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Castrum de atrium
Castrum de atrium
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E-book321 pagine5 ore

Castrum de atrium

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Info su questo ebook

Intorno all’anno mille sulle alture di Castelvecchio, luogo in cui era stato costruito dai Romani un fortilizio di guardia caduto in rovina, viene costruita una Basilica a forma di croce latina. È il Vescovo di Lucca a farla edificare e gli abitanti sono incaricati dei lavori. La costruzione ruota intorno a un tesoro nascosto nelle viscere della terra, ritrovato e con esso finanziata la costruzione della Chiesa. Uno spaccato di vita contadina di quel tempo, le condizioni di vita primarie, le tecniche di costruzione e i vari mestieri dell’epoca. Vari personaggi, tra i quali preti, frati, streghi e lestofanti di ogni tipo, si rincorrono e si nascondono tra le righe di questa storia. Tra questi anche un Tramandator, che di generazione in generazione, oralmente, trasferisce la storia della Garfagnana, che due dei protagonisti della vicenda devono imparare a memoria. Un romanzo con basi storiche legato alla montagnola di Castelvecchio, la quale sovrasta l’abitato di Piazza al Serchio.
LinguaItaliano
Data di uscita22 lug 2022
ISBN9788832281729
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    Anteprima del libro

    Castrum de atrium - andrea campoli

    Copyright

    © Copyright Tralerighe libri

    © Copyright Andrea Giannasi editore

    Lucca, luglio 2022

    1° edizione

    Tutti i diritti sono riservati. Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633).

    ISBN 978 88 32281 729

    I lettori che desiderano informazioni possono visitare il sito internet:

