Né triste, né allegro
Di Carlo Parri
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Né triste, né allegro - Carlo Parri
a cura di Vincenzo Vizzini
Né triste, né allegro
di Carlo Parri
1.0 luglio 2014
ISBN versione ePub: 9788867754175
© 2014 Carlo Parri
Edizione ebook © 2014 Delos Digital srl
Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano
Versione: 1.0 luglio 2014
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Indice
Colophon
Carlo Parri
Né triste, né allegro
Alanus Vogel
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Carlo Parri
Carlo Parri nasce a Pisa nella prima metà del secolo scorso. Pubblica il suo primo lavoro all’età di cinque anni (sul giornalino della Marzotto) e, dopo tre anni di riflessione, torna a pubblicare per la seconda volta sul Corriere dei piccoli (corre l’anno 1956). A undici anni scrive la sua prima vera poesia (d’amore!) e a sedici fonda la compagnia di tetro NOI, insieme al regista Alessandro Garzella. In quei tempi alcune sue poesie vengono pubblicate su riviste letterarie. Poi si dedica a fare il padre e a numerose trasmissioni televisive (Ciuffettino, Noi e gli altri, Pianeta donna, Una donna un Paese, È successo ché, e tante altre ancora). Nel 2012, dopo una vita passata a insegnare marketing, decide di partecipare al premi Tedeschi e, sorprendentemente, lo vince. Tra il 2012 e il 2013 ha vinto numerosi premi e pubblicato un buon numero di racconti. Oltre a Leonardo Cardosa (Giallo Mondadori n. 3068 IL METODO CARDOSA) ha creato altri personaggi seriali. Il commissario Barra, Max Rafaeli, Diego Rivera e Cristopher Cox.
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Carlo Parri, Si chiamava Nina Delos Crime ISBN: 9788867752959
Alanus Vogel
Pasta e broccoli col sugo d’arzilla. Mangiava poco e senza pretese, ma se decideva di farlo sul serio, allora voleva farlo bene. Di solito, alla sera, si accontentava di quello che Ernestina aveva lasciato in forno o nella ghiacciaia. E di giorno, mangiava quasi sempre una ciriola col tonno. Una di quelle che vendeva il brigadiere Sorrentino, in uno sgabuzzino dell’ufficio passaporti. Ma capitava, ogni tanto, che si prendesse un momento speciale. Un pranzo alla Campana.
Mai da solo. Barra era convinto che la solitudine, in una trattoria, diventasse disagio. Approfittava delle rare occasioni che potevano capitare. E quel giorno era capitata.
Alanus Vogel, commissario della polizia di Berlino. Era lui l’occasione. Il collega che, dalla Germania, avevano spedito a Roma perché osservasse come lavoravano gli italiani. Un programma di scambi culturali frutto della fantasiosa attività di Arturo Bocchini. Scambi che però correvano su un binario solo. Roma-Berlino e Berlino-Roma.
Quando il questore lo aveva chiamato per informarlo, Barra aveva storto la bocca. Non visibilmente, – quello non succedeva mai – ma interiormente. Quello succedeva sempre. I tedeschi non gli erano mai andati a genio. Troppo rigidi, troppo popolari e troppo nazisti.
– Ma l’italiano lo parla?
– Sull’informativa, u ministero nun lo specifica. In ogni caso vi potete intendere co lu francese. Voi lo conoscete un po’, lu francese?
Francesco Barra, l’Acchiappatore, come lo chiamavano sui giornali, conosceva il francese e l’inglese. Oltre al latino e al greco. Si era diplomato e laureato con i voti più alti, ma per chi sapeva le sue origini, restava un baraccato. Il figlio unico di una prostituta pugliese, nato e cresciuto in una baracca di Pietralata, lungo la riva del fiume Aniene. Sbattuto a tredici anni dietro le sbarre del San Michele. Assassino bambino del pappone di sua madre. Poco contava che, a Ripa Grande, il piccolo assassino avesse conosciuto un prete e avesse passato cinque anni a studiare e a leggere tutto quello che c’era nella insufficiente biblioteca del riformatorio. Poco contava che si fosse diplomato al liceo classico, come carcerato privatista e, una volta libero, avesse frequentato i banchi della facoltà di legge. Poco contava che grazie a certe spinte piovute direttamente da San Pietro, fosse entrato in polizia e diventato in poco tempo il poliziotto più famoso d’Italia. E per le titubanze sociali del signor questore, contava poco anche il fatto che venisse ricevuto a villa Torlonia e che Mussolini ripetesse sempre la stessa frase. Barra è un figlio di puttana socialista, ma è meglio di tanti fascisti che a chiacchiere smuovono le montagne, ma davanti a una pistola se la fanno addosso.
Vogel arrivò alla stazione Termini in perfetto orario e lui andò ad aspettarlo con la macchina ufficiale posteggiata lungo la pensilina. La famosa Lambda nera, che quando frusciava lungo le strade di Roma, spargeva la paura.
Entrare in stazione con la macchina era uno dei privilegi concessi al suo rango.
Due furono le cose che lo sorpresero. Alanus Vogel era simpaticamente giovane e parlava un italiano con un marcato accento fiorentino. Un italiano di certo migliore di quello masticato a fatica da certi personaggi, che non erano riusciti a emanciparsi dal dialetto. Per esempio proprio il questore, che non era capace di mettere insieme quattro parole senza inzaccherarle con i suoi grugniti marsicani.
– Cos’è l’arzilla? Hanno fatto il brodo con una vecchietta?
Barra rimase imperturbabile. Rise dentro.
– L’arzilla è un pesce. Sarebbe la razza.
– Come la razza ariana?
L’Acchiappatore si passò la lingua contro il labbro inferiore, gonfiandolo