questo Rogers mi ha fatto venire due orecchie così. Per questo lo chiamano Muto: non smette di parlare.
Il Klan?
attacca lui. Preferirei non saperne nulla. I ragazzi stanno lasciando la città a vagonate. Sai, vanno a sud o a ovest e si uniscono al Klan; poi, quando c’è una sortita per andare a picchiare qualcuno, i ragazzi non se lo fanno ripetere. Immagina che un gioielliere debba lasciare la città e non lo faccia e il Klan lo va a cercare, se capisci cosa intendo, fanno presto a portarsi via un anello o due. E se lui non dice niente... gli scrivono una lettera minatoria o gli telefonano che è meglio.
Si ferma un momento e mi guarda.
Non parlarmi del Klan. So tutto. Ero un membro ed ero sulla strada giusta per fare una fortuna quando mi hanno dato addosso. Mi hanno espulso, cacciato via come se non fossi un signore... ecco cosa hanno fatto. E perché? Per essermi messo contro un tizio. Ora, cosa ne pensi?
mi chiede indignato.
Brutta storia, Rogers. Dimmi, come si entra?
Beh, devi essere bianco e americano e protestante... e devi avere dieci dollari. Ma se hai dieci dollari il resto si può sistemare. Sì, si sono presi la mia grana, e per di più hanno chiesto sei e cinquanta per una vecchia tunica bianca... sedici e cinquanta in tutto, e mi hanno cacciato via... non tanto quanto...
Lo interrompo. Mi servono le parole d’ordine del Klan e i loro segni.
Dopo qualche bicchiere si apre di più: tra Il Ciclope Esaltato, Klaliffo, Klokard, Kludd, Kligrapp, Klabee, Kladd, Klexter, Klolkann, Kloran e tutto il resto, non ci capisco un accidente e gli chiedo di fermarsi. Ma ci ho cavato fuori qualcosa, cioè una stretta di mano con la sinistra. Poi mi fa il Saluto, che memorizzo attentamente. L’hanno fregato all’Esercito Confederato, si fa mettendo la mano destra sull’occhio destro e voltandola in modo da avere il palmo in vista.
Ma ricorda la cosa più importante,
Rogers il Muto mi punta contro un dito nodoso. Quando incontri un altro membro del Klan devi sempre dire ‘AAK’, cioè ‘appartieni al Klan?’. Se senti qualcuno chiedertelo, tu rispondi ‘AKA’: ‘al Klan appartengo’. Il resto sono quasi tutte idiozie e quasi nessuno se le ricorda, ma quelle due cose sono importanti.
Poi mi mostra un piccolo bottone in celluloide scadente che indossa dalla parte sbagliata del