    www.tralerighelibri.com

    Introduzione

    Ogni libro ha la sua storia e per questa mia nuova opera non poteva essere altrimenti. Tutto è nato da un libro che il mio carissimo amico Dott. Maurizio Bertolini mi ha prestato. È stato lui stesso a propormelo, poiché io non ne conoscevo neppure l’esistenza. Si tratta di un libro illustrato da ottime foto riguardante le opere d’arte garfagnine, presenti e passate. Conoscendo il mio interesse verso queste cose del passato, ha giustamente pensato che potesse interessarmi. Così è stato. L’ho letto da cima a fondo ma quello che mi ha particolarmente colpito è stato un trafiletto di cinque righe in cui era scritto che una Basilica a forma di croce latina era stata costruita sulla montagnola che sovrasta la Piazza del Treno di Piazza al Serchio. Castelvecchio il suo nome, dove si trovano i resti, ora completamente restaurati, della cinta muraria dove in tempo romanico era stato costruito un posto di guardia. Quanto letto ha acceso in me quel sacro fuoco di immaginare una storia per mettere nero su bianco in un romanzo. Avevo il soggetto ma mancava completamente la storia o romanzo che dir si voglia. In quelle poche righe era scritto che la costruzione della Basilica aveva avuto inizio intorno all’anno Mille, ragion per cui ho dovuto documentarmi su tutto quanto riguardava quegli anni. Essendo noi dei campagnoli, la mia attenzione si è rivolta al mondo agricolo di quel tempo: quali erano le condizioni di vita primarie, i vari mestieri che ne facevano parte e le tecniche di costruzione di quell’epoca. Essendo inoltre appassionato di storia, ho voluto mettere, per sommi capi, la storia della nostra Garfagnana nei vari periodi fino a raggiungere l’anno Mille in cui si svolge il romanzo. In questo mio nuovo romanzo cerco di toccare dei temi che sono del tutto attuali anche oggi. Li sfioro appena senza cercare un vero e proprio approfondimento, forse non ne sarei nemmeno capace e comunque sia li vedrei solamente dal mio punto di vista. Un’altra circostanza ha fatto sì che decidessi di scrivere questo romanzo, cioè quella riguardante la leggenda di un tesoro scomparso o nascosto nelle viscere della terra nei pressi di San Donnino. Tra gli abitanti di questo paese c’è chi è pronto a giurare che il tesoro esista per davvero ma il fatto vero acclarato è che nessuno l’ha mai visto. C’è chi dice sia scomparso in un’epoca, chi in un’altra ed è per questo che credo si tratti solo di una leggenda. Io l’ho posizionato nell’epoca in cui si costruisce la Basilica, anzi, l’ho fatto servire per la costruzione della stessa. Come l’ho immaginato lo scoprirete leggendo il libro. Intorno all’anno Mille, nel Basso Medioevo, la vita non era delle migliori. I contadini, a larghissima maggioranza, vivevano in maniera disagiata. Si dividevano in due categorie: contadini liberi e contadini senza terra. I primi potevano prendere terra in affitto, versando al padrone parte del raccolto, e lavorare nei suoi terreni per diverse giornate in maniera gratuita. Inoltre, dovevano versare oboli per i pascoli, le strade, i mulini, i ponti ecc. I contadini senza terra vivevano in condizioni assai peggiori. Erano obbligati a lavorare gratuitamente nelle terre del Signore un certo numero di giornate all’anno, dovevano pagare tributi in denaro o natura, procurare legna e prestare la propria manodopera per ristrutturare o abbellire le dimore del padrone. Senza alcuna retribuzione. Erano i servi della gleba, comprati e venduti insieme alla terra, veri e propri schiavi. Vivevano in condizioni pietose dentro case di pietra, con finestre senza vetri, col braciere per cucinare e per il riscaldamento in mezzo alla stanza, la quale serviva sia da giorno che da notte. Indossavano tuniche e camminavano scalzi, per i più fortunati c’erano gli zoccoli. I servizi igienici non esistevano, espletavano i loro bisogni corporali fuori, all’aria aperta. I contadini liberi lavoravano tanto e mangiavano poco. Un chicco di grano seminato produceva una spiga con quattro chicchi dentro. Mediamente, tre andavano al padrone e uno rimaneva al contadino che doveva sfamare tutta la sua famiglia. Quelli senza terra dipendevano dalla magnanimità del padrone. Tutti quanti vivevano in promiscuità, a volte anche con gli animali. In tutte le case c’era un telaio con cui la donna di casa tesseva gli abiti per tutta la famiglia. Pochi mobili come tavolo e cassapanca, pochi utensili. Qualche pentola e padella di rame serviva per cuocere i cibi, che si consumavano in piatti di legno, rozzamente scavati. Lo stesso per i bicchieri. Disponevano pure di ciotole di terracotta e vasi tipo anfora. Indossavano tuniche, sia donne che uomini, alle prime arrivava alle caviglie mentre agli uomini al ginocchio. Per entrambi una cintura in vita la teneva stretta. L’uomo, inoltre, aveva a disposizione il mantello per le giornate fredde, così come il cappello, mentre la donna indossava lo scialle che le faceva pure da copricapo. Le materie prime per la filatura e tessitura erano: lana, cotone, lino, canapa. Era compito della donna di casa trasformare queste materie in abiti. Anche il linguaggio adoperato in quel tempo era molto diverso dall’attuale ma la ricerca sarebbe alquanto costosa, faticosa e lunga. In questo contesto si svolge il racconto che segue.

    Buona Lettura.

    Andrea Campoli

    Castrum de atrium

    La scalata si presentava ardua, molto dura. I quattro giovani, che si erano offerti volontariamente, sapevano del pericolo cui andavano incontro ma volevano provarci. Non era un monte di roccia viva, era presente una folta vegetazione su tutto il percorso che dovevano fare per arrivare in vetta. Si erano messi in testa di raggiungerla a tutti i costi, dopo che avevano ascoltato le farneticazioni di un vecchio. Raccontò una storia che ai più sembrò una leggenda ma non per loro. Volevano rendersi conto di persona se il vecchio raccontasse fole oppure ci fosse un fondo di verità.

    "Dopo che i Romani sconfissero i Liguri Apuani e li deportarono tutti nel Sannio, s’impadronirono di questi posti e costruirono, sopra le alture dei punti strategici, dei Castrum o Castellum. Essi servivano per avvistare nemici in lontananza e segnalarli con delle apposite bandiere. In base al colore che sbandieravano, i capi romani capivano il grado di pericolo che dovevano affrontare. Sopra questo monte ci sono i resti del Castrum ma, cosa più importante, c’è una galleria interna al monte scavata nella roccia. In essa è stata costruita una scala in pietra, a chiocciola, che scende giù nelle viscere della terra, fino al fiume. Il Castrum non è mai stato violato ma le incurie del tempo hanno fatto sì che diventasse un rudere. L’ingresso della galleria o pozzo che dir si voglia giù al fiume non si sa dove sia ma da sopra è di facile accessibilità. Io sono sceso fino ad un certo punto poi mi sono spaventato e sono risalito senza tornarci mai più. Ho sentito delle grida agghiaccianti che provenivano dal basso, non so dire se di uomo, donna o bestia. Sono un tramandator che di generazione in generazione racconta quello che è successo in tempi passati. Sono arrivato fino qui anche per un altro motivo, sono alla ricerca del mio successore. Appena arrivato ho avuto la sensazione di essere giunto nel posto giusto al momento giusto, qui troverò chi si dovrà prendere in carico tutto il mio sapere".

    Il racconto avvenne all’interno di una civile abitazione fatta di pietra, a forma circolare, con l’impiantito del tetto in legno ricoperto da piastre di pietra serena. Davanti, il grande braciere a forma circolare, col quale si riscaldavano e cuocevano i cibi, stavano seduti a terra ad ascoltare il vegliardo. Il primo millennio non era ancora passato, mancavano pochissimi mesi allo scoccare dell’ora, c’erano grandi speranze per l’avvenire nel villaggio chiamato Atrium, ovverosia Sala.

    I quattro giovani rimasero molto colpiti dalle parole del vecchio, dovevano salire fin lassù e scoprire cosa si nascondesse nel pozzo. Tre di loro avevano circa una ventina d’anni d’età mentre il quarto era un ragazzo più giovane di tre o quattro anni. I ventenni erano figli legittimi mentre il più giovane non aveva mai conosciuto suo padre. Il vecchio continuò il suo ragionamento.

    Devo trovare due giovani che dispongano di molta memoria, visiva e intellettuale. Per fare ciò ho bisogno sia di giovani uomini che di giovani donne. Per me sono entrambi sullo stesso piano, senza distinzione di sorta. C’è stato un tempo, nell’era giustiniana, in cui le donne avevano raggiunto gli stessi diritti degli uomini ma in seguito tutto è cambiato. Non per me. Radunate tutti i giovani di entrambi i sessi dai quindici ai vent’anni, li voglio qui davanti a me. Esistono libri che raccontano questi fatti ma sono soggetti al fuoco, per questo voglio due ragazzi che imparino a memoria la nostra storia. I quattro giovani si sparpagliarono per il terris e condussero in men che non si dica tutti i ragazzi e le ragazze davanti al vecchio.

    "Faremo ora degli esercizi di memoria che consistono in questo. Entrerete in quella casa per il tempo necessario, consistente nell’esaurirsi della sabbia custodita all’interno di questa clessidra. Ciascuno di voi dovrà visualizzare tutto quanto contiene la casa ed appena fuori dovrà elencare la disposizione degli oggetti. I due che risulteranno i migliori saranno al mio servizio, dispensati da ogni lavoro o incarico che dir si voglia. Il terris di Contea provvederà al loro mantenimento senza fargli mancare mai niente per qualunque cosa chiederanno. Quindi guardate d’impegnarvi tutti quanti al massimo perché è in gioco il vostro futuro". La casa che era stata messa a disposizione del vegliardo era strutturata in pietra murata con calce, era di forma quadrata, divisa in quattro stanze. In ogni stanza erano stati messi degli oggetti di uso quotidiano, come zappe, vanghe, pale e altri oggetti da cucina. I concorrenti dovevano osservare gli oggetti, riconoscerli e indicare anche la loro disposizione nelle quattro stanze. Il primo concorrente, dopo aver atteso il via datogli dal Vecchio con un cenno della mano, entrò nella stanza, diede una rapida occhiata agli oggetti in essa contenuti e passò nella seconda stanza. Ritornò subito sui suoi passi perché non era più sicuro di quanto aveva visto nella prima stanza. Rientrò immediatamente nella seconda ma quando stava per passare nella terza arrivò, a voce, il segnale di stop. Il concorrente, un ragazzo di diciotto anni, uscì fuori e subito dopo venne interrogato dal Tramandator.

    Quante stanze sei riuscito a vedere?.

    Due, contrassegnate coi numeri uno e due.

    Bene. Dimmi gli oggetti in esse contenuti.

    Il diciottenne elencò tutti gli oggetti e la loro disposizione. La chiacchierata avvenne lontano da occhi e orecchi indiscreti, poiché il vecchio non voleva avvantaggiare nessuno. Non rivelò nemmeno l’esito di ogni esame. Nessuno sapeva il risultato e quindi tutti erano spronati a dare il massimo. In questo momento tu sei il migliore che abbiamo, siediti sul trono e, se mai qualcuno ti supererà, dovrai scalare di un posto. Man mano che entravano i concorrenti, il vecchio li esaminava a uno a uno. Erano arrivati ormai agli sgoccioli della selezione e sul trono sedeva una giovane fanciulla di diciassette anni. Era stata capace di visitare le quattro stanze nel tempo stabilito e rispondere a tutte le domande del vecchio. Era lei a comandare il gioco, una rivincita per tutte quante le donne della contea, sottomesse e maltrattate. Mancava l’ultimo giovane, il ragazzo che aveva ascoltato le parole del vegliardo insieme ai suoi tre compagni e amici, tutti eliminati dalla selezione. Non aveva mai conosciuto suo padre, e sua madre era una ragazza molto sfortunata. Oltre al figlio aveva anche una figlia che cercava di tirare avanti in tutti i modi possibili e immaginabili. Marius viveva di lavoro che gli abitanti del terris gli commissionavano di volta in volta per aiutarlo nel fabbisogno della famiglia. Entrò nella prima stanza della casa, diede uno sguardo veloce e memorizzò tutti gli oggetti in essa contenuti. Seconda stanza, terza e infine quarta, s’accorse subito che gli oggetti contenuti nelle quattro stanze erano pressoché gli stessi, solo la disposizione era differente. Aveva ancora tempo e allora diede uno sguardo all’impiantito del tetto, molto diverso rispetto ai tetti usuali, che aveva quattro pendenze e non due, come era solito vedere. Arrivò il segnale di stop, Marius uscì dalla casa. Sei l’ultimo esaminando. Dimmi tutto quanto hai visto e ti ricordi.

    In quanto ultimo, tutti quanti i concorrenti poterono ascoltare le parole di Marius.

    Nella prima stanza ci sono una zappa, una vanga e una pala appoggiate al muro. Sulla mensola ci sono tre vasi di terracotta, a cominciare dal più piccolo fino al più grande. Sul muretto laterale vi sono due secchi di legno contenenti acqua, nel camino attaccato alla catena c’è il paiolo di rame. Appesi alla piattaia, attaccata al muro mediante due ganci, ci sono due mestoli di legno di pioppo, una ramina di legno di castagno e due piccole palette di legno di frassino. Un tavolo in legno di ciliegio e quattro sedie impagliate compongono l’arredamento.

    Marius relazionò il vegliardo sulle altre stanze senza sbagliare una virgola. Credeva di aver vinto ma si dovette ricredere, aveva solo pareggiato l’esame della ragazza dal nome quasi impronunciabile: Clodulia. Allora il vecchio, il quale rivelò la sua vera identità non appena ebbe scelto i due Tramandator (si trattava infatti di Teodolasio, figlio di un non meglio identificato Reggente di Contee lontane), fece un’ultima domanda ai due contendenti per il titolo di primo Tramandator.

    Descrivetemi il tetto della casa. Inizia tu Marius. Il ragazzo descrisse sapientemente l’impiantito del tetto ma si dimenticò una cosa. Clodulia non si fece scappare l’occasione.

    Marius si è dimenticato di dire che le travi sono incastrate le une alle altre e il pendolo centrale di ogni capriata fa la differenza.

    "Per me siete ancora in parità ma siccome lui è un uomo devo dare a lui lo scettro di primo Tramandator. La cosa migliore di tutte sarebbe che voi due vi sposaste, stando insieme avreste la possibilità di completarvi a vicenda. Non se ne parla nemmeno! Io una ragazza come lei non la sposerò mai".

    Sono io che non ti voglio nemmeno vedere, sei un trovatello e non hai né arte né parte. Merito qualcuno di più importante di un omuncolo come te.

    I preparativi e lo svolgimento della selezione ebbero una durata di tre giorni. In questo lasso di tempo le parole del Tramandator echeggiarono in tutta la Contea attraverso i tre giovani virgulti che lo avevano ascoltato la sera stessa del suo arrivo in Castellum de Atrium. Della selezione non importava a nessuno o quasi, erano cose di poco conto secondo alcuni, di una certa rilevanza secondo altri. In effetti la storia di un popolo, tramandata oralmente di generazione in generazione, affascina chi ha il tempo di starla a sentire ma non chi si deve affannare per poter sfamare la propria famiglia. I tre giovani in questione erano ancora spensierati pur già lavorando e avendo gettato le basi per l’imminente futuro da mariti e padri. Severius, Aureliano e Cassiodoro avevano già tracciato il proprio destino. Il primo era un abile costruttore di case in pietra. Il secondo era un abilissimo pescatore (il lago su cui si specchiava il terris era ricchissimo di pesce) nonché intelligentissimo ma di scarsa memoria. Tant’è che nella selezione del Tramandator risultò uno degli ultimi. Cassiodoro era un attentissimo agricoltore, sperimentava sempre nuove coltivazioni, a volte riusciva ad avere dei grandi raccolti, altre volte un po’ meno. Il paese o terris sorgeva su entrambe le rive del lago, un ponte ad un’arcata in pietra congiungeva le due parti. Alti faraglioni di origine vulcanica sbarravano la strada al corso del fiume formando il lago di Atrium, una cascata alta una trentina di metri lo ricongiungeva al fiume sottostante di nome Auserculus, nel quale si tuffava l’omonimo affluente di destra. Il lago, in un primo momento, era di dimensioni più contenute poi, dopo una grande tempesta di vento e acqua, si espanse oltre i confini del terris di Castellum de Atrium. Arrivò a sfiorare le terre dei contadi del Castellum de Cognam ed il terris de Silla. Nessuno seppe mai come aveva fatto a formarsi lo sbarramento ai faraglioni, eliminando in un solo colpo molte terre coltivabili. La rinuncia delle terre fece il paio con la nuova ricchezza ittica, anche se portò a scontri sempre più cruenti con i vicini contadi che si specchiavano nel lago. Altre grotte dello stesso tipo erano disseminate qua e là, nei pressi o accanto a ogni macigno era stata costruita una casa. Il terreno fertile era completamente sgombro da costruzioni in pietra o in legno. L’economia del terris si manteneva in piedi commerciando con le Contee vicine. In Atrium l’agricoltura, la pastorizia e la pesca erano un buon viatico per l’economia del posto. Un’isola felice in mezzo ad un’orda di barbari.

    I tre si fermavano dove c’era un assembramento di persone e lanciavano la loro personale sfida. Volevano costituire una squadra che s’addentrasse nelle cavità della terra, all’interno delle mura fatiscenti del Castellum romano. Era loro desiderio ritrovare il passaggio segreto di cui andava farneticando il Tramandator. C’era chi credeva alle sue parole e chi invece pensava che fossero fole, di quelle che si raccontavano nella Domus Populi la sera prima di coricarsi. Una decina di temerari di ogni età si fece avanti: era arrivato il momento di fare chiarezza sulla sommità del monticello a forma di cono che sovrastava tutti gli altri nel circondario, esclusi Alpi Apuane e Appennino. Non c’erano strade ma molti appigli sotto forma di alberi e cespugli fecero sì che giungessero in vetta senza grandi pensieri. La cima era spianata e qua e là s’intravedevano, tra una quercia e l’altra, pezzi di muro di mattoni crollati o, solo parzialmente, della fortificazione romana. Il primo pensiero che attraversò le loro menti fu quello di tagliare tutti gli alberi della cima, fare piazza pulita. Perlustrarono un po’ la zona e scoprirono vari rimasugli di pietra lavorata di quello che a detta del vecchio doveva essere un fortilizio romano. Scavando con la punta del bastone, che ognuno di loro si era portato appresso legato dietro la schiena, rinvennero dei pezzi di ferro, vasellame in pezzi di ogni genere, elmi e spade. Il vecchio non aveva mentito, tutto quanto detto ed anche oltre fu confermato. Un autentico tesoro era custodito sulla sommità del monticello che tutti chiamavano Castellum o Castrum. Passando tra un albero e l’altro in mezzo ai rovi, giunsero all’interno delle mura perimetrali, pietre ovunque disseminate qua e là. Resti di fortilizio crollati o fatiscenti ma della famosa galleria a pozzo non c’era traccia. Rientrarono in terris e tennero consiglio con gli anziani. Nella Contea non c’era un capo, non ne avevano mai avuto bisogno, tre reggenti anziani erano coloro che amministravano il potere e la giustizia. Non avevano mai preso decisioni atte a offendere né tantomeno controproducenti per l’economia del luogo. Il bene del popolo, di tutto il popolo, era la sola e unica cosa che contava, senza se e senza ma. La sera stessa tennero consiglio nella Domus Populi; ascoltarono per bene la relazione dei tredici, poi emisero il verdetto. Non era certamente un diktat ma un consiglio che i tredici, poi allargatosi a un numero imprecisato di addetti, presero in considerazione alla lettera. Il consiglio degli anziani emise il suo verdetto:

    "Ripuliremo al meglio la sommità di Castellum, faremo una stima approssimativa dei danni, poi costituiremo una nuova assemblea e decideremo il da farsi. I tronchi degli alberi li lascerete in loco mentre la ramatura potrete utilizzarla come vorrete. Lascerete in loco anche qualsiasi cosa riuscirete a trovare come elmi, spade, corazze o quant’altro di metallo, il resto che riuscirete a recuperare potrete tenerlo".

    Teodolasio non perse tempo, convocò i due giovani, Marius e Clodulia, presso la casa dalle quattro stanze, servite per la selezione, messagli a disposizione dal Consiglio degli anziani. I due giovani erano molto restii a rimanere vicini l’uno all’altra ma dovettero fare di necessità virtù. Senza perdere altro tempo prezioso, il vecchio Tramandator iniziò a parlare.

    "Non ho più molto tempo a disposizione, sono già in là con gli anni e la Signora col falcione può raggiungermi da un momento all’altro. Non fatemi perdere tempo, state concentrati e ascoltate. Divideremo il racconto in dodici stanze, dodici pezzi che dovrete imparare a memoria ed essere in grado, per chi lo chiederà, d’iniziare il racconto dalla stanza desiderata. So che non vi sopportate l’un l’altra, non ammetto storie. Questa è una cosa seria, ve ne renderete conto man mano che andremo avanti col racconto. Iniziamo con la prima stanza: La nostra storia inizia dal Cinquecento a.C., questi posti erano abitati dai Liguri Apuani, popolo primitivo e barbaro come furono definiti dai romani. 34.000 anni fa alcuni popoli d’incerta provenienza sbarcarono in Apulia e cominciarono a risalire la penisola insediandosi qua e là. Giunsero anche dalle nostre parti ma trovarono sulla propria strada gole scoscese e macchia mediterranea, quasi impenetrabile. Molti passarono oltre ma qualcuno si fermò. Diedero così inizio alla colonizzazione della vastissima area ricchissima di vegetazione, piante da frutto e selvaggina. L’acqua non mancava di certo, pura e limpida come sempre. Passarono i secoli, la popolazione crebbe, così come varie attività fiorirono nel territorio. Le migrazioni continuarono nel corso dei secoli, popoli in viaggio si aggregarono ai residenti stabilendosi in pianta stabile nella nostra regione. I millenni passarono senza che accadesse niente di trascendentale. Le famiglie costituite vivevano di caccia ed il resto della giornata lo trascorrevano sdraiati o seduti sulla nuda terra senza preoccuparsi del domani. Il clima iniziò a cambiare nel corso dei secoli, così gli abitanti di queste zone furono costretti a costruirsi dei ripari. Sorsero le prime capanne in legno col tetto di frasche. Esse non erano isolate ma costruite una accanto all’altra, dando vita ai primi Terris arcaici. Inizia così l’era della creatività, con oggetti fatti a mano, utensili per la casa e per la caccia, atti ad offendere ma anche a difendere. Iniziano le prime schermaglie coi Terris vicini, anche per futili motivi. Intorno al 3000 a.C. scendono nella penisola italica popoli delle terre del nord e di origine danubiana, portano un bagaglio importante; una civiltà avanzata che viene trasmessa alle popolazioni della nostra terra. Mille anni più tardi giungono dal mare altri popoli molto diversi dagli altri. Portano con sé una cultura sociopolitica molto diversa dagli altri, nonché una civiltà ancora più avanzata rispetto a tutti gli altri. Non solo, portano in dote le prime lotte intestine, le prime espansioni fatte di battaglie e guerre con i popoli vicini. Intorno all’anno 1000 a.C. giungono nelle nostre terre i palafitticoli del nord italico. Portano una cultura nuova per le costruzioni: non più una capanna di legno con tetto di fronde bensì una costruzione rettangolare in pietra e legname con l’impiantito del tetto coperto di piastre. Portano in dote anche il sapere per costruire vasi in argilla, contenitori molto più belli e resistenti rispetto a quelli costruiti in legno. Cambia anche l’organizzazione sociopolitica: non vi è più il vecchio saggio del Terris contadino ma una netta distinzione tra i contadini, addetti al sapere, all’artigianato e alla difesa. Tutti i popoli italici, anche la nostra terra, si riuniscono in una civiltà aristocratica contadina. Non era mai accaduto prima. Verso l’800 a.C. il pericolo per questa nuova civiltà italica arriva dal mare con l’avvento degli Etruschi, molto più chiusi rispetto agli altri. Non si integrano con le popolazioni locali ma tendono a conquistarle. Si comportano da veri padroni in casa d’altri, ignorando completamente i nostri antenati e rendendoli servi al loro servizio. La nostra terra rimane sotto il dominio etrusco per quattro secoli, nei quali restiamo sempre sottomessi a loro. Di contro ci insegnano a coltivare la terra, la vite nonché allevare gli animali come cavalli, pollame, cani, gatti, buoi, asini, maiali, capre e pecore. Alberi da frutto, grano, canapa, legumi soddisfano il fabbisogno delle derrate alimentari. Fabbricazione di pugnali e asce in bronzo e molti altri suppellettili e utensili completano il quadro".

    La prima stanza si conclude qui. Questa è la più lunga e difficile da imparare, le altre saranno molto più semplici. Ci prendiamo tutto il tempo che occorre per impararla a memoria. Entrambi dovrete correre di pari passo, non esiste che uno rimanga indietro mentre l’altra va avanti per conto suo e viceversa. Prima raggiungerete un’intesa, un patto di non belligeranza, e prima imparerete il mio sapere.

    Maestro Teodolasio cercherò di seguire il tuo consiglio ma non è facile andare d’accordo con Clodulia, oltre che cattiva è anche brutta.

    Senti chi parla, sei brutto e senza arte né parte, chi vuoi che ti prenda conciato così.

    Statemi ad ascoltare voi due, non voglio più sentire un litigio tra voi. Quando verrete qui dovrete essere docili come agnellini. Non tollero più un simile comportamento. Un ultimo insegnamento voglio darvelo comunque: chi disprezza compra.

    Avevano segnato il sentiero con delle corde ancorate saldamente ai calci degli alberi ben piantati nel terreno. Si armarono di attrezzi di ogni tipo e cominciarono a risalire il fianco meno impervio della montagnola. Raggiunsero la cima in minor tempo rispetto alla prima volta, ne approfittarono per mettersi subito al lavoro. Il sole non era ancora spuntato a levante, così poterono godere la frescura della notte appena finita. Il numero degli addetti era aumentato sensibilmente, i tre giovani divisero in tre squadre le persone disponibili e iniziarono subito a ripulire l’area, tutta l’area della sommità. C’erano i segantini col segone, i quali abbatterono tutti gli alberi segandoli nel calcio. Appena un albero cadeva a terra intervenivano i boscaioli tagliando tutta quanta la ramatura con lavoro certosino. Usarono delle asce di ferro affilatissime per tagliare i rami più importanti, mentre quelli più piccoli furono rifiniti col pennato, la famosa arma, ma anche utensile, lasciata in eredità dagli Apuani. La terza squadra, dopo aver assistito all’abbattimento e alla lavorazione degli alberi, entrò in azione con vanghe zappe e picconi per portare alla luce le radici di cerri, querce, castagni, carpini, frassini e altri alberi meno importanti. Ginestre, ginepri e rovi vari furono fatti saltar via con dei colpi ben assestati di zappa e piccone. I calci sradicati furono gettati giù dalla montagnola chiamata Castellum o Castrum, finendo in un prato sottostante. Furono sezionati

